di Massimo PULINI
Pier Francesco Cittadini cap. II:
a Alberto Crispo
Una monografia a puntate
Anticipare in rete la struttura di una monografia dedicata a un pittore del Seicento bolognese, potrebbe sembrare uno spreco, ma trova una ragione nel fatto che proprio in questo contesto si manifesta in forma enfatizzata la distorsione della fisionomia artistica di Pier Francesco Cittadini. Chiunque cerchi sul web immagini corrispondenti al suo nome si accorgerà che quasi la totalità di queste è composta da ritratti, ritratti che nulla hanno a che fare con lo stile dell’artista e che spesso non trovano parentela nemmeno tra loro. Nessuna di quelle figure di donne in posa ha mai incontrato il nostro artista eppure sono stati chiariti da tempo gli errori storici che hanno generato tale sostituzione d’identità.
Pur senza averne certezza c’è da augurarsi che con questa serie di corpose pubblicazioni, che cercano di dare ordine ai generi veramente frequentati dal Cittadini, qualcosa possa mutare e venga almeno parzialmente risarcita la figura di un raffinato e versatile pittore. Eclettico al punto da saper dipingere tutto, ma guarda caso nemmeno un ritratto gli si può ricondurre con certezza, neppure uno delle centinaia che hanno trovato ostinata concrezione attorno al suo nome.
Questa seconda uscita è dedicata alle visioni di aperta natura, che nelle mani dell’artista divennero scenario per narrazioni di cronache popolari, di viaggi evangelici e di antichi miti.
I paesaggi abitati
Passando da un capitolo all’altro delle tante tematiche pittoriche che videro fiorire il cimento di Pier Francesco si trovano sempre opere che fanno da ponte, quasi servissero a una naturale transumanza di generi, che si passano parola da un dipinto all’altro. Incontriamo nuovi pascoli del pennello che offrono all’artista più duttile del Seicento bolognese il pretesto per dispiegare una inesauribile vena espressiva.
Nel precedente saggio, entro il quale ho composto una sequenza di Nature in posa, (cfr. https://www.aboutartonline.com/fine-di-un-equivoco-pier-francesco-cittadini-non-fu-ritrattista-ma-grande-pittore-di-natura-morta-e-novita-sul-fratello-carlo/ già erano presenti scorci paesaggistici, aperture di racconto agreste che ambientavano momenti di cortese erotismo, di passeggiate galanti o concertini in riva a un corso d’acqua. Tutto questo mentre nel boccascena si profondevano generosi raccolti dagli orti e dagli alberi, gustosi cibi usciti dai forni, quando non erano i boschi e i fiumi a offrire prede di caccia e di pesca.
Sul finire di quel percorso legato alle messi e indirizzato alla sollecitazione dei sensi, si incontravano anche due piccoli e aneddotici dipinti, eseguiti su lastra di rame, nei quali si esercitava un popolaresco teatrino stagionale. Di certo in origine facevano parte di una serie di quattro operette e sembravano giunte a noi solo l’Allegoria dell’Estate (Foto 1) e l’Allegoria dell’Inverno (Foto 2).
Già attribuiti al solo Pier Francesco, vi intravvedevo anche la mano del fratello minore, Carlo, che si sarebbe peraltro specializzato in minuziose nature morte di fiori e ortaggi. Ho potuto anche ritrovare due seconde redazioni dell’Inverno[1] che forse si devono al solo pennello del fratello minore (Foto 1a e 2a), segno della fortuna riscossa da tali invenzioni.
In un saggio di Alberto Crispo di qualche anno fa venne resa nota una Scena di mercato transitata in asta a Londra, che è interpretabile come una Allegoria della Primavera (Foto 3) e si aggiunge in modo coerente al piccolo gruppo, anch’essa infatti è eseguita su rame e ha le stesse misure delle operette già presentate[2].
Torna utile ricordare questo ciclo annuale precisamente per quel passaggio di testimone che instaura col tema che intendo sviluppare ora.
