“… per se stessa la Pittura più si confà con queste arti più facili & più dilettevoli…”. Leggere Caravaggio XIX. Il “Sublime” e l’importanza dei circoli culturali di Padova e Roma nell’arte di Caravaggio.

di Michele FRAZZI

Leggere Caravaggio XIX. Il “Sublime”

Come abbiamo visto il realismo caratteristico della pittura del Caravaggio è un retaggio dall’arte lombarda; questo fatto, ormai assodato, risulta altresì del tutto evidente dai confronti che si possono fare con i pittori del ‘500 che operavano in quella regione nonché, in aggiunta a questa considerazione, con gli scritti di un altro milanese: il trattatista Giovan Paolo Lomazzo i cui testi hanno fornito al pittore gli strumenti tecnico-artistici che gli hanno permesso di pervenire ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti, cui si aggiunge la ormai ammessa pressochè da tutta la critica esperienza della pittura veneziana. Ad ogni modo in queste due fonti lombarde: visiva e teorica, il Merisi fondamentalmente ha potuto trovare il supporto che gli era necessario per sviluppare dal punto di vista estetico le tematiche relative alla pittura veristica.

Ma nella sua arte c’è qualcosa in più, di più profondo, che va oltre il semplice verismo, qualcosa che affascina. Da questo punto di vista gli studiosi del pittore hanno potuto individuare alcune altre componenti fondamentali, soprattutto per quello che riguarda gli aspetti che toccano la sua particolare maniera di rappresentare i fatti: sono la sua caratteristica crudezza e la violenza delle azioni rappresentate che generarano quel forte impatto emotivo che cattura l’animo di chi osserva. Dove può il Merisi aver tratto ispirazione per arrivare a questi ulteriori fondamentali raggiungimenti espressivi ?

Il seguente capitolo tratta prorpio questo argomento.

Il Trattato del Sublime

Il trattato “del Sublime” o “Peri Hypsous” è un testo risalente al I° secolo dopo Cristo, che contiene le istruzioni per poter comporre discorsi od orazioni con uno stile retorico che viene chiamato elevato; il trattato fu  scritto da un autore greco denominato convenzionalmente  pseudo Longino dato che non vi è certezza sulla sua identità. Questo trattato che in origine era stato concepito nell’alveo dell’arte oratoria ebbe in realtà una grandissima influenza anche sulle arti e sulla filosofia estetica. Lo scritto non godette di vasta eco fino a quando nel 1554,  l’umanista ed insegnante di retorica nell’Università di Padova Francesco Robortello (Udine, 1516 – Padova, 1567) ne curò la  prima pubblicazione a stampa in lingua greca: “Dionysii Longini, rhetoris prestantissimi, liber de grandi, sive sublimi orationis genere”.

Il libro venne dedicato dallo studioso alla famiglia Farnese, al Duca di Parma, Ranuccio, e a Papa Paolo III° (Fig. 1).

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Iniziò  in questo modo la pubblica diffusione delle idee che vi erano contenute; a questo primo studio ne seguì un altro l’anno immediatamente successivo (1555) e quest’ultima fu una pubblicazione che godette di una vasta diffusione dato che il suo editore era Paolo Manuzio; dieci anni dopo, nel 1564, arrivò la traduzione e la pubblicazione in lingua latina a cura di Domenico Pizzimenti. Dal susseguirsi delle pubblicazioni avvenute nel giro di pochi anni possiamo già intuire l’impatto che il Trattato ebbe sulla cultura del periodo.

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Le idee contenute nel Trattato dopo la prima pubblicazione si diffonderanno ben presto in tutta Europa, in Francia per merito di Nicolas Boileau (Fig.2) ed in Spagna attraverso Lope de  Vega; successivamente l’interesse per questo testo non scemò, anzi al contrario,  quelle idee diventarono nel Settecento sempre più determinanti, attraverso il pensiero dell’inglese Thomas Burke e quindi di Emmanuel Kant, Friedrich Schiller, Arthur Schopenhauer, fino ad assumere un ruolo fondamentale nell’ambito della cultura romantica. Insomma il pensiero contenuto nel Trattato a partire dalla sua prima pubblicazione godrà di un’eco sempre crescente e lascerà un’ impronta indelebile su tutte le arti: poesia, pittura, scultura, architettura, musica. I concetti contenuti nell’opera inizieranno ad avere un consistente e diffuso influsso in campo pittorico nel corso del seicento, i suoi insegnamenti si ritrovano ad esempio nella pittura di Poussin o di Salvator Rosa (40)

Longino nel suo Trattato fissa i canoni dell’arte oratoria, che nella sua concezione sono avvicinabili o addirittura sovrapponibili a quelli che devono guidare l’arte poetica; considerando quindi questi aspetti, lo scritto risponde perfettamente ai requisiti teorici posti dall’Alberti per guidare i pittori. Nel trattato si fa un  continuo richiamo con esempi pratici ai legami esistenti tra l’Arte poetica e quella retorica, mettendone in luce i rilevanti parallelismi, vi ritroviamo dunque ben sviluppate entrambe le colonne portanti che nel De Pictura erano state poste a fondamento dell’arte pittorica. Il testo fa molto spesso riferimento allo stile di Demostene che è visto da Longino come il perfetto esempio dell’oratore. Ricordiamo a questo proposito che il ritratto statuario di Demostene verrà utilizzato da Caravaggio nella figura di Sant’Anna presente nella Madonna dei Palafrenieri ( Fig.3-4) .

3 Polieucto (copia da) Demostene, Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek
4 Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri, Roma, Galleria Borghese

Allo scopo di delineare la trama dei temi in esso contenuti, ne riportiamo di seguito alcuni brani salienti; la presente versione (ridotta) fa riferimento alle parti che possono avere un interesse ai fini di questo studio, e per cercare di rispecchiare il più possibile i modi e i diversi atteggiamenti con cui le varie epoche hanno interpretato il Trattato, essa è stata realizzata facendo una coerente sintesi di quelle redatte da Anton Francesco Gori (1733), Teodoro Accio (1830) e Francesco Donadi (2016); il trattato è suddiviso in sezioni che approfondiscono diversi argomenti tematici.

Sezioni:

(I)  Ciò che è sublime consiste nell’altezza e nella eccezionalità del discorso … Il sublime non ci persuade, ma piuttosto ha una qualità che ci incanta ci trasporta, ci rapisce con la sorpresa e stupore e ci porta all’estasi e l’ha sempre vinta sulla persuasione e su quanto vuol crearci piacere … il sublime, il meraviglioso, ci sorprende, e con una forza sovraumana e invincibile dall’alto  domina chi ascolta. Il sublime esplode al giusto momento ed abbatte e distrugge ogni cosa come un fulmine, mostrando così in  un sol colpo tutta la forza dell’oratore.

(II) Il sublime si può insegnare ? La capacità di creare questo sentimento in chi ascolta è frutto certamente di un dono della natura, ma questa senza l’arte è cieca e non sa dove andare, per cui deve essere indirizzata e migliorata per mezzo della tecnica.

(VII) Il criterio con cui si giudica un oratore è simile a quello con cui si giudica un poeta. Se quando ascoltiamo un oratore noi non ci sentiamo elevati verso qualcosa di Grande ed il nostro cuore non si riempie di gioia ed anche di orgoglio quasi avesse creato egli stesso quel che ha udito, allora non è sublime. Quindi quando un letterato recita un brano ed all’udirlo la nostra anima non ne viene trasportata e non ci lascia qualcosa di più rispetto a prima, allora non è vero sublime, dato che persiste solo il tempo dell’ascolto e poi svanisce. Infatti è realmente grande solo quel che stimola una approfondita riflessione,  al quale è difficile se non impossibile resistere, che persiste nella memoria ed è difficile da cancellare.

( VIII) Cinque sono le fonti del sublime: i pensieri elevati, e l’atteggiamento passionale, e queste due fanno parte delle disposizioni innate, mentre le successive fanno parte delle tecniche: la competenza nel creare le figure in pensiero e parole, un modo di esprimersi nobile, ed infine la quinta che che tutte le riassume ed è la capacità di disporre ed organizzare le parole in modo da porre in risalto tutta la loro magnificenza e dignità … Non vi è cosa più importante in un discorso che una grande passione collocata al momento giusto, essa trasmette un nobile furore ed  incendia  di un entusiasmo che anima la creazione e le conferisce un fuoco divino (sottolineatura dell’A.)

( IX ) La prima fonte del sublime comunque rimane la innata grandezza d’ animo … Omero nell’Iliade è come un vento che asseconda l’asprezza dei combattimenti e che si muove come fosse anch’esso pervaso da furore: “(Ettore ) impazza con un furore disumano come quando marte brandisce l’ asta od un fuoco avvampa nelle gole di una foresta e la bava gli esce dalla bocca”.

( X)  (La poetessa Saffo ) in una sequenza di opposizioni gela e brucia, sragiona e poi è lucidissima, in modo che non una sola passione traspare in lei ma un accavallarsi di passioni… Ed Omero invece ? “(Ettore) si precipitò, come quando l’onda piomba sulla rapida nave, / impetuosa, nutrita dalle nubi e dai venti; e quella tutta intera viene coperta da schiuma. Potente il soffio del vento/preme dentro la vela; tremano i naviganti nel cuore/presi dall’angoscia; un nulla manca che proprio dalla morte siano portati via …” Il poeta non limita lo spavento ad un solo istante ma ci rappresenta i marinai che sempre, e quasi ad ogni ondata si trovano sul punto di morire.

(XI) L’amplificazione consiste  nel crescendo di un discorso

(XII) L’amplificazione è una continua riproposizione di un soggetto in modo da renderlo più efficace con la sua persistenza. Sommo maestro in questo fu Demostene , appassionato, pieno di ardore ed infiammato … s’innalza … e per mezzo della sua violenza, della sua rapidità e della  della veemenza, tutto brucia e saccheggia come una tempesta o come un fulmine (sottolineatura dell’A.).

(XIII) Platone ci indica la via per attingere al sublime e cioè nell’imitazione, seguire i passi dei  grandi poeti e scrittori passati, cercando di imitarli, ed ispirato da questi anche chi non è troppo dotato di ispirazione si innalzerà al loro livello.

