di Nica FIORI
“Borromini ci ha dato nello spazio l’immagine più perfetta dell’uomo: la sua libertà”.
Questa frase di Paolo Portoghesi (1931-2023) riesce a cogliere un aspetto essenziale dell’opera di un architetto da lui particolarmente amato e nelle cui chiese e cappelle si era addentrato, da giovane studente, cercando di penetrare nei più remoti recessi spaziali e mentali della sua arte.
Quando, al primo piano della sede dell’Accademia Nazionale di San Luca, si entra nella sala che ospita la mostra intitolata “di Paolo Portoghesi. Sguardo, parole, fotografie”, si potrebbe pensare che essa sia dedicata a Francesco Borromini (1599-1667), perché le foto in bianco e nero esposte sono quasi tutte relative alle architetture del celebre architetto della Roma barocca.
La scelta di esporre proprio queste fotografie, piuttosto che quelle relative alle creazioni di Paolo Portoghesi (tra cui le moschee di Roma e di Strasburgo e alcune chiese, a partire da quella di Salerno dedicata alla Sacra Famiglia), è nata dal desiderio di onorare una persona importantissima per l’Accademia di San Luca (della quale fu eletto accademico nel 1966 e presidente nel biennio 2013-2014), a pochi mesi dalla sua morte, indagando un aspetto meno conosciuto della sua vita, che è quello della sua formazione giovanile, il modo di studiare e acquisire la sua idea di architettura. Fu forse il suo modo di osservare, ovvero lo “sguardo”, che si coglie nelle fotografie, e insieme “la mostruosa passione per le parole” a fare di Portoghesi un grande storico e critico dell’architettura, oltre che architetto, docente universitario e creatore del settore dedicato all’Architettura alla Biennale di Venezia, come ha ricordato il vice presidente dell’Accademia di San Luca Francesco Cellini, curatore della mostra insieme a Laura Bertolaccini.
Portoghesi amava fare fotografie e lo fece per tutto l’arco della sua vita, ma la documentazione fotografica che egli fece per anni, prima di scrivere il suo volume “Roma barocca” (prima edizione nel 1966), è decisamente enorme e ci appare rivoluzionaria per l’epoca, proprio come rivoluzionaria fu l’arte di Borromini.
A Borromini Portoghesi dedicò un primo libro quando aveva solo sedici anni. Si tratta di uno scritto appassionato, il cui titolo “Paolo Portoghesi: di Francesco Borromini” ha ispirato quello dell’attuale mostra e, pertanto, è stato riprodotto in alcune parti nel catalogo, insieme alle 72 foto, selezionate per la mostra tra le migliaia scattate a partire dai primi anni Sessanta.
Nel catalogo troviamo anche una foto (1947 circa) che mostra una parete della stanza del giovane Portoghesi, letteralmente tappezzata di fogli scritti e fotografie, a dimostrazione di una mente particolarmente portata allo studio e alla “… combinazione di parole che dai sensi arrivi ad esaltare l’oscura presenza del nostro invisibile”, come scriveva a sedici anni.
La forma quadrata delle foto in mostra è dovuta ai negativi 6×6 delle sue macchine fotografiche (inizialmente una Rolleiflex e poi una Hasselblad), che potevano essere tenute in mano senza bisogno di cavalletto, perché il giovane Portoghesi era solito anche arrampicarsi per poter cogliere dall’alto immagini sino ad allora inedite. Allo stesso tempo altre fotografie erano realizzate da sotto in su e ogni particolare veniva colto da diverse angolazioni, con un modo di procedere assai diverso dalle classiche foto dei fratelli Alinari, che all’epoca andavano per la maggiore. La foto scelta per il catalogo mostra addirittura la silhouette di Portoghesi che nasconde in parte la cupola di San Carlo alle Quattro Fontane (nota come San Carlino).