Per la stessa cardinale ragione, e sempre da uno spunto di Crispo[3], aggiungo alla lista delle Nature vive, ma anche a quella dei Paesaggi abitati, una splendida Pescagione con figure in riva a un fiume (Foto 4).
Inoltrandoci nel fondo di questa composizione troviamo infatti una striscia narrativa con due barcaroli che hanno appena traghettato da una sponda all’altra un viandante col suo asino e tre lavandaie intente nelle mansioni del bucato (Foto 4a). Una ha già finito il lavoro e si appresta a tornare a casa col carico di panni mentre le altre due, ancora sulla riva, sembrano prendersela con gli uomini e coi loro remi che intorpidiscono l’acqua.
I rari pittori bolognesi che nel Seicento affrontano argomenti di cronaca popolare, Racconti di paese li definivo nel titolo di una mostra[4], sapevano di dover affrontare resistenze e pregiudizi nel sofisticato e talvolta cinico ambiente artistico cittadino. Il coevo fenomeno dei “bamboccianti”, sviluppatosi a Roma intorno al 1630, veniva già dal nome considerato di genere basso, nonostante che gli insegnamenti dei numi tutelari della Felsina Pittrice, i Carracci, fossero non di rado indirizzati verso la lingua volgare, con una sensibile attenzione alla vita quotidiana. Gli aspetti più sapidi che si potevano cogliere nei rioni cittadini, fuori dalle taverne e nella generosa aneddotica contadina, furono oggetto di costanti riflessioni pittoriche di Pier Francesco.
Il pittore era chiamato “Milanese”, ma fu del tutto organico e armonico al panorama dell’arte emiliana. Non devono stupire i commenti sarcastici di Francesco Albani, che lo eguagliava a un venditore di frutta e di fiori[5], dato che il Cittadini, oltre a saper raccontare la cronaca con grazia e intelligenza, faceva esplicita concorrenza all’Arcadia del lezioso artista, di quasi quarant’anni più anziano di Pier Francesco e che stava passando una vecchiaia segnata dall’astio e dal sospetto.
Dopo aver fatto apprendistato a Milano presso Daniele Crespi, Pier Francesco Cittadini giunse a Bologna intorno al 1630, dunque un quattordicenne in fuga dalla peste. Ebbe da subito spazio nella bottega di Guido Reni, entro la quale dovette crescere godendo di una qualche indipendenza, se poche sue opere dimostrano l’asservimento che invece traspare da tutti gli altri allievi di Guido.
Forse seppe dimostrare rapidamente una propensione al paesaggio che gli permise un percorso dotato di maggiore autonomia, rispetto ad una scuderia di giovani che veniva formata sul culto della figura umana e sui valori più aulici della composizione sacra.
Lo stesso Guido Reni, pur avendo dato prova di un’eccelsa qualità di paesaggista, come anche recenti ritrovamenti permettono di chiarire[6], aveva da tempo lasciato ad altri l’applicazione alla natura e proprio Francesco Albani era riuscito a costruire intorno ai giardini del mito, il proprio fortunato marchio di fabbrica.
Possiamo scommettere che le vedute di Cittadini, terse di luce e chiare nel sentimento, composte quando era ancora dentro la bottega reniana, venissero molto apprezzate dal grande maestro che invece di relegarlo alle solite copie, applicò il giovane a scorci di paesaggi fors’anche all’interno di qualche suo dipinto.
Risulta ancora inestricabile una successione cronologica delle opere di Pier Francesco, soprattutto in ordine alle tele da stanza, che per quanto riscontrabili nelle antiche collezioni bolognesi, non risultano mai portatrici di firme e tantomeno di date.
Scene dal contado
In coerenza con il precedente capitolo di studio scelgo di approntare alcuni raggruppamenti di opere sul criterio di un’affinità tematica, iniziando dai suoi racconti popolari ambientati all’aria aperta.
Molto prossima alla serie delle piccole stagioni su rame segnalo una Scena di ristoro in cortile[7] (Foto 5), che ha la stessa atmosfera delle Stagioni.
