di Claudio LISTANTI (video)
Anna Bolena – video trailer
Successo al Teatro dell’Opera per Donizetti ed Anna Bolena. Apprezzata la direzione di Riccardo Frizza assieme a due valide compagnie di canto nelle quali sono emerse le due protagoniste Maria Agresta e Francesca Dotto
Dopo il successo di Rigoletto, titolo scelto dal Teatro dell’Opera di Roma per aprire la stagione 2018-2019, anche il secondo spettacolo in programma prevedeva la rappresentazione di un’opera di primaria importanza nell’ambito della storia del teatro lirico italiano, Anna Bolena di Gaetano Donizetti che ha richiamato a teatro moltissimi appassionati; uno spettacolo che nel complesso si è rivelato valido e ben curato soprattutto nella parte squisitamente musicale. (fig 1)
Anna Bolena può essere considerata un’opera di ‘cambiamento’, per utilizzare un termine molto in voga oggi e non solo nel campo della musica, con la quale Gaetano Donizetti pose le basi per un rinnovamento dei contenuti espressivi e drammatici dell’opera lirica. Siamo nel 1830, ed il Teatro Carcano di Milano affidò al musicista bergamasco l’opera inaugurale della stagione di Carnevale 1830-1831. Questo teatro allora era praticamente pari, come importanza, al Teatro alla Scala con il quale era in stretta competizione artistica. Infatti per quella stagione il Carcano affidò, qualche mese dopo, la produzione di un’opera nuova a l’altro musicista emergente dell’epoca, Vincenzo Bellini, che per l’occasione diede vita a La Sonnambula. Entrambe queste nuove produzioni avevano alcuni ‘denominatori comuni’: il librettista Felice Romani, vero genio del teatro musicale, ed una coppia di cantanti formidabili che rispondevano al nome di Giuditta Pasta e di Giovanni Battista Rubini ‘stelle’ di prima grandezza nel vasto orizzonte dell’epoca.
Felice Romani creò per Anna Bolena una avvincente drammaturgia prendendo ispirazione da importanti fonti letterarie come Anna Bolena di Alessandro Pepoli del 1788, ed Enrico VIII ossia Anna Bolena di Ippolito Pindemonte, un ‘opera che può essere considerata una sorta di traduzione, specialità questa del Pindemonte, dell’Henri VIII di Marie-Joseph Chénier del 1791. Sintetizzando la trama si può dire che questo dramma rappresenta il rapporto tra Enrico VIII di Inghilterra e Anna Bolena, sua seconda moglie; una unione destinata a finire per il nuovo innamoramento del Re per Giovanna Seymour e per la presunta relazione prematrimoniale di Bolena con Riccardo Percy e anche per un ulteriore innamoramento del paggio di corte Smenton per la sua regina come per l’ambiguo comportamento del fratello di Bolena, Lord Rochefort.Tutti ingredienti che portano la sfortunata Regina alla pena capitale.
Tutto ciò, prodotto ottenuto da quanto la storia ci ha tramandato circa la figura di Anna Bolena e da quanto elaborato dai due drammaturgi, ha ispirato proficuamente l’inventiva di Felice Romani (fig 2) che, con estrema chiarezza, nell’introduzione al libretto dichiara di porsi dalla parte dell’innocenza assoluta di Bolena e di considerare la ferocia di Enrico VIII l’indiscutibile ‘motore’ della tragedia finale chiedendo anche di essere ‘… perdonato se in alcuna parte si discostò dall’istoria’.
Su queste basi letterarie Donizetti, come accennato, produsse una partitura che creava, indubbiamente, discontinuità con il passato. Il passato era Rossini. Il musicista pesarese aveva ormai chiuso la sua stagione di compositore nel teatro d’opera suggellando la sua immensa carriera l’anno precedente a Bolena, nel 1829, con il ‘colossale’ Guillaume Tell opera per quel tempo completamente ‘avveniristica’ in quanto mise a punto degli stilemi che poi furono ripresi e sviluppati a partire da metà degli anni ’40 dell’800.
