di Mario URSINO
La collezione di Carlo I Stuart, un “reale” intenditore d’arte
Nell’Inghilterra della prima metà del secolo XVII si formò un collezionismo di supremo livello ad opera di tre figure di alta aristocrazia inglese: il 21° Conte di Arundel, Thomas Howard (1585-1646), il 1° duca di Buckingham, George Villiers (1592-1628), e il sovrano britannico Carlo I Stuart (1600-1649). Cosa cercavano questi eminenti personaggi della storia inglese per il loro gusto e prestigio personale? Desideravano soprattutto opere del Rinascimento italiano e fiammingo, e marmi dell’antichità classica greca e romana. E come potevano procurarsele? Fu grazie ad abilissimi eruditi e conoscitori d’arte che si muovevano in Europa e nel Mediterraneo a caccia appunto (spesso anche in competizione tra loro) dei capolavori che avrebbero figurato nelle grandi raccolte delle tre personalità sopra menzionate.
E chi furono costoro che acquistavano (anche in maniera talvolta spregiudicata) le opere per gli altissimi committenti? Per il 1° duca di Buckingham fu Balthazar Gerbier (1592-1663) [fig. 1], un architetto anglo-olandese; per il Conte di Arundel fu il leggendario William Petty (1587-1639), un erudito ecclesiastico che aveva studiato ad Oxford, nato poverissimo al confine dell’Inghilterra con la Scozia, segnato dal Vallo di Adriano, gran rivale del Gerbier (segnalo la sua storia nell’affascinante romanzo biografico, Vita straordinaria di William Petty [fig. 2], fittamente documentata dalla raffinata scrittrice Alexandra Lapierre, edito dalla Mondadori nel 2004). Il terzo era Daniel Nys (1572-1647) [fig. 3],
un mercante d’arte e collezionista fiammingo che suggerì a Carlo I, tra l’altro, l’acquisto di tutta la prestigiosa raccolta dei duchi di Mantova che la svendettero per le loro difficoltà economiche nel 1627; per comprendere l’importanza della collezione Gonzaga basti pensare alla grandiosa serie dei nove Trionfi di Cesare di Andrea Mantegna (1431-1506) [cat. 25-33, fig. 4], conservata oggi ad Hampton Court. Della raccolta del conte di Arundel, anch’essa dispersa, restano invece i famosi Marmi Arundel, conservati ad Oxford all’ Ashmoleum Museum. Di quella del Duca di Buckingham si ricorda qui, per l’importanza, la famosa serie delle dieci tele del Veronese aventi ad oggetto l’Antico e il Nuovo Testamento, conservate, ma smembrate, in tre dei maggiori musei del mondo: la National Gallery di Washington (Rebecca al pozzo) la Norodni Galerie di Praga (Adorazione dei pastori e la Lavanda dei piedi), ed infine le rimanenti sette al Kunsthistorishes di Vienna. (cfr. G. Piovene e A. Gentili, Veronese, Rizzoli-Skira, 2004).
La strepitosa collezione di Carlo I, che si dice contasse 1500 dipinti e 500 sculture, si formò tra il 1625 e il 1649, anche con l’apporto della sua consorte Henrietta Maria di Francia (1609-1669), esperta d’arte, che prediligeva il barocco italiano e anche grazie alla sua amicizia con Papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, poté procurarsi facilmente opere di Guido Reni, di Orazio e Artemisia Gentileschi e di altri maestri del Seicento italiano presenti in mostra. La raccolta fu poi dispersa, come è noto, dopo la decapitazione di Carlo I, nel 1649 e messa in vendita per decreto del parlamento inglese, tra il 1650-1653; i maggiori acquirenti di opere della collezione furono l’ambizioso collezionista, Arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo (si veda La raccolta dell’Arciduca Leopoldo Guglielmo a Bruxelles, 1650-52 di David Teniers il Giovane al Kunsthistorisches di Vienna, fig. 5), Filippo IV di Spagna, il cardinale Mazzarino (poi da lui lasciata al Louvre), la regina Cristina di Svezia, e altri privati collezionisti.
Successivamente la collezione di Carlo I fu in buona parte recuperata e incrementata dal figlio Carlo II Stuart (1630-1685), denominato merry monarch per il suo ostentato edonismo, quando questi ritornò sul trono d’Inghilterra nel 1660, dopo l’esilio in Francia alla corte di Luigi XIV, suo cugino. Con la Restaurazione fu costituita una commissione per la “scoperta e la restaurazione dei beni del re”, integrati da nuovi acquisti e anche da molte restituzioni di opere d’arte da parte di cortigiani che le cedettero per ingraziarsi il nuovo sovrano di Inghilterra.