Si è quasi tentati di cercare ragioni proverbiali, simili a quelle di Pieter Brueghel, nella descrizione di questa festosa Osteria all’aperto e un’aria da cantastorie fiammingo in effetti vi si ritrova. Ma a questo denso movimento di figure, paratattico si può dire, Cittadini predilige più spesso una sobrietà di esposizione, come uno scrittore che scelga una forma letteraria piana, semplice. Una coppia di tele[8] (Foto 6 e 7) che avevo inserito nel percorso della già ricordata mostra centese, rappresenta nel migliore dei modi il gusto pulito e limpido che è nelle migliori corde di Pier Francesco.
Gli episodi vengono esposti in modo asciutto e lineare: un ragazzo che cade dall’asino, viene deriso da due sfaccendati e un bisticcio tra due contadine, forse una madre che rimprovera la figlia per aver fatto cadere una cesta di frutta mentre stavano per giungere a un cascinale. Attorno ai protagonisti di queste minime accidentalità, il paesaggio si apre essenziale e discreto, senza eccessi di natura o fasti di architettura. Tutto trova un proprio metro e l’insieme raggiunge un equilibrio formale che teme pochi confronti. Di poco più articolate sono altre due Scene di bucato[9] (Foto 8 e 9), che si svolgono nei pressi di un corso d’acqua, anche se i dislivelli del terreno non la mostrano direttamente. Pure questo espediente compositivo, che cela il principale elemento della narrazione, si iscrive in uno stile elevato e colto.
Quasi picaresco e come fosse uscito da una pagina del Don Chisciotte si presenta uno scorcio di Paesaggio con accampamento di nomadi[10] (Foto 10), rivelandoci un artista capace di intercettare verità di cultura europea e in qualche misura di superare con spirito moderno il proprio tempo. Lo dimostrano anche due opere che mi sembrano di puro intento documentario e di gusto anglosassone; rappresentano il Ricovero di armenti e figure[11] ritratte in azioni normali (Foto 11 e 12), che stanno al passo delle fortunate vedute di Karel Dujardin.
Altrove troviamo una vera e propria Transumanza di mucche e capre[12] (Foto 13) che scendono da un pendio, al seguito di una donna in sella a un asino.
Con buon anticipo sul gusto pittoresco il nostro artista si dimostra un vero flaneur di generi e risulta incuriosito anche da visioni di apparente normalità che tuttavia, in Italia, dovettero attendere altri due secoli per entrare nel repertorio collettivo. In tal senso il punto più estremo di questo minimalismo della visione viene raggiunto in un’opera che ancora non gli era stata attribuita. Si tratta di un dipinto di puro Paesaggio con piccole figure[13] (Foto 14) eseguito su rame che mostra una valle fiancheggiata da dolci promontori alberati, nella quale un cavaliere è in sosta, così come sembra fare anche una carrozza guidata da due cavalli fermatasi poco lontano, ma le loro dimensioni sono minuscole e lasciano la vera ribalta alla natura.
Già Eugenio Riccomini aveva precisamente intuito, nel suo saggio del 1961,
“quel sereno, melanconico accordo tra la narrazione dell’accaduto e la presenza silente della natura, anch’essa raccontata, fronda per fronda, balza per balza; fino a divenire il motivo del quadro, più che il fondo inerte di esso”.
Non si potevano usare parole migliori e anche i due dipinti di racconto, bucolico l’uno e aristocratico l’altro, che il grande studioso bolognese pubblicò in quella occasione (Foto 15 e 16), sono descritti in termini che vale la pena ricordare:
“…una partenza per la caccia; gli scudieri accudiscono ai cavalli, le dame si accomodano sul cassone rosso della vettura da campagna, i cani, la casa di villa addossata al declivio verde d’un braccio di valle appenninica; e la fronda alta, carica d’ombra, dei quercioni contorti. Luce di mattino d’estate, ancora tagliente sui manti dei cavalli e sull’arenaria della villa; già sfrigolante e carica sui dossi lontani..”[14].