Donizetti invece devia dalla struttura musicale del Rossini ‘classicista’ precedente al Tell, creando una partitura dal carattere ‘romantico’, nella quale estrema importanza rivestono i recitativi che rendono avvincente l’azione grazie anche all’accompagnamento musicale orientandosi anche verso l’utilizzo di molto espressivi ariosi. Inoltre riesce ad accantonare l’estremo virtuosismo delle arie raggiungendo incisività e vigore attraverso la frase enunciata donando anche nuova collocazione al coro portandolo ad una integrazione con il canto solista, quasi perfetta fusione tra i due elementi che ne arricchisce enormemente il senso drammatico e teatrale. In definitiva Anna Bolena può essere considerata come ‘ponte’ tra tradizione ed innovazione, dalla quale prese il via la grande stagione ‘romantica’ dell’opera italiana dell’800 che ebbe poi in Giuseppe Verdi il suo massimo esponente.
Per dimostrare ciò vogliamo portare due esempi, entrambi dal secondo atto: la cabaletta di Giovanna Seymour ‘Ah! pensate che rivolti’ chiaro esempio di brano di stile rossiniano, sia per il ritmo che per la struttura a rondeau che dimostra l’origine ‘classicista’ del primo Donizetti ed il grande finale con il coro ‘Chi può vederla a ciglio asciutto’ che introduce alla ‘pazzia’ di Anna ‘Piangete voi? Donde tal pianto? Recitativo colmo di estremo dramma che sfocia nella languida aria ‘Al dolce guidami’ un momento che contiene evidentissimi prodromi di quello che sarà una delle pazzie più celebri del melodramma donizettiano, quella di Lucia di Lammermoor e l’invettiva ‘Coppia iniqua’ pronunciata sugli echi lontani del matrimonio tra Giovanna Seymour ed Enrico VIII.
Anna Bolena ebbe grande successo dopo la prima assoluta grazie anche alla presenza dei già citati ‘mitici’ cantanti Giuditta Pasta -fig 3- (Anna) e Giovanni Battista Rubini (Percy) ai quali si affiancò anche un altro grande del tempo, il basso Filippo Galli nella parte del Re Enrico VIII. Il successo non fu però duraturo perché Anna Bolena ebbe, certo, molte repliche all’epoca, anche in varie altre città, non solo italiane, ma con l’esaurirsi dell’800 cadde praticamente in disuso. Fu riproposta con grande successo grazie a Maria Callas che nel 1957 alla Scala si rese protagonista, sotto la direzione di Gianandrea Gavazzeni e la regia di Luchino Visconti, di una storica edizione che ne restituì al pubblico tutto il suo splendore permettendo a questo capolavoro di rientrare saldamente in repertorio.
Prima di oggi al Teatro dell’Opera di Roma Anna Bolena fu proposta per la prima volta nel 1977 e poi nel 1979 nella stessa realizzazione scenica della Scala con protagoniste, rispettivamente Leyla Gencer e Katia Ricciarelli, per cui le recite di questi giorni erano particolarmente attese da tutti gli appassionati melomani. Questa attesa, a nostro giudizio non è andata delusa perché lo spettacolo, ricordiamo coprodotto con la Lithuanian National Opera and Ballet Theatre è risultato essere del tutto valido.
La realizzazione scenica è stata affidata al regista Andrea De Rosa che si è avvalso di Sergio Tramonti e Luigi Ferrigno per le scene, ad Ursula Patzak per i costumi ed a Enrico Bagnoli, è risultata finalmente scevra da qualsiasi strano spostamento d’epoca. Per l’analisi completa dell’allestimento rimandiamo all’articolo di Elena Tamburini che uscirà su queste stesse pagine di Aboutartonline.com
La parte squisitamente musicale, invece, è stata affidata al direttore d’orchestra Riccardo Frizza (fig 4) fresco di nomina a Direttore Musicale del Donizetti Opera Festival di Bergamo, quindi con le carte in regola per affrontare una partitura donizettiana così complessa, artista anche apprezzato qui a Roma per la buona prova di qualche anno fa in un altro lavoro donizettiano di particolare pregio, Linda di Chamounix, che ha confermato tutte queste premesse dimostrando di essere artista in sintonia con questo specifico tipo di repertorio, riuscendo a dare all’esecuzione il giusto impulso teatrale e drammatico. Risultati pregevoli ottenuti grazie alla molto evidente cura mostrata nei confronti delle singole parti vocali sia per i recitativi sia per le arie ma anche per le numerose scene d’insieme che costellano questa strepitosa opera valorizzando così al meglio non solo la prestazione dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma ma anche il Coro come sempre guidato con particolare efficacia da Roberto Gabbiani, per ottenere una esecuzione di pregevole unitarietà.