La Royal Collection H.M. Queen Elizabeth II
“The art collections of King Charles I have long been considered the fountainhead of the British Royal Collection”, così scrive l’attuale Principe di Galles, Carlo, per introdurre la stupefacente mostra Charles I King and collector, a cura di Per Rumberg e Desmond Shawe-Taylor, in corso a Londra alla Royal Academy of Art, in partnership con la Royal Collection Trust (25 gennaio-15 aprile 2018). Suddivisa in nove sezioni, Artists and Agents, Madrid and Mantua, The Northern Renaissance, The Italian Renaissance, The Royal Portrait, Van Dyck and Rubens in England, The Queen’s House, The Mortlake Tapestries, The Whitehall Cabinet, la mostra si allinea in 140 opere, tra dipinti, sculture, disegni, medaglie, in buona parte provenienti, per il novanta per cento, appunto dalla Royal Collection, a partire dal famoso Triplice Ritratto di Carlo I, 1635-36 di Antony Van Dyck (1599-1641).
Singolare la storia di questo Charles I in three positions [cat. 3, fig. 6], poiché nel 1635 Henrietta Maria commissionò a Gian Lorenzo Bernini una scultura del sovrano suo marito, e per questa ragione inviò il dipinto a Roma affinché il celebre scultore italiano ne potesse trarre i lineamenti per un busto del re (cfr. D. Shawe-Taylor scheda n. 3, cat. p. 233; cfr. anche P. Rumberg che segnala, invece, in cat. p.150, la lettera di Carlo I del 1636 indirizzata al Bernini, chiedendogli un busto di marmo “after the painted portrait which we shall send to you immediately”). Bernini lo realizzò nel 1638, ma la scultura, come è noto, andò distrutta in un incendio a Whitehall nel 1698, (ne resta un’immagine dell’incisore reale Robert Van Voerst (1597-1636) [fig. 7].
Il Triplice ritratto di Carlo I del Van Dyck, dunque, rimase a Roma e fu molto ammirato, tanto da essere esposto per un certo periodo al Pantheon. Dai discendenti del Bernini, attraverso altri passaggi di proprietà, il triplice ritratto ritornò a Londra nella collezione reale per acquisto di Giorgio IV nel 1822 (cfr. D. Shawe-Taylor scheda n. 3, cat. p. 233).
Vediamo poi in mostra il celebre Ritratto di Carlo V con il cane, 1533, [cat. 16, fig. 8] del Tiziano dal Prado di Madrid, Mars, Venus and Cupido 1580-85c. [cat. 17, fig. 9] del Veronese della Galleria Nazionale della Scozia, nonché la citata serie dei nove teleri, I Trionfi di Cesare, realizzati tra 1485-1506, tutti di grandi dimensioni, tempere su tela, cm. 270,3×280 del nostro grande artista Andrea Mantegna. Dunque solo parzialmente è stato possibile ricostruire la raccolta di Carlo I, e non tutte le opere esposte, come già detto, provengono dalla Royal Collection, ma anche dalla National Gallery di Washington, dal Museo Nazionale di Madrid, dal Louvre e da diversi prestatori privati, come il Duca di Norfolk, che ha prestato il busto di marmo di Carlo I, 1636, [cat. 2, fig.10] dello scultore barocco francese, François Dieussart (1660c.-1661), al quale fu commissionato contemporaneamente a quello del Bernini; dal Getty Museum è poi arrivato di Van Dyck il Ritratto del XIV (? Il punto interrogativo è mio) Duca Arundel, 1620-21c. [cat. 10, fig.11];
e ancora dalla Frick Collection di New York una deliziosa piccola opera di Pieter Brueghel the Elder (1525-1569) I Tre soldati, 1568, olio su tavola, cm. 20,3×17,8 [cat. 42, fig. 12]; inoltre dal Rijksmuseum di Amsterdam un raffinatissimo disegno, Ritratto di Carlo I, 1632-36, carboncino su carta, cm. 47,9×36,5 [cat. 75, fig. 13] del Van Dyck, indubbiamente il maggiore pittore apprezzato dal sovrano inglese, (in mostra se contano addirittura 24 opere), e se ne possono ammirare ben 9 nella sezione V, The Royal Portrait, dove sono esposti in maggioranza i vari ritratti di Carlo I e di Henrietta Maria con i loro figli, o solo dei loro figli
[figg. 14-15-16-17]; e qui vale la pena di soffermarsi su quello del piccolo futuro Carlo II con i quattro fratelli: lui al centro che posa la mano sinistra sulla testa del grosso cane [fig. 18], analogamente alla posa del famoso Ritratto di Carlo V, del Tiziano, più sopra citato). Questa particolare posa regale del giovane Carlo II divenne modello dal quale sono state tratte nel tempo alcune antiche copie [fig. 19]. Imitato persino dal modestissimo e triste Genovesino, Luigi Miradori (1605-1656), con il Ritratto di Sigismondo Ponzone, 1646 (all’età di quattro anni, in una posa un po’ ridicola, con la mano sul cane, fig. 20) del Museo Civico Ala Ponzone a Cremona, di cui è in corso una mostra a Piacenza dal 4 marzo al 10 giugno, di questo, a mio avviso, “Van Dyck piccolo piccolo”.
