P d L
Concepita evidentemente come una sorta di risarcimento verso un aspetto peculiare dell’attività svolta da Luigi Pirandello nell’ambito delle arti figurative e del rapporto tra queste e la sua produzione di critico letterario, la mostra Luigi Pirandello e la cultura artistica tra Ottocento e Novecento, svoltasi ad Agrigento agli inizi del 2018, ha effettivamente segnato un punto di approdo determinante, illuminando in modo originale e nello stesso tempo esauriente il lato finora poco esplorato del lavoro del grande scrittore e drammaturgo siciliano, quello di pittore.
Ne rende precisa testimonianza il notevole catalogo edito ad opera dell’Assessorato e del Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Sicilia che si presenta articolato sostanzialmente in due grandi sezioni; la prima, che presenta notevoli spunti di riflessione su cui concentreremo l’attenzione, contiene i saggi di Gabriella Costantino (già Soprintendente ai Beni Culturali di Agrigento), Anna Barricelli, Rita Ferlisi e Gaetano Bongiovanni, dedicati rispettivamente a Pirandello quale critico d’arte, ai suoi rapporti con Anticoli Corrado, alle sue idee circa l’illustrazione letteraria e infine ai quadri inediti di tre autori del suo tempo meritevoli d’attenzione, quali Natale Attanasio, Umberto Coromaldi e Roberto Melli.
L’altra sezione, anch’esssa non priva di novità e di approfondimenti, è costituita dalle ampie schede dei 28 lavori presenti in mostra, opera di artisti dell’epoca pirandelliana, alcuni dei quali di caratura internazionale, che effettivamente seppero percorrere in modo consapevole e spesso originale un loro tragitto specifico dentro la temperie culturale che si stava snodando sotto lo sguardo interessato del maestro agrigentino ed alla quale, come in effetti fa notare nella sua Presentazione Gabriella Costantino, “Luigi Pirandello rivolse la sua attenzione in diverse testimonianze e scritti”. La mostra insomma, come nota la studiosa
“fa risaltare lo sguardo particolare dello scrittore sull’arte e sugli artisti, dell’uomo di cultura … che ha prodotto pagine di critica di natura diversa rispetto a quelle pur rilevanti elaborate in quegli anni … Uno sguardo che oggi nella distanza fornisce indicazioni preziose sugli artisti a lui cari”
ed allo stesso tempo ci dà lo stimolo, la “chiave d’acceso” per entrare nell’ambito della sua produzione.
Va detto che l’obiettivo dei curatori di questo evento, cioè la stessa Gabriella Costantino, con Gaetano Bongiovanni e Rira Ferlisi, si presentava insieme molto ambizioso e molto rischioso dal momento che rinchiudere negli spazi di una esposizione e poi di un catalogo di poco più di duecento pagine, il tema della cultura artistica che si sviluppò tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo –tema di inaudita vastità- poteva risultare velleitario e perdente; e se occorre notare come sotto questo aspetto in verità non compaiano, né forse ci si potevano attendere, clamorose sorprese, tuttavia considerando come la figura e l’opera artistica di Luigi Pirandello ne risultino del tutto rivalutate si deve dire che la scommessa sia stata in larga parte vinta, ed i saggi in catalogo ne danno ampiamente ragione.
A cominciare dall’inquadramento dell’attività giovanile del drammaturgo, quando, nella casa di campagna di Caos presso Agrigento (Girgenti) insieme alla sorella Lina si mette alla prova come pittore; e che non si trattasse di un semplice passatempo lo testimonia ciò che egli stesso ebbe a raccontare in seguito, confessando che “avrebbe potuto fare bene il pittore se non avesse avuto da fare lo scrittore”.
