Palmyra rinasce; Khaled al As’ad: un sacrificio non inutile. Cronaca di un’emozione

di Francesco MONTUORI

Migranti sull’About

di M. Martini e F. Montuori

Khaled al As’ad martire del patrimonio culturale

Si andava e in quell’andare stava una ragione così forte per me, come di vedere Palmyra. Lontani colli dai colori tenui, fra l’azzurro e il viola, come nel deserto hanno le alture… nessun’altra vita che quei radi e bassi cespugli che sembrano scòpo e non sono.
…. Le montagne invece si avvicinavano, si rinforzavano, perdendo l’azzurro ritrovavano colori forti, dall’arancione al viola, degradando da una parte e dall’altra, formavano un valico. Nell’ampia incavatura, approssimandoci, apparve una torre distrutta e poi altre, come calassero dalle balze. Erano torri solitarie, non rilegate con mura, dall’una all’altra si vedeva nitido il declivo che scendeva. Erano torri rossastre, come rossastra era la roccia di quei monti, erano le torri mortuarie di Palmyra…. In fondo si alzarono le file di colonne. Improvvisa, foltissima, appena contenuta in un muro incerto, una distesa di palme e di ulivi, ma d’un verde così intenso che era più azzurro che verde.
Tutto il panorama, nel suo perimetro antico, si abbracciava con un occhiata, il Tempio di Bel, e la Via colonnata, l’Agorà, il Teatro.

Cesare Brandi. Città del deserto 1990 

fig. 1 L’archeologo Khaled al Assad

Chiunque abbia visitato, fino ai nostri giorni, la città di Palmyra si à avvalso della guida “Palmyra, storia, monumenti e musei” di Khaled al As’ad (fig.1), pubblicata a Damasco nel 1995, frutto di una vita che il grande archeologo siriano ha dedicato alla città del deserto siriano. E’ in omaggio a Khaled al As’ad che fu direttore del museo e del sito archeologico della città di Palmyra, carica che mantenne per più di quarant’anni, che, meritoriamente, Marco Di Branco e Maria Teresa Grassi rieditano oggi, per i tipi di Vella, la sua guida di Palmyra, arricchita da un profilo bibliografico del grande archeologo, nuovi contributi, immagini di archivio,

Nel maggio del 2015 i cosidetti combattenti del sedicente Stato Islamico occuparono la città di Palmyra, sito del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Rapirono Khaled al As’ad, e dopo alcune settimane di prigionia durante le quali era stato torturato perché indicasse il nascondiglio dove lui stesso aveva nascosto i preziosi reperti del Museo archeologico, lo decapitarono esponendo il suo corpo con una lugubre messinscena. Sappiamo che i monumenti della città saranno devastati dalle bande dell’Isis che trafugarono inoltre molti reperti per rivenderli sul mercato clandestino. Oggi missioni di differenti paesi fra cui l’Italia si stanno adoperando per restaurare le rovine della città.

Il sito archeologico

L’esistenza dell’oasi e della città di Palmyra è dovuta alla copiosa sorgente che sgorga dalle pendici del Gebel Muntar, la collina che incombe sulla città, passaggio obbligato tra il varco di Homs e l’Eufrate nel cuore del deserto siriano (fig.2).

fig. 2. Il deserto siriano e l’oasi di Palmyra

Racconta Khaled al As’ad che le prime notizie sulla città risalgono al XVIII secolo a.C. Ma notizie certe si hanno nel 331 quando Alessandro Magno pose fine all’impero persiano; Palmyra doveva già essere un centro fiorente; un secolo dopo Palmyra e il suo territorio costituirono un principato arabo. A partire dal I sec. a.C.si hanno testimonianze materiali e letterarie che attestano il crescente sviluppo di Palmyra. Scrive Plinio il vecchio che “Palmyra è una nobile città per il sito in cui si trova, per le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque.”

La città si avvaleva della sua posizione geografica e politica intermedia fra l’impero romano e quello dei Parti. A partire dal regno di Tiberio (14-37 d.C.) Palmyra dipende interamente da Roma. Romani e Parti avevano un comune interesse nell’assicurare la vitalità della rete stradale e del grande emporio che fu questa città, attraverso cui passavano le carovane per la Mesopotamia e la Persia. Il secondo secolo fu l’età d’oro di Palmyra; le sue attività economiche si estendevano ad est fino all’India e la Cina e ad ovest fino a Roma. Furono costruiti i grandi santuari di Baal, Nebo, Baal Shamin, il tempio di Allat, l’Agorà,  la grande Via colonnata, l’Arco di trionfo (fig.3).

fig. 3. La città di Palmyra

Palmyra divenne una delle grandi città d’Oriente. Nel III sec. Zenobia si impadronì del potere. Era una donna ambiziosa e coraggiosa. Parlava oltre all’aramaico di Palmyra, il greco e l’egiziano (fig.4). Riporta Khaled al As’ad: “arringava la folla al modo degli imperatori con l’elmo in capo e vestiva di porpora”. Difese a lungo la libertà della città. Nel 272 Palmyra capitolò ed Aureliano vi fece ingresso trionfale.

fig 4. Zenobia regina della città di Palmira

Esploratori e viaggiatori

Il declino della città diviene rapido in epoca ottomana dal XVI all’XIX sec. quando i viaggiatori inglesi Robert Wood e James Dawkins, al cui seguito era l’architetto piemontese Giovanni Battista Barra, esplorano il sito; siamo nel 1751. Grandiosi panorami di rovine marmoree in un deserto piatto che si stende fino all’Eufrate. Fu realizzato un preciso e dettagliato rilievo: misurati e disegnati tutti i monumenti principali ed eseguiti dettagliati disegni delle decorazioni, numerose immagini e acquerelli. Nel 1753 viene pubblicato The Ruins of Palmyra che ebbe una grande risonanza (fig.5).

fig. 5. Robert Wood. Veduta della Via colonnata, 1753

Più tardi nel 1785 il viaggiatore Louis-Francois Cassas realizzerà oltre 200 fra disegni, incisioni, acquarelli, una fonte preziosa per documentare Palmyra alla fine del ‘700. Rilievi, incisioni  acquerelli diverranno testimonianze fondamentali per la conoscenza dell’architettura dell’antichità; in età neoclassica questa conoscenza ebbe un senso; significava arricchire il progetto neoclassico dove il ridisegno dei monumenti antichi era finalizzato all’adozione di modelli da seguire. Delle scoperte archeologiche non si riconosceva tanto il contributo all’avanzamento delle conoscenza storiche, quanto l’importanza determinante per la revisione delle teorie architettoniche.

Il diario di Anna Di Noto

Alla fine del secolo scorso ho visitato Palmyra insieme ad Anna Di Noto. Trascrivo di seguito le note del suo diario.

“A Palmira!

Dopo una notte in un tragico orrido alberghetto di Deir-en-Zor, un paese sull’Eufrate, raggiungiamo Palmyra attraverso un deserto pietroso, attraversato da turisti, militari, beduini, capre…(fig.6)

fig. 6. L’oasi e le imponenti rovine di Palmyra

Palmyra è straordinaria. Vale da sola il viaggio; abbiamo la piacevole sorpresa di aver prenotato un albergo che è appena stato ristrutturato e ristrutturato bene con accoglienti camere e bagni; ci ritempriamo dai disagi della notte precedente. Visita alle tombe e al museo: le statue sono straordinarie e la sera leggo le osservazioni di Cesare Brandi nel suo Città del deserto, sul modo in cui gli artisti palmireni scolpivano le vesti dei defunti rappresentate nei sarcofagi: il taglio delle pieghe a 45°, con uno smusso a spigolo vivo che da’ alla pietra una vibrazione continua, una vera invenzione tecnica e stilistica.

La città si rappresenta come una grande scenografia urbana: una serie di lunghi colonnati rettilinei raccordati da episodi singolari episodi urbani, i Templi, il Teatro, i Santuari, tangenti al percorso della Via colonnata (fig.7).

fig 7. Mappa della città
8. L’Arco trionfale di Settimio Severo
9. L’Arco si sdoppia per seguire la Via colonnata

Le colonne di questa strada altro non sono che palme di pietra. Questa strada che dovette essere lunga più di due chilometri doveva arrivare fino al Tempio di Bel; per questo faceva improvvisamente un angolo in corrispondenza dell’Arco di trionfo (fig.8) che a sua volta si sdoppia per potere avere la sua mostra in asse dalle due parti della strada (fig.9).

Dal lato opposto la via Colonnata passa tangente alla scena del Teatro, cui si giunge  tramite due curve che immettono in un portico avvolgente la cavea (fig.10).

fig. 10. Il Teatro e la Via colonnata

Più avanti il Tetrapilon (fig.11) fa fare un ulteriore scarto alla strada che procede diritta fino alle Tombe-case per poi piegare a 90° e dirigersi alla Porta di Damasco.

fig 11. Il Tetrapilon sulla Via colonnata

La Via colonnata raccorda le varie parti della città, le raccorda nel senso che ognuna di queste parti resta in sé autonoma. Il valore della via Colonnata non è il suo asse prospettico; essa si configura come uno spazio chiuso, un’Agorà stretta e lunga. Quindi il suo andamento non è nel rapporto al punto di fuga ma nella suddivisione in tronchi tra loro autonomi. Le varie sezioni della Via colonnata si concludono, a Palmyra, in successivi spazi separati.

Mi siedo all’ombra di una colonna, sotto il sole bruciante per prendere qualche appunto. Dal lato opposto, su un colle di terra rossa domina il castello che gli arabi costruirono per proteggere la città.  Impossibile disegnare: si passeggia con il naso all’in su e poi si vede il tramonto dal castello arabo così scenografico sul culmine della collina.

Palmyra ha la forma e la dimensione di un’intersezione geometrica-geografica: incrocio materializzato in forme artificiali ma metamorfiche degli elementi vitali del deserto, un incrocio concettuale in quel punto e da quel punto fino all’infinito nelle quattro direzioni geografiche, all’infinito perché intorno all’oasi di Palmyra – punto reale, materiale, di arrivo, ristoro e partenza – c’è e si sente il deserto.

Palmyra è un coagulo reale e concettuale insieme: gli alberi nell’oasi e delle oasi attraversate dalle carovane qui diventano pietre, colonne scolpite  che costruiscono lo spazio della strada e riportano sulla strada le molteplici funzioni che si allineano lungo l’asse: il teatro, il tempio, l’agorà. ecc. La strada esiste, è il tramite dei rapporti fra qui e l’altrove. Essa si rappresentata come elemento in sé, nei filari di colonne che la strutturano: non sono colonnati costruiti “ai lati”, sono la strada considerata come elemento formale rappresentativo cui si affiancano gli edifici con le loro funzioni (fig.12).

fig 12. Percorrendo la lunga strada

La Via colonnata ha qui a Palmyra una funzione forse più importante dello stesso Santuario di Baal: ha una sua struttura formale autonoma e riconoscibile. E’ costruita come un edificio che struttura lo spazio.

Facciamo una breve visita all’oasi, vicino all’orribile Palmyra Cham Palace; qui un contadino lavora all’antico sistema di irrigazione degli ulivi. Traversata in macchina del deserto: ora il deserto è molto deserto, bello per la prima ora, poi prende quasi un senso di claustrofobia e la voglia di scappare per arrivare altrove; dopo una sosta per dormire un pò arriviamo a Damasco.

Meravigliosa Palmyra!”

Francesco MONTUORI     Roma 23 dicembre 2019