P d L
Yuri Primarosa (Roma, 1984) ha conseguito la specializzazione in Beni Storico-Artistici presso La Sapienza Università di Roma, discutendo una tesi su Karel van Vogelaer e la natura morta in età barocca. Nel 2015 ha conseguito il dottorato di ricerca nello stesso Ateneo, discutendo una tesi su Ottavio Leoni. Nello stesso anno è risultato vincitore di una Borsa di Alti Studi della Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura, con un progetto sulla figura di Elpidio Benedetti (1609-1690), agente della corona di Francia a Roma. Ha partecipato con vari scritti e schede a varie iniziative espositive ed è autore di numerosi saggi tra cui, da ultimo Irving Lavin. Bernini and the Unity of the Visual Arts, 1980, in La riscoperta del Seicento. I libri fondativi, primo volume della collana Quaderni di Ricerca della Fondazione 1563 (Genova, 2017). Ha appena pubblicato per Ugo Bozzi Editore il volume Ottavio Leoni (1578-1630). Eccellente miniator di ritratti. Catalogo ragionato dei dipinti e dei disegni (Roma, 2018) Attualmente vive e lavora a Roma, dove è conservatore presso le Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Lo abbiamo incontrato a Palazzo Berberini poco prima della presentazione del suo libro
–La prima domanda che vorrei porti riguarda i motivi che ti hanno indotto a dedicare un’attenzione così grande a un pittore come Ottavio Leoni, tutto sommato non di primissima classe, e sul quale in ogni caso già sono stati compiuti studi importanti.
R: E’ vero che la maggior parte dei ritratti dipinti da Ottavio Leoni non è certo paragonabile ai vertici raggiunti in questo genere pittorico da Van Dyck, Guido Reni o Simon Vouet … ma la sua produzione grafica è una testimonianza di primo livello nella Roma di inizio Seicento. Dobbiamo infatti riconoscere che stiamo parlando di un eccellente miniatore e di un disegnatore di straordinario talento. La mia passione per Leoni nasce anzitutto dal mio amore per la città che ha celebrato, teatro di alcuni degli episodi più significativi della storia dell’arte d’età moderna. Roma, infatti, deve molto a Ottavio, che accolse nella sua galleria di volti non soltanto gli esponenti della curia pontificia e i membri delle principali famiglie aristocratiche, ma anche molti forestieri a vario titolo residenti nell’Urbe, un gran numero di professionisti, letterati, scienziati, artisti, mercanti e artigiani, nonché diversi anonimi rappresentanti del popolo minuto. Il risultato, senza precedenti nell’arte occidentale, è l’immagine vivida di un contesto sociale in tutta la varietà delle sue componenti; il mio interesse, dunque, nasce innanzitutto da questo.
–Però, perché occuparsene dopo tanti importanti studi su questo artista?
R: Ti ringrazio della domanda; proprio perché si tratta di un grande maestro, negli ultimi cinquant’anni Leoni è stato oggetto di numerosi studi, tra i quali alcuni molto importanti, come, ad esempio, quello dedicatogli da Bernardina Sani nel 2005. Oltre a questo lavoro sono stati per me fondamentali i pionieristici contributi di Giuliano Briganti e di Roberto Longhi, nonché gli studi di Piera Giovanna Tordella e – soprattutto – di Francesco Solinas, con il quale ho avuto l’onore di lavorare nel 2012-2013, quando abbiamo pubblicato i 90 disegni di Ottavio oggi al Kupferstichkabinett di Berlino. Per riscoprire tutte le pagine di questo straordinario “album di famiglia” era tuttavia necessario pensare a un catalogo ragionato; e adesso i tempi erano maturi per farlo. Nel volume, infatti, ho potuto presentare un corpus grafico dell’artista notevolmente ampliato nel numero dei fogli e sostanzialmente riveduto nella cronologia, e lo stesso può dirsi per il catalogo dei suoi dipinti. A questo risultato sono giunto attraverso un lungo lavoro di ricerca, una componente essenziale del quale è stato l’esame diretto di quasi tutte le opere dell’artista, sparse oggi un po’ ovunque in giro per il mondo. Di fondamentale importanza è risultato, in particolare, lo studio delle annotazioni presenti sul verso dei suoi disegni, spesso ignorate o mal comprese. La loro decifrazione ha permesso di gettare nuova luce sulle relazioni umane e professionali di Leoni, e in molti casi di identificare personaggi sinora senza nome, il cui profilo biografico è stato poi precisato attraverso la ricerca d’archivio.
