di Sergio ROSSI
Di recente ho avuto l’opportunità di visitare nuovamente la Sala VIII della Pinacoteca dei Musei Vaticani, dedicata a Raffaello, con una guida d’eccezione, Barbara Jatta (direttrice dei Musei Vaticani dal 2017) che ha saputo raccogliere nel migliore dei modi la difficile eredità di un grande storico dell’arte come Antonio Paolucci e sta guidando con abilità, equilibrio e mano ferma una delle più prestigiose istituzioni museali, anzi autentica città-museo, del mondo. La Sala, parafrasando una nota guida, vale da sola il prezzo del biglietto e si presenta completamente rinnovata tanto da competere alla pari con le Stanze e la stessa Cappella Sistina: gli splendidi arazzi raffiguranti gli Atti degli Apostoli, abilmente restaurati e dotati di una nuova ed efficace illuminazione, possono finalmente dialogare con i tre magnifici dipinti di Raffaello, la Pala Oddi, la Madonna di Foligno e la Trasfigurazione, che praticamente comprendono l’intera parabola stilistica dell’Urbinate. Nel corso della mia visita ho potuto porre alla dott.sa Jatta alcune domande che riporterò qui di seguito.
D: So che tieni molto a questo allestimento della sala, in particolare per le nuove (in realtà sono antiche) cornici e per la nuova illuminazione che ci fa ammirare le opere del Sanzio sotto una luce diversa.
R: Nel corso di un sopralluogo a Santa Maria di Galeria – dove i Musei Vaticani ed altre istituzioni della Santa Sede hanno attività e depositi – circolando fra le scaffalature di un vasto magazzino stipato di migliaia di oggetti, ho notato una grande cassa, impolverata e in disparte, che recava la scritta “cornici di Raffaello”. Su mia indicazione i restauratori del Laboratorio Pitture e Materiali Lignei dei Musei la hanno aperta poco più tardi ed hanno rinvenuto le aste di alcune cornici, di legno di cirmolo stagionato e a foglia d’oro, che abbiamo subito identificato appartenere ai celebri dipinti di Raffaello della Pinacoteca Vaticana: la Pala Oddi, la Madonna di Foligno e la Trasfigurazione.
Con la storia di queste cornici “ritrovate” si possono raccontare non solo le vicende dei Musei Vaticani degli ultimi duecentocinquant’anni, ma si può anche offrire uno spaccato delle tendenze museografiche e di come i mutamenti di gusto influiscano sulla fruizione delle opere d’arte.
Infatti, grazie anche all’attenta ricerca della responsabile della Fototeca storica dei Musei Vaticani Paola Di Giammaria, attraverso il materiale fotografico relativo agli ambienti nei quali le tavole di Raffaello sono state conservate dal 1816 ad oggi, abbiamo potuto ricostruire le numerose vicissitudini subite dalle opere e dalle cornici: dalla loro esposizione nella Sala Bologna all’epoca di Papa Pio IX, allo spostamento nella nuova Pinacoteca di Pio X nel 1909, alla loro rimozione e sostituzione per la collocazione nella grandiosa Sala VIII dedicata a Raffaello (con gli arazzi della Scuola Vecchia e le tre grandi pale vaticane) della nuovissima Pinacoteca che Luca Beltrami concepì per Pio XI all’indomani della firma dei Trattati Lateranensi.
Il Beltrami, insieme a Biagio Biagetti, eliminò le cornici dorate e le sostituì con dei pesanti inquadramenti di legno di noce scuro inframezzati da un parato fiorato su fondo scuro. Le predelle furono inglobate in questo allestimento (con anche la discutibile scelta di porre al disotto della Madonna di Foligno la predella della Pala Baglioni).