E’ l’epoca – siamo negli ultimi decenni del XIX secolo- in cui s’intrecciano in Europa, com’è ben noto, differenti esperienze e variegati movimenti, frutto di tematiche affrontate e discusse da numerosi studiosi, come viene puntualmente sottolineato nelle note dei saggi in catalogo. E tuttavia gli inizi del Pirandello pittore sembrano non risentirne, ancorata com’è la sua iniziale produzione a quella locale -cui ovviamente egli non può che far riferimento e su cui sembra gioco forza volersi attardare- a tematiche tradizionali, senza tracce precise o esempi che fossero in qualche misura collegabili alle istanze nuove che stavano agitando l’arte europea.
Scrive ancora la Costantino nel suo contributo intitolato Luigi Pirandello, pittore e critico d’arte, che oltre alla “versatilità alla pittura e alla musica” sperimentate in quei primi anni assieme alla sorella Lina, i riferimenti culturali non vanno oltre “la cultura figurativa del naturalismo siciliano di fine Ottocento”, tanto che le prime opere del grande scrittore, un autoritratto e due marine (fig 1) che esprimono “una preminente attenzione alla resa luministica”, rimandano all’esperienza della scuola di Resina e alla conoscenza dei lavori dei pittori macchiaioli, cui paiono richiamarsi anche le prove della sorella. E’ il periodo in effetti in cui i due fratelli “impegnati nel filone del realismo Ottocentesco … spesso si cimentano a riprodurre lo stesso paesaggio” (fig 2).
La permanenza –suo malgrado- di Lina ad Agrigento e la “vivissima nostalgia” che anima Luigi negli anni universitari, passati tra Palermo e Roma, e infine a Bonn, giustificano evidentemente il ricorso ad una tipologia figurativa contrassegnata da un forte intimismo, pur sempre collegato ai temi del realismo, che tale resterà anche negli anni successivi, allorquando approderanno entrambi ad altri lidi, la sorella “al Post impressionismo dei pittori toscani”, ed invece Luigi “all’espressionismo dei post macchiaioli livornesi”. Sarà a Parigi, negli anni venti, in quella favolosa Parigi divenuta ormai “capitale della cultura internazionale” che in effetti Pirandello riuscirà ad aprirsi alle novità e alle esperienze di stampo europeo che coniugavano la sperimentazione di nuovi linguaggi alle potenzialità espressive di artisti quali Braque e Picasso, che egli conoscerà direttamente, o dello stesso De Pisis con cui “condivide alcune esperienze formative” insieme al figlio Fausto.
E tuttavia l’artista italiano che il grande drammaturgo apprezzerà di più, sarà Armando Spadini ritenuto “il miglior pittore italiano a lui contemporaneo”, colui che immortalò scene di vita e “affetti famigliari”, dipingendo autoritratti con la moglie, con madri e bambini; il pittore che, come ebbe a scrivere Lionello Venturi “…abbandona i tumultuanti effetti di luce per amore della soavità del modellato, della fioccosa morbidezza, della trasparenza delle tinte…”. Fig 3 (il giudizio è riportato da Mario Ursino, cfr https://www.aboutartonline.com/andrea-spadini-oltre-armando-in-mostra-a-roma-le-sculture-bizzarre-di-un-artista-amante-del-dinamismo/)
Un’attrazione, quella per l’artista tra i più noti rappresentanti della scuola romana, non certo casuale. Siamo infatti negli anni appena successivi alla Secessione Romana del 1912-17, e la frequentazione oltre che l’amicizia a Roma con artisti contrari alle avanguardie e in specie al dirompente futurismo, come Bartolini, Casorati, Capogrossi, e appunto Spadini, mettono Pirandello di traverso rispetto alle prospettive delle avanguardie storiche mentre lo avvicinano, come dicevamo, alle istanze dell’espressionismo, privo però di quella “esasperazione della forma e della rappresentazione della solitudine umana … che faranno del figlio Fausto uno dei più grandi artisti del Novecento”.