–Mi pare tuttavia che restino alcuni misteri, o meglio delle cose ancora non chiarite, come ad esempio chi fossero alcuni effigiati dei quali non sappiamo i nomi, come pure che ruolo ebbero, magari come comprimari o aiutanti, i suoi collaboratori che pure tu citi ma di cui non si sa se e come intervennero nei suoi lavori.
R: Vero, la ricognizione e l’analisi dei disegni – che ha consentito di riportare alla luce numerosi inediti custoditi nelle collezioni pubbliche europee, americane e russe – non sempre ha permesso di verificare le iscrizioni presenti sul retro dei fogli. In molti casi, va detto, non compaiono iscrizioni oppure i fogli sono incollati su spessi cartoncini che impediscono la visione del verso. Anche il problema degli aiuti attivi nella bottega di Ottavio Leoni presenta ancora diverse incognite. Sappiamo che fino al 1612 nelle sue stanze si avvicendarono servitori e qualche apprendista, tra i quali si ricorda nel 1601-1603 il non altrimenti noto “Giuseppe del quondam Antonio Capella visentino garzone”, verosimilmente scelto da Ludovico Leoni per la comune origine veneta. La presenza in bottega di giovani allievi garantiva una maggiore rapidità nella preparazione dei colori, nella realizzazione di copie e nel completamento di ritratti dalla stesura più corsiva, destinati al fiorente mercato romano e soltanto abbozzati dai due capi-bottega. Dopo la scomparsa di Leoni senior nel 1612, altri apprendisti arrivarono per rispondere alle aumentate esigenze del nuovo capofamiglia: gli Stati delle Anime di Santa Maria del Popolo ricordano un “Giovan Niccolò”, un “Francesco”, un “Giambattista”, un “Giovanni garzone romano”, oltre a “Giambattista Vannoni”, a “Nicola Colucci da Fermo”, ad “Andrea Stefanelli Tivolese” e a “Francesco Mariano bolognese”. L’effettiva fisionomia di questi pittoruncoli si sottrae a una precisa definizione. La loro personalità, infatti, è destinata a rimanere nell’oscurità anche per l’assenza di opere firmate, a fronte di una grande quantità di dipinti “di bottega” comparsi negli ultimi decenni sul mercato antiquario…
–Mi viene da chiederti se non ti abbia in qualche modo meravigliato trovare insieme a cardinali, nobili e persone altolocate e di grande prestigio sociale, anche personaggi come la “pollarola” o la “calzettara”; te lo aspettavi?
R- In effetti la vera sorpresa è stata vedere come dai suoi disegni emergesse la popolazione romana in tutta la varietà delle sue componenti. Un cospicuo gruppo di ritratti “privati” fu infatti dedicato da Leoni ai volti di alcune delle persone semplici che vivevano attorno a lui. Si tratta, va detto, di una selezione
unica nel suo genere: quasi una non programmata indagine – antropologica più che sociologica – sui caratteri del popolo della Città Eterna. Un’operazione che riveste evidentemente un grande interesse storico, oltre che artistico. Nei suoi frammenti di vita qualunque, Ottavio celebrò il “popolo” romano con straordinaria immediatezza, offrendo una descrizione vivida e appassionata, e mai folcloristica, dei loro volti fieri e composti, talvolta gioiosi e spensierati, talvolta “eroici” o addirittura felici. Questo perché l’artista disegnava spesso per suo personale interesse. L’assunto che Leoni eseguisse i suoi ritratti “alla macchia” sulla base di priorità sociali o esclusivamente per motivi economici risulta a mio avviso inesatto e metodologicamente fuorviante: nell’attività grafica, di rapida esecuzione e dai costi contenuti, l’artista dovette spesso permettersi di lavorare senza percepire alcun compenso. Le relazioni di Ottavio con il variegato “popolo” da lui effigiato dovevano dunque essere di natura diversa, e se i volti disegnati dal vero di una duchessa o di un cardinale gli servivano di norma per eseguire ritratti su tela ben remunerati, quelli dei suoi amici e familiari erano tracciati il più delle volte per il suo personale piacere o per quello dei suoi stessi effigiati. Ma cosa mosse l’artista a questo immenso lavoro? A cosa dovevano servire le diverse centinaia di ritratti su carta realizzate da Leoni nel corso della sua più che trentennale carriera? I fogli erano forse destinati a uno o più committenti particolari? E in definitiva, i tanti volti di questa affollata galleria erano legati tra loro da un qualche tipo di progetto unitario e coerente? Questi erano i nodi critici da sciogliere …
-Tu però un’idea precisa te la sarai fatta.
