di Vittorio SGARBI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo importante articolo del Prof. Vittorio Sgarbi che, anche grazie alla preziosa e precisa ricostruzione dell’Avv. Fabrizio Lemme, fa luce sulle ragioni che portarono il grande patrimonio di opere d’arte, libri, fotografie accumulato da Federico Zeri nel corso della sua attività di studioso e ricercatore, a Bologna e non a Mentana, com’era intenzione del maestro. Come sempre, About Art è aperta ad accogliere altre testimonianze di chi desideri chiarire ulteriormente il tema.
Le case della vita hanno una loro storia che le assimila a chi le ha vissute. Non ci vuole molto a capire che per alcune personalità la casa sia uno specchio dell’anima e che in esse rimanga non il fantasma ma l’ombra presente di chi l’ha abitata. Accade che dopo la morte, per non disperdere lo spirito dei luoghi, una istituzione, una fondazione, una università adottino e sostengano quei luoghi come santuari dedicati alla luminosa presenza di chi li ha vissuti e trasformati a sua immagine e somiglianza. E’ una forma di rispetto e di consapevolezza della forza che resta delle cose, una trasmissione d’anima. E non sono pochi. Il pensiero corre al Museo Guggenheim a Venezia,, sostenuto dalla omonima fondazione americana, alla Villa I Tatti a Settignano di Bernard Berenson, sostenuta dalla Università di Harvard, alla Fondazione Ragghianti a Lucca. Lo stesso può dirsi per le case dei poeti: Petrarca ad Arquà, D’Annunzio a Gardone, Gozzano ad Agliè, Moravia a Roma, Gerolamo Comi a Tricase, Lucio Piccolo a Capo d’Orlando. Perfino il grande poeta Marti a Cuba ha il museo nella sua casa natale.
Dopo la casa di Longhi, in via Benedetto Fortini a Firenze, meta di studiosi, collezionisti e antiquari, soltanto la casa di Zeri a Mentana fu un santuario per avere opinioni, pareri, expertises. Il viaggio a Mentana era un rito, e la casa, oltre che biblioteca e fototeca in una formidabile organizzazione personale e rigorosa insieme, era una meraviglia di oggetti e di sculture, di epigrafi, memorabile e indimenticabile per qualsiasi visitatori. Non c’era un criterio monografico ma di passione, di gusto, di scelte. Si andava a Mentana per vedere la realizzazione dei pensieri di Zeri nei disegni dell’architetto Andrea Busiri Vici che aveva creato il contenitore per la più superba Wunderkammer mai realizzata da uno studioso, dopo Athanasius Kircher e Ferdinando Cospi. Nessuno poteva uscire indifferente dall’esperienza in quella centrifuga di sapienza e di bellezza, di oggetti antichi e moderni, lontanissima dal gusto funerario ed ospedaliero di molti architetti contemporanei.
Dopo la proposta di vincolo della Soprintendenza, annullata dal Tar, neanche un museo monografico e delle iscrizioni e frammenti antichi (cinquanta delle quali rubate recentemente per l’incuria) considerate una delle più importanti collezioni private, dopo quella formata nel Settecento dal cardinale Alessandro Albani, è stato proposto per la casa di Zeri, quando lo status di bene vincolato è previsto per i musei locali.