Ed a Fausto, al decisivo periodo trascorso, in varie circostanze di tempo, ad Anticoli Corrado, ha dedicato il suo saggio Anna Barricelli, Fausto Pirandello e Anticoli Corrado, che ne ha descritto in modo esauriente la figura e la vicenda artistica negli anni della formazione e in quelli successivi. Molte cose sono state scritte sul borgo laziale, divenuto famoso già a metà dell’800 per il fatto di essere divenuto meta di numerosi pittori stranieri di varia nazionalità, arrivati a Roma alla ricerca dei paesaggi e delle atmosfere tipiche della campagna romana, e divenuto addirittura proverbiale per la genuina prestanza delle sue rigogliose abitanti sempre disponibili a proporsi come modelle per pittori ed artisti dell’epoca; una di queste, Pampilia D’Aprile, sarebbe anche diventata moglie di Fausto (una scultura in bronzo realizzata da Amleto Cataldi nel 1912 la rappresenta nuda come una Ninfa nella Fontana dell’Anfora al Pincio).
Negli anni venti in particolare la cittadina sembra essere divenuta un vero e proprio punto di ritrovo per intellettuali di varia estrazione; vi transitano infatti critici, artisti, letterati fra i più noti, come Virgilio Guzzi, Massimo Bontempelli e Corrado Alvaro, Ettore e Titina Maselli, ma poi Guttuso, Severini, Gentilini, Mario Mafai e Antonietta Raphael, Trombadori e Socrate; insomma il fior fiore delle tendenze allora in evidenza, per non dire di Margherita Sarfatti “acuta critica e promotrice del Novecento italiano” la quale “grazie alla disponibilità del ministro Bottai sponsorizzò la prima raccolta d’arte contemporanea privata” poi donata ad Anticoli.
E’ in questo clima che Fausto inizia la sua maturazione artistica e un percorso che, segnato senza dubbio dai temi della Secessione e dell’Espressionismo, lo porterà a Parigi a contato con il gruppo Des Italiens di Severini e De Pisis, nonché ad approcciare le idee estetiche della pittura metafisica con De Chirico e Savinio e delle correnti d’avanguardia europea, affascinato peraltro dalla pittura di Cezanne e Picasso che però evitava di imitare perché, come poi scriverà Lionello Venturi “non capiva la visione simultanea di spazio e tempo”.
Un coacervo di componenti che si dispiegheranno, una volta rientrato a Roma nel 1930, in un “naturalismo tonale non esente da suggestioni metafisiche” come nota la Barricelli la quale indica come esempio il famoso dipinto intitolato Bagnanti (fig 4) e dove l’autrice individua “nella folla dei corpi scalcinati lungo le spiagge desertiche” quasi una premonizione di “belliche stragi”.
Si tratta in effetti di un lavoro paradigmatico, ma non tanto per riguardo alla terribile conflagrazione bellica che sarebbe scoppiata di lì a qualche anno, quanto come “metafora del contrasto di vita e di morte” se si accetta la datazione proposta da Fabio Benzi, desunta a seguito della morte del padre e spiegata con accenti – “l’uomo bagnante è come l’uomo portato dal vento …”- che richiamano i noti versi di Soldati, che Ungaretti, compose nel ’18.
Ne emerge nel complesso la figura di un “Fausto Pirandello pittore tormentato”, quale in effetti è stato classificato coram populo da gran parte della critica d’arte e che la studiosa sottolinea evidenziando come in ciò abbia avuto un ruolo decisivo “la sofferenza mentale della madre” cui egli “si immedesima” ed anche il tormento esistenziale che nel padre Luigi si trasforma in dramma psicologico.
Una miscela esplosiva dal punto di vista compositivo, il cui punto di arrivo è ben testimoniato dalle Crocifissioni risalenti alla metà degli anni Trenta che non possono che delineare “più che sacre icone, emblemi laici di umana tragedia” (fig 5) come scrive l’autrice, e che “nei volti sindonici ricordano gli ultimi autoritratti di Fausto”, chiaro presentimento della morte imminente (fig 6), che lo coglierà infatti di lì a poco.