R: È quello che dicevo poc’anzi, cioè che la maggior parte delle volte rielaborava per se stesso; guardiamo alla grafica: quei disegni li poteva realizzare in pochi minuti, con un costo limitato al solo supporto, alle matite, ai pastelli e poco altro, e questo può anche spiegare perché alla maggior parte dei disegni non corrisponda un corrispettivo pittorico. Leoni aveva elaborato il più vasto repertorio visivo dei volti della Roma di quel tempo, così come parallelamente facevano Cassiano del Pozzo o Federico Cesi con i fossili, le sculture antiche, o con i reperti minerali e naturali di mondi lontani; allo stesso modo, seguendo questa stessa attitudine tassonomica, operava Ottavio Leoni. È certo che l’artista disegnava spesso di propria iniziativa, anche soltanto per il piacere di riprodurre le sembianze di una persona che gli era vicina, o che gli capitava di vedere abitualmente. Altre volte, verosimilmente, ritenne opportuno fermare su carta l’immagine di un gentiluomo o di un prelato in procinto di lasciare Roma, in modo da poterla trasporre efficacemente in pittura, su tela o “in piccolo”, nel caso gliene fosse fatta richiesta in seguito. In altri casi, ancora, Leoni realizzò i suoi disegni per inciderli su rame a bulino o all’acquaforte, o per offrirli in vendita, singolarmente o in piccoli gruppi, a collezionisti raffinati come Scipione Borghese, Filippo Colonna, Francesco Maria del Monte, Cassiano dal Pozzo, Paolo Giordano Orsini…
–Mi ha colpito leggendo la tua pubblicazione constatare che nel mentre coltivava ottime relazioni con varie famiglie aristocratiche romane, seguendo peraltro i precetti post tridentini stabiliti per la ritrattistica dal cardinale Paleotti, tuttavia non fosse sodale o vicino ad alcuna confraternita religiosa, pure allora molto attive; neppure con gli Oratoriani, in quegli anni molto popolari tra aristocratici ed artisti, pare avesse alcun tipo di relazione.
R: È vero, però io ribalterei la questione. Partiamo dal presupposto che Ottavio Leoni non era un pittore di figura, almeno non lo era nel senso tradizionale, poiché soltanto occasionalmente dipinse pale d’altare o storie sacre e profane.
–Peraltro non certo in termini esaltanti…
R: Infatti, quando dipinse pale d’altare solo in qualche caso riuscì ad arrivare a risultati qualitativi di rilievo, come ad esempio nella pala che eseguì verso il 1615 per il cardinale Del Monte. Essendo essenzialmente un pittore di ritratti, Leoni riuscì ad entrare in diretto contatto con le famiglie dei suoi committenti. La cosa davvero straordinaria da sottolineare è che a differenza degli altri artisti del suo tempo egli riuscì – anche in virtù del suo carattere, della sua educazione e delle sue buone maniere – a entrare nei libri paga di tutte le Case aristocratiche di Roma, comprese quelle in aperto contrasto tra loro: i Peretti Montalto, gli Aldobrandini, i Colonna, gli Orsini, gli Altemps, i Caetani, i Borghese, i Barberini, e numerose altre. Sono stati davvero pochi gli artisti in grado di gestire una tale rete di rapporti…
–Su questo aspetto se mi consenti ci torneremo. Parliamo ora della formazione di Ottavio Leoni; mi pare che tu, seppure non lo neghi del tutto, tuttavia ridimensioni il ruolo che in questo senso il padre Ludovico può avere avuto, mentre attribuisci un peso maggiore al magistero di Scipione Pulzone.
