redazione
E’ stato presentato lo scorso Martedì 14 maggio alla Stampa Estera in Palazzo Grazioli con notevole concorso di attenti giornalisti tra cui molti stranieri: abbiamo visto la Vanguardia, Daily Telegraphe, Time e altri italiani (vivissimi complimenti all’uffico stampa che ha veramente lavorato alla grande) un piccolo “bozzetto” tratto dal Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti (una delle opere, intendiamo l’affresco ovviamente, certo più famose di tutta la Storia dell’Arte) che si è cercato di dimostrare – stavamo per dire di spacciare- di mano del genio fiorentino.
La studiosa Amel Olivares, sostenuta da monsignor José Manuel del Rio Carrasco, nomi non proprio tra i più noti dell’ambito degli studi michelangioleschi, ma presentatisi come specialisti di arte rinascimentale, dopo una ricerca durata ben 9 anni, tra archivi, fondi privati, fonti ecclesiastiche, etc, avrebbero insomma effettuato la sensazionale scoperta: un dipinto – il “bozzetto” di cui sopra- raffigurante una versione ridotta del Giudizio universale di Michelangelo, scomparso dai radar degli studiosi da oltre 100 anni e riapparso in collezione privata a Ginevra il quale altro non sarebbe che quello donato dal Buonarroti – peraltro con il suo autoritratto- ad Alessandro Allori che lo usò come modello per realizzare la pala d’altare realizzata nel 1560 nella cappella Montauto, nella basilica della Santissima Annunziata di Firenze.
Sarebbe ben sufficiente a contestare l’azzardata attribuzione l’articolo che Federico Giannini ha pubblicato tre giorni fa su “Finestre sull’arte” (cfr http://Ecco perché il Giudizio Universale appena scoperto non può in alcun modo essere di Michelangelo) che invitiamo senz’altro a leggere perchè chiarisce a josa
“le ragioni stilistiche, iconografiche e storiche sufficienti per scartare con forza l’ipotesi che il piccolo dipinto ritrovato in Svizzera possa essere opera di Michelangelo”.
Ma dal momento che eravamo presenti alla conferenza stampa possiamo pure aggiungere qualche nota personale concernente le ‘prove’ che i relatori hanno presentato.
Innanzitutto ci suonava strana la questione di un’opera di Michelangelo su tela di lino, supporto mai utilizzato dall’artista, in più senza ‘pentimenti’ -come ci è stato risposto a precisa domanda- tipici invece dei bozzetti che, come i disegni, solitamente anticipano l’opera finale per dare l’opportunità al committente di intervenire presso l’autore, tanto da far credere che non di un bozzetto ma di un ‘modello’ successivo all’opera di riferimento si tratti, e a questo punto di possibile mano di chissà chi.
Alla domanda poi se questo ‘capolavoro’ fosse mai stato sottoposto al parere degli esperti della vita e dell’opera di Michelangelo si è saputo che effettivamente a suo tempo fu fatto vedere a Roberto Longhi che però penso bene di delegare una studiosa (austriaca?) di cui sfuggiva il nome il cui studio però era andato distrutto.
Ma quale sarebbe stata alla fine la ‘pistola fumante’ ?
E’ stato riferito con grande enfasi e perfino una certa commozione il ritrovamento del documento che attesterebbe la presenza presso la nobile famiglia committente a Michelangelo del lavoro sub judice; il problema è che tale documento ha come data il 1792 e alla domanda (del sottoscritto) se non fosse strano che un lavoro di Michelangelo comparisse due secoli e oltre dopo la sua realizzazione e non allora – considerata la già acclarata fama dell’artista e il prestigio per la committenza di vantarsi proprietaria dell’opera- la risposta è stata che “il problema ce lo siamo posto anche noi …”. Un bel problema davvero!
Roma 19 Maggio 2024