Due sono state le compagnie utilizzate per Anna Bolena entrambe bene assortite per le peculiarità vocali di ogni singolo personaggio; compagnie che per essere giudicate deve essere ben presente quale fosse la valenza di quei cantanti che nel 1830 diedero impulso a questi capolavori ed accantonare per un momento interpretazioni dell’epoca Callas perché analizzare i cantanti di oggi con quel metro si corre il rischio di essere fuorvianti pur riconoscendone senza indugi la grandezza assoluta.
La compagnia principale, da noi ascoltata nella recita di martedì 26 febbraio, ci ha fatto apprezzare, nel ruolo del titolo, una Maria Agresta (fig 5) di buon spessore vocale, molto precisa nelle emissioni ed in possesso di una voce adatta ad una linea vocale come quella di Anna Bolena, mostrando duttilità nel passare dalle note centrali a quelle acute così come a raggiungere con efficacia il registro basso il tutto confortato anche da pregevoli abbellimenti. Nel finale dell’opera è risultata ‘autoritaria’ nell’eseguire quanto Donizetti scrisse. Per lei un vero e proprio trionfo personale al termine della recita.
Anna Seymour era il mezzosoprano Carmela Remigio cantante proveniente dal repertorio barocco ma che ha frequentato il grande repertorio donizettiano come Stuarda e Devereux oltre a Bolena; una esperienza particolarmente ‘forte’ che le ha consentito di superare al meglio le asperità della parte. Una piacevole sorpresa, almeno per chi scrive, è stato il Riccardo Percy del tenore René Barbera ( fig 7) che ha messo in mostra una buona dizione ed una voce molto duttile nel superare le difficoltà intrinseche di questa parte (ricordiamo scritta per il fenomeno Rubini) grazie ad una invidiabile freschezza di emissione ed una naturalezza nel passare dal registro medio a quello acuto senza forzature regalandoci acuti pieni e ben tenuti. Anche per lui un buon successo personale.
Il bergamasco Alex Esposito (fig 8) basso già esperto della parte di Enrico VIII che ha interpretato con autorevolezza il ruolo mettendo in evidenza un’accattivante regalità supportata da una voce certo non ‘stentorea’ come molti vorrebbero ma indubbiamente affascinante nel timbro e nel colore.
Le altre tre parti sono state comuni a tutte e due le compagnie: Martina Belli corretta ed apprezzabile Smeton, Nicola Pamio un compito sir Harvey e Andrii Ganchuk anch’esso a suo agio nella parte di Lord Rochefort ricordando che il cantante ucraino fa parte dell’apprezzato progetto “Fabbrica” Young Artist Program istituito dal Teatro dell’Opera di Roma.
Anche per il secondo ‘cast’, che presentava cantanti diversi per la quattro parti principali, da noi ascoltato venerdì 1 marzo, ci sono delle note positive da segnalare. Anna Bolena era la trevigiana Francesca Dotto (fig 9) una voce che rispetto a quella della Agresta è senza dubbio più ‘lirica’ come dimostra anche il suo curriculum artistico, che la porta ad avere una voce di minor spessore ma che guadagna in agilità; una Anna di diverso calibro ma che è risultata comunque incisiva che è riuscita a regalare al pubblico un finale del tutto coinvolgente che ha gradito la sua prova sottolineata da decisi e scroscianti applausi quando si è presentata sola al proscenio.
Giulio Pelligra -fig 10- il tenore che ha interpretato Percy ha una voce un po’ ‘ingolata’ cosa che toglie smalto alle sue emissioni soprattutto nel registro acuto cosa che non gli ha impedito di fornire una prova del tutto apprezzabile. La Seymour era il mezzosoprano Paola Gardina cantante in possesso di un curriculum di tutto rispetto che spazia da Mozart a Berlioz che le consente di mettere in evidenza una voce sufficientemente robusta per ben figurare in una parte così complessa come questa permettendole di porsi a felice contrasto con quella di Anna. Dario Russo è risultato un Enrico VIII un po’ meno autorevole scenicamente del precedente ma per nulla in difficoltà con la specifica vocalità del personaggio grazie anche alla frequentazione del grande repertorio di basso elemento che è una costante della sua carriera artistica.
Entrambe le serate alle quali abbiamo assistito sono state salutate da un incontrovertibile consenso da parte del pubblico. Per quanto ci compete vogliamo dire che al termine di ogni recita siamo usciti da teatro convinti di aver assistito a due serate di ‘grande opera’ come non ci accadeva da tempo qui a Roma.
Claudio LISTANTI Roma marzo 2019