Si deve perciò a Carlo II, come accennato in principio, il recupero di buona parte della collezione di suo padre Carlo I, allorquando salì al trono nel 1660. Abituato allo sfarzo della corte francese di Luigi XIV, portò anche in Inghilterra il gusto per il lusso e l’amore per l’arte. Dopo la morte del Van Dyck nel 1641, divenne pittore di corte l’inglese William Dobson (1610-1646), presentato a suo tempo dallo stesso Van Dyck, e che fu definito (forse esagerando) “il pittore più eccellente che l’Inghilterra abbia fino ad oggi incontrato” dal famoso scrittore John Aubrey (1626-1697), autore delle note Vite brevi di uomini eminenti. William Dobson, a mio parere, è da ritenere uno dei maggiori ritrattisti del suo tempo, molto stimato dagli inglesi, ma pressoché sconosciuto in Italia.
Nella mostra che stiamo esaminando è necessario vedere l’alta qualità del ritratto Charles II, When Prince of Wales, 1642c. [cat. 71, fig. 21] della National Galleries of Scotland, che ritrae il giovane principe, già pienamente consapevole di essere il futuro re d’Inghilterra (cfr. scheda 71 di Niko Muns e Desmond Shawe-Taylor, pp. 243-244); Dobson qui esprime al massimo il suo talento venato dalla ottima conoscenza della pittura veneta, con particolare attenzione al nostro Tiziano, amato dallo stesso Carlo I, come testimoniano i tre splendidi esemplari in mostra, il citato Ritratto di Carlo V con il cane, 1533, The Supper in Emmaus, 1534 dal Louvre, e la grande tela, The Allocution of Alfonso d’Avalos to his Troop, 1540-41, dal Museo del Prado a Madrid.
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Altro grande protagonista alla corte di Carlo I fu Pietro Paolo Rubens (1577-1640) che, come è noto, fu diplomatico a Londra prima ancora che pittore presso la casa reale inglese. Si recò infatti in Inghilterra nel 1629 per conciliare i rapporti fra Spagna e la corona inglese. Carlo I, conoscendo la fama del pittore, gli commissionò la decorazione del soffitto de The Banqueting Hall, Whitehall (cfr. G. Martin, Rubens painter and diplomat, cat, op. cit., pp. 155-161). Successivamente Rubens dipinse, al suo ritorno dalle Fiandre, lo stupendo Landscape with St. George and the Dragon, 1630-35 [cat. 83, fig. 22]. Nella collezione reale figurano anche altre precedenti opere del Rubens, come il suo Autoritratto del 1623, Il ritratto di Vincenzo Gonzaga II, del 1604-05c. il Ritratto di George Villiers, primo duca di Buckingham a cavallo, 1625 del Kimball Art Museum, Fort Worth, Texas; e il Minerva Protects Pax from Mars, 1629-30 [cat.14, fig. 23] della National Gallery di Londra: dipinto simbolico della conciliazione mediata dal diplomatico Rubens tra Filippo IV di Spagna e Carlo I, donato dall’artista al sovrano inglese prima della sua partenza da Londra, come si ricorda nella lettera del Rubens del 1630: “In honour of England of our Nation, from whom he hath received many courtesies” (in G. Martin, op. cit., p. 161). Sono anche molto note, fra l’altro, le parole che il pittore fiammingo pronunciò al momento di lasciare Londra, dicendo di Carlo I, “Il più grande amante della pittura tra i principi del mondo”.
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Notevoli in mostra anche i capolavori dell’arte rinascimentale del nord Europa (cfr. sezione 3, The Northern Renaissance) da Dürer a Rembrandt, da Holbein The Younger a Quentin Metsys a Jan Gossaert ad Adam Elsheimer, nonché i capolavori degli italiani (cfr. sezione 4, The Italian Renaissance), dai citati Mantegna, Tiziano, Veronese, agli amati pittori barocchi di Henrietta Maria, oltre ai summenzionati Gentileschi padre e figlia (che erano vissuti anche a Londra), troviamo importanti opere del Bronzino, del Correggio, di Dosso Dossi, di Jacopo Bassano, di Jacopo Tintoretto, di Palma il Giovane, Guido Reni e Cristofano Allori con la sua famosissima, sfolgorante opera, Giuditta con la testa di Oloferne, in collezione reale, (cat. n. 89), tutte opere, inutile dire, di altissima qualità, come si conveniva al gusto del “grande amante della pittura”, come Carlo I.
Mario URSINO Londra Marzo 2018