Quell’allestimento fu in sede dal 27 ottobre del 1932, giorno dell’inaugurazione della Pinacoteca, sino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando, in virtù del gusto “minimalista” di quel tempo, venne considerato troppo invasivo e pesante e si decise di rimuoverlo e lasciare le tre pale senza alcuna cornice e porre le due predelle, della Pala Oddi e della Pala Baglioni, in bacheche separate. Oggi si è però tornati a preferire una fruizione “antica” di questi mirabili dipinti così come erano stati visti per secoli dagli ammiratori del Sanzio.
Quanto alla datazione delle cornici, riteniamo che quelle della Trasfigurazione e della Madonna di Foligno vennero realizzate o ritoccate alla fine degli anni venti dell’Ottocento, a seguito del loro rientro in Vaticano dopo l’infelice parentesi napoleonica, mentre non sono stati ritrovati documenti relativi alla Pala Oddi, che comunque sembra appartenere alla medesima epoca.
D: In effetti posso confermare che l’impatto visivo e la fruizione di questi capolavori non potrebbe essere più stupefacente. Le tre Pale, debitamente incorniciate e con le relative predelle posizionate davanti ad esse ed immediatamente fruibili, sono infatti come circondate dalla serie dei famosissimi Arazzi il che ci porta immediatamente a compiere come un salto nel tempo e nello spazio per farci comprendere al meglio l’intera parabola del genio raffaellesco. Ed a questo proposito non posso esimermi dal notare che bisogna finalmente smetterla col ritenere l’Urbinate una sorta di gelido assertore di una bellezza “perfetta e senza errori” ma al contempo asettica e fuori dal tempo, che era poi la tesi di Giorgio Vasari (a lui di fatto ostile perché strenuo assertore della superiorità michelangiolesca) e della quale ancora molta storiografia non riesce a liberarsi. In questa sala si ha l’immediata percezione di come, nel giro di nemmeno un ventennio, dagli inizi perugineschi della Pala Oddi al tumultuare già manieristico della Trasfigurazione Raffaello detti i tempi di tutta l’arte a venire.Sicuramente un altro oggetto che impreziosisce la Sala è lo splendido arazzo che riproduce alla perfezione l’Ultima cena di Leonardo da Vinci e che opportunamente avete deciso di inserire all’interno della serie di arazzi raffaelleschi.
R: Nell’ambito delle celebrazioni per il V° centenario della morte di Leonardo, questo manufatto è stato esposto presso il Castello di Clos Lucé ad Amboise ed ha potuto così tornare (anche se solo temporaneamente) in Francia. Era il 1533, quando l’arazzo, sontuosamente intessuto di seta con fili d’argento e d’oro e con un bordo di velluto cremisi, fu donato a Clemente VII da Francesco I di Francia in occasione del matrimonio di suo figlio ed erede al trono Enrico di Valois con la nipote del papa Caterina de’ Medici. La cerimonia fu eseguita dallo stesso Clemente VII con tutto il dovuto sfarzo a Marsiglia nell’autunno del 1533.
La tappezzeria, la cui origine e provenienza è tutt’ora oggetto di studio va comunque senz’altro riferita alla committenza dello stesso Francesco e di sua madre Luisa di Savoia, per i vari riferimenti araldici e simbolici ai pii sovrani. E’ inoltre interessante notare la sua totale aderenza al prototipo leonardesco, tranne piccole differenze nei dettagli. Al proposito Alessandra Rodolfo, instancabile curatore del reparto arazzi e tessuti, ha curato un lungo e delicato progetto di ricerca e restauro che ha coinvolto numerosi professionisti in complesse operazioni sia tecniche che scientifiche. Il risultato è che siamo con altissima probabilità in presenza di una manifattura fiamminga databile tra il 1516 ed il 1533 e che non ha nulla da invidiare ai coevi arazzi raffaelleschi. Ed è indubbio che l’eccezionale resa naturalistica della tavola imbandita rivaleggi in virtuosismo mimetico con la stupefacente Pesca miracolosa della serie tratta dai cartoni del Sanzio.