Il viaggio sacro
Questo comporre per misura di semplicità Cittadini lo mantiene anche quando la visione ospita un episodio evangelico. In fondo anche una Sacra Famiglia, quando si trova in Fuga verso l’Egitto[15] (Foto 17), assume le pose e i gesti di meri viandanti. Lo possiamo vedere in quest’opera conservata al Puskin di Mosca, nella quale i nomadi incontrano un barcarolo che supplisce all’assenza di un ponte, pure loro usano un asino lungo quel viaggio lento e trapuntato di soste. Cittadini fa fiorire la propria vena lirica affrontando questi temi e solo la presenza di un angelo ricorda a noi la componente miracolosa di una scena altrimenti quotidiana.
Altre opere col tema del Riposo durante la fuga in Egitto[16] (Foto 18, 19, 20, 21, 22, 23, 23a, 24 e 25) declinano la sezione del viaggio da una condizione di lavoro pastorizio allo sposalizio tra natura e affetti.
Le tenerezze di contesto domestico si ambientano in un nido di verzure e fronde, che danno ombra e ristoro. Allora gli angioletti crescono di numero e si incaricano di mansioni utili, come portare qualche dattero, abbeverare l’asino o riempire la borraccia di zucca secca con acqua fresca. I risultati più o meno elevati forse dipendono dall’apporto del fratello Carlo, ma anche in quelli resta vivida la sincera attitudine inventiva del nostro artista, sempre accompagnata da una limpida e imperturbabile grazia. In un caso fortunato mi è stato possibile rintracciare un disegno (Foto 25a) che imposta tutta la scena di un “Riposo” e il tratto della sanguigna ci dichiara un’attenzione verso lo stile franto e scattante di Simone Cantarini. Questa serie permette di ricondurre al Cittadini anche altre riunioni più domestiche, passate nel mercato come anonime. Una inedita Sacra Famiglia con San Giovannino[17] (Foto 26) trova anch’essa un simile corrispettivo grafico conservato all’Albertina di Vienna (Foto 26a) e lì curiosamente non compreso, malgrado una iscrizione che lo riferisce puntualmente a Pier Francesco.
Inedito è anche uno Sposalizio mistico di Santa Caterina [18] (Foto 27), che declina questa fortunata formula di affettuosi incontri.
Sono classificabili come allo stesso modo anche l’Adorazione dei Magi (Foto 28 e 29) e
l’Adorazione dei pastori[19] (Foto 30) novità importanti proprio per comprendere una relazione con la parallela attività del pesarese Cantarini. Entrambi gli artisti erano oriundi a Bologna, ma vi stabilirono la loro vita al punto da divenire entrambi modello di pensiero per le generazioni successive. Va intesa in questa direzione la riforma di gusto che da loro deriva, giungendo a figure come Lorenzo Pasinelli, Gian Gioseffo Dal Sole e finanche Domenico Creti.
Tra incontri ed eremitaggi
Gli incontri divengono un vero e proprio motivo pittorico, utile a illustrare racconti evangelici che stanno a metà strada tra contado e città, quasi fossero l’arrivo dei viaggi appena descritti. La Visitazione[20] (Foto 31 e 32) è per eccellenza il frangente biblico entro il quale si iscrive questo fronteggiarsi di figure che si salutano abbracciandosi. La giovane donna che arriva dalla strada e l’anziana che l’accoglie, malgrado la differenza generazionale, interpretano lo specchio della consapevolezza, di coloro che si sentono accomunate nello stesso progetto miracoloso che le ha rese partorienti.
In buona misura anche le due opere che rappresentano l’Incontro alla Porta Aurea tra Sant’Anna e San Gioacchino[21] (Foto 33 e 34) modulano quella formula compositiva, completandola con una Immacolata Concezione e un nutrito coro di angioletti. Altro manifestarsi di una gestazione miracolosa che vede i genitori della Vergine concepirla da anziani nel semplice atto di baciarsi davanti alla Porta Aurea di Gerusalemme. Anche in questo caso la redazione più modesta contiene forse un apporto di Carlo, così come accade con due ovali su rame transitati in un’asta romana per opere di Filippo Lauri. Raffigurano una Sacra Famiglia in un paesaggio e un Gesù Bambino nella bottega di San Giuseppe[22] (Foto 35 e 36).