(XV) Fondamentali per il discorso sono le immagini che gli conferiscono maestà e potenza … esse si creano quando sotto l’effetto della passione e dell’entusiasmo  ti sembra di vedere anche tu il tuo racconto, e così lo poni sotto gli occhi degli ascoltatori. L’immaginazione del poeta e quella dell’oratore però hanno due scopi diversi, le immagini per il poeta servono a suscitare meraviglia e sorpresa ( quanto questo pensiero è vicino all’estetica del Marino!), mentre per l’oratore servono a  mettere in evidenza le cose ( Enargeia). Entrambe però condividono lo stesso fine di muovere le passioni: Madre, ti prego trattieni le vergini/dallo sguardo iniettato di sangue e dai viperei capelli/trattienile che già su di me si lanciano/mi uccideranno! Dove potrò fuggire?. Qui certamente il poeta non vide le Furie, ma se le immaginò così vivamente che costrinse i suoi uditori a vederle… L’ immaginazione poetica può accedere al favoloso e può oltrepassare totalmente i limiti della realtà mentre quella retorica deve tenersi ancorata a fatti reali…In cosa consiste allora l’immaginazione retorica ? Nell’introdurre svariati elementi vivaci ed appassionati, mescolandoli ai fatti, in modo da soggiogare l’uditorio… Per natura noi diamo sempre retta a ciò che ha maggior forza per cui spesso tralasciamo i fatti e ci facciamo invece trascinare dalla potenza delle immagini create dall’abilità dell’oratore, che tramite la loro forza sono inondate dalla luce mentre i fatti sono relegati nell’ombra del discorso. Per cui  tre sono le cose che creano il sublime, la grandezza dell’animo, l’ imitazione e le immagini (XVII) Gli artifici sono tanto più perfetti quanto più sono occultati dalla abilità dell’oratore che spesso a questo scopo si serve della forza delle emozioni ed il loro splendore occulta tutto cioè che sta intorno. In modo simile a ciò che avviene in pittura , quando le figure pur essendo tutte su uno stesso piano alcune sono illuminate ed altre rimangono nell’ombra, le prime ci appaiono allora più vicine e sembrano uscir fuori dal dipinto, mentre le altre restano nascoste. Così pure nel discorso, il patetico ed il sublime, commuovendo profondamente il nostro animo col loro splendore mettono in ombra l’artificio. (sottolineature dell’A.)

(XIX)  Le parole scollegate, disgiunte le une dalle altre e pronunciate con precipitazione mostrano una agitazione che rende il discorso affannato e concitato. Tutto questo il poeta lo fa per mezzo degli scollegamenti.

(XX) Il concorso di più figure retoriche assommate insieme dà più forza e passionalità al discorso. Facendo questo il retore fa come chi ti percuote con pugni a getto continuo. E ritorna alla carica con assalti ripetuti come avviene in una tempesta e così ti stordisce.

(XXII) Anche gli iperbati sono da porre nella stessa categoria. L’iperbato è un ordine di parole e di pensieri sconvolto nella sua successione e questo costituisce il segno più autentico di una violenta passione. Infatti chi è in preda all’ira o alla paura o ad altre violente passioni non appena ha concepito una idea subito la muta cambiando continuamente l’oggetto del discorso, senza ragione né connessione, inserendo parentesi, ritorni. La passione in essi agisce come un vento incostante che li trascina qua e là senza tregua, essi sono in balìa di una completa agitazione che fa mutare instancabilmente il discorso. Così i migliori scrittori per mezzo degli iperbati imitano ciò che avviene in natura. Mai l’arte è portata ad un così alto grado di perfezione come quando sembra esser naturale. Ed a sua volta la natura non riesce mai meglio che quando si fonda sull’arte senza che ce ne accorgiamo...Spesso infatti lasciando in sospeso il pensiero che egli aveva iniziato ad esprimere..egli getta l’ascoltatore nella paura, come se il discorso fosse completamente interrotto e lo lascia in preda all’ansia (sottolineaturedell’A.)

(XXV) Occorre rappresentare le cose passate come se stessero accadendo adesso, fossero in atto proprio in questo momento. Quando presenterai come attuali fatti accaduti nel passato, non affronterai il discorso come se fosse un racconto, ma una azione drammatica (sottolineatura dell’A.)

(XXVI) Ugualmente drammatico è il cambiamento di persona, che fa in modo che spesso all’ascoltatore sembri di trovarsi lui stesso in mezzo al pericolo. Tutte le espressioni di questo genere, indirizzate proprio alle persone ( in seconda persona), pongono l’ascoltatore sulla scena stessa degli avvenimenti. Quando parli non rivolgerti a tutti ma ad uno solo, così renderai l’ascoltatore più commosso e nel contempo lo renderai più attento e partecipe, scosso dalle parole che gli sono state rivolte direttamente. (sottolineature dell’A.)

(XXVII) Qualche volta può accadere che descrivendo un personaggio, uno scrittore improvvisamente trascinato,  si immedesimi a tal punto da mettersi al suo posto e questo segna l’esplodere della passione.

(XXXII) Io affermo che le passioni forti, che l’opportunità e la violenza delle passioni e la nobiltà del sublime costituiscono un rimedio alla moltitudine ed all’audacia delle metafore, dato che con la violenza del loro impeto esse per natura trascinano e portano via ogni altra cosa, e ancora di più non permettono che l’ascoltatore ne faccia il conto dato che è coinvolto nell’entusiasmo dell’oratore.(XXXIII) Se sia migliore lo stile corretto senza il sublime o il sublime scorretto…Io so che le nature superiori sono le meno esenti da difetti; infatti la precisione assoluta porta al rischio di perdersi in piccolezze, mentre nelle opere grandi bisogna che ci sia spazio anche per le negligenze...Ma non ignoro nemmeno un’altro elemento, che per tendenza naturale tutte le opere dell’uomo vengono sempre considerate piuttosto nella luce peggiore, e mentre il ricordo degli errori resta incancellabile quello delle cose belle rapidamente scorre via…Certo nessuno che abbia il dono della saggezza stimerebbe di egual valore un solo dramma di Edipo per tutti quelli di Ione messi uno in fila all’altro (sottolineature dell’A.)

(XXXIV) Demostene aveva in sè tutte le qualità di un oratore nato al sublime, attraverso il suo ingegno, tuono di maestà e grandezza, la sua presenza di spirito, velocità,  raggiunge quella forza e quella veemenza che rimane per tutti gli altri inarrivabile. Per tutte queste qualità e doni egli ha eclissato tutti gli oratori di ogni tempo, lasciandoli per così dire atterrati e sbalorditi con i suoi lampi e le sue folgori. Che più facile sarebbe cogliere con lo sguardo le folgori che cadono dal cielo, che fissare l’accavallarsi delle passioni che si susseguono nei suoi discorsi . (sottolineatura dell’A.)

(XXXV) nel nostro animo vi è un irriducibile amore per tutto ciò che è estremamente grande e più vicino allo spirito che è in noi. Se qualcuno vi rifletterà si accorgerà di quanto il grande e il fuori dalla norma sia stato importante durante tutta la nostra vita. Noi non ci meravigliamo per i piccoli torrenti ma per i grandi fiumi, non per i piccoli fuochi ma per le stelle, e non troviamo nulla di più straordinario in natura che il monte Etna che dal profondo delle sue voragini lancia pietre rocce e fuoco. Da tutto questo possiamo concludere che ciò che è utile e necessario è un bene per l’uomo, ma solo quello che è straordinario e sorprendente è in grado di suscitare la sua ammirazione.

Come abbiamo già avuto modo di dire  il testo è completamente pervaso da continui  paralleli e rimandi  tra l’oratoria e la poesia, che nell’idea dell’autore si  intersecano scambievolmente, per questo motivo i principi esposti dal retore fanno un continuo richiamo a famosi passi poetici allo scopo di poter illustrare più approfonditamente e con esempi comprensibile il sentimento del sublime, molti di questi passi sono stati omessi per brevità.

Volendo ora riassumere sinteticamente le idee principali presenti nel testo, possiamo dire che lo scopo dell’oratore, in maniera simile a quanto fa il poeta, è quello di rapire l’ascoltatore, di trascinarlo per mezzo delle sue emozioni, per mezzo del furore e della forza che infiammano i suoi discorsi; per questo motivo egli costruisce delle immagini che sono verosimili ma non necessariamente vere. Sotto un apparente realismo e naturalezza l’oratore in realtà nasconde la sua arte, infatti egli utilizza degli artifici che gli permettono di raggiungere il suo scopo, che è quello di rapire, avvolgere, trasportare l’animo di chi ascolta.

Per conseguire i suoi fini, egli occulta artificialmente alcuni particolari mentre ne ingigantisce altri:  molto interessante a questo proposito è il parallelo che Longino fa con l’attività del pittore, che per raggiungere questo scopo si serve della luce per mettere in evidenza e dell’ombra per nascondere, come fa appunto il Caravaggio. L’oratore ammanta il discorso di veemenza e di passione per emozionare e per stupire (ekplexis ), per sconvolgere con la sua violenza gli animi di chi lo ascolta, confondendolo e costringendolo ad abbandonare la logica razionale. Per aumentare l’effetto delle immagini (phantasia) che vengono create ad arte per colpire lo spettatore, egli tende a rappresentare la scena come se si svolgesse proprio in quel momento sotto gli occhi (enargeia) degli uditori. Il soggetto trattato durante il suo discorso a questo punto perde d’importanza, una sola cosa conta: riuscire a catturare l’animo dell’ascoltatore con qualunque mezzo, con la passione, con la suspense, od addirittura con la paura o con il terrore.

Il sublime nell’arte di Caravaggio

Se ora riflettiamo bene sui passi del Sublime non faticheremo troppo probabilmente a ritrovare il riflesso di questi intenti, di questi mezzi e di queste immagini nell’arte del Caravaggio.

Come abbiamo visto egli infatti cerca di colpire e catturare in ogni modo il suo spettatore (cfr. I,VII,XXXIV), attraverso la violenza e l’energia della sua narrazione (cfr.VIII,IX,X,XII,), oppure con la sorpresa di aggiungere elementi inadatti e sconvolgenti (cfr.XXXV), o talvolta anche sgradevoli (cfr.XXXIII). Per aumentare la forza delle sue immagini Caravaggio sospende l’azione nel suo momento topico e questo fatto fissa indelebilmente e durevolmente la scena nel ricordo dell’osservatore (cfr.VII, X,XII,XX ).