R: Ludovico Leoni è certamente una figura chiave per gli esordi del giovane Ottavio, anche se la sua produzione pittorica resta ancora piuttosto enigmatica. Ho potuto identificare soltanto tre anni fa l’unico ritratto dipinto di Ludovico oggi conosciuto, proveniente dalla collezione del Marchese del Carpio. Questo quadro presenta analogie e allo stesso tempo differenze con lo stile delle prime opere di Ottavio che ho rintracciato in alcune collezioni private. Ma con questo non voglio dire che egli non sia stato a bottega dal padre e che non abbia appreso da lui i primi rudimenti dell’arte pittorica; tuttavia in Ottavio c’era la precisa volontà di emulare le meravigliose effigi eseguite nell’ultimo quarto del Cinquecento nella più importante bottega di ritratti di Roma: quella di Scipione Pulzone. Alla morte di quest’ultimo, sopraggiunta nel 1598, Ottavio aveva appena vent’anni ed era già uno degli artisti prediletti di Alessandro Peretti Montalto e di Francesco Maria del Monte.
–Tu fai riferimento ai vari cambiamenti nella cifra stilistica di Ottavio Leoni, se non vogliamo parlare di evoluzione,
per cui a questo primo impatto pulzonesco seguono altri momenti, ad esempio il rapporto con Bernini, con Van Dyck, e così via, insomma con i più grandi protagonisti della ritrattistica del tempo, al punto che viene da chiedersi: è Ottavio che influenza o non piuttosto il contrario?
R: Dipende, la questione va analizzata caso per caso; se consideriamo artisti come il Cavalier d’Arpino, Federico Zuccari o lo stesso Barocci è Leoni che riceve, diciamo così; ma una delle novità più interessanti che presenta questo libro è, a mio avviso, quella di aver datato entro il primo decennio del Seicento una serie di disegni che, per la loro qualità esecutiva e per la loro intensa introspezione psicologica, venivano fatti risalire a 10 o anche a 15 anni più tardi…
–Si tratta di una precisazione avvenuta per una differente lettura stilistica o c’è dell’altro?
R: No, la datazione così precoce di questi fogli non è stata avanzata esclusivamente su base stilistica; in molti casi è stato possibile ancorare i disegni a una data certa, avendo identificato altri ritratti degli stessi personaggi o le effigi incise datate tratte dai suoi stessi fogli. Voglio aggiungere che queste novità confermano il ruolo di primo piano rivestito da Ottavio Leoni nel rinnovamento del genere del ritratto disegnato, alla stessa stregua dei grandi innovatori del suo tempo come Annibale Carracci e Caravaggio. Pur essendo certamente attratto dal naturalismo caravaggesco come mezzo di espressione artistica, l’artista non fu tuttavia interessato a usarlo per mostrare gli aspetti più crudi e dolorosi della realtà, aspetti che egli semplicemente ignorò. Cosi nella Roma “gran teatro del mondo” in cui vissero e agirono gli uomini e le donne da lui ritratti, i conflitti, la bruttezza e il male non sembrano esistere.
–Eppure è vero che Ottavio Leoni visse da vicino la rivoluzione caravaggesca, vide l’affermazione di un linguaggio nuovo e le direzioni che questo prese; insomma voglio dire che probabilmente c’era da attendersi assai di più da lui anche sul versante pittorico…
R: Io penso invece che la grafica – ed in particolare questa, relativa alla ritrattistica destinata al collezionismo privato – gli consentisse di esprimersi in maniera più spontanea, di avere una maggiore libertà creativa, cosa che può ben spiegare la straordinaria modernità dei suoi lavori eseguiti su carta. Ottavio operò sempre in bilico tra convenzione e sperimentazione, e il motivo per cui riscosse in vita tanto successo sta proprio nel fatto che – paradossalmente – nella sua pittura sia riuscito ad assecondare il gusto di una vasta clientela per così dire “conservatrice”.
–Il tuo libro in effetti presenta numerose e significative novità e peraltro ho trovato che la lettura è coinvolgente anche perché getti nuova luce su una realtà, quella della Roma dei primi anni trenta del Seicento, osservata e riprodotta anche da una prospettiva sociale e vorrei dire umana, oltre che culturale, con uno sguardo sulle usanze, sul costume e sulla mentalità di allora, con casi come quello della piccola Flavia Peretti, figlia del principe Felice, destinata a morte prematura, proprio come l’altra piccola sfortunata Anna Camilla Barberini, pronipote di Urbano VIII, e per altro verso, come nel caso dell’altro figlio di Felice Peretti, Francesco, praticamente
costretto a prendere l’abito talare perché suo padre s’invaghi della nobildonna, Anna Maria Cesi, dotata di “grazia e avvenenza incomparabile”, che avrebbe dovuto sposare lui e invece fu il genitore a prendere per moglie. Mi pare, insomma, come se l’artista si sia fatto coinvolgere in qualche occasione dalle vicende dei suoi modelli, lasciando comparire il suo lato umano più interiore, oltre quello squisitamente artistico; è così?