Recentemente ricondotto a Pier Francesco e studiato da Alberto Crispo è un Lot e le figlie in fuga da Sodoma (Foto 37) già appartenuto alla galleria Pietro Cantore di Modena, simile a un dipinto conservato a Dresda (Foto 38) reso noto molti anni fa da Eugenio Riccomini. Mentre al solo Carlo va ascritto un inedito che è variante delle altre due redazioni[23] (Foto 38a).
Dal tema del Viaggio e degli Incontri arriviamo così a quel che concettualmente gli si oppone: il deserto. Un deserto biblico che nella sua traduzione pittorica, da sabbioso, si trasforma nella radura di un bosco, come è il caso dell’Agar nel deserto del Museo di Dresda (Foto 39) dove il deserto viene inteso come eremitaggio, la stessa accezione entro le quali si ambientano gli anacoreti come due inedite e differenti interpretazione della Maddalena in penitenza (Foto 40 e 41)
entrambe scambiate per opere di Gian Gioseffo Dal Sole (Bologna 1654 – 1719)[24]. Sono dipinti che in effetti anticipano un tono di grazia anche nella rappresentazione della mistica più estrema, come sarà in tutta la pittura bolognese del Settecento. In perfetta continuità stilistica all’ultima Maddalena visitata da un angelo che le mostra la corona di spine, accosto una Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso delle collezioni del Castello Sforzesco [25] (Foto 42) che già da qualche tempo avevo riconosciuto al Cittadini, mentre un’altra Cacciata dei mercanti dal Tempio (Foto 43), venne resa nota da Nicosetta Roio nel 1996[26].
Dopo aver frequentato le radure più remote, ritroviamo l’artista alle prese con un movimento di massa che conta trenta figure e una complessa invenzione architettonica. Cittadini sembra gareggiare, in quest’opera, con l’identico soggetto eseguito da Francesco Gessi intorno al 1648 per la Certosa di Bologna (Tavola A). Ho sempre pensato che la delicata affettuosità delle figure di Pier Francesco si ispirasse, come per diretta eredità, a quella di Gessi e forse nel periodo in cui questi aveva assunto i vasti incarichi per la Certosa, il Cittadini gli fu di qualche aiuto. Nel vasto dipinto bolognese ci sono figure che lasciano intuire l’apporto di Pier Francesco, come il vecchio barbuto e canuto sulla destra che sta scappando con una cassetta sotto braccio, ma anche certi visi nelle retrovie.
Giunti a questo punto della nutrita serie di opere credo sia possibile farsi un’idea dei tipi fisici ricorrenti e cari al nostro pittore. L’attenzione al dato naturale si accompagna a formule di sintesi formale che affiorano sopra ogni altra cosa e che siglano l’autografia dei suoi quadri. Almeno per le figure di piccolo formato o per quelle che abbiamo visto agire sullo sfondo di tante nature morte, non comporta troppa fatica il riconoscimento e data la sua attitudine a fondere i generi viene da chiedersi per quale ragione non l’abbia fatto trovandosi nella richiesta di un ritratto. Ritengo che solo quando si scopriranno le sue inconfondibili figurine alle spalle di un personaggio dipinto in primo piano potremo riscrivere anche quel capitolo della sua attività.
Le prediche e i raduni di folla
Dunque Cittadini sapeva reggere con eleganza sia le scene minimali e quasi spoglie, quanto le piazze affollate e scosse dall’azione. Anche in paesaggi aperti l’artista aveva costruito racconti di folla e i soggetti che in tal senso ritornano più frequenti sono la Predica del Battista[27] (Foto 44 e 45)
e il Battesimo di Cristo[28] (Foto 46 e 47).