Il  Merisi cerca accuratamente di mettere in campo tutti gli accorgimenti necessari a presentare il fatto come se stesse accadendo proprio in quel momento (enargeia) sotto gli occhi dell’osservatore (cfr.XV): abbigliando le figure con abiti contemporanei, utilizzando il  realismo dei loro volti e quello della illuminazione, negando tutti quei riferimenti spaziali che potrebbero essere incoerenti con lo spazio reale dell’osservatore, e non di rado dipinge una figura che fissa direttamentelo sguardo sullo spettatore, come se fosse in un dialogo diretto con lui (cfr.XXV,XXVI). I suoi visi sono fortemente dotati di espressività per coinvolgere lo spettatore emotivamente, per trasmettergli i sentimenti che essi stessi stanno provando (cfr.VIII,IX,XXVII), l’azione complessiva così come le figure che la compongono è spesso concitata, frammentata in multipli diversi atti, o condizioni di luce e di ombra, come ad esempio avviene nel Martirio di San Matteo (cfr.X,XIX,XX,XXII).

Il realismo è un il fattore fondamentale, infatti è indispensabile per dotare la rappresentazione del senso di immanenenza e fare così partecipe lo spettatore coinvolgendolo (cfr.XV), ma ad onta dell’apparente casuale verismo della scena, essa in realtà non è altro che il frutto di una accurata costruzione; infatti è accortamente organizzata per indurre nell’osservatore quello stato d’animo che il pittore si è prefissato fin dall’inizio, l’artificio è dunque nascosto sotto il manto dell’apparente realismo, per mezzo di un abile gioco di luci che illuminano solo quegli elementi che sono adatti  a raggiungere il suo scopo  e cioè infondere quell’emozione che l’artista ha deciso di esprimere, mentre l’ombra ammanta e copre tutto ciò che è artificioso o non gli interessa rappresentare  (cfr.XV,XVII,XXII, XXXII).

Le sue figure possono apparire anatomicamente scorrette, ma rispondono ad una ben precisa finalità espressiva, la correttezza formale non è importante, quello che importa è la forza emotiva che la scena è in grado di trasmettere allo spettatore, questa  adombra e mette in secondo piano ogni altra considerazione e canone valutativo razionale (cfr.XXXIII). Infine si serve degli esempi degli antichi riprendendo le loro idee, ispirandosi ad essi ma non copiandoli, egli  ne comprende l’intima essenza ed è questa che ripropone nei suoi dipinti e non la semplice apparenza estetica delle forme da loro ideate (cfr.XIII).

Molti, davvero tanti, troppi, sono gli elementi concidenti tra l’arte di Caravaggio ed il testo retorico per pensare che si tratti di una casualità, e che il grande lombardo nella ideazione della sua maniera di rappresentare i fatti non si sia servito proprio dei principi contenuti nel Trattato del Sublime.

Ricordiamo qui ancora una volta la descrizione della pittura Caravaggesca fatta da Giulio Carlo Argan:
Nella pittura di Caravaggio il contrasto violento di luce e di ombra elimina ogni gradazione chiaroscurale e tonale. Parti della composizione, che in una struttura plastico-prospettica sarebbero differenziate in ordine alla loro situazione nello spazio, si livellano per una identica esposizione alla luce o sprofondano nello stesso  gorgo di ombra. La visione risulta profondamente, strutturalmente trasformata; e l’estrema concisione del discorso pittorico abbrevia straordinariamente i tempi della “istoria”, fissa una lampeggiante simultaneità di spazio e di tempo, situa l’azione in un immediato e bruciante presente, del fatto storico fa un accadimento che si compie sotto gli occhi attoniti ed atterriti dello spettatore”.

Ora possiamo valutare con maggiore adeguatezza quanto i capisaldi della  pittura caravaggesca coincidano con gli stessi principi cardine enunciati nel Sublime. Nella nostra ottica dunque il Caravaggio si servì proprio dei principi del Trattato del Sublime per guidare la sua arte ed ottenere quegli scopi e quegli effetti che sono sotto gli occhi di qualsiasi persona che guardi un suo dipinto anche solo per la prima volta. Dunque la sua pittura proprio perché aderì agli scopi del Sublime, per il quale la violenza espressiva e l’emozione affrontano e sbaragliano nella mente dell’osservatore sia il pensiero razionale che la bellezza, fu in grado di sconvolgere e trasformare l’estetica dell’arte, che da quel momento perseguì indirizzi molto diversi da quelli seguiti fino ad allora.

Da queste premesse risulta chiaro come il pensiero contenuto nel Trattato cambi radicalmente il concetto di estetica dell’opera d’arte, come pure i suoi metodi, ed alla fine anche il suo scopo. Appaiono molto lontani ora l’equilibrio, l’armonia e l’anelito verso la bellezza superiore del classicismo che è il tema principe del Rinascimento; il fine ultimo dell’opera d’arte qui è invece racchiuso nella capacità di attrarre il pubblico con forza, nella abilità di riprodurre una azione concitata e passionale, in una successione di avvenimenti che ci rapiscono e ci annichiliscono di stupore.

Non si tratta più di raffigurare in pittura la  perfetta razionalità di un mondo ideale ed immaginato nella fantasia come immutabile ed eterno, ma piuttosto ci si concentra sulla volontà di  rispecchiare completamente tutto il dominio che le passioni umane esercitano sul mondo degli uomini. Un mondo fatto di azione perenne, di energia, continuamente scosso dagli avvenimenti …  cioè come è in realtà, il fulcro si sposta dalla centralità della ragione a quello del pathos, da un tipo di pensiero che sta al di fuori del tempo ad una rappresentazione ben individuata in un singolo e reale momento temporale, nel presente. Non è un caso che fino al momento dell’entrata al servizio del cardinale del Monte ,e cioè nel momento in cui si inizia a vedere nei  suoi dipinti l’applicazione dei concetti contenuti nel Trattato, la sua pittura prima non aveva avuto particolare successo, come ci confermano le parole del Baglione:

Pur non trovava a farne esito, e darli via, e a mal termine si ridusse senza denari”;

anche il cardinale in fondo l’aveva assunto solo perché aveva bisogno di un pittore che gli facesse delle copie. A partire dal periodo passato al suo servizio però le cose iniziarono a cambiare, la sua pittura iniziò a trasformarsi fin dal suo primo dipinto, la Medusa, perché il Sublime  indica la via per catturare il pubblico ed avere successo presso di lui, questo è il suo scopo.

La diffusione delle idee del sublime nell’epoca del Caravaggio.

La critica più recente ha incominciato ad avvertire gli effetti  di alcuni temi del Sublime nella letteratura contemporanea al Caravaggio, ad esempio Lisa Beaven e Angela Ndalianis hanno rilevato  la presenza di alcuni filoni del Trattato nelle poesie dei poeti marinisti dedicati alla Medusa dipinta dal Caravaggio; essi indicano questo dipinto come un modello fondamentale da perseguire per la  sua capacità di pietrificare l’osservatore attraverso la paura e la ammirazione (41 ).

L’applicazione dei principi del Sublime che si percepiscono nel dipinto del Caravaggio si trasferiscono successivamente anche in quella creata da Rubens su ispirazione di quella caravaggesca, a questo riguardo  Caroline Van Eck ha chiarito come proprio nella Medusa dipinta da Rubens i  critici  d’ arte fiamminghi dell’epoca: Huygens, Junius e van Hoogstraten,  avessero distintamente riconosciuto nella sua creazione l’utilizzo dei principi del Sublime, ed  in particolare di tre sue precise linee guida: Ekplexis, Enargeia, Phantasiai (43). Il critico olandese Huygens così descrive la Medusa di Rubens ( Fig.5) :

”The viewer is suddenly caught by terror—since usually it is covered by a curtain—but that the viewer at the same time, and inspite of the horror of the representation, enjoys the painting”;
5 Peter Paul Rubens, Medusa Vienna Kunsthistorisches

mentre van Hoogstraten  si accorge con assoluta chiarezza della straordinaria capacità di persistenza di questa immagine nella memoria, che è appunto una delle caratteristiche del Sublime:

That is truly great… which appears time and again as if fresh before our eyes;which is difficult,or rather impossible for us to put out of our mind; whose memory appear to be continuously, and apparently, indelibly impressed on our hearts.” (sottolineature dell’A.).
6 Caravaggio, Medusa, Firenze, Uffizi

Anche lo storico dell’arte contemporaneo Miguel Falomir ha perfettamente compreso ed evidenziato il momento di rottura che si è venuto a creare nel campo dell’estetica a partire dalla creazione della Medusa del Caravaggio ( Fig.6), ed ha scritto a questo riguardo che le immagini caravaggesche e soprattutto la Medusa dettero inizio ad una vera e propria “estetica dell’orrore”, che appunto ebbe una grande influenza sull’arte ed in particolare su quella giovanile di Rubens (1600-8).

Lo studioso ha rilevato anche come questa nuovo concetto di estetica sia stata perfettamente afferrata dalle parole che il poeta olandese Dominic Baudius ( 1561-1613), dedicò al dipinto di Prometeo del Rubens (Fig.7):

Egli non può nient’altro che terrorizzare gli inorriditi spettatori volgendo dall’uno all’altro i suoi occhi fiammeggianti. Il sangue sgorga dal petto e da tutte le parti dove gli artigli lasciano i loro segni e i suoi occhi penetranti sputano fiamme selvagge. Si può pensare che si muova, che le sue piume tremino.
7 Peter Paul Rubens, Prometeo incatenato, Philadelphia Museum of Art

Falomir fa anche una rapida rassegna dei pittori che hanno condiviso questa nuova estetica, e sono tutti caravaggeschi: Rombouts, Van Baburen, Ribera, Fracanzano, Mattia Preti, Langetti.

Da ultimi,  ma non meno importanti si devono ricordare gli apporti in questo senso della critica francese ed in particolare quelli di  Louis Marin e Jean Clair  che hanno concentrato la loro attenzione proprio sul fondamentale valore che ebbe la Medusa di Caravaggio (45). In aggiunta a queste considerazioni si deve tener presente quanto fosse chiaro e fondamentale all’epoca il legame esistente tra pittura ed oratoria, infatti per Leon Battista Alberti la poetica, la retorica ed i loro principi sono considerati attrezzature determinanti per un pittore di successo, anzi la pittura è un’arte che è pervasa dalla dimensione retorica, infatti la sua conoscenza  è indispensabile all’artista per dare al dipinto quei caratteri distintivi di Dignitas (46).

