di Michele FRAZZI
Leggere Caravaggio XV. L’Arte del Caravaggio. I canoni con cui il Merisi ha costruito la sua rivoluzione.
Dopo aver passato in rassegna la sