di Eleonora PERSICHETTI *
*Il grande successo dell’esposizione alle Scuderie del Quirinale e a Palazzo Barberini della mostra dedicata a Pablo Picasso nel centenario del suo soggiorno a Roma e a Napoli, dal febbraio all’aprile 1917, ci ha convinto a dedicare al genio spagnolo altri due articoli di commento (oltre a quello in apertura di Giorgia Terrinoni) scritti da Eleonora Persichetti e da Fabiano Forti Bernini, due importanti collaboratori di About Art online ma soprattutto due amanti dell’arte nelle sue varie espressioni. I nostri lettori potranno certamente apprezzare i due punti di vista frutto dell’incontro con l’arte del grande artista.
Verso la fine della guerra si formarono nuovi movimenti artistici e intellettuali, molti dei quali influenzarono decisivamente l’arte del XX secolo, come il movimento Dadaista o quello Cubista e Surrealista. Proprio in quegli anni Picasso, in viaggio con il poeta Jean Cocteau e il musicista Igor Stravinskij, iniziò una collaborazione assidua con i Balletti Russi di Sergej Djagilev. Indirizzarono, tutti insieme, il modernismo anche verso il modello classico per riprenderne gli impulsi primitivisti e nazionalisti. Il primo passo in questo senso lo fece Picasso a Roma quando ideò i costumi, le scene e il sipario di Parade che debuttò a Parigi. E Roma fu importante per Picasso anche per un altro motivo: lì conobbe una ballerina russa, Ol’ga Chochlova, che divenne sua moglie.
La mostra ci fa vedere tutte le sperimentazioni di Picasso, i suoi esercizi di stile: dal realismo stilizzato alle nature morte di derivazione cubista, al ritratto di stampo classico, come il Ritratto di Olga in poltrona (1918), al collage e al pastiche. Grazie al viaggio in Italia, al contatto con le arti popolari della città di Napoli, Picasso diede una sferzata di novità alle sue opere e iniziò a dipingere le maschere della commedia dell’arte, Arlecchino e Pierrot. Arlecchino divenne metafora del processo creativo. Pierrot fu un simbolo del popolo. E i soggetti prediletti furono allora giocolieri, bagnanti, artisti di strada, addetti ai lavori nei teatri, danzatori.
Inaugurata alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, il 21 settembre scorso, la mostra, è aperta fino 21 gennaio 2018 presso le Scuderie del Quirinale. Raccoglie più di cento capolavori tra tele, gouaches e disegni oltre a fotografie, lettere autografe e altri documenti attentamente selezionati dal curatore Olivier Berggruen con Anunciata von Liechtenstein.
A Palazzo Barberini, nel grandioso salone affrescato da Pietro da Cortona, viene esposto, per la prima volta a Roma, il sipario dipinto per Parade, un’immensa tela lunga 17 metri e alta 11. L’opera di maggiori dimensioni dell’artista. Parade è un balletto che, come precisò l’amico e critico Apollinaire, “sarà destinato a sconvolgere non poco le idee degli spettatori e la stessa produzione del genio Picasso”. Al centro della scena c’è un gruppo di attori in un momento di pausa prima che inizi lo spettacolo. E la scelta stessa della scena da collocare in primo piano è una parodia, perché sarebbe qualcosa da vedere dietro le quinte, non davanti. Poi confonde il pubblico perché accosta l’Arlecchino al Cavallo e alle figure dei Manager francesi. E in questo dipinto si vede l’influenza dell’arte popolare romana e napoletana, dei capolavori classici del Museo Archeologico di Napoli visitato poco prima, oltre all’impatto che ebbe su di lui il fascino degli affreschi di Pompei. Molto probabilmente la ballerina con le ali rappresenta Ol’ga e la Scimmia sarebbe l’alter ego di Picasso stesso. La cavalla alata richiama la figura mitologica di Pegaso e la tenerezza nei confronti del suo piccolo diviene simbolo di maternità e lancia un messaggio di pace all’umanità. Siamo alla fine della prima guerra mondiale.
Ritornando alle Scuderie del Quirinale, si inizia il viaggio tra le opere di Picasso appena si entra nella prima sala. Si parte dal Tardo cubismo e dall’estetica della discontinuità che servirono a Picasso anche per i successivi lavori per il palcoscenico. Proseguendo, si nota come l’artista si trovava a suo agio con i personaggi della commedia dell’arte, dei ballerini e degli artisti di strada che ritraeva con una sua tecnica, ovvero scomponendo la superficie e le tessiture del dipinto come nel celebre ritratto di Ol’ga e in Arlequin et femme au collier e L’Italienne. Poi è la volta di Due donne che corrono sulla spiaggia (La corsa) (1922) e de Il flauto di Pan (1923), espressioni di un classicismo reinventato, di dimensioni esagerate e manipolate per ritrarre dei giganti, delle statue, semplici ma così lontane dalla realtà. Il flauto di Pan perde gli aspetti allegorici e narrativi dei dipinti precedenti, ma ricorda comunque l’arte classica romana.
Negli anni Venti è proprio evidente l’attrazione che il classicismo esercitò su Picasso e questa ammirazione non incondizionata si sposava bene con l’arte popolare e l’amore per il teatro che avrebbe sviluppato negli anni a Roma, preso dal disegno delle scene e dei costumi per Parade. Saltimbanco seduto con braccia conserte (1923), Paulo come Arlecchino (1924), Paulo come Pierrot (1925) sono di questo periodo. Picasso però non ama “copiare” e ben presto si emancipò dai confini di qualsiasi stile o movimento artistico, consolidando un idioma del tutto personale. E le sue nature morte cominciarono a fondere principi cubisti con elementi classici, come in Natura morta con chitarra, bottiglia, frutta, piatto e bicchiere su tavolo (1919). Ma sicuramente maggior fluidità e rottura la si nota nei ritratti, nei disegni teatrali, nella figura di Pulcinella così bizzarra, comica, ma così romantica ed ironica.
Il classicismo monumentale e l’amore per il teatro si tradussero anche negli studi e nelle figure di bagnanti, dee, ninfe con forme lineari e appiattite colte in gesti fin troppo artificiosi e retorici proprio come su un palcoscenico – si pensi a La Course.
Nel 1924 Etienne de Beaumont, il mecenate di Picasso, gli commissionò il balletto Mercure, una serie di tableaux vivants in cui spunti classici e mitologici sono inseriti in scene di vita quotidiana come in Parade.
Man mano che la sua collaborazione con i Ballets Russes proseguiva, i disegni di Picasso si distinguevano per le linee sempre più fluide, che danno proprio un senso di movimento come quello dei danzatori. Ben presto avrebbe lasciato, però, il mondo della danza per affacciarsi al Surrealismo e per ricominciare le sue sperimentazioni in altri luoghi inesplorati. E proprio l’opera per eccellenza dell’artista spagnolo, dedicata al ballo, segnò il suo addio al mondo della danza e chiude la mostra: La Danse, 1925.
di Eleonora PERSICHETTI Ottobre 2017
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