Questa idea si conserva ininterrotta fino al periodo del Caravaggio, dato che oltre alla poesia era proprio l’oratoria ad essere considerata dai teorici suoi contemporanei il modello fondamentale per un pittore. Durante l’età Barocca questo legame si rafforza ancora di più, come si desume dalle idee contenute nel De perfecta poesi di Mathias Kazimierz Sarbiewski  che fu uno dei poeti e dei critici di poesia più rappresentativi dell’era di Urbano VIII, molto apprezzato dal Barberini stesso ( 47 ).

La solidità del questo rapporto fra queste arti è confermato dai più importanti scritti sulla pittura della fine del ‘500 che promuovevano convintamente questo indirizzo, come fece il cardinal Paleotti che fu il protettore della Accademia di San Luca assieme al Del Monte. Il cardinale  fin dalla prima pagina, del suo del suo Discorso, paragona la funzione del pittore a quella dell’oratore, entrambi infatti hanno il compito di persuadere, ed a questo concetto da lui ritenuto fondamentale dedica poi un intero capitolo  il XXI°,  dove  ci dice:

Oltre le cose dette di sopra, vi è un altro effetto che deriva dalle cristiane pitture, molto notabile e prencipale, il qual a guisa degli oratori è dirizzato al persuadere il popolo e tirarlo col mezzo della pittura ad abbracciare alcuna cosa pertinente alla religione … Quello poi che abbiamo detto chiamarsi ufficio del pittore, che è il mezzo per conseguire questo fine, pare a noi che da nissun altro luogo meglio si possa cogliere, che dalla stessa comparazione degli scrittori, a’ quali per ufficio dell’arte è imposto che debbano dilettare, insegnare e movere. Parimente dunque ufficio del pittore sarà usare li stessi mezzi nella sua opera(52).

Non è un caso dunque che il paradigma fondante da lui prediletto: docere-delectare-movere  sia stato ripreso dall’Orator di Cicerone: questi tre obiettivi nel caso del pittore vanno declinati con lo scopo di insegnare un precetto morale, divertire lo spettatore, commuoverlo e coinvolgerlo  attraverso gli affetti. Inoltre

Il legame esistente tra i due modelli per la Pittura: Oratoria e Poesia,  diventerà nel corso di quell’epoca sempre più consistente, ed è un tassello fondamentale anche nel  “Discorso dell’arte poetica ed eroica” ( 1587-1594) di quello che fu il più il più importante scrittore contemporaneo, cioè Torquato Tasso dove ritroviamo un continuo  parallelo tra le due arti, infatti l’Oratoria e la Poesia per lui hanno struttura e scopi simili:

Dico addunque che senza dubbio la poesia è collocata in ordine sotto la dialettica insieme con la retorica, la qual come dice Aristotele, è l’ altro rampollo della dialettica facoltà … la retorica è un’arte la qual considera e ritrova tutto quello che è atto al persuadere…com’io mi sforzerò di provare quando tratterò di tutta l’eloquenza, in quanto in lei si contengono quasi egualmente gli ammaestramenti de’ poeti e de gli oratori …” (53 ).

L’importanza del connubio che viene a stabilirsi tra poetica e retorica viene sinteticamente e molto bene delineato in prospettiva storica da Jonathan Culler, professore alla Cornell University:

”Aristotile distinse la retorica dalla poetica, considerando la retorica l’arte della persuasione e la poetica l’arte della imitazione o rappresentazione. La tradizione medievale e quella rinascimentale, però, le assimilarono: la retorica divenne l’arte della eloquenza, e la poetica (dato che cercava d’insegnare, di provocare piacere e di commuovere) era un esempio superiore di quest’arte”. (54)

Nella trattatistica del ‘500 infatti avviene una vera e propria assimilazione dell’arte poetica a quella retorica, e secondo Bernerd Weinberg i principi del docere-dilectare-movere divennero in quell’epoca anche le categorie attraverso le quali si giudicava la poesia (55).

Se estendiamo ora la nostra indagine  all’altro trattato di fondamentale importanza per gli artisti di quell’ epoca assieme al Discorso del Paleotti e cioè alla Iconologia del Ripa, un testo che, come abbiamo visto il Caravaggio conosceva bene, potremo renderci conto che il pensiero di fondo è ancora il medesimo, e cioè l‘Oratoria ha la stessa importanza della Poesia come modelli da seguire in Pittura ( 56).

Fin dalle prime pagine del suo testo e cioè nel Proemio il Ripa dichiara esplicitamente:

“Et la definitione scritta se bene si fà di poche parole & di poche parole par, che debbia esser questa in pittura, ad imitatione di quella, non è però male l’osservatione di molte cose proposte acciò che, ò dalle molte si possano eleggere le poche, che fanno più à proposito, ò tutte insieme facciano una compositione, che sia più simile alla descrittione, che adoprano gli Oratori & i Poeti, che alla propria definitione de’ Dialettici.  Il  che forse tanto più convenientemente vien fatto quanto nel resto per se stessa la Pittura più si confà con queste arti più facili & più dilettevoli…”.

In conclusione,  nel suo pensiero la Pittura deve  tendere nei suoi scopi e nei suoi strumenti verso Oratoria  e Poesia, che ritiene arti sorelle: un teorema che troveremo applicato con estrema dovizia di particolari e precisione proprio nelle  pagine della iconologia relative alla Pittura:

Donna, bella, co’ capelli negri, & grossi, sparsi, & ritorti in diverse maniere, con le ciglia inarcate, che mostrino pensieri fantastichi…Gli antichi dimandavano Imitatione quel discorso che, ancorché falso, si faceva con la guida di qualche verità successa, & perche volevano, che que’ Poeti, à quali mancava quella parte, non fossero Poeti riputati, così non sono da imitarsi i Pittori, che non l’hanno, essendo vero quel detto triviale, che la Poesia tace nella Pittura, & la Pittura nella Poesia ragiona; vero è, che sono differenti nel modo dell’imitare, procedendo per oppositione, perche gli accidenti visibili, che il Poeta con l’arte sua fà quasi vedere con l’intelletto, per mezzo di accidenti intelligibili, sono prima considerati dal Pittore, per mezzo delli quali fà poi, che la mente intende le cose significate; & non è altro il Piacere, che si prende dall’una, & dall’altra di queste professioni, se non, che à forza d’arte, quasi con inganno della natura, fà l’una intendere co’ sensi, & l’altra sentire con l’intelletto. Hà bisogno dunque la Pittura della imitatione di cose reali, il che accenna la Maschera, che è ritratto della faccia dell’huomo. Et la veste cangiante mostra, che la varietà particolarmente diletta, come mostrano i piedi ricoperti, che quelle proportioni, le quali sono fondamento della Pittura, &, che vanno notati nel disegno, avanti, che dia mano a’ colori, devono ricoprirsi, & celarsi nell’opera compita; & come è grand’arte presso à gli Oratori saper fingere di parlare senz’arte, così presso a’ Pittori saper dipingere in modo, che non apparisca l’arte, se non à più intelligenti, è quella lode, che sola attende il Pittore curioso di fama, nata dalla virtù “.

L’arte pittorica dunque si abbevera alle fonti della Oratoria e della Poesia, formando una triade di arti sorelle, in conclusione il concetto contenuto nel pensiero oraziano andrebbe probabilmente meglio precisato nella forma di Ut pictura poesis et rethorica.

Anche la critica moderna in tempi recenti ha di nuovo sottolineato il legame esistente tra pittura e oratoria; John R. Spencer e Stefania Macioce hanno messo bene in luce la relazione tra la gestualità delle figure di Caravaggio ed i principi della retorica  ( 48 ); così come pure Argan nel suo studio, La Rettorica e l’arte barocca  (49)  che nella sua analisi così scriveva:

Persino il luminismo caravaggesco non dipende da una nuova concezione dei valori spaziali di luce ed ombra, ma soltanto dalla volontà di fare un discorso  serrato, conciso,  violentemente persuasivo: tutto esempi, senza entimemi”.

Pensiamo poi agli importanti contributi di Maurizio Fagiolo Dall’Arco;

Il fin la meraviglia viene raggiunto con la persuasione mentre il vero strumento diventa la propaganda. Nel secolo che vuole persuadere attraverso le immagini, non basta più la Poetica ma si riscopre in pieno il valore della Retorica … Nell’Europa di un secolo intero la retorica diviene il linguaggio comune … Il san Filippo dell Algardi in posa oratoria è pur sempre un Demostene…“( 50);

oppure  alle parole di Edward Roettgen nei confronti di uno dei pittori più famosi dell’epoca, il Cavalier d’Arpino:

La casa ospitava… una copia in gesso del busto di Cicerone… il cui De Oratione faceva parte del bagaglio artistico di ogni pittore con certe ambizioni”  (51).

Alla luce di tutti questi fatti dunque non dovremmo stupirci troppo di tutte le specifiche e precise relazioni che sono emerse nel corso di questa analisi fra l’arte del Caravaggio ed i principi della retorica contenuti nel  Sublime

Padova e Roma, i centri di diffusione delle idee del Sublime

Padova

Come abbiamo avuto modo di vedere per merito del Robortello, Padova fu il primo centro di diffusione delle idee del Sublime, e a questa divulgazione contribuirono anche i suoi più importanti allievi: Janos Zsamboky e Francesco Patrizi, che sempre a Padova frequentarono il circolo culturale di Gian Vincenzo Pinelli. Questo cenacolo fu il centro dominante della cultura europea dell’epoca, dato che il Pinelli era il riconosciuto Principe della Repubblica delle Lettere, cioè la più vasta rete di eruditi esistente in Europa.