R: Certamente laddove dello stesso personaggio possediamo più di un ritratto possiamo seguire la sua maturazione fisica e intellettuale, nonché gli sviluppi della sua carriera: è questo il caso di Francesco Peretti, che venne effigiato più volte in diverse circostanze in un arco di tempo di circa 20 anni (cosa che ovviamente non fu possibile per le due bambine che citi, scomparse in tenera età). Francesco Peretti, infatti, fu raffigurato dapprima in abiti profani fino al momento in cui divenne prima abate e poi cardinale. In qualche modo, dunque, grazie ai ritratti di Ottavio e Ippolito Leoni, possiamo entrare nell’intimità e nelle vicende personali di quest’uomo, che scelse di allontanarsi dal mondo a seguito di una scottante delusione amorosa…
–Avevo però letto i casi che citavo in altro modo, vale a dire come se l’artista si fosse in qualche misura fatto coinvolgere dalle vicende dei personaggi effigiati, come se ne fosse stato personalmente toccato emotivamente …
R: Ma guarda, quello che dici lo si può affermare per altri personaggi, di rango non aristocratico, ricorrenti nei suoi disegni: mi riferisco a Giovan Battista Vittorio, ad Antonio Manfroni o a Faustina Pacifici. Con loro e con le loro famiglie l’artista instaurò un rapporto di stretta amicizia.
–Vorrei adesso che chiarissi il tuo punto di vista su un personaggio invece molto più importante e famoso, che da tempo fa discutere specialisti ed appassionati, vale a dire il pontefice Paolo V Borghese, o per meglio dire, il suo ritratto ‘ufficiale’ attribuito da molti studiosi alla mano di Caravaggio e che tu, invece, e non sei il solo, nonostante quanto riportino le fonti antiche (vedi Bellori, vedi Manilli), non ritieni di mano del Merisi.
R: Cominciamo col dire che le fonti cui fai riferimento sono piuttosto lontane dall’epoca in cui si svolse la vicenda umana ed artistica di Caravaggio, ma soprattutto quello su cui occorre riflettere è un problema di composizione, di stile; se consideriamo che il dipinto è databile con certezza al 1605 – che è l’anno in cui Camillo Borghese ascese al Sacro Soglio –, appare davvero difficile poterlo avvicinare alle opere dipinte da Caravaggio in quel tempo. A partire dal 1600-1601, infatti, l’artista lombardo predilesse una pennellata più fluida e contrasti chiaroscurali ben più forti e “ingagliarditi”. Un dipinto come questo, dunque, meglio si situa a mio avviso nel percorso di un artista come Ottavio Leoni, influenzato dalle prime opere da Caravaggio realizzate a Roma “in chiaro” tra il 1595 e il 1597. Ad ogni modo, sia che il ritratto di Casa Borghese sia il capolavoro di Leoni o che sia il più fiacco tra gli autografi caravaggeschi, è innegabile che l’opera abbia segnato un nuovo modo di rappresentare il papa.
–Aggiungerei un ‘forse’ circa gli anni che citi, nel senso che si può accettare come probabile ma non del tutto sicuro l’arrivo a Roma di Caravaggio in quel periodo e non prima.
R: Sui tempi dell’arrivo di Caravaggio preferisco non entrare, almeno in questa sede; m’interessa invece ribadire che questo ritratto del pontefice Borghese l’ho preso in esame anche relazionandolo con altri, mi riferisco ad esempio alla Dama con catena d’oro anch’essa già riferita a Caravaggio, ma mentre ho ritenuto di poter inserire quest’ultimo dipinto oggi a San Diego nel catalogo di Ottavio Leoni, sul ritratto di Paolo V ho preferito mantenere un punto di domanda. Tale beneficio d’inventario è d’obbligo per uno dei più spinosi tra i problemi caravaggeschi cosiddetti “storici”, sul quale da oltre un secolo si è animata una vasta bibliografia. Escludendo tuttavia il nome di Caravaggio – a mio parere difficilmente sostenibile –, l’autore dell’opera potrebbe forse essere individuato in Leoni, anche se non è del tutto da escludere che si tratti di un terzo pittore ancora da identificare. Certo è che per un’attribuzione al nostro artista fanno propendere sia l’esame di alcuni dettagli – come la fattura delle stoffe e la morfologia delle mani e del volto –, sia la scarsa compatibilità del ritratto con lo stile che il lombardo aveva elaborato tra il 1605 e il 1606.
