P d L
Eike Schmidt (Friburgo, 1968) è Direttore delle Gallerie degli Uffizi dal novembre 2015. Dopo gli studi sull’arte medievale e moderna in Germania, ha lavorato presso il Kunsthistorisches Institut in Florenz, alla National Gallery di Washington e al Getty Museum di Los Angeles, nonchè al Minneapolis Insitute of Art; ha ottenuto numerosi riconoscimenti e curato mostre in Italia e all’estero. Lo scorso anno ha vinto il concorso per la direzione del Kunsthinstorisches di Vienna, dove dovrebbe insediarsi nel 2020 (ma il condizionale è d’obbligo).
-Direttore Schmidt, ci avviciniamo al terzo anno di mandato ed è forse il momento di tracciare un bilancio non approssimativo del lavoro svolto qui agli Uffizi; che giudizio ne dà?
R: Abbiamo fatto molto; sono veramente soddisfatto di quanto realizzato grazie alla costante collaborazione del mio staff; ma se posso dirlo credo che il risultato positivo debba essere esteso anche agli altri musei che sono stati interessati dalla Riforma Franceschini, perché, se guardiamo i parametri in vigore, didattica, ricerca e tutela, le cose che qualificano un museo sono cresciute dovunque, soprattutto nel campo della didattica e della ricerca che in Italia spesso si uniscono come valorizzazione, abbiamo fatto tutti grandi passi in avanti; penso a come sta lavorando a Napoli il mio amico Sylvain Bellenger, autore di una vera e propria rivoluzione, tanto per citare uno di nuovi direttori stranieri; credo che gli Uffizi si possano considerare una specie di ‘primi inter pares’ in questo senso se guardiamo a quello che abbiamo messo in campo.
R- Penso -per il solo 2017- agli undici convegni internazionali, alle più di 3700 pagine di pubblicazioni ricche tutte di dati scientifici rilevanti, compresi i cataloghi delle mostre, tra le quali vorrei ricordare in particolare quella dedicata al cardinale Leopoldo de’ Medici dove non c’è neppure una sola pagina che non presenti importanti novità scientifiche, per non dire della messa fuoco della figura e dell’opera di un personaggio che fu grande collezionista, mai approfondito prima; mi piace poi citare l’esposizione dedicata ai piatti del Granduca, sicuramente un evento di nicchia ma credo sia stata fondamentale nel richiamare un aspetto significativo ma forse trascurato dell’identità fiorentina, se pensiamo alle immagini della storia della città incise nei piatti di argento che venivano regalati in occasione della festività di San Giovanni, il santo patrono di Firenze, poi riprodotte alcuni decenni dopo nelle porcellane di Doccia, una grande realtà produttiva cui pochi si sono finora interessati; ed è stata una vera soddisfazione vedere famiglie con bambini attratti qui dalla storia della loro città e della stessa manifattura; un evento molto importante che proseguiremo questo autunno con una mostra specificatamente dedicata alla porcellana tra Vienna e Firenze, perché pochi sanno che la manifattura di Doccia fu fondata appena fuori Firenze da specialisti venuti da Vienna; la mostra sarà prima a Pitti e poi a Vienna e posso già dire che anche in questo caso ci saranno novità e scoperte interessantissime.
-Direttore lei dice di voler richiamare l’identità fiorentina e questo richiede uno stretto collegamento col territorio; eppure, a sentire i critici della Franceschini, questo collegamento sarebbe venuto meno con la Riforma.