Al circolo padovano del Pinelli parteciparono altri fondamentali studiosi del Sublime, in primo luogo Paolo Manuzio, che pubblicò il Trattato nel 1555, poi Fulvio Orsini, il bibliotecario dei Farnese che trascrisse il trattato, e Marc Antoine Muret, altro profondo conoscitore del Sublime che realizzò una precoce traduzione del Trattato in latino. A questo cenacolo appartennero anche i cardinali Aldobrandini, tra cui il futuro papa Clemente VIII, e fatto determinante ai fini del nostro studio, anche il Cardinale del Monte e suo fratello Guidobaldo, che furono introdotti nel circolo da Salvatore Bartolucci. Bartolucci era l’insegnante di retorica del Cardinal del Monte e conosceva molto bene il pensiero del Robortello dato che erano amici a tal punto che fu  scelto  proprio lui  per tenere la sua orazione funebre (Cfr. Treccani ad vocem).

E’ un fatto del tutto evidente quindi che l’insegnante di retorica abbia trasmesso le sue conoscenze in questo campo al cardinale, e comunque il del Monte frequentava il cenacolo del Pinelli a cui appartennero tutti i più importanti studiosi del Trattato, per cui anch’egli doveva essere a conoscenza delle idee ivi contenute fin dall’età giovanile.

Roma

Paolo Manuzio fu il primo studioso del Sublime a trasferirsi a Roma, il che avvenne nel 1560, quando impiantò la sua nuova stamperia a  palazzo Aragonia nei pressi della fontana di Trevi, egli morì poi nella città eterna nel 1574. Nel 1563 anche Marc Antoine Muret si trasferì a Roma dove risiedette fra il 1563 ed il 1585 chiamato da papa Gregorio XIII ad insegnare filosofia morale e retorica alla Sapienza ( 61 ). Egli fu grande amico di Paolo Manuzio ed il fondamentale ruolo di questi due umanisti nel divulgare le idee contenute nel Trattato è stato ben approfondito dagli studi di Marc Fumaroli ( 62). Muret durante la sua permanenza romana ebbe modo non solo di divenire l’insegnante dell’importante studioso ed accademico Insensato Marco Bonciari, ma influenzò anche il pensiero del principe degli Insensati: Cesare Crispolti (63). Fulvio Orsini invece era proprio di Roma dove nacque nel 1529, divenne fin dalla giovinezza (nel 1558) bibliotecario dei Farnese nel 1558 e rimase al loro servizio fino alla sua morte. Diventa a questo punto piuttosto chiaro come Roma iniziò a diventare un centro propulsore fondamentale per le idee del Sublime.

Le prime tappe della diffusione del Trattato in Italia sono state approfonditamente studiate da Eugenio Refini; dalla sua analisi emerge come figura di spicco proprio Fulvio Orsini, impiegato presso la corte Farnese (così come anche Aurelio Orsi). Orsini fu uno degli uomini di cultura più rilevanti ed influenti di Roma, fu lui che realizzò, nella prima metà del ‘500 in forma manoscritta la prima traduzione in assoluto del Sublime in latino, in un’epoca addirittura anteriore a quella della pubblicazione di Robortello in greco (59).

Il prezioso manoscritto del Sublime redatto da Orsini fu scoperto dall’importante studioso di italianistica Gustavo Costa nella Biblioteca Vaticana. L’Orsini ebbe modo di approfondire i concetti contenuti nel Trattato con un allievo diretto del Robortello Janos Zsamboky (alias Giovanni Sambuco) -Fig. 8-  (60 ), con il quale l’ Orsini rimase sempre in contatto. Nel 1592 anche Francesco Patrizi si trasferì a Roma per insegnare alla Sapienza chiamato da Ippolito Aldobrandini che il 30 gennaio 1592 era divenuto papa Clemente VIII. Francesco Patrizi, altro allievo del Robortello, diede un impulso fondamentale alle diffusione delle idee del Sublime a Roma ( Fig.9), egli giocò un ruolo molto importante nella cultura romana dell’epoca (66).

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Patrizi fu per lungo tempo ospitato a Roma e protetto da Cinzio Aldobrandini ed ovviamente entrò a far parte del suo circolo culturale, al quale ricordiamo appartenevano sia il Ripa che il Tasso che il cardinal Del Monte (67). Il Patrizi divenne un amico del Cardinale e prese a frequentare il suo circolo a Palazzo Madama ( 64), così come accadde anche per Fulvio Orsini, per Cesare Ripa, per Giovan Battista Marino ed ovviamente per Caravaggio e Guidobaldo del Monte (Cfr.  Wazbinski, pag. 215-217).

Patrizi fu un acceso sostenitore del furore poetico e delle teorie neoplatoniche, come si desume dalla sua Poetica e dal  Discorso sopra la diversità dei furori poetici, nel quale, come mette bene in evidenza il Maggi, Patrizi ripropone  le stesse idee sul furore poetico espresse da Giuliano Goselini nelle sue Rime.

In ambito milanese non solo il Goselini si interessò al furore poetico, dobbiamo infatti ricordare che anche Lomazzo fu uno dei più strenui propugnatori del furore poetico come fonte di ispirazione in pittura e la sua attenzione per questo tema è disseminata in tutti i suoi libri. Occore a questo punto mettere in evidenza che il sentimento del Sublime e quello del Furore poetico sono due concetti che per loro natura si avvicinano molto; infatti Helen Langdon ha chiarito la sostanziale coincidenza tra il furore platonico del genio, e il raptus di chi è trascinato dalla potenza e dalla violenza del sentimento del Sublime ( 65).

Per mezzo del suo libro: Della poetica (1586) il Patrizi seppe diffondere con forza le categorie della meraviglia, dello stupore e dell‘estasi, che sono tutti concetti appartenenti alle categorie del Sublime. Eugenio Refini non ha dubbi nel considerare il suo testo sulla Poetica come la più importante opera longiniana del Rinascimento:

However, the most tangible influence of the longinian notion of the sublime occurs in the late 16th century poetics of meraviglia: from that perspective, it’s enough to think about Francesco Patrizi Poetica, which is the most longinian text in Italian reinaissance literaly theory, focusing above all on astonishment and wonder produced by the poet. Terms like meraviglia, stupore and estasi become the keywords of an idea of artistic and poetic creation wich perfectly fits in with the longinian notion of the sublime”(68);

questo fu un libro fondamentale anche per quanto riguarda l’estetica del Barocco (69).

L’opera doveva essere originariamente composta da 10 libri, di questi alla fine il Patrizi ne stese solo 7 di cui solo i primi due furono pubblicati, la Deca istoriale e la Deca Disputata, mentre le successive 5 e cioè la Deca ammirabile, la Deca sacra, la Deca semisacra, la Deca plastica e la Deca dogmatica universale. Sono state scoperte in forma manoscritta nel 1949 da Oskar Kristeller nella biblioteca Palatina di Parma dove sono tutt’ora conservate.

Nel secondo libro della Deca disputata, Patrizi cerca di definire l’essenza della Poesia ed in quale misura quest’arte debba essere condizionata dalla imitazione della realtà. Egli si preoccupa in primo luogo di riaffermare la similitudine tra le espressioni artistiche, quelle poetiche e quelle pittoriche (pag. 73). Quindi descrive l’importante principio longiniano di Enargeia, che è la capacità di porre davanti agli occhi degli uditori i fatti come se fossero si stessero svolgendo proprio in quel momento di fronte ad essi (pag. 63). A questo riguardo ripropone l’esempio pratico della forza poetica di Eschilo che descrive le Furie infernali che “impietriscono” l’osservatore con lo sguardo ( pag.88); cioè fa riferimento allo stesso passo utilizzato da Longino nel suo testo, e poi continua il suo discorso parlando dei capelli serpentini delle Gorgoni che hanno il potere di pietrificare chi le osserva.

Si tratta dello stesso tipo di commistione iconografica operata anche dal Lomazzo nel suo Trattato: evidentemente queste due differenti figure mitologiche a causa del loro aspetto simile e del loro potere venivano utilizzate in maniera equivalente.

Possiamo ora comprendere meglio come il primo dipinto in cui il Caravaggio mise in pratica i concetti contenuti nel Sublime fu propria la Medusa, che è una Gorgone: il motivo risiede nel fatto che essa è ritenuta un esempio cardine dell’ estetica legata al Sublime.

La maggior parte dello scritto del Patrizi si focalizza sul tentativo di comprendere e definire in maniera corretta il concetto di imitazione, che in varie forme, sfumature e variazioni, si dibatte tra due poli opposti: la capacità di creare immagini realistiche che egli chiama Icastica, oppure del tutto irreali che chiama Fantastica ( su basi aristoteliche).

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Finalmente nel terzo libro (Fig. 10), la Deca Ammirabile ( 1587), che è il cuore del suo discorso sulla poetica, enuncia un principio fondamentale, e cioè che la poesia costruita unicamente sul vero risulta piatta, mentre una poesia generato solo per mezzo di fatti irreali alla fine è vuota e senza senso.

Dunque la vera poesia, deve avere un nucleo fantastico unito ad un aspetto verosimile, sono queste due qualità convenientemente fuse che conducono al meraviglioso , concetto cardine del Sublime.

Per il Patrizi:La maraviglia fu genitrice della poesia”, in questo principio fondante, per lui risiede il senso ed anche l’obiettivo principale della poesia, proprio come sosteneva anche il Marino.

Come scrive Tommaso Ghezzani nella sua analisi della Poetica:

La poesia, secondo Patrizi, è un compromesso tra le regole richieste dal soggetto poetico e la libertà del poeta che, entro certi limiti, può plasmarlo come meglio crede. In questa direzione, come vedremo, va appunto quella che per il filosofo è l’essenza della poesia, ossia il mirabile, ciò che produce la maraviglia nel fruitore. I due termini non si riferiscono a fenomeni tanto ineffabili quanto smodati e incontrollati ma sono inseriti all’interno di una misurata e precisa armonia di componenti specifiche, perfetto equilibrio di perizia tecnica e inventività fuori dal comune, di ars e furor.;… Così come una poesia costruita unicamente sulla base del necessario, del probabile ecc. risulta piatta, analogamente un testo poetico generato solo tramite fonti incredibili risulta bizzarro e vuoto. Il mirabile deriva dunque dalla fusione dei due ordini, ossia da un’accurata mistione di credibile e incredibile….

Questa idea che costituisce il centro del discorso del Patrizi sulla poetica  non è molto distante dal pensiero espresso dal Lomazzo nel suo Trattato, e a ben vedere si tratta di quanto messo in pratica dal Caravaggio che nella sua arte unisce artificio e realismo ( 70).