L’iniziale decreto della Soprintendenza del Lazio, del 2003, impugnato nel 2006 dall’Università di Bologna facendo ricorso al Presidente della Repubblica e invocando il parere del Consiglio di Stato, è stato incredibilmente annullato. Al contrario, esso era intervenuto per la casa di uno dei grandi amici di Federico Zeri, lo studioso di letteratura inglese e americana M. P. celebre jettatore, la cui collezione, pur con il celebre mobilio, era infinitamente meno significativa di quella di Zeri. Chi è il responsabile di questo scempio, di questa dissoluzione? Uno potrebbe pensare ad eredi avidi interpreti interessati, e a un testamento tanto puntuale quanto ambiguo: dipinti ed oggetti al Museo Poldi Pezzoli, alcune sculture all’Accademia Carrara, altre, del gruppo di Palmyra, ai Musei Vaticani, due mirabili bozzetti del Baciccio all’Avvocato Lemme. Ma tutto il resto nella mente di Zeri non poteva non avere una unità legata al luogo, anche per ragioni murarie: la biblioteca, la fototeca, la raccolta di 400 epigrafi romane oltre a numerosissimi e notevolissimi dipinti. Se pensiamo che rimane unita, in uno spazio dedicato, la collezione di uno studioso gentile, ma certamente di minore vastità di interessi, come Alessandro Marabotti Marabottini, devotamente ricostruita in palazzo Baldeschi di Perugia, sua città di vita e di studi, appare incomprensibile la metodica e sistematica dispersione della “collezione” Zeri, con il pretesto della digitalizzazione delle fotografie che, come capite bene, non ha bisogno di una sede fisica.
Così la casa di Mentana, costruzione del suo estro, è stata smantellata, abbandonata, e oggi messa in vendita magari per diventare un ristorante. Il santuario sconsacrato, con una infinita malinconia. Come trasferire Francesco da Assisi a Busto Arsizio, o Padre Pio da San Giovanni Rotondo a Montebelluna. Zeri e Mentana erano una endiadi. Bologna, che lo ha scippato a Mentana e a Roma, era la città più lontana per vita ed anche per studi, da Zeri. Certo, era uno studioso universale, ma a Bologna avrà passato cinque giorni della sua vita. Nelle grandi mostre curate da Francesco Arcangeli, Cesare Gnudi, Denis Mahon, Andrea Emiliani, Eugenio Riccomini, e perfino Maurizio Calvesi, non c’è traccia di lui. Roma, le Marche, l’America, perfino Milano erano la sua orbita. La triste Bologna è diventata la sua tomba. Aveva cercato sostegno al Getty Research Institut senza fortuna. La chiamata per una laurea honoris causa lo porta a Bologna e lui, generalmente così abile, ed insensibile al fascino femminile, si lascia sedurre da una piccola petulante studiosa, Anna Ottani Cavina, che sicuramente non gli prospetta un trasferimento da Mentana, ma la protezione della Università e della potente Fondazione bancaria retta dal “massone in sonno” e già magnifico rettore dell’Alma Mater studiorum di Bologna, Fabio Roversi Monaco, che gli conferì la Laurea. Le lauree Honoris Causa che aveva distribuito come noccioline durante i festeggiamenti del IX Centenario gli sono state “restituite” negli anni successivi da diverse università di tutto il mondo, dalla John Hopkins University di Baltimora, alla Soka di Tokio. Zeri gli restituì ‘ben di più’ lasciando a Bologna inconsapevolmente il suo patrimonio e la sua anima.
Lo spoglio di Mentana è raccontato così dalla Cavina :
”Da allora il mio impegno è stato restituire la fiducia data da Zeri a questa università: dimostrare che non era stato sottratto niente a nessuno. Con l’appoggio incondizionato del Rettore Pier Ugo Calzolari e di un giovanissimo staff di studiosi, in tempi molto brevi la Fondazione Zeri ha conquistato una sede magnifica nel convento rinascimentale di Santa Cristina, realizzato il catalogo digitale della fototeca che è il più importante repertorio online della pittura italiana frequentato anche da storici, letterati e antropologi; ha riallestito la biblioteca di Zeri nella grande ‘sala di quiete’ che era il dormitorio delle monache salvando l’originale aggregazione tematica come costellazione del sapere … Per anni la ricerca di fondi è stata una preoccupazione vera e un lavoro cui non ero preparata. Ma gli aiuti sono arrivati anche da lontano: Microsoft ci offrì il primo software per la digitalizzazione alla cifra simbolica di un euro, poi intervennero la Getty Foundation e istituzioni italiane”.
Bene, ma perché non a Mentana?