Pur non ripetendo le medesime formule risulta tuttavia ricorrente un’atmosfera tersa e una coreografia di delicata gestualità che ritroviamo familiare quando ci si imbatte in opere inedite dell’artista. Tra queste riunioni campestri qualche tempo fa ne ho ritrovata una di singolare efficacia narrativa. Si tratta di un Miracolo di San Dionigi[29] (Foto 48) nel quale il santo vescovo, venerato dai francesi come Saint Denis, dopo essere stato decapitato nel colle parigino di Mont Martre raccoglie la sua testa e si avvia verso il luogo della propria sepoltura, terrorizzando comprensibilmente tutti gli astanti.
Va considerato che questa raffinatissima opera, condotta con un’acuta attenzione dell’artista, possa essere stata eseguita quando Pier Francesco si trovava ancora sotto l’ala di Guido Reni, quando cioè poteva avere a portata di mano esempi paesaggistici che il maestro aveva compiuto all’esordio del secolo.
Il chiarore cristallino di questo Miracolo di San Denis trova infatti grande corrispondenza con due opere giovanili di Guido recentemente ritrovate: un Ballo campestre (Londra, Matthiesen) e un Paesaggio con Amorini in gioco (Pesaro, Altomani & Sons) (Tavole B e C). Forse l’eccezionale attenzione esecutiva può dunque derivare dalla consapevolezza di venire esaminato dal grande ed esigente artista, ma anche nella piena maturità Pier Francesco mostrerà una generosa dedizione pittorica, come nella coppia di ovali transitata dalla Galleria Fondantico di Bologna e raffiguranti Storie di Ester e Assuero[30] (Foto 49 e 50). Sono immagini molto articolate nella scena e polite nella tavolozza; il loro supporto è metallico, una lastra di rame che si dimostra molto congeniale a uno stile fine e dettagliato, oltre a poter conservare integra la purezza cromatica originale.
Certe opere di Cittadini eseguite invece su tela hanno subito un assorbimento parziale delle sfumature pittoriche per via di un’imprimitura troppo ricca di bolo. Ne risulta un effetto trasudato simile a quello voluto e cercato da Simone Cantarini nei suoi monocromi incompiuti. Questo è forse il motivo di uno scambio attributivo durato vari decenni che portò a ritenere di Simone l’Atalanta e Ippomene di Pier Francesco[31] (Foto 51) della collezione Dell’Acqua di Ferrara; altro riuscitissimo movimento di folla, con spiccata sapienza architettonica, vedutistica e sentimentale.
Simone Cantarini dovette essere comunque un punto di riferimento costante per Cittadini e molte opere del nostro dimostrano uno studio diretto sui disegni del Pesarese.
Altro assorbimento dovuto alla mestica di base è riscontrabile in un Ritrovamento di Mosé che identificai quando si trovava nella Galleria Giano di Arezzo (Foto 52) e anche questo tema biblico, che si svolge in riva a un fiume con corredo di fanciulle, si presta al gusto dell’artista, che lo ha replicato alcune volte[32] (Foto 53), ritrovandolo documentato anche nell’antica e prestigiosa collezione Ercolani di Bologna.
Dall’Antico Testamento derivano altri temi campestri, presento infatti una Rebecca al pozzo[33] (Foto 54) transitata a New York come opera di anonimo romano del XVIII secolo, quando torna sovrapponibile alle più sapide espressioni del Cittadini.
I giardini del mito
L’ultimo capitolo tematico riguarda una vasta serie di dipinti e con essi il racconto si riconduce verso una sorgente antica, originaria, quella del rapporto tra natura e mito.
La Bologna della prima metà del Seicento diede un importante contributo alla definizione del Paesaggio arcadico elevando questo tema a vero e proprio genere. Annibale Carracci in primis ne diede rilancio e misura; Domenichino e la schiera dei suoi collaboratori, Grimaldi, Viola e altri, ne portarono a sistema il linguaggio; il Mastelletta deviando da quel flusso vi aggiunse una visionarietà dionisiaca, ma anche Reni vi contribuì col suo sguardo diamantino e soprattutto Francesco Albani raccolse i frutti di quelle premesse coniando una maniera edulcorata intorno alle narrazioni olimpiche di Ovidio.