Questo concetto è ulteriormente precisato in un passo della Deca plastica:

E tutto questo fingimento è così vario e proprio della poesia, che né a filosofo, né ad istorico, né a sofista, né ad oratore, né ad altro scrittore si può convenire, se non in quanto al poeta in prestanza si togliesse, ed opera questa finzione sul vero quel credibile incredibile che dicemmo essere il mirabile; però che dal canto del vero la cosa si fa credibile, e dal canto della finzione, dandosela faccia di falsità, si fa incredibile e così sorge il mirabile, d’ambedue temperati insieme”.

Patrizi con la parola plastica intende proprio l’arte poetica:

E Plinio la così fatta arte (poetica) con nome greco nomina plastica. E ciò sia dichiarazione del nome, e del fatto sia quest’altra che, sì come la cera, o il gesso o l’argilla di informe massa, per arte, prende e questa e quella figura e forma, e ciò si dice fingere e plattein, e formare e figurare, …Però che, pogniam caso, di creta si può fingere e formare una Cosa vera, e che venga in uso, si come è fare piani, dogli, regoli, cannoni e simiglianti; E chi bene considera questa finzione, e questa formatura, e questa trasformazione, e trasfigurazione, vederà ch’ella altro non è che dare ad una cosa forma diversa da quella che havea prima ed apparenza, ciò è una forma nuova, o rinnovata … E non disdirà che il poeta, che il facitore si disse essere, quando finga ne suoi poemi, o formi o trasformi la materia dalla sua prima forma ad una nuova. Ed essendo egli, come dimostrato s’è, facitore del mirabile, sarà ancora fingitore e formatore, e trasformatore di forma mirabile in ciascuna sua poesia. E la poesia sarà finzione così fatta; e poema parimenti sarà cosa finta e formata, o trasformata ed in forma ed apparenza nuova; e poetica sarà l’arte di ciò fare.”.

Il poeta ha dunque la facoltà di modificare le apparenze della realtà per raggiungere il suo scopo ( un principio che è identico a quanto espresso dal Lomazzo per quanto riguarda l’arte pittorica) che è quello di ottenere l’effetto del meraviglioso.

Il sublime nella cerchia Caravaggesca  

E’ importante a questo punto mettere bene in evidenza che il fratello del cardinale: Guidobaldo Del Monte, fu uno dei primi a leggere il testo della Poetica, infatti fu lo stesso lo stesso Patrizi ad inviargliene una copia in forma manoscritta ancora prima della sua pubblicazione, per ottenere il suo parere ( 71); questo fatto la dice lunga sulla profondità del rapporto di amicizia e della stima che esisteva fra i due ed anche sulla diffusione delle idee contenute nella Poetica e di conseguenza anche di quelle del Sublime, all’interno del circolo del Monte, ed anche suo fratello il cardinale Francesco Maria conosceva bene il Patrizi ed il suo pensiero ( 72).

Il rapporto fra i due fratelli del Monte ed il Patrizi doveva essere di lunga data, e probabilmente risaliva al periodo in cui tutti e tre facevano parte del circolo di Gian Vincenzo Pinelli assieme agli Aldobrandini (73). A conferma di questo sta il fatto che anche il Pinelli, come accadde per Guidobaldo fu tra le persone a cui Patrizi personalmente inviò in anteprima la sua Poetica (Cfr. Treccani ad Vocem Pinelli). Tutti questi fatti non fanno che confermare risolutamente quanto già intuito e scritto da Maurizio Marini sul Patrizi:

“Quest’ultimo merita un riscontro più attento perchè risulta vicino agli ambienti culturali di quella committenza che si interesserà al Caravaggio ( 74 ).

Una affermazione di cui lo studioso era davvero convinto dato che poi arriverà addirittura ad affermare la influenza del pensiero del Patrizi sulla stessa pittura del Caravaggio:

Per il neoplatonismo del giovane Caravaggio la fonte primaria diretta od indiretta … è il filosofo Francesco Patrizi(75).

Alle importanti considerazioni appena fatte sul ruolo del Patrizi presso il circolo Del Monte, occorre aggiungere che lo studioso lasciò a Roma due allievi: Giovanni Zaratino Castellini e Onorio Longhi (76), cioè due dei più stretti amici del Caravaggio, cui occorre poi aggiungere che anche l’altro sodale del Merisi, Marzio Milesi, conobbe il Patrizi nel circolo del Cardinal Salviati (Cfr. Treccani ad vocem); Milesi divenne poi anche un collaboratore del Ripa.

Longhi, Castellini e Milesi erano tutti e tre laureati in legge e poeti dilettanti e formavano una cerchia di amici con gli stessi interessi (77), e, fatto molto rilevante per il nostro discorso, erano tra i più stretti compagni del Caravaggio a Roma.

Durante il papato Aldobrandini (1592-1605), il suo consigliere: il cardinal Salviati raccolse intorno a sé una  cerchia culturale frequentata da letterati ed uomini di cultura tra i quali spiccavano sia Francesco Patrizi che il Ripa, oltre al letterato Marzio Milesi che fu amico e committente del Caravaggio e che collaborò alla stesura dell’Iconologia, così come Giovanni Zaratino Castellini ( 78 ) l’amico del pittore che compose per lui un epigramma per celebrare la Madonna dei Palafrenieri: il Castellini era talmente intrinseco all’Iconologia che fu lui stesso a curare l’edizione del 1625 e del 1630 al posto del Ripa. Quindi sia il Ripa che Milesi che il Castellini conoscevano molto bene e di persona Francesco Patrizi.

11 Frans Pourbus il giovane, Ritratto di Giovan Battista Marino, Detroit Institute of Arts

A queste considerazioni relative agli amici più vicini al Caravaggio occorre aggiungere che anche un altro profondo ammiratore e amico dell’artista: il poeta Giovan Battista Marino (Fig. 11) il quale conosceva molto bene il trattato del Sublime.

Lo vediamo nella Galeria, all’interno della quale cita esplicitamente il Trattato e descrive i due concetti  contenuti nella I° sezione del Sublime: la dote di rapire e dominare i cuori.

Il Marino tratta questi due concetti proprio quando descrive  la figura dell’oratore modello del Sublime e cioè Demostene:

 

Nacqui di rozo fabro,/ma di martelli a strepito e di lime/fabricai d’armonia tempra sublime./Ebbi in prima nascendo/balba la lingua, ed impedito il labro,/ma con industria e cura /emendando Natura,/con faconde saette altrui pungendo,/penetrar seppi entro i più duri petti,/rapire i cori, e dominar gli affetti.”

Dunque non è un caso ed anzi è assolutamente comprensibile che il verso più conosciuto del Marino, con il quale spiega quale sia per lui il fine ultimo della poesia, sia proprio incardinato su due basilari concetti contenuti nel Trattato sia all’interno della I^ sezione che nella XV, si tratta della Meraviglia e dello Stupore come nel famosissimo verso:

È del poeta il fin la meraviglia (parlo de l’eccellente e non del goffo): chi non sa far stupir, vada alla striglia!”.

Come ha messo bene in evidenza il Refini, la meraviglia e lo stupore sono anche le due categorie centrali del  Trattato sulla Poetica del Patrizi (79). A questi fatti relativi alla poetica del Marino si possono aggiungere anche altre importanti considerazioni che riguardano la sua visione dell’estetica.

Il poeta infatti nelle sue Dicerie sacre  affronta l’argomento  della pittura che imita il naturale  attraverso notabili esempi antichi e così conclude:

Tale, e  tanta  è la  forza  del  colorito  di  si minuto magistero capace  che  non  è cosa  alcuna  corporea  da  Dio  creata, la  qual  non  si  possa con  colori  rappresentare,  come  se  vera, fusse…Nè  solo  ha  facoltà  d’esprimere  nelle  figure  le  cose  quali  sono ma  mostra  etiandio  i moti  interiori ponendo  quasi  sotto  gli  occhi  le  complessioni, le passioni e le affettioni   dell’animo. Ma  come  poteva  non  dipignere  del  naturale  colui  che è  autore  & signore  della  Natura  ? Quelle cose  che sono naturalmente  dipinte,  si suol dire  che  hanno  forza. Hor  qual forza  e efficacia può in sè avere pittura alcuna maggiore di questa di cui trattiamo? Forza di rapire gli uomini(pagg. 55-56). (sottolineature dell’A)

In questo passo che fa parte della sezione dedicata   alla pittura  realistica il Marino elenca alcune le sue più importanti qualità facendo riferimento non solo a due categorie del sublime, ma egli utilizza proprio precisamente gli stessi concetti espressi nel testo longiniano: la prima è la capacità di porre con vividezza sotto gli occhi dell’osservatore le cose rappresentate (ponendo  quasi  sotto  gli  occhi  le  complessioni, le passioni e le affettioni   dell’animo) ( Enargeia) ( XV°); la seconda è la capacità di rapire gli animi dell’osservatore (I°) (Forza di rapire gli uomini).

Possiamo a questo punto  valutare con maggiore cognizione di causa quanto i canoni artistici che guidano il pensiero estetico del Marino siano simili a quelli del Caravaggio: 1) lo abbiamo visto per ciò che concerne la maniera di imitare gli esempi antichi; 2) nella ricerca della naturalezza e del realismo: le poesie di V.S. son pitture vive, che ritraggono l’esemplare lodato al naturale, 3) nell’utilizzo delle immagini violente a fini artistici:

Plutarco istesso nel libro De audiendis poetis dice che alcuno rappresenterà cose spiacevoli agli occhi e apporterà gusto, mentre imiterà bene, adducendo gli esempi di Timomaco che descrisse Medea omicida de’ propri figli, di Teone che rappresentò Oreste uccidente sua madre, di Parrasio che dipinse Ulisse pazzo, e di Cerefane che portò agli occhi degli uomini alcuni atti lascivissimi; dalle quali descrizioni, benché fiere ed impudiche, trae pur diletto il lettore per l’imitazione leggiadra di che i casi sudetti sono arricchiti”.

4) il fine la sua poesia è  di suscitare quella meraviglia che ricordiamo è anche lo scopo principale del Trattato del Sublime.

Caravaggio e Marino forzatamente dovettero parlare di questi argomenti e condividere i loro pareri per quanto riguarda l’esercizio dell’arte, infatti come ci dice il Bellori essi erano “amicissimi”.  (81).