R: Posso dirle che io stesso, insieme con i membri del CdA e del comitato scientifico, abbiamo scritto nel nostro statuto che una delle missioni principali degli Uffizi dev’essere quella di relazionarsi con il territorio, cioè ovviamente Firenze, il circondario di Firenze, la regione Toscana, ma non solo; come territorio di riferimento abbiamo anche le Marche, con cui c’è una lunga consuetudine, considerando che negli anni Trenta del Seicento le collezioni fiorentine raddoppiarono grazie alla eredità di Vittoria della Rovere; devo dire che proprio grazie alla Riforma abbiamo potuto prendere iniziative che prima non sarebbero state possibili, visto che il nostro ampio territorio di riferimento ovviamente non coincide con quello amministrativo; per esempio abbiamo reagito subito al terremoto mandando ad Urbino la Venere di Tiziano, un capolavoro che era assente da più di Trecento anni, nella consapevolezza che occorreva un evento che aiutasse anche a livello di flussi turistici; le dico infatti che ad Urbino sono rimasti stabili mentre purtroppo nel resto della Regione dopo il terremoto sono molto diminuiti; per questo siamo intervenuti immediatamente con quel messaggio di solidarietà del Museo autonomo al territorio di riferimento; come pure importante è stata la mostra con opere delle chiese danneggiate delle Marche, che ha fatto conoscere ai fiorentini e ai tanti turisti una realtà certo dolorosa ma ricca di storia e di cultura, invogliando magari qualcuno, qualche turista straniero che forse neppure le conosce, a visitare quelle terre.
–Ci può dire come sono i suoi rapporti con le istituzioni locali, Comune, assessorati, Regione?
R: Le dico che la prima cosa che ho voluto fare al momento dell’insediamento, appena preso servizio, è stata di chiudere la causa che la Soprintendenza aveva intrapreso contro il Comune per una questione di competenze, sfociata in un duro quanto inutile scontro legale; dopo anni ed anni di chiacchiere sono riuscito a fermare la cosa, ed ora con il Sindaco ma anche con gli assessori c’è un buon confronto, ci vediamo una volta alla settimana, progettiamo e realizziamo varie iniziative; ad esempio ora va in onda il festival Apriti Cinema nel piazzale degli Uffizi in cui siamo coproduttori e copromotori e che abbiamo concepito come un regalo alla città, perché ogni sera a partire dalla fine di giugno fino all’11 agosto, che è il giorno della liberazione di Firenze, proietteremo un film gratuitamente, si tratta di film importanti e rari.
-Mi scusi però Direttore, parla di regalo alla città, di proiezioni gratuite ma bisogna fare il biglietto d’ingresso al Museo; non è strano ?
R: No, è l’iniziativa intitolata Uffizi Live che avviene all’interno del museo dalle 19 alle 21 che è a pagamento, ed è ovvio visto che avviene all’interno; le proiezioni invece no, quelle sono all’esterno degli Uffizi dalle 22 in poi e sono gratuite.
–E la ex Chiesa di San Pier Schieraggio è visitabile ?
R: Si certo ma in modo diverso dal passato; l’ultima volta è stata in occasione dell’anniversario dell’attentato ai Georgofili con un evento speciale curato appositamente dagli Amici degli Uffizi, ma facciamo regolarmente visite guidate gratuite o per compenso, curando di mantenere le caratteristiche della chiesa che a suo tempo fu un posto di riunione.
–Adesso Direttore passiamo alle domande difficili: ha letto per caso sui social i commenti e le reazioni all’ultimo allestimento nella sala 41, dedicato a Raffaello Michelangelo?
R: Si ho letto, abbiamo anche cercato di fare una statistica e i commenti favorevoli sono 97 % il resto sono stati negativi.
–Direttore lei è un ottimista. Non è così da quanto mi risulta, credo proprio che le percentuali siano da rivedere.
R: Ma guardi che sono sempre le stesse persone che criticano, ormai per partito preso, criticano perché debbono criticare e ripetono sempre le stesse cose.
–Ma lei è davvero convinto della bontà e della riuscita di quell’allestimento? Va bene l’idea del ‘dialogo’ e della sottolineatura delle caratteristiche rinascimentali originatesi a Firenze, tuttavia a molti è apparso fuori luogo quanto meno il modo in cui è stato presentato il Tondo Doni, cosa che ha colpito particolarmente ed ha fatto e continua a far discutere. Non crede si tratti di una forzatura eccessiva rispetto ai tradizionali canoni espressivi di un grande Museo come gli Uffizi?