D: Se me lo consenti vorrei aggiungere una considerazione di carattere generale che mi sta molto a cuore e che mi riporta alle “nature morte” di Caravaggio di cui mi sono occupato di recente in un volume appena dato alle stampe. In questa tavola le mele (o pomi) che compaiono in abbondanza e sono sempre accompagnate, direi affiancate, dal pane e dal vino hanno un significato eucaristico assolutamente evidente ed incontestabile: ebbene si tratta dello stesso significato che i pomi hanno nelle tele caravaggesche, anche quando sono estrapolati da immediati contesti cristologici ed appaiono presentati come semplici nature morte.
Ma per rimanere nell’ambito delle ricorrenze celebrative questo è stato un triennio particolarmente ricco: oltre alle celebrazioni leonardesche, nel 2020 si è infatti celebrato il V° Centenario della nascita di Raffello e nel 2021 V° Centenario dei 450 anni della nascita di Caravaggio e lo si è fatto con due grandi convegni online: il primo, in effetti svolto anche in presenza, è stato organizzato proprio nei Musei Vaticani ed ha prodotto nuove importanti acquisizioni scientifiche; puoi illustrarci in breve quale bilancio complessivo si può stilare di questa iniziativa?
R: Il convegno “Raffaello in Vaticano” si è svolto dal 27 al 29 settembre del 2021 proprio nel Salone di Raffaello ed è stato trasmesso anche sul canale YouTube dei Musei Vaticani riscuotendo un grande successo di pubblico ed è tuttora a disposizione degli studiosi e degli appassionati sul medesimo canale; anzi penso che entro la fine dell’anno raggiungeremo le 10000 connessioni. E’ stata un’iniziativa da me ideata e promossa insieme al compianto Guido Cornini, che come sai ci ha improvvisamente lasciato nel luglio di quest’anno e voglio qui ricordare per l’inestimabile contributo che ha saputo dare negli anni alla nostra istituzione. Tornando al Convegno, cui hanno partecipato i massimi studiosi mondiali del grande artista, è stata una panoramica a 360 gradi, come si evince anche dal titolo delle varie sessioni: “Dal disegno, al cartone, all’opera compiuta; “Inventio e Varietas nella pittura murale; “Natura e ideale nella pittura da cavalletto”; “Arti decorative, incisioni e arazzi. Modelli al servizio di un’idea di classicismo”; “Raffaello architetto. La costruzione dello spazio: architettura picta e modelli dall’antico”.
D: In effetti quanto ha scritto di recente Marco Bussagli e cioè che Raffaello «ha cambiato per sempre il modo di fare pittura e ha concepito il percorso creativo come “arte totale», ha trovato nel Convegno, che naturalmente anche io ho seguito con grande interesse, piena conferma. Voglio ora fare un breve cenno ad un altro convegno, ideato da me, che tu hai avuto la gentilezza di presiedere nella giornata inaugurale: 1951-2021. L’enigma Caravaggio, nuovi studi a confronto, che si è svolto online dal 12 al 28 gennaio di quest’anno, riscontrando anch’esso un grande successo di pubblico.
Ti chiedo innanzi tutto di precisare quale è stato, secondo te, il differente impatto, al di là del numero di opere ovviamente sbilanciato a favore del Sanzio, che i due grandi artisti hanno avuto in Vaticano e poi se pensi che il futuro dei convegni, ma anche dell’insegnamento della storia dell’arte, avverrà sempre più per via telematica anche ora che sembra finalmente che ci si possa di nuovo incontrare in presenza.
R: Alla prima parte della tua domanda voglio rispondere con un dato: nell’inaugurare la nuova Pinacoteca nel 1932, il Beltrami, già citato prima, al suo ingresso ha inciso come numi tutelari i nomi di Giotto, Melozzo, Perugino, Raffaello, Michelangelo e Tiziano; come vedi Caravaggio manca completamente. E’ stato indubbiamente a partire dalla riscoperta longhiana del 1951, citata anche nel titolo del vostro convegno, che vi è stato un vertiginoso aumento di interesse verso il Merisi ed ora anche da noi la sua Deposizione è una delle opere più ammirate.