Gli amici del Caravaggio e cioè Marino, Marzio Milesi, Zaratino Castellini, Honorio Longhi, facevano tutti parte della Accademia degli Humoristi che  non a caso fu uno dei primi circoli dove si diffusero le idee contenute nel Trattato; come affermano sia Helen Langdon che Gustavo Costa, tra l’altro uno dei suoi primi e più importanti principi: Alessandro Tassoni conosceva benissimo e condivideva i principi del Trattato che furono oggetto di una sua specifico discorso tenuto proprio all’interno dell’ Accademia; sappiamo infine che egli ha utilizzato i principi del Sublime nella sua opera più importante, La Secchia Rapita (1622) (82).

Anche un altro frequentatore del circolo del Monte: il Ripa conosceva il testo del Sublime, come dichiara nella sua Iconologia quando descrive la allegoria dell’Eloquenza:

12 L‘Eloquenza, da Iconologia di Cesare Ripa

Eloquenza (Fig.12):

“Giovane bella col petto armato, e con  le braccia ignude, sul capo haverà un elmo, circondato di corona d’oro, al fianco haverà lo stocco, nella mano destra una verga, nella sinistra un fulmine, e sarà vestita di porpora … Però si vede che, o per dichiarare le ragioni difficili, e dubbie, o per spronar l’animo al moto delle passioni, o per raffrenarlo, sono necessarij i varij, e artificiosi giri di parole dell’oratore, frà’ quali egli sappia celare il suo artificio, e così potrà muovere, e incitare, pregando l’altero, e svegliando l’animo addormentato, o con la verga della più bassa, e commune maniera di parlare, o colla spada della mezzana, e più capace d’ornamenti, o finalmente co’l folgore della sublime, che ha forza d’atterrire, e di spaventare ciascuno.

Dunque il Ripa conosceva bene il Trattato che cita con cognizione di causa nella figura della Eloquenza, associandolo specificatamente allo stile retorico alto, differenziandolo in maniera precisa da quello medio o basso, e associa questo stile al suo simbolo: il fulmine, appunto del Sublime. Ora siccome i principi contenuti in un libro destinato ad un’ampia divulgazione ed indirizzato specificatamente ai tutti i pittori, come fu appunto l’Iconologia, devono essere chiaramente comprensibili e quindi non si fa riferimento a qualcosa che non è generalmente noto, è chiaro che la teoria del Sublime all’epoca doveva essere piuttosto diffusa, ed almeno sicuramente negli ambienti Romani e fra le amicizie con cui il Ripa era in contatto.

Ambienti ed amicizie che alla fine sono anche quelli che furono frequentati anche dal Caravaggio, infatti il perugino frequentava ed era amico del  Cardinal Del Monte (57 ), che elogia pubblicamente sempre nella  Iconologia:

”Chi potrà mai dire a bastanza le lodi e heroiche virtù dell’illustrissimo Francesco Maria Cardinal del Monte, non meno da tutti ammirato, e riverito per la maestà del Cardinalato, che per le qualità regie della sua persona“.

I due si conoscevano probabilmente fin da quando entrambi erano legati al circolo culturale del cardinale Cinzio Aldobrandini (58).

All’interno del circolo  del Monte le idee del Sublime dovevano essere ben conosciute, e sicuramente fondamentale a questo riguardo dovettero essere sia la formazione giovanile del cardinale che l’amicizia col Patrizi e con Fulvio Orsini ( 83), l’uomo di cultura al servizio del cardinale Alessandro Farnese, che come abbiamo visto fu tra i primi e più importanti conoscitori del testo, di cui trasmise le idee nell’ambiente farnese. Idee che secondo due insigni studiosi: Gustavo Costa e Marc Fumaroli influenzarono l’arte di Michelangelo. Così a questo riguardo si esprime il Fumaroli:

È peraltro difficile non immaginare, dietro alla volta michelangiolesca della Cappella Sistina (1508-1512) e in particolare dietro ai sublimi affreschi della Creazione degli astri e delle piante e della Creazione di Adamo, la lettura da parte del pittore del trattato dello pseudo-Longino”  (84).

Teniamo ora in considerazione tre fatti, innanzitutto che l’Orsini, il bibliotecario dei Farnese, fu il primo redattore in forma manoscritta del Sublime in latino, poi che la prima pubblicazione del Trattato venne realizzata dal Robortello che la dedicò alla famiglia Farnese, ed infine che i 5 manoscritti fondamentali (esemplari unici) della Poetica del Patrizi: ” the most longinian text in Italian reinaissance literaly theory” sono conservati presso la Biblioteca Palatina e facevano parte della biblioteca privata dei Duchi di Parma, capitale del Ducato Farnesiano.

Questi appena elencate sono stati nel corso del ‘500 tre eventi fondamentali per quanto riguarda l’estetica del Sublime; diventa a questo punto difficile non arrivare alla conclusione che il circolo culturale Farnese sia stato uno dei più importanti centri per lo studio e la diffusione delle idee contenute in quel Trattato, il che conferma nei fatti l’intuizione di Costa e Fumaroli. Tenendo ulteriormente conto che sia l’Orsini che Francesco Patrizi frequentavano anche il circolo del Monte e che il cardinale Francesco Maria studiò a Padova dove insegnò e morì il Robortello seguendo le lezioni di retorica del suo amico Salvatore Bartolucci, e che fu proprio quest’ultimo ad introdurlo nel circolo di Gian Vincenzo Pinelli, si arriva alla conclusione che quello che accadde alla corte dei Farnese, può essersi benissimo ripetuto successivamente anche nell’ambito del circolo del Monte a cui apparteneva il Merisi.

A questo proposito vale la pena ricordare che questo era infatti proprio ciò che pensava e sosteneva Gustavo Costa, professore di italianistica a Berkeley, Californai, il quale nei suoi studi non solo afferma l’influenza del Sublime sulla cultura Farnese e su Michelangelo che lo frequentava, ma sottolinea altresì l’influenza del Trattato del Sublime sulla pittura del Caravaggio.

Nello  specifico Costa individua nelle opere della cappella Contarelli la applicazione dei principi del Sublime che riguardano l’utilizzo delle luci e delle ombre.Costa fa infine ulteriormente notare che i principi del Sublime che regolano il rapporto tra luce e ombra vennero accuratamente trattati da Francesco Patrizi, che non a caso era un amico e corrispondente sia dell’ Orsini che di del Monte ( 85).

La Repubblica delle lettere e le Accademie 

Durante questa analisi abbiamo avuto modo di apprezzare quanto sia stato profondo ed importante il segno lasciato dalla cultura letteraria ed umanistica nell’arte del giovane Caravaggio.

Abbiamo potuto anche e soprattutto constatare come i circoli degli eruditi non fossero affatto scollegati ma, al contrario, in comunicazione fra di loro; gli uomini di cultura milanesi erano solidamente legati con quelli di Perugia o di Roma. Muzio Sforza, fondatore della Accademia degli Inquieti, Lomazzo con la sua Accademia dei Rabisch e  Giuliano Goselini ben conoscevano e stimavano gli appartenenti alla Accademia degli Insensati: Cesare Caporali, Filippo Alberti, Filippo Massini, Aurelio Orsi, e probabilmente non è un caso che suo fratello Prospero Orsi sia divenuto fin dagli inizi del suo soggiorno romano il manager di Caravaggio, e Maffeo Barberini e Melchiorre Crescenzi o il Cavalier d’Arpino suoi committenti, probabilmente proprio in virtù delle relazioni esistenti fra questi eruditi.

Scopertamente evidenti e robusti furono i legami tra gli Insensati e quella che fu, per quanto riguarda la cultura umanistica, la più importante Accademia italiana di quel periodo, cioè quella degli Humoristi, che si caratterizza per i suoi principi guida e per essere un vero e proprio spin off degli Insensati.

13 Scuola lombarda Ritratto di Gian Vincenzo Pinelli, Milano, Pinacoteca Ambrosiana

Per lo sviluppo della sua arte giocò un ruolo fondamentale non solo il trattato di Lomazzo ma anche il Trattato del Sublime e quello di Guidobaldo sulla prospettiva; dunque l’appartenenza del Merisi al circolo romano di del Monte fu un momento determinante, di svolta per il pittore, circolo che il cardinale formò sulla base dell’esperienza giovanile nel circolo padovano del principe della Repubblica delle lettere: Gian Vincenzo Pinelli (Fig. 13).

Al circolo di Pinelli oltre a Francesco Maria e Guidobaldo appartennero anche i più importanti conoscitori e diffusori delle idee del Sublime: Paolo Manuzio, Fulvio Orsini, Francesco Patrizi, e Marc Antoine Muret. Tutto questo mondo di relazioni che abbiamo finora descritto per quanto riguarda i fatti relativi alla vita del Caravaggio, porta alla luce l’importanza della trama di quella che Marc Fumaroli chiamava la Repubblica delle lettere, cioè la comunità internazionale degli uomini di cultura che si era venuta a creare a partire dalla idea del veneziano  Francesco Barbaro che nel 1417 così l’aveva chiamata ( Litterariae Reipublicae).

Sempre secondo lo studioso francese il motore principale di questa rete furono proprio le Accademie (88), esse ne costituivano i centri nevralgici, erano i luoghi  principali per lo scambio delle idee e i motori di propulsione per la loro diffusione.  Con lo scopo di sviluppare questo ancora poco approfondito filone di ricerca sono nati diversi progetti come: The Italian Academies 1525-1700: the first intellectual networks of early modern Europe, della Royal Holloway university of London ed il catalogo nato in seno alla British Library: ITALIAN ACADEMIES 1530-1700.  A THEMED COLLECTION DATABASE, oppure il progetto americano della Columbia University: The Academies Project at the Italian Academy.

Le Accademie ed i circoli culturali di cui abbiamo parlato approfonditamente in questo testo erano collegati a questa Repubblica, tanto è vero che  il successore del Pinelli, il nuovo Principe della Repubblica delle lettere, fu proprio un accademico Humorista:  Fabri de Peiresc (89). Gli Humoristi in occasione della morte avvenuta nel nel 1637 gli tributarono esequie solenni come si faceva solo per i membri di grande prestigio; l’orazione funebre fu tenuta in quaranta lingue e vi presenziarono 10 Cardinali, tra i quali figuravano Francesco ed Antonio Barberini.