Egli descrive le architetture borrominiane prediligendo le ombre, i forti contrasti chiaroscurali e unisce alle immagini parole affascinanti (che leggiamo nel catalogo, ma non nella mostra), come per esempio queste relative alla chiesa di San Carlino con l’annesso piccolo chiostro:
“I nostri occhi hanno trovato in questo spazio un pegno anche maggiore del cielo – il cielo che s’apre dalle cornici delle forme esatte di ogni piega – i nostri occhi hanno trovato per la vita una più chiara e segreta ipotesi – nelle cuspidi accese è evidente la volontà di un gesto – di un segno fermo nella mente del Borromini lo spazio e il volume s’aprivano in un movimento senza limiti come molecole senza coesione”.
Il linguaggio può sembrare criptico, ma ciò è in sintonia con il gusto per il linguaggio simbolico che caratterizza l’arte borrominiana. Messaggi emblematici, a ben guardare, possono essere racchiusi nelle stelle, nei quadrati, nei cerchi, nei triangoli, come pure nelle croci, nelle palme, nelle testine angeliche, tutti elementi che abbondano nelle sue decorazioni e che Portoghesi evidenzia nelle sue fotografie.
Borromini non ha la rumorosità vibrante di accesi colori, anzi ne usa uno solo, il bianco. Attraverso il bianco, che evoca la luce divina, egli cerca il contatto con l’Assoluto, contraendo e dilatando gli spazi con una tale libertà creativa, che lo ha reso agli occhi di Portoghesi il più originale architetto del barocco.
La chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza è stata forse la più amata da parte di Portoghesi, che da ragazzo viveva nei pressi. Egli ne ha fotografato ogni particolare, a partire dalla sua inconfondibile cupola con il lanternino lobato a contorno ottagonale, che si avvolge in una sorprendente spirale terminante in una corona circondata da lingue di fuoco, da cui prende il volo in un gioco di trasparenze un aereo piedistallo composto di archi di ferro, che a sua volta offre sostegno a un globo, alla colomba pamphilia e a una croce gigliata.
“In questo liberato articolarsi della pietra potremo trovare un giorno e conservare nel sangue la direzione del nostro cuore”,
scrive Portoghesi nei suoi commenti, mentre riguardo alla chiesa di Sant’Agnese in Agone (in piazza Navona) scrive
“… I campanili ricercano nel cielo un punto nevralgico una regione più profonda / nelle notti di stelle cercano di isolare ogni luce in uno spazio diviso / comprendere in una voce lunghissima il senso di infiniti mondi”.
L’interno di San Giovanni in Laterano, la Casa dei Filippini, il Collegio di Propaganda Fide, la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte e Palazzo Falconieri sono pure indagati con numerose foto. Nel gruppo di foto riguardanti quest’ultimo palazzo (in via Giulia) ci colpisce in particolare la doppia erma raffigurante un volto femminile da un lato e uno maschile dall’altro: un’androginia che si ritrova anche nelle erme della facciata, che presentano mammelle femminili sotto una testa di falco (corrispondente al dio egizio Horus), che richiama il nome della famiglia Falconieri. Portoghesi ha fotografato anche i soffitti delle sale, decorati a stucco con misteriosi motivi, tra cui un ovale che racchiude una sfera, dal cui polo superiore parte uno scettro che arriva a un occhio inscritto nel sole.
Come ha illustrato Francesco Cellini nel corso della presentazione della mostra alla stampa, Portoghesi ha amorosamente scattato e collezionato migliaia di foto, come supporto e strumento di un’opera critica vastissima, fino all’ultimo ripetutamente ripresa e aggiornata; quindi forse lasciata intenzionalmente aperta. A parer suo
“essa è del tutto priva dell’obiettivo di trasmettere o peggio di imporre una dottrina ed è invece concepita come uno strumento ricco, duttile, plurimo ed educativo offerto a tutti (a noi e, senza dubbio, allo stesso autore) per stimolare la nostra (e la sua) sensibilità, la riflessione, la meditazione, puranche la capacità di divagazione, e infine soprattutto la capacità di scavare nel profondo dell’invenzione”.
Nica FIORI Roma 8 Ottobre 2023
Mostra:
“di Paolo Portoghesi. Sguardo, parole, fotografie”
5 ottobre-4 novembre 2023
Palazzo Carpegna, piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma
Orario: dal martedì al sabato dalle 10 alle 17,30 (ultimo ingresso alle 17)
Ingresso gratuito