Quanto al secondo aspetto, è indubbio che i convegni online, le videoconferenze, tutto quello che il supporto tecnologico potrà offrire, sarà sempre più diffuso ed utile, anche a livello didattico, purché rimanga un supporto, appunto, e non pretenda di sostituire del tutto (e purtroppo vi sono già delle avvisaglie in tal senso) l’incontro de visu con l’opera d’arte o con il docente, che per me deve restare fondamentale.
D: Costeggiando le mura vaticane si può notare nuovamente una lunghissima coda per entrare nei Musei; quale è la situazione attuale e vi è l’obbligo della mascherina?
R: Naturalmente non siamo alla situazione pre Covid e le lunghe file sono in parte dovute al numero contingentato di ingressi che abbiamo deciso di introdurre; quanto alla mascherina non è obbligatoria ma vivamente consigliata. Comunque è altrettanto indubbio che quest’anno vi è stato un afflusso di turisti quasi inatteso e ci stiamo attestando su una media di circa 15000 visitatori giornalieri con punte anche di 20000 presenze in talune occasioni. Questo, come hai potuto constatare anche tu, consente di bilanciare l’esigenza della massima fruibilità dei nostri Musei evitando al contempo affollamenti eccessivi; ed in questo l’amplissima offerta di punti di ristoro e di luoghi dove fare comode soste ci aiuta moltissimo e ci pone al livello delle migliori istituzioni museali europee.
D: Una importante istituzione quale è quella che tu dirigi, oltre alle iniziative più prestigiose e più note al grande pubblico deve ovviamente svolgere anche un lavoro, direi quasi sotterraneo e giornaliero, ma non per questo meno fondamentale, di manutenzione, restauro, ricerca e scambio continuo con gli altri musei. Cosa puoi dirmi al riguardo?
R: Sono molto contenta di questa domanda, perché è proprio come hai appena detto. Per esempio, già le mostre e le iniziative che abbiamo citato prima sono state precedute e seguite da un decisivo lavoro di ricerca e restauro che ha visto impegnate le migliori risorse dei nostri Musei e senza il quale esse non sarebbero state possibili. Poi, per citare tre prestigiosi restauri seguiti ancora dal compianto Guido Cornini, ti indico quelli della “Sala delle Arti liberali” del Pinturicchio nell’Appartamento Borgia; della “Sala di Costantino” nelle Stanze di Raffaello e della “Pala dei Decemviri” del Perugino.
Ed a queste aggiungo anche l’ultima nostra iniziativa che mi hai detto di aver appena visitato, cioè la mostra La danza delle Tre Grazie, che consentirà per la prima volta, a tutti i visitatori della Pinacoteca Vaticana, nella sala XVII, di ammirare il celebre gruppo marmoreo di età romana delle Tre Grazie.
Questo splendido complesso scultoreo è stato eccezionalmente e temporaneamente rimosso dalla sua nicchia nel Gabinetto delle Maschere del Museo Pio Clementino e viene ora esposto dopo un complesso e delicato restauro coordinato dal nostro reparto di Antichità Greche e Romane ed eseguito dal Laboratorio di Restauro Marmi e Lapidei, che ha restituito all’opera lo splendore originario. L’iniziativa rientra all’interno di Museums at Work, un progetto espositivo che intende valorizzare gli interventi di restauro condotti su opere particolarmente significative o dal forte valore simbolico.
Tutto questo ci riporta a quanto appena sostenuto e cioè che vi è tutto un lavoro sotterraneo di ricerca e manutenzione, non sempre percepibile all’esterno, necessario per rendere la nostra istituzione sempre più competitiva ed al passo coi tempi. Inoltre, nell’anno del bicentenario della morte di Antonio Canova l’esposizione vuole essere un omaggio al ruolo di “Soprintendente al Patrimonio Artistico dello Stato Vaticano e di Direttore Generale dei Musei Vaticani” che il grande scultore ha rivestito su nomina di Pio VII.