R: Ma no, questo assolutamente non esiste; quasi tutte le critiche hanno infatti riguardato la forma con cui abbiamo questa volta protetto il Tondo, a differenza di quanto si faceva in precedenza quando un quadro si proteggeva mettendolo dietro ad un vetro e basta, che certamente era meglio di niente, mentre in questo caso occorreva dare maggiore tutela a questi capolavori, perché se non protetti con un microclima proprio vengono attaccati ogni giorno dalle fluttuazioni dell’umidità e della temperatura, e per giunta rischiano dei danneggiamenti da squilibrati che mirano sempre alle opere più famose.
–Ed era necessario ricorrere ad un “oblò” com’è stato definito il contenitore del Tondo Doni, con una certa ironia?
R: Lei parla di ironia ma io invece dico “oblò” a ragion veduta, basti pensare che questa idea dell’oblò non è stata un’invenzione del nostro bravissimo architetto Antonio Godoli responsabile dell’allestimento, ma fu di Filippo Brunelleschi se abbiamo presenti le forme ad oblò del tamburo della cupola del Duomo di cui a suo tempo Brunelleschi fu ideatore, ed inviterei certi storici dell’arte che criticano malamente le nostre scelte a guardare meno la televisione e a passare meno tempo nei centri commerciali, e invece a girare un po’ di più per Firenze; si accorgerebbero forse che se c’è una cosa che caratterizza il Rinascimento fiorentino rispetto a quello romano, o ferrarese, o veneziano, è proprio questa idea di forma di cui, come dicevo, il primo interprete fu Brunelleschi, seguito poi dallo stesso Giorgio Vasari, e non per caso il Corridoio vasariano ne è pieno, come pure Pitti. Dunque si tratta di una forma tipicamente e tradizionalmente fiorentina che ovviamente è stata ripresa in maniera ‘astratta’ se posso dire così, nell’attuale allestimento. L’alternativa sarebbe stata incastrare il dipinto michelangiolesco in una forma rettangolare, cosa che avrebbe dato però alla forma stessa una enfasi che andava a scapito del dipinto in sé, visto che ormai dovrebbe essere chiaro che un cerchio non si può quadrare; insomma, considerando la tipicità della forma ad oblò nel Rinascimento fiorentino ci siamo regolati di conseguenza.
–Deve però ammettere che è stata una scelta capita da pochi!
R: E’ stata capita da pochi tra i professori di Storia dell’arte che si sono lamentati ad alta voce, bisogna dire …
–Ma è comunque grave Direttore!
R: E’ grave per loro! Perché nelle foto l’effetto è diverso, dal vero è tutt’altro. In realtà i visitatori capiscono benissimo, la gente è attratta dal capolavoro e molto meno dal resto; avevamo la necessità di essere il meno invasivi possibile, focalizzando l’attenzione massimamente sull’opera d’arte e credo che ci siamo pienamente riusciti; provi a chiedere ad un visitatore qualsiasi che ha visto il Tondo Doni cosa pensa di come era allestito; vedrà che neppure se lo ricorda, questo era lo scopo ed è la prova del nostro successo; basta passare un paio d’ore ad osservare, come abbiamo fatto, il comportamento delle persone che entrano nella sala per accorgersene. Il pubblico deve andare verso l’opera d’arte ed è quello che accade se l’architetto non è invasivo.
–Mi viene però da chiederle -visto che a Roma a Palazzo Barberini si fa un nuovo allestimento, così a Capodimonte e alla Galleria d’Arte Moderna a Valle Giulia, come pure a Brera e qui agli Uffizi che lei dirige- ma per caso tutta questa ansia di cambiamenti non sarà dovuta al fatto che dobbiate giustificare in qualche modo i soldi che il ministero passa?