Ma ritornando alla produzione di Luigi Pirandello, Rita Ferlisi nel suo saggio La parola all’immagine. Brevi note su Luigi Pirandello e l’illustrazione letteraria mette in evidenza come la narrazione per immagini, pure tentata in diverse circostanze da vari pittori sui testi dello scrittore agrigentino, fosse stata in realtà in qualche misura oggetto di tentativi da parte del drammaturgo stesso attraverso “schizzi e disegni meditativi” lasciati sui suoi Taccuini, sui quali, ossia sul loro valore intrinseco quali scritture ‘particolari’, una breve digressione in effetti pensiamo vada fatta.
Inquadrati nel territorio irregolare delle scritture dell’io, quasi fossero una sorta di chiave per entrare nella zona creativa più intima dello scrittore, nella sua psiche, i Taccuini possono aiutare a delineare alcuni tratti basilari del percorso di ricerca compiuto da Pirandello, penetrandone l’immaginario. Seguendo questo filo rosso anche sul terreno dei controversi rapporti tra immagine e parola, la Ferlisi trae un giudizio netto riguardo a quanto egli poté pensare “sulla immagine seriale che accompagna la parola”, inquadrandolo nella logica tutta novecentesca espressa nell’ossimoro della “assoluta relativizzazione”, così spiegata:
“La vignetta offende perché determina e quasi irrigidisce in un’espressione troppo precisa le immagini del poeta, quando non le falsi”.
La studiosa non a caso prende come esempio significativo del pensiero pirandelliano a questo riguardo il noto romanzo pubblicato una prima volta nel 1916 con il titolo Si gira … poi mutato in I Quaderni di Serafino Gubbio operatore in cui “ immagine e parola appaiono incompatibili: l’immagine è ‘muta’ e autosufficiente come la parola poetica”; di qui “la negatività pirandelliana riguardo ad alcuni aspetti dell’illustrazione letteraria”.
Ma il romanzo, che affronta i temi attualissimi della macchina e della contemporaneità, comporterebbe in verità un’ulteriore serie di riflessioni, non tutte proponibili in questa sede, a cominciare dalla fatuità dell’esistenza, vista come corsa continua, in un mondo dominato dalla macchina, nel quale non c’è tempo per riflettere neanche sul significato della vita e della morte. E’ un tema che con ogni evidenza non può non tener conto del fatto che già dalla metà del secondo decennio del XX secolo nel nostro paese si vanno via via diradando le forti spinte innovative che erano state il vero elemento distintivo della cultura nella prima parte del secolo stesso, dal momento che, in concomitanza con l’affermazione e quindi del consolidamento della dittatura fascista, si vengono a manifestare sintomi di chiusura, di “richiamo all’ordine”, che investono progressivamente la letteratura ed anche le arti figurative.
In questo contesto è come se scrittori, critici, artisti, cioè gli intellettuali dell’epoca fossero chiamati a prendere posizione su quanto accadeva, al punto che le loro stesse opere –oltre che in genere il clima culturale- recano segni evidenti di una ideologizzazione molto accentuata .
Ne potrebbe derivare che la forte contrapposizione che Pirandello ebbe a manifestare nei confronti delle avanguardie dell’epoca, si possa far risalire ad una contrapposizione ideologica?
Difficile a dirsi e però l’interrogativo in una qualche maniera rimbalza tra le pagine del nostro catalogo. Secondo la Ferlisi, ad esempio, proprio sul versante ideologico, quanto meno per qualche tratto
“la posizione di Pirandello (fu) coincidente con quella di Marinetti per quanto riguarda alcuni aspetti del cinema di cui entrambi negavano l’impossibilità di scimmiottare il teatro di posa”.
Ma se volessimo tirare le conseguenze, la posizione del drammaturgo sembra più di carattere difensivo, se si può dire, in ogni caso ancora poco disponibile ad aprirsi a questi campi d’indagine, se è vero che –come scrive ancora la Ferlisi-
“Pirandello non si avvicinò mai ad esse, né comprese le urgenti istanze espressive di uno dei movimenti avanguardistici più importanti d’Europa, il Futurismo …”
a cui peraltro “il mondo dell’illustrazione e della grafica fu molto legato”.