Basta ricordare qui, anche se sono cose molto note, il ruolo da lui avuto per riportare dalla Francia a Roma e segnatamente nei nostri Musei il celeberrimo gruppo scultoreo del Laocoonte nonché la Madonna di Foligno e la Trasfigurazione di Raffaello con cui abbiamo iniziato il nostro colloquio.
D: Come ho potuto appurare dalle esaurienti schede esplicative che accompagnano il gruppo marmoreo, esso è stato realizzato da uno scultore anonimo che si è probabilmente ispirato ad un prototipo tardo ellenistico del I secolo a.C., forse della cerchia di Stephanos, allievo di Pasiteles. La statua è stata integrata nelle parti mancanti nella seconda metà del Cinquecento e l’attuale restauro ha permesso si rilevare le numerose linee di giunzione, evidenziate anche dal viraggio cromatico delle resine, utilizzate in passato sia per l’adesione dei diversi frammenti, sia talvolta per le stuccature. Dal colloquio estremamente stimolante che ho avuto nell’occasione con il dottor Giandomenico Spinola, curatore del Reparto Antichità e con la dottoressa Caludia Valeri, è emerso come questo intervento cinquecentesco sia stato particolarmente efficace e rispettoso dell’originale e devo dire che è solo avvicinandosi al gruppo ed esaminandolo nel dettaglio che si notano le linee di giunture che tuttavia non inficiano lo splendido colpo d’occhio che si ha appena entrati nella sala espositiva.
R: E’ proprio questo senso di serenità e di bellezza “senza tempo” che Le Tre Grazie ci ispirano che noi vogliamo trasmettere al grande pubblico e che sicuramente con le altre iniziative di Omaggio al Canova che continueranno nel 2023 troverà altri momenti di applicazione.
Sergio ROSSI Roma 16 Ottobre 2022
A conclusione di questa conversazione con la gentilissima dott.sa Jatta, un’ultima considerazione che voglio fare riguarda proprio il modo in cui noi siamo ormai abituati a percepire le opere d’arte del passato è che il nostro gruppo scultoreo all’origine era colorato, come la maggior parte delle statue del tempo, ma riproporlo oggi sarebbe assolutamente anacronistico, perché siamo orami abituati a guardare la statuaria classica con gli occhi di Canova o Thorvaldsen, entrambi autori di splendide Tre Grazie che rivaleggiano in purezza con quelle antiche, e non potrebbe essere diversamente.
Questo ci riporta a quanto sostenuto a suo tempo dal filosofo polacco A. Nowicki e cioè che la nostra generazione è composta da soggetti che sono attivi nel processo di ricezione e trasmissione della cultura, e perciò ogni trasmissione è legata alla modificazione e prosecuzione del trasmesso. In altri termini ciò vuol dire che noi, anche inconsciamente, nel trasmettere alle future generazioni le opere del passato le modifichiamo e che dunque, per tornare a mo’ di esempio proprio al gruppo ora esposto in Vaticano, noi non possiamo più percepirlo come esso era in origine nel II secolo dopo Cristo, ma proprio attraverso le stratificazioni culturali che ha assunto nel corso dei secoli. D’altra parte basti pensare a come sarebbe anacronistico rivestire oggi tutto Colosseo di marmo bianco, facendolo diventare più simile ad un Casinò di Las Vegas che al simbolo della romanità. Proprio per tutti questi motivi il lavoro dei restauratori (e degli storici dell’arte che con loro collaborano) è divenuto oggi ancora più delicato, dovendo muoversi lungo il sottile crinale tra assoluto rispetto filologico e piena “godibilità” dell’opera; ed a volte una interpretazione troppo rigida del primo aspetto finisce per penalizzare troppo il secondo. Non così per la Sala di Raffaello da cui siamo partiti, dove l’equilibrio tra i due elementi è perfettamente raggiunto.
Sergio ROSSI Roma 16 Ottobre 2022