R: No, per quanto ci riguarda tutte innovazioni sono fatte esclusivamente grazie ai finanziamenti dell’Associazione Amici degli Uffizi e da altre donazioni private senza spendere nemmeno un centesimo del contribuente. Personalmente non sono favorevole al fatto che si montino e smontino di continuo gli allestimenti, ma alla sua domanda rispondo che alcuni allestimenti recenti non funzionavano (con i quadri di Raffaello esposti alla fine del Cinquecento, in un corridoio: ma lui era a Firenze insieme a Michelangelo e Leonardo!) per altri era troppo tempo che non si provvedeva, che si faceva poco o niente, procedendo magari per una sola stanza, in maniera troppo prudente; se devo fare un esempio le cito i bagni che non è che vengano ristrutturati per moda ma perchè era dagli anni ottanta che non ci si rimetteva mano; oggi le posso dire che noi spenderemo un milione di euro per i bagni di Boboli e di Pitti, un impegno che durerà un paio d’anni ma che andava preso dopo anni di inerzia totale.
–Nel corso del varo delle iniziative che ci ha elencato si è valso anche di altri pareri, magari si è sentito anche con Antonio Natali, il precedente soprintendente, anche lui a suo tempo piuttosto attivo?
R: No, anche se conosco Antonio Natali da molti anni e già al momento del mio insediamento gli avevo detto che avrebbe potuto avere il coordinamento degli Uffizi, ma lui non ha accettato; contavo su una vecchia e consolidata amicizia ma purtroppo, lo dico con rammarico, non è andata così; gli avevo anche proposto di presentare il suo libro qui agli Uffizi ma non ha accettato; al contrario, con Antonio Paolucci, specie ora che è ritornato a vivere a Firenze dopo l’esperienza alla testa dei Musei Vaticani, c’è molta consonanza di vedute ci vediamo regolarmente; anzi le dico che non farei mai una cosa di rilievo senza chiedere la sua opinione.
–Senta Direttore, ma perché se ne vuole andare da Firenze; sua moglie come l’ha presa ?
R: Mia moglie è italiana è vero, ma ha vissuto anche a Berlino … però, per risponderle seriamente, devo dirle che la nostra situazione, intendo dei direttori di museo stranieri qui in Italia, non è affatto chiara da tempo; lei sa che pende un ricorso al Consiglio di Stato sul fatto che direttori non italiani possano esercitare questa carica, ed è vero che il ricorso riguarda due sole realtà, ma un pronunciamento in senso negativo potrebbe portare come conseguenza che nessun ministro rinnoverebbe gli incarichi; questo problema esisteva già quando vinsi il concorso per il Kunsthistorisches di Vienna, e quando mi hanno nominato nessuno in Italia si è mosso, eccetto i soliti critici che dicevano che dovevo aspettare ad accettare perché magari – ma questo non era affatto sicuro – mi rinnovavano l’incarico agli Uffizi; è passato un anno e in realtà tutto è ancora sotto un punto interrogativo. Diciamo che a Vienna sono stati più veloci.
–Se capisco bene, anche la sua decisione finale resta sotto il punto interrogativo; si può dire che se il ricorso fallisce lei potrebbe ripensare se rimanere agli Uffizi?
R: Certamente per quel che mi riguarda, “mai dire mai!”; intanto diciamo che Vienna è in prospettiva, anche perchè non è affatto detto che dopo i quattro anni d’incarico questo sia automaticamente rinnovato per altri quattro; tengo però a dire che io personalmente non sono favorevole ai rinnovi continui dei mandati perché si può correre il rischio che uno che magari a trent’anni diviene direttore poi resti in carica per altri trenta, fermandosi mentalmente; ho visto molti casi del genere.
–Ci dica allora quali altri eventi ha in cantiere come Direttore degli Uffizi.
R: Per cominciare dal prossimo luglio inaugureremo la sala Leonardo.
–Stavolta senza oblò ?