Lasciamo ai lettori gli approfondimenti che la studiosa propone sul tema del “rapporto dello scrittore con le arti visive” che ha saputo riportare –con la mostra di cui si parla- all’attenzione del pubblico artisti anche minori che incrociarono la vicenda umana e artistica di Pirandello; ci basti citare qui che vi partecipavano anche opere di autori non certo minori quali Adolfo Tommasi, Attilio Pratella, Antonio Antony De Witt, opportunamente ricordati dalla Ferlisi come coloro che celebrarono le Myricae, la prima raccolta poetica di Giovanni Pascoli.
E ancora su altri tre artisti punta la sua attenzione il saggio di Gaetano Bongiovanni il quale, come si diceva all’inizio, propone considerazioni di notevole importanza sull’arte di Natale Attanasio, Umberto Coromaldi e Roberto Melli. In particolare del primo lo studioso sottolinea “la straordinaria capacità nell’utilizzo dei mezzi pittorici”, in un’analisi incentrata principalmente su quelli che furono i motivi ispiratori delle sue creazioni, frutto di una riuscita miscelazione tra istanze partorite da un rinnovato naturalismo e “sopravvivenza di spirito romantico”, in cui si evidenzia l’attenzione per le tematiche sociali che non dispiacevano al pubblico borghese del tempo.
Ne sono efficace testimonianza alcuni dipinti, come ad esempio Le Pazze, (fig 7)
frutto di “lunghe giornate trascorse in un manicomio femminile”, o come Preghiera, con cui, secondo lo studioso, l’artista intendeva richiamarsi alle “attuali condizioni sociali femminili”. Ma sono le tecniche compositive, che si riflettono nelle “straordinarie capacità ritrattistiche di Attanasio”, che si può dire compongano la cifra stilistica del pittore catanese e che Bongiovanni ha inteso mettere in risalto, laddove sottolinea come “la resa materica delle stoffe e dei merletti”, “l’impostazione complessiva dell’immagine”, diano vita a “figure che rivelano un’intensa malinconia”. Non è un mistero che Luigi Pirandello rimanesse colpito da queste tematiche, tanto da assegnare “il posto d’onore” proprio ad un dipinto di Attanasio, l’Ospedale, esposto nel 1895-96 nella mostra di Belle Arti a Roma, che lo scrittore agrigentino recensì.
Bongiovanni riporta pressoché per intero il giudizio dello scrittore (ma stranamente non l’immagine del dipinto) che promuoveva l’Ospedale appunto, come il quadro “per concezione e sentimento il più importante tra tutti i quadri della mostra”. Un giudizio -basato sul “sentimento drammatico” di una “scena colta sul vivo e resa con tanta sincerità” e dove perfino la “tinta lucida” del pavimento “agghiaccia il sangue allo spettatore”-, non poteva che nascere dalla conoscenza prima e dall’amicizia poi con Luigi Capuana che Pirandello frequentò a Roma e che da tempo teorizzava L’opera d’arte come organismo vivente, un’idea che non escludeva ed anzi in un certo senso imponeva, nella raffigurazione della realtà che si voleva rappresentare, l’indagine dei processi psicologici e l’attenzione alle loro conseguenze, lette secondo i principi della moderna fisiologia.
Siamo in effetti interni ad un’atmosfera culturale cui non dovette essere estraneo il linguaggio di Umberto Coromaldi “un giovane pittore che lascia sperar molto di sé” come pronosticava inizialmente Pirandello, che inseriva però decisamente il lavoro del “giovane pittore” nell’ambito stretto di Camillo Innocenti; per lui, scriveva infatti “valgano le considerazioni fatte intorno all’opera dell’Innocenti”. L’artista romano –peraltro di un anno più giovane di Coromaldi- era tra quanti inevitabilmente ruotavano allora, intorno ai primi anni Novanta dell’Ottocento, nell’orbita carismatica di Gabriele d’Annunzio, come il più titolato Francesco Paolo Michetti che Innocenti peraltro ebbe modo di frequentare a Francavilla.