Pier Francesco Cittadini, pur mirando lui stesso a una coreografia di grazia, perfezionò la propria voce nel panorama classicista bolognese, intonandola su di una luce solare, attraverso descrizioni sincere eseguite da un pennello corsivo, spigliato.
Dovette essere vasta anche questa sua applicazione espressiva se continuano ad emergere opere ispirate alla mitologia. Un piccolo rame raffigurante una Pomona come Allegoria dell’Autunno (Barcellona, Artur Ramon Art) (Foto 55) è accostabile a un analogo dipinto della Galleria Altomani di Pesaro[34] (Foto 56), costruito con taglio ravvicinato, ma sono soprattutto i paesaggi aperti che declinano questa propensione classicista.
Il tema di Diana e le ninfe al bagno sorprese da Atteone[35] (Foto 57, 58 e 59)
affronta un contesto scenico che da Cantarini a Pasinelli, da Cignani a Dal Sole, troverà ruolo nel migliore repertorio della pittura felsinea.
Anche il Ratto d’Europa[36] (Foto 60, 61 e 62)
è un passaggio delle Metamorfosi che presta occasioni al pittore per disseminare bellezze discinte in un luogo ameno e ancor meglio nell’episodio del Giudizio di Paride[37] (Foto 63, 64 e 65),
intorno al quale presento varie versioni, una di esse è dipinta su di lastra di rame e tocca un vertice assoluto per il genere (Foto 66). Non escludo che pure questa, come il Miracolo di San Denis, fosse nata entro la bottega reniana, perché vi si avverte il contributo di un’altra personalità di rilievo. Per la stessa ragione che mi faceva percepire una doppia mano, ho tenuto sospeso per diverso tempo l’attribuzione a Cittadini di una Allegoria del Tempo (Foto 67) transitata il 23 aprile del 1993 a Londra presso le aste Chistie’s, con un riferimento a Luigi Garzi. Solo di recente mi sono imbattuto nella descrizione di un dipinto presente nell’inventario dell’antica e prestigiosa raccolta Aldrovandi di Bologna: “una Speranza incatenata dal Tempo, la Fama e un puttino aggiunto da M. A. Franceschini”. La puntuale corrispondenza restituisce ragione a questa operina che il documento riferisce come eseguita su rame e funzionale a un “orologio da tavolino”[38].
Tutta di Pier Francesco è una complessa scena tra interno ed esterno, ispirata all’Odissea, che ritrae Ulisse al cospetto di Circe[39] (Foto 68), dopo che la maga ha trasformato i suoi compagni in animali. Un’opera con la quale idealmente si chiude questa sezione e che, proprio nelle figure plasmate a mezza via tra uomini e belve, si può apprezzare un saggio mirabile anche della capacità visionaria di Cittadini.
Restano solo tre ultime opere di puro piacere, sospese nel tempo dell’Arcadia più serena. Due schiere di Bacchini in un paesaggio[40] (Foto 69 e 70) che sembrano giocare lavorando, raccogliendo grappoli d’uva, per mangiarli e berne il succo.
Sotto una fontana di vino si riposa un satiro bimbo che ha le medesime fattezze di un Amorino dormiente[41] (Foto 71) recentemente ritrovato.
Se il Cittadini avesse avuto l’abitudine di eseguire ritratti avrebbe inserito qualche figura corsiva accennandola sullo sfondo, nella maniera delle tante ora presentate. Invece attendiamo ancora un ritratto firmato, ma come si è detto, ce ne basterebbe uno che prestasse al suo interno una seppur parziale conferma stilistica, sarebbe sufficiente un brano di natura morta o un suo tipico racconto aneddotico scalato nella scena. Amputare allora l’incongrua sezione ritrattistica, è un atto di potatura di rami infruttuosi e mette in conto una nuova gemmazione dell’albero. La prossima puntata dedicata al Fare grande, alle pale d’altare e alle opere di prevalente tema sacro, chiarirà quanto Pier Francesco fosse anche eccellente pittore di volti e corpi nelle loro dimensioni naturali.
Massimo PULINI Montiano, 31 Maggio 2020
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