R: I quadri in questo caso sono tutti rettangolari, quindi utilizzeremo teche altamente sofisticate –
comprendono tutto un sistema di controllo computerizzato – già sperimentate anche con Botticelli e Caravaggio e in varie gallerie. Sarà di nuovo un’ installazione focalizzata sulla didattica. Nel 1769 il Granduca Pietro Leopoldo diede questa principale funzione agli Uffizi aprendo per la prima volta gli ingressi a tutti, purchè fossero vestiti in maniera decente (mentre ora devo dire che sotto questo aspetto siamo di vedute molto più di larghe); da allora la funzione didattica e di ricerca è al primo posto nel lavoro che facciamo, anche grazie a quanto ci consente l’autonomia che ci ha consegnato la Riforma Franceschini.
–Qui devo fermarla Direttore, perché nell’indagine che abbiamo condotto sulle realtà museali dopo la Riforma, tutti i suoi colleghi, ma proprio tutti, hanno lamentato proprio la mancanza di una autentica autonomia finanziaria come il vero limite della Riforma stessa. Ed io stesso lo feci notare al ministro Franceschini nel corso di una conferenza, il quale mi rispose che lo stesso accade in Francia.
R: Non è tanto un problema di autonomia finanziaria. L’anello che manca riguarda il personale. Sono d’accordo anch’io che questo sia il limite più importante della Riforma Franceschini: del resto è vero che anche in Francia è lo stato che disciplina le assunzioni, attraverso bandi, concorsi ecc. Ma è una cosa che qui in Italia funziona male, perché ad esempio a me che ho bisogno di restauratori tessili di costumi, potrebbero mandare un restauratore con altre competenze; l’Italia e la Francia effettivamente sono gli unici due stati con una simile normativa anche se devo però dire che in Francia esiste una maggiore flessibilità; inoltre lì chi vince il concorso fa due anni di formazione generale, in tutti i campi, acquisendo competenze di carattere legale, museografico, museologico, e così via; in Italia questo finora non esisteva (e io sono d’accordissimo sull’istituzione della Scuola del Patrimonio, ingiustamente criticata): qui finora è successo che e il primo giorno che un funzionario s’insedia deve iniziare a lavorare, senza alcun periodo di formazione che invece sarebbe necessario a mio avviso per poter acquisire competenze a 360° necessarie per un alto funzionario dello stato. In Francia si fanno anche stages internazionali che consentono di avere informazioni utili anche sulle istituzioni museali mondiali; è una cosa che qui mancava totalmente, mentre sarebbe auspicabile che venisse presa in esame.
–Un’ultima domanda Direttore sul rapporto con il contemporaneo; gli Uffizi, ma anche Pitti e non solo, sono conosciuti principalmente per i capolavori degli Antichi Maestri, cosa che vale un po’ per tutti i grandi musei italiani; eppure a Napoli, il museo di Capodimonte porta avanti da tempo un rapporto molto stretto con il Madre, il grande contenitore partenopeo dell’arte contemporanea, con iniziative comuni di notevole respiro, così come avviene a Roma, dove Palazzo Barberini è in rapporto con il Maxxi e, in occasione della riapertura delle 11 sale ex Circolo Ufficiali, sta ospitando una mostra in cui capolavori antichi ‘dialogano’ con opere di artisti contemporanei. Qualcosa del genere accade anche agli Uffizi? E lei crede a questa idea del ‘dialogo’ fra arte antica e contemporanea?
R: Certo; iniziative del genere le stiamo portando avanti anche noi, ma in maniera indipendente, in particolare a Palazzo Pitti ma non solo; recentemente abbiamo ospitato una esposizione dedicata a Maria Lai, l’anno scorso una grande mostra di Helidon Xhixha, ora sta per aprire la retrospettiva su Fritz Koenig e altre iniziative del genere sono previste; come diceva Picasso, l’opera d’arte se è vera opera d’arte è sempre contemporanea.
P d L Firenze giugno 2018