-Insomma siamo di fronte ad uno dei non pochi ‘quesiti caravaggeschi’ ancora da sciogliere, del resto di problemi irrisolti è piena la storia dell’arte.
R: Infatti, la storia dell’arte non è una scienza esatta. In assenza di documenti d’archivio, dobbiamo procedere per tentativi, cercando di avvicinarci il più possibile alla verità attraverso le evidenze visive.
–Non c’è dubbio. Un’altra considerazione che mi è capitato di fare leggendo il tuo libro riguarda il ‘modo di fare’ di Ottavio Leoni, o per meglio dire il suo atteggiamento nei confronti di diversi committenti; ad esempio lavora per il cardinale Peretti Montalto e più o meno contemporaneamente per Scipione Caffarelli Borghese, il potentissimo cardinal nepote di Paolo V, proprio quando i due sono ai ferri corti per la nota questione della condanna e del sequestro dei beni del cavalier d’Arpino. Insomma, questo muoversi da una famiglia all’altra, cui si unisce l’amicizia verso Caravaggio che lui stesso ritrae, come l’amicizia per Giovanni Baglione – il nemico giurato di Caravaggio anch’esso più volte da lui ritratto – lascia pensare ad un tratto caratteriale tipico di un opportunista; sbaglio?
R: Più che di opportunismo parlerei di una trasversalità. Per diventare il “ritrattista di Roma” Ottavio doveva essere amico di tutti, adeguandosi di volta in volta alle varie circostanze…
–E’ possibile. Ma per iniziare a chiudere questa nostra conversazione vorrei mi spiegassi un’ultima cosa. Tu sostieni che nel corso dello stranoto processo del 1603 intentato da Baglione, Caravaggio afferma di non aver mai parlato con Ottavio Leoni perché voleva ‘coprirlo’; ti chiedo invece: ma non è possibile che – considerando il debito stilistico verso il Merisi di determinati ritratti leoniani e come il milanese fosse idiosincratico verso qualsivoglia forma di condivisione – magari tra i due non corresse buon sangue?
R: No, non credo, perché pur ammettendo che tra i due non si fosse instaurato quel rapporto di amicizia che effettivamente il Merisi riservava a pochi, la deposizione rilasciata dal pittore in tribunale riguardava ben altri aspetti della sua vicenda biografica. Non v’è dubbio che i due artisti si conoscessero, visti i loro precoci rapporti con il cardinale Francesco Maria del Monte. Fu a mio avviso proprio grazie a questo importante committente che Ottavio poté riflettere precocemente sulle rivoluzionarie novità introdotte in pittura dal maestro lombardo.
–E allora proviamo a ribaltare completamente il discorso ed accettiamo che i due fossero amici e addirittura sodali; ti chiedo: è possibile credere che Ottavio Leoni fosse tra coloro che potevano replicare o riprodurre i lavori di Caravaggio già richiestissimi dal mercato, così come è possibile che sia accaduto con Prospero Orsi, con Mario Minniti, col misteriosissimo Filippo Trisegni?
R: Non posso escluderlo con certezza, anche se in realtà mi sembra un’ipotesi assai improbabile. Va tuttavia segnalato un importante omaggio tributato da Leoni al maestro lombardo attorno al 1610-1615: si tratta di una rielaborazione “in piccolo” (firmata) del Putto dormiente di Caravaggio oggi a Firenze. Ad oggi è un caso isolato, ma forse in futuro potrebbero emergere altre tracce di questa particolarissima produzione…
–E per concludere: non ti è capitato nei tantissimi giri che hai fatto per studiare e catalogare le opere di Leoni – peraltro, occorre dirlo, splendidamente illustrate nel volume della casa editrice Ugo Bozzi – di imbatterti in qualche copia da Caravaggio che potesse far pensare alla mano di Ottavio Leoni?
R: No, non mi è capitato, anche perché penso che la maggior parte di queste opere sia destinata a restare senza autore. Più che dell’occhio del conoscitore, per questo genere di attribuzioni servirebbe la palla di vetro della zingara…