Coromaldi aveva però conosciuto anche l’insegnamento di Antonio Mancini e, come aveva già intuito Giovanna Bonasegale, amava “lo schizzo, il pastello e l’acquerello”, cosa che lo distingueva dai suo coetanei, interessati a valersi dell’uso della macchina fotografica, mentre la pittura di Coromaldi era direttamente “alimentata dal rapporto diretto con la natura” ; di qui i caratteri tipici del suo stile, che Bongiovanni riassume nella “stesura rapida e abbreviata, in cui il colore appare in parte steso a spatola”. E’ soprattutto una tela raffigurante una Marina, scovata dallo studioso nei depositi della Fondazione Sicilia di Villa Zito e fin qui inedita (Fig 8)
risalente ai primi anni del Novecento che “esemplifica al meglio le modalità operative del pittore”, insieme al notvolissimo Ritorno dei Naufraghi conservato a Palazzo d’Orleans (Fig 9)
Anche Roberto Melli fece parte della generazione che insieme a Fausto Pirandello si sarebbe avvicinata alla Scuola romana fino a divenirne “figura emblematica”; ed alla Scuola romana appartenne anche Armando Spadini, ferrarese come Melli ma ben più studiato come esponente di rilievo della cultura artistica del tempo, a cui l’autore infatti dedica poche righe ma significative, per rimarcarne, proprio dopo l’approdo a Roma, l’avvio di un’arte caratterizzata da “quella peculiare componente cromatica e luminosa” che fu allora la chiave del suo successo.
Di Roberto Melli Bongiovanni riassume la vicenda umana ed artistica come critico d’arte ch lo portò presto, dopo aver esposto alle mostre della Secessione romana negli anni ’13 e ’14, a divenire “un punto essenziale di riferimento nel panorama artistico romano”; fu lui in effetti a contribuire a far conoscere Capogrossi, Mafai, Cagli e lo stesso Fausto Pirandello. Della sua produzione pittorica Bongiovanni prende tra gli altri in esame un “particolarissimo Ritratto di Ragazza seduta … riferibile ai primissimi anni Quaranta” (fig 9) evidentemente perché gli consente un approfondimento dal punto di vista pittorico ; si notano infatti “stesure ampie e grumose, una sorta di tessitura caratterizzata da acceso cromatismo”. Inoltre certi particolari, ad esempio il mazzolino di fiori incartocciato che la ragazza ha in mano, consentono di istituire uno stretto parallelismo con i Fiori in un cartoccio dipinto da Giuseppe Capogrossi nel 1936 (fig 10);
ma soprattutto il dipinto si può raffrontare ad “uno dei dipinti più straordinari del ferrarese”, vale a dire il Riposo risalente al 1944 (fig 10) e che è stato annoverato da Maurizio Calvesi tra i capolavori di Melli.
Si chiude qui l’analisi del momento artistico e culturale che Luigi Pirandello visse in prima persona nella doppia veste di autore e critico; gli studiosi l’anno descritta proponendo una sintesi ben articolata delle personalità –“soprattutto del contesto artistico romano” come conclude Bongiovanni- cui lo scrittore rivolse le sue attenzioni; ciò che possiamo sottolineare per parte nostra, è la corale attenzione mostrata a proposte e modelli spesso riconducibili allo stesso orizzonte stilistico e culturale nella prospettiva però –come è stato ben messo da tutti in risalto- di una ricerca di varietà piuttosto che di subordinazione ad una esperienza univoca.
Insomma, in una condizione artistica che appare evidentemente ed obiettivamente interna ad un complicato gioco di emulazione/smarcamento, dove peraltro non mancano episodi di internazionalizzazione del linguaggio artistico, magari solo accennati o percepibili nei contributi proposti, l’evento siciliano e il catalogo che ne è uscito ci costringono in qualche modo a misurarsi “sulla complessità ideologica ed estetica del passaggio tra ottocento e novecento”, segnando un esito da cui non sarà possibile prescindere.
P d L Roma 5 gennaio 2020