di Nancy IMPELLIZZERI
Così come per il Libro per antonomasia, la Bibbia, anche l’altra opera che fu in grado di eternare e celebrare le debolezze e, al contempo, le virtù dell’humana carne, cioè la Commedia dantesca, ebbe un seguito fortunatissimo ed illustrissimo di commentatori/interpreti volti ora a conciliarne posizioni ideologiche contrastanti, ora a valorizzarne alcuni aspetti retorico-dottrinali a discapito di altri. Difatti, durante l’età umanistica, gli esponenti della nuova corrente culturale non poterono fare a meno di misurarsi con il genio dantesco e con l’enciclopedica opera che ancora oggi riesce ad affascinare e catturare gli animi di qualsiasi tipo di lettore e che non ha mai smesso di regalare soprese e novità agli studiosi che hanno voluto dedicarle la loro esistenza.
È proprio durante la prima metà del Quattrocento che acuti commentatori iniziano a lavorare sul testo del Divino Poema. Tra i primi, sicuramente, auctores sensibili alla componente spirituale ivi contenuta e veicolata, quali Giovanni Bertoldi da Serravalle e Benvenuto da Imola, ma anche attenti e pasciuti lettori come il Boccaccio, guidato e affascinato certamente, dalla componente prettamente letteraria e dagli oneri politico-civili. Ma, ciò che passa alla storia critico-letterario come prodotto ineguagliabile ed ineccepibile è il commento alla Commedia di Cristoforo Landino attraverso il quale il medesimo riuscirà a godere di una fama che è quanto più vicina a quella dello stesso ghibellin fuggiasco. Anzi, per ben due secoli chiunque si cimenterà nella lettura del poema e si accosterà a Dante lo farà proprio attraverso il filtro landiniano[1].
Tale summa di stampo neoplatonico e ficiniano, dal titolo Comento di Christophoro Landino fiorentino sopra la Comedia di Danthe, vedrà la luce nel 1481 per mano del fiorentino Niccolò di Lorenzo della Magna e sarà rifinita ed implementata dagli insuperabili disegni della matita botticelliana, fratelli dei cicli iconografici conservati presso il Kupferstichkabinett di Berlino e la Biblioteca Apostolica Vaticana, incisi poi su lastre di rame dal Baldini attraverso l’innovativa tecnica del bulino.
L’edizione appare essere rivoluzionaria non soltanto per le scelte di riproduzione ivi sperimentate, ma anche e soprattutto per la mitizzazione del sommo che, compiuta dal Landino, trova qui il suo primo “protocollo” ufficiale. Proteggendo «Danthe et Florentia da falsi calumniatori», il Landino permette all’Alighieri di assurgere a simbolo universale di un’intellighenzia tutta fiorentina che cela anacronistiche sfumature patriottiche di certo non ostacolate dalla signoria medicea[2].
Il commento, già scrupolosamente curato nella fabbricazione (372 folia Royal prodotti direttamente dalla cartiera di Fabriano) riscuoterà immediatamente un’enorme fortuna, che lo porterà ad essere ristampato dai torchi veneziani incessantemente nell’arco temporale che va dal 1484 al 1536. Si pensi che soltanto questi ultimi produrranno ben 3786 copie tutte quante ligie alle regole mostrate al grande pubblico dall’edizione del 1481. In tal senso, appare proficuo ed esplicativo il confronto effettuato tra l’incunabolo smembrato e venduto in questo momento su ebay (figg. 1, 2, 3, 4 e 5) e il Landiniano 190 custodito presso la Biblioteca Passerini-Landi di Piancenza (figg. 6, 7 e 8).
Entrambi prodotti veneziani dello stampatore Pietro Quarenghi, entrambi databili nel XV secolo ed entrambi testimoni e latori delle medesime peculiarità testuali ed iconografiche.
Ritornando alla fama dell’edizione del 1481, estremamente interessante è la scoperta fatta da Lorenz Böninger presso i locali dell’Archivio di Stato di Firenze in cui è riuscito a scovare una copia del contratto originale sottoscritto dalle talentuose personalità impegnate nella fatica critico-letteraria[3]. Qui, è possibile toccare con mano quanto la produzione di una sola opera potesse costare sforzi e premure da cui oggi le nuove pratiche editoriali e digitali ci hanno definitivamente svincolati.