In ultima analisi la cultura umanistica di tutti questi circoli accademici fu fondamentale per lo sviluppo della cultura, ed il circolo di del Monte diede un apporto fondamentale allo sviluppo della pittura caravaggesca sia dal punto di vista tecnico-pittorico che dal punto di vista del significato e del messaggio che i suoi dipinti volevano trasmettere. Dunque durante lo svolgimento di questo testo abbiamo potuto constatare in maniera concreta quanto la Repubblica non avesse solo una valenza in astratto ma che le idee che in essa circolavano avevano il potere di incidere sulla realtà dell’arte o delle scienze, nel caso volessimo prendere in considerazione il ‘caso’ di Galileo Galilei.

Marc Fumaroli aveva perfettamente intuito e ben compreso l’importanza e l’impatto del Trattato del Sublime sugli uomini di cultura legati alla Repubblica delle Lettere, e proprio al Sublime  dedicò  l’ultimo capitolo di questo suo libro, che ha per  titolo:  Il «sublime», segreto della libertà dei letterati.

Conclusioni

Come abbiamo appena visto l’influenza delle idee del Sublime sulla pittura del Caravaggio non solo è supportata dalle sue caratteristiche specifiche che sono state rilevate da diversi studiosi ed in differenti tempi come peculiari della stessa, ma anche dalle evidenze storiche-documentali emerse nei circoli romani da lui frequentati, e questi due fatti sono in grado di saldarsi ora in un paradigma unico.

Dopo questa ampia sequenza di evidenze appena elencate non dovrebbe ora stupire più di tanto ritrovare l’applicazione delle idee del Sublime all’interno dell’arte del Caravaggio, ed anzi ora si può arrivare, su basi solide, alla conclusione che il Trattato costituì il fondamento ed il principio attorno al quale è possibile riunire la maggior parte delle linee guida e degli scopi della sua pittura.

In sintesi. alla luce di quanto detto, l’ipotesi che è stata avanzata, riguardo la relazione  esistente tra l’arte del Merisi ed il Sublime è confermata non solamente dalla analisi comparata tra i principi del Sublime e le caratteristiche espressive dei suoi dipinti, ma il collegamento si inserisce anche coerentemente in una solida rete di rapporti  personali e  culturali del pittore, che dovette venire a maturazione a partire dagli anni trascorsi presso il del Monte, che è poi anche il momento in cui le idee contenute nel Sublime iniziano a vedersi concretamente applicate nella sua pittura.

Questa evidenza è supportata dal fatto che il cardinale era una delle persone che meglio conosceva il Robortello, ed il circolo del cardinale era frequentato dai più importanti studiosi del Trattato che abbiamo conosciuto, ossia Fulvio Orsini e Francesco Patrizi che fu anche il maestro di due dei migliori amici del Caravaggio: Onorio Longhi e Zaratino Castellini, inoltre anche l’altro “amicissimo” del Merisi, Giovan Battista Marino conosceva bene il Trattato, così come Cesare Ripa, che pure frequentava il circolo del Monte.

E’  proprio in questo momento  ed in funzione della influenza ricevuta nel periodo del Monte che il linguaggio dell’artsta inizia a mutare in direzione dei principi del Sublime, e di conseguenza il modo di dipingere si modifica in maniera strumentale a questo scopo, laddove inizia a rafforzarsi l’uso dei contrasti tra luce ed ombra, come indicato all’interno del Sublime,  fatto questo che dunque deve essere stato il frutto delle riflessioni sulle idee del Trattato, come perfettamente compreso ed sostenuto da Gustavo Costa; questa svolta segna un confine ben preciso con la sua tecnica precedente. Si riafferma così con tutta evidenza quella vicinanza tra le arti dell’Eloquenza, della Poesia e della Pittura che non poteva non trovare applicazione pratica in Pittura. Non è un caso che la prima potente manifestazione tangibile delle idee del Trattato avvenne proprio con la creazione del primo dipinto che fu richiesto dal Cardinale: la Medusa.

Questa immagine sarà destinata a mutare definitivamente il concetto dell’opera d’arte fino ad allora accettato, poiché ne muta radicalmente gli scopi, per questo motivo la rotella rappresentò  un punto di svolta verso un nuovo tipo di estetica che avrà fecondi sviluppi sia per l’arte del Caravaggio, che per tutta l’epoca barocca, ed in ultima analisi anche per tutta la storia dell’arte a venire. E non è un caso neppure che da più fonti critiche indipendenti anche distanti temporalmente l’una dall’altra, proprio questo dipinto sia stato percepito come un’opera fondamentale, rivoluzionaria, di rottura, adesso noi ne comprendiamo bene i motivi, sappiamo che la causa di questo cambiamento risiede nell’utilizzo dei canoni estetici contenuti nel Sublime. Siamo così in grado ora di comprendere con chiarezza come le caratteristiche che ci affascinano nei dipinti del lombardo siano le stesse a cui puntava Longino nel suo Trattato, e cioè che l’attività artistica deve avere l’obiettivo di rapire e lasciare stupefatti gli spettatori. Questo è il motivo per cui la pittura caravaggesca ci colpisce così tanto, perché è stata creata proprio per questo scopo: vedere un suo quadro è come ascoltare un discorso di un appassionato oratore, che con la sua arte, con la profondità dei concetti, le giuste parole ed i tempi adatti a mettere in risalto i momenti ed i punti salienti del suo discorso, per mezzo della forza dirompente della sua passione riesce ad infiammare e trascinare gli animi di chi lo ascolta.

Dunque la conoscenza dei temi fondamentali di questo Trattato ci permettono di comprendere meglio le direzioni e le strade che ha percorso il Caravaggio nello sviluppo della sua arte della fase matura, e siamo dunque in grado ora di riconoscere e capire gli effetti che voleva ottenere sul pubblico e gli strumenti che ha utilizzato per ottenere questo fine. Infatti i principi contenuti nel Sublime ci danno due tipi di indicazioni, in primo luogo ci descrivono quali sono gli artifici persuasivi, necessari per fare presa sul pubblico, in secondo luogo questo testo ridefinisce il fine stesso dell’Arte che non è più orientato verso la bellezza ideale ma verso l’ottenimento della meraviglia, il suo fine diventa quindi la creazione dello stupore e non l’equilibrio e la stabilità di un mondo ideale, quanto piuttosto emozione e pathos.

Il Sublime rappresenta dunque un punto di svolta definitivo verso un nuovo e differente concetto di estetica, se si applicano le sue regole tutto cambia nella logica della rappresentazione pittorica e con tutta probabilità  il  Caravaggio fu il primo a comprendere l’ampiezza della sua portata ed a tradurne in pieno i principi all’interno della sua pittura. Per effetto di questa scelta la sua arte riesce a stravolgere i canoni accettati fino a quel momento e rappresenta uno spartiacque definitivo in direzione di quei differenti valori che ancora oggi sono in vigore nella civiltà contemporanea e che noi stessi siamo disposti a riconoscere come fondamentali.

Caravaggio è l’artista che indica la strada e segna l’inizio di un’epoca, anche dal punto di vista della tecnica pittorica; dopo di lui, la sensibilità nei confronti della luce, l’attitudine al realismo, l’utilizzo del disegno, la propensione verso il colore, la drammaticità della scena, l’espressività dei personaggi risulteranno radicalmente trasformati, niente sarà più come prima e questo è in sostanza il genio. Il Merisi si dimostra nei fatti un abile manovratore di tutti questi strumenti poichè non rappresenta precisamente la realtà, ma ciò che lui vuole che sia da noi percepito come realtà, mentre invece si tratta di una costruzione, creata ad arte per ottenere risultati ben precisi.

Vengono a questo punto in mente le parole contenute in una commedia scritta proprio dal Bernini, il genio assoluto del Barocco:

L’ingegno e il disegno sono l’arte magica attraverso cui si arriva ad ingannare la vista in modo da stupire. Dove è naturalezza è artificio” (86 ).

Come puntualizza bene in ottica storica il Refini, la capacità di creare immagini verosimili, che in realtà sono il frutto della fantasia, fu uno dei cardini del dibattito sull’estetica del tardo rinascimento ( 87); si tratta di due categorie quelle dell’icastico e del fantastico che abbiamo già incontrato proprio nella poetica del Patrizi. Come scrive ancora questo studioso:

The opposition between phantasia and mimesis thus came to light, recalling, the famous passage from Philostratus’ Life  of Apollonius on the power of imagination, as well the Platonic distinction between the art of making likeness ( mimesis eikastike), and the art of making apparencies ( mimesis phantastike), wich played a fundamental role in late Reinassance debates on poetry”;

questo dibattito arrivò a completa maturazione e mostrò i suoi frutti proprio nel periodo barocco.

Ora possiamo trarre un giudizio finalmente complessivo sulla sua pittura. Per costruire la sua arte il Caravaggio si è servito sia degli indirizzi tecnico-pittorici contenuti nel Trattato del Lomazzo, che dei principi scenografici descritti da Guidobaldo Del Monte mentre le linee guida contenute nel Sublime gli hanno permesso di ottenere ben studiati effetti; la conoscenza di tutte queste fonti e delle loro linee guida ci mette dunque ora in condizione di comprendere con maggiore decisiva chiarezza  la sua pittura. Caravaggio non solo era provvisto dei mezzi  pittorici ma anche di quelli comunicativi, per veicolare i messaggi che i suoi dipinti voleva trasmettessero, insomma fu un grande comunicatore. La novità del metodo che riuscì a costruire fu un evento che stravolse la storia dell’arte, proprio per il rifiuto dei principi classici imperanti fino a quel momento, egli infatti non solo azzerò la fondamentale associazione del bello e del buono, ma anche la triplice unità narrativa di tempo, luogo, e azione impostata da Aristotele, un fatto che come vedremo accadrà nelle Sette opere di Misericordia del Pio Monte. Oltre a questo egli introdusse una tecnica di rappresentazione completamente nuova che organizza e modella con precisione gli elementi e la struttura del dipinto in funzione degli obiettivi che vuole ottenere sull’animo dello spettatore, e tutto questo cambiò definitivamente la pittura.

Michele FRAZZI  Parma  15 Dicembre 2024