di Silvana LAZZARINO
I dipinti dell’insigne pittore cinese Han Yuchen restituiscono l’armonia e la poesia, la durezza e la forza del Tibet con la sua gente, i suoi paesaggi, la sua anima.
L’esposizione aperta dallo scorso 14 luglio resterà visibile fino al 4 settembre 2022
Un’immersione nella bellezza naturale e spirituale del Tibet, tra paesaggi e vedute, e suggestivi ritratti di chi quell’immenso altopiano lo vive e lo attraversa, è restituita dal percorso espositivo dedicato all’opera dell’artista Han Yuchen grande Maestro della pittura a olio della Cina contemporanea, presso gli splendidi saloni di Palazzo Bonaparte a Roma, aperto dallo scorso 14 luglio 2022.
Bellezza naturale e spirituale, fascinazione del dialogo tra passato e presente, tra Oriente e Occidente, si intrecciano in questa retrospettiva “Han Yuchen. Tibet, splendore e purezza”, patrocinata dal Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e a cura di Nicolina Bianchi e Gabriele Simongini, che attraverso un itinerario di circa 40 opere, molte delle quali di grandi dimensioni, divise in tre sezioni (Paesaggi, Ritratti e Spiritualità) restituisce il profondo legame morale e spirituale che unisce la famosa regione autonoma della Cina all’insigne pittore cinese Han Yuchen.
Spazi, angoli visibili e invisibili finiti e infiniti di una terra che dona l’alchimia di un’autenticità di profumi, visioni e atmosfere uniche rimaste intatte nel tempo a scandire la pienezza di quel legame tra l’uomo e la stessa natura. Un legame fatto di mistero e poesia, rispetto e infinita bellezza che riempie le giornate di una popolazione cui sono sconosciuti condizionamenti e calcoli dettati dal progresso tecnologico e dal bisogno assetato di potere e dominio.
Semplicità ed essenzialità, lirismo e veridicità caratterizzano la sua pittura che guarda all’arte europea dell’Ottocento con particolare interesse per quella di stampo realista di Millet per la sua forza nel portare sulla tela il sentimento e il lirismo della gente più semplice, ma profondamente vera catturando la realtà con ogni sua sfumatura di luce e ombra, di serenità e fatica.
Sulle tele si vede scorrere la vita dei tibetani con tutta quella forza realistica nella descrizione dei loro diversi contesti quotidiani e allo stesso tempo quella poesia propria della pittura ad olio che dona ai soggetti uno spessore profondo con cui far affiorare valori etici e quegli ideali dimentichi a molte società focalizzate sull’eccessivo progresso.
Con i loro particolari di colori e luci, nella loro vastità, gli scenari naturali sono un tutt’uno con chi li abita, ma fanno anche da sfondo a chi lavora, prega, così da restituire un’immagine emozionante del lontano Tibet, rafforzata dai preziosi dettagli in particolare presenti nei ritratti e in opere dove è data attenzione alle vesti, agli ornamenti e agli oggetti della vita quotidiana o delle cerimonie.
Nel Tibet di Han Yuchen, come spiega Nicolina Bianchi, curatrice della mostra:
“il paesaggio e l’uomo diventano protagonisti di una stessa storia misteriosa, quasi impenetrabile, dove genuina fierezza e quotidianità convivono e si incontrano nella purezza di luce dei luoghi e dell’energia vitale dei personaggi che li animano: pastori, guardiani, nomadi, monaci che con saggezza condividono il tempo e lo spartiscono nel loro vivere semplice e autentico”.
Prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Segni d’Arte, la mostra racconta di una luce interiore come a evocare un’infinita saggezza di un popolo che ha trovato il suo perfetto equilibrio, e allo stesso tempo rivela quell’altra luce pronta ad avvolgere gli spazi del paesaggio nell’eterna armonia: sia che si tratti di distese di deserto, sia di altipiani dove la presenza degli animali è di raccordo tra l’uomo e la stessa natura, oltre che essere di accompagnamento nel vivere quotidiano.
Come sostiene Jole Siena Presidente del Gruppo Arthemisia:
“Le sue grandi tele a olio ci accompagnano in un viaggio lontano, in luoghi dove il colore e la luce invadono pascoli infiniti; la riverente spiritualità dei suoi soggetti conferisce ai loro volti una saggezza antica che appare dimenticata”.
Suddivisa in tre sezioni, l’esposizione vuole rendere omaggio al rafforzato dialogo socio-culturale Italia-Cina, ma anche far risaltare alcuni dei profondi e più recenti cambiamenti della società tibetana acutamente rappresentati dalla pittura a olio del Maestro di Jilin.
Se nella prima sezione dedicata ai Paesaggi viene esaltato ogni colore e luminosità dei diversi ambienti che variano a seconda della loro altitudine e del clima con conseguenti varietà di piante, fiori e animali rari, in quella rivolta ai Ritratti l’attenzione si focalizza sull’osmosi tra la luce proveniente dagli sguardi e dall’interiorità di uomini e donne e quella della stessa natura con la sua bellezza dura e sublime, per poi soffermarsi nella sezione Spiritualità sulla determinazione, la resilienza e la profonda spiritualità di questa gente. Si tratta di gente semplice che vive con poco e in perenne ascolto del trascendente che si fa immanente. Nei loro gesti e sguardi tutto viene percepito come transitorio:
“tutto vive in uno scambio alla pari tra forma e vita alla ricerca di quell’equilibrio complesso che a volte riconosciamo come sacro”.
Un esempio di questo modo di essere è rappresentato nel dipinto “La Devota” (2010) dove è rappresentata una giovane donna con il suo abito da festa spettacolare (formato da una stola di pelliccia di leopardo delle nevi intorno al collo e una veste di seta cinese variopinta) assorta in pensieri alti e in preghiera innanzi alla balaustra marmorea del Kumbum, importante monastero lamaista.
Non mancano soggetti ritratti dal vero come la Ragazza con la sciarpa di cui fa trapelare il sorriso appena nascosto, o come Niyma dal sorriso puro e innocente, entrambi trasmettono serenità interiore.
Ogni luogo con le sue tradizioni millenarie racconta storie, vissuti dove alla serenità si accompagnano fierezza, dignità, capacità di accogliere anche aspetti duri e aspri di un paesaggio le cui distese spesso appaiono illimitate tra altipiani, prati, vedute di cielo.
Così i pascoli, i neri branchi di yak, le greggi di pecore e capre tibetane unitamente alla presenza dell’uomo dettata da pastori, nomadi, monaci permettono di scoprire tradizioni e abitudini ancora presenti in popolazioni le cui immagini sono reali, ma allo stesso tempo restituiscono la rappresentazione di un luogo idealizzato distante da stereotipi e comportamenti abituali.
Forse è da qui, da queste opere dove affiora la verità di una storia umana, sociale e spirituale che si può ripartire per una vita in armonia con sé e gli altri e l’ambiente.
Così Gabriele Simongini cocuratore scrive:
“Han Yuchen sente con grande disagio che l’impressionante progresso tecnologico del nostro tempo e la smania di una continua crescita economica corrispondono per contrasto a un crescente impoverimento morale e a un degrado dell’universo personale e dei rapporti umani. Per lui il Tibet è una sorta di “patria” dell’anima, perduta e originaria, da ritrovare. Il suo è un realismo etico che intende offrire un modello ideale e forse utopistico per una vita più semplice e spirituale”.
I visitatori, lungo il percorso sono portati ad immergersi in quel dialogo speciale che si crea con quanto l’artista racconta attraverso la propria arte che si fa poesia di solitudini e sconfinati silenzi, restituiti da una purezza di luce e da quei colori che rendono il paesaggio ed i suoi abitanti come sospesi in ascolto autentico di sé.
Riconosciuto quale esteta del tetto del mondo il Tibet e dello stile di vita della sua gente Yichen fa del paesaggio e dell’uomo i protagonisti di una stessa storia, uno stesso destino, quasi impenetrabile.
Una storia che parla di fierezza, durezza ma anche di quella purezza che emerge dalla luce insita nei paesaggi e negli sguardi dei personaggi quali pastori, monadi, guardiani monaci che vivono nella loro semplicità condividendo tempo e spazio. La solitudine è da intendersi qui come ricerca interiore, come una sorta di sospensione, distante da quella avvertita dall’uomo occidentale.
Così scrive Nicolina Bianchi:
”L’uomo occidentale vive la solitudine del quotidiano. Si agita in paesaggi urbani in alta definizione, pervasi da soggetti senza identità, in cui le voci colloquiali sono assenti o a volte assordanti. Ne lavoro di questo grande Maestro noi apprezziamo invece il ritorno ad un armonico rapporto uomo-natura che è l’altro presupposto per comprendere al meglio la sua opera. L’elemento ambientale e quello umano sono i temi centrali e soggetti stessi della sua pittura, che diventano anche strumenti di comunicazione con il divino”.
Ad accompagnare la mostra, aperta fino al 4 settembre 2022, è il Catalogo dedito da Skira con all’interno testi di Nicolina Bianchi curatrice dell’esposizione, critico d’arte, Editore e Direttore di Segno d’Arte (Art Magazone).
Silvana LAZZAINO Roma 23 Luglio 2022
Han Yuchen. Tibet, splendore e purezza
Palazzo Bonaparte. Spazio Generali Valore Cultura. Piazza Venezia, 5 (angolo Via del Corso) 00186- Roma (la biglietteria chiude un’ora prima)
Aperture straordinarie: lunedì 15 agosto con orario 11.00-21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Fino al 4 settembre 2022
Per info e prenotazioni: 06/871511 www.mostrepalazzobonaparte.it