Digitalizzare è una cosa, e si muove nell’aria del mondo; ordinare la biblioteca è un’altra cosa e sarebbe stato perfetto in quella villa ereditata dall’università di Bologna che lo stesso ateneo ha deciso di mettere in vendita. Quello che doveva essere nella volontà di Zeri un centro di studi, dove lui stesso aveva ricercato e studiato, è in condizioni di malinconico abbandono. La casa è chiusa dal 2010.
Un grande amico di Zeri che, come me, si recava in pellegrinaggio a Mentana, fin dai primi anni Settanta (io dal ’77) Fabrizio Lemme commenta incredulo e battagliero, come il nipote di Zeri, Eugenio Malgeri :
”Come è potuto accadere tutto questo? E’ una storia tutta italiana che vale la pena di raccontare. Neppure una settimana prima di morire, Federico – che appariva al momento in ottima salute- mi chiamò telefonicamente (rammento che era un sabato) e mi anticipò che sarebbe morto di lì a pochi giorni: aveva avuto una infausta premonizione e voleva urgentemente disporre delle sue cose. Mi chiese quindi di fornirgli il nome di un notaio ed io, dopo aver scherzato con il mio interlocutore su presagi e premonizioni (cui, forse a torto, non credevo, come ogni persona razionale), scelsi quello reputato il migliore di Roma, fra l’altro mio caro amico, che si recò da lui il lunedì successivo. Il tema della successione era stato affrontato varie volte con Federico e non sapevo neppure quali fossero i suoi definitivi approdi … Federico aveva avuto negli ultimi tempi della sua esistenza molti contatti con l’Università di Bologna ed aveva ricevuto l’assicurazione di questa, nel caso fosse stata onorata da un legato del grande maestro, di istituire in Mentana una fondazione che avesse ivi gestito il suo patrimonio fotografico e librario. Coerentemente con queste assicurazioni, Federico legò all’ Università di Bologna la Villa di Mentana (con esplicita menzione di tutte le epigrafi ed iscrizioni che la ornavano ed avevano, nella visione del testatore, autonomo significato ed autonomo valore); la sua Biblioteca d’arte, la sua Fototeca. Egli peraltro si astenne dal dettare al Notaio una clausola che gli avrebbe garantito il vincolo di destinazione da lui ritenuto implicito: vale a dire una modalità del legato (artt. 647 – 648 c.c.) che avrebbe consentito al suo erede universale, l’unico nipote, Eugenio Malgeri, figlio della sorella Nunzia, di risolvere il lascito testamentario nel caso l’onere fosse restato inadempiuto. Il tradimento colpisce ancora di più se pensiamo che l’Università di Bologna è nota come “Alma Mater Studiorum”, per essere la prima struttura universitaria d’Europa, fondata nel 1088 per volontà di un Docente di Diritto di nome Irnerio e dell’Imperatore Enrico IV. Eugenio Malgeri, l’erede universale, peraltro non si è arreso”.
A sollevare il caso fu, con un articolo di Tomaso Montanari, il quotidiano la Repubblica. Oggi lo stesso giornale, ignorando la vicenda, intervista la principale garrula responsabile dello scempio, magnificandone l’impresa truffaldina in favore dell’Università, l’istituzione più disprezzata da Zeri. Cosa che manifestò platealmente a Bologna, l’Università che lo ha defraudato con false lusinghe:
“Non mi piace l’università italiana. Non si può essere professori a vita. Bisogna sottoporsi a controlli e verifiche che la società e i giovani richiedono. Detesto i concorsi di cui si conosce con largo anticipo il vincitore e i docenti che procurano dei buoni pasto alle loro ‘favorite’. La mancanza di controllo favorisce la corruzione. Suggerisco che ogni quattro anni si rinnovino i contratti dei professori, su parere della Facoltà e degli studenti … detesto che l’università sia un porto immobile e che il professore, una volta nominato, sia sacerdote per l’eternità”.
Una tipica emerita ‘favorita’ lo ha spudoratamente ingannato. Ma non si sottrarrà alla maledizione di Zeri.
Vittorio SGARBI Roma 15 agosto 2021