A parte il prodotto critico-letterario, ciò che continua ancora ad esercitare un certo fascino è certamente lo straordinario racconto che Giorgio Vasari ci tramanda sulla storia delle illustrazioni all’opera del Landino, esplicitando che il Botticelli «figurò lo Inferno e lo mise in stampa» e che il Baldini si basò sugli schizzi preparatori, «non avendo molto disegno, tutto quello che fece fu con invenzione e disegno di Sandro Botticello», intrecciando in tal modo le doti e le competenze di due talenti che, amalgamandosi, si completarono[4]. Ma lo studio sistematico di tale apparato iconografico ritorna utile nel momento in cui si vogliono indagare soprattutto le modalità di produzione e riproduzione dello stesso iniziato, verosimilmente, nei primi mesi dell’anno 1481 e completato prima del 1487, anno di morte dell’incisore.
In ogni caso è palese che, molto probabilmente ancora impegnato nell’individuazione dell’esperto incisore a cui affidare l’impresa, Niccolò di Lorenzo della Magna avesse proceduto a stampare le carte lasciando intenzionalmente degli spazi vuoti tra i vari canti, conscio sia del fatto che il recente impiego del rame avrebbe potuto apportare complicazioni all’intero processo di cui aveva, tra l’altro, già sperimentato gli effetti con la realizzazione delle tre tavole del Monte Sancto di Dio di Antonio Bettini da Siena del 1477 (fig. 9) e del fatto che, una volta stampata la pagina non avrebbe più avuto la possibilità di riprodurla.
Cosa che giustificherebbe la decisione di editare consapevolmente e coscienziosamente anche quei fogli che, custoditi oggi presso la Bodleian Library di Oxford e racchiudenti incisioni non perfettamente allineate o completamente rovesciate (figura 10), sono motivo direi di commozione, nonché testimoni tangibili di quanto anche la produzione tramite stampa fosse un processo artigianale ed umano e, dunque, non scevro di sviste ed errori.
Lo stampatore ebbe difficoltà non indifferenti nella gestione delle nuove pratiche di fabbricazione tanto che decise in un primo momento di stampare a parte ed incollare manualmente le illustrazioni e successivamente di desistere dall’impresa, interrompendo il ciclo figurativo al XIX canto.
L’intermittenza nella riproduzione e la diversificazione di fattura riscontrabili nelle incisioni oggi pervenute hanno permesso alla studiosa Alessandra Baroni di ipotizzare le differenti fasi della storia illustrativa dell’edizione e di classificare le stesse in cinque categorie ben distinte[5]. In ogni caso si suggerisce qui di consultare, per avere un’idea generale delle figure, la copia custodita dalla John Rylands University Library che è l’unico esemplare ad essere corredato da ben 20 incisioni (figura 11, 12 e 13).
Un’altra domanda che sorge spontanea dalla lettura della copia del contratto è quella che riguarda il numero delle tirature previste per l’edizione: ben 1125. Un numero certamente non esiguo, pensato ab orgine per acquirenti e lettori autoctoni, fiorentini e toscani, ma poi destinato immancabilmente a pullulare di stranieri appassionati e dunque ad allargarsi valicando i più impervi confini geografici.
Oggi i libri superstiti di quella tiratura sono 180 e risiedono nelle più svariate parti del mondo: dal Giappone al Brasile. Dato che ci torna utile per comprendere complessivamente l’iter che, partito certamente dai depositi dei più importanti librai italiani, le copie hanno compiuto nel corso dei secoli. Solo per fare un esempio, dopo ben 135 anni ne è registrata ancora la giacenza presso i locali dei fiorentini Giunti.
Si capisce bene, dunque, quanto illustre sia la tradizione legata al commento dantesco del Landino che è ormai assurta a cifra stilistica e culturale di un’intera Nazione.
In un balzo temporale che, soltanto la letteratura è in grado di farci compiere, ricopriamo noi ancora oggi il posto di quei lettori accaniti ed appassionati del Quattrocento che, con orgoglio, godevano dei prodotti che l’esclusivo talento e la maestria di ingegni peninsulari seppero confezionare e regalare al Mondo intero.
Lo smembramento dell’incunabolo della Commedia è un insulto al nostro patrimonio ed alla nostra storia letteraria, sociale e culturale. La sua vendita, su una piattaforma di eComerce culturalmente sterile e terribilmente materialista è un crimine, ma ancor prima, rappresenta un oltraggio ed un’onta indelebile ed ingiustificabile a cui, in nessun modo, saremmo in grado di restituire la giustizia e l’integrità che merita.
La mercificazione dei nostri prodotti culturali dovrebbe riguardare e toccare profondamente ed indistintamente ognuno di Noi e il grido unanime della Nazione dovrebbe far destare gli animi dell’intero pianeta di cui i sensi sono sempre stati appagati dai capolavori materiali ed immateriali prodotti all’interno dei nostri confini!
Nancy IMPELLIZZERI Zurigo 22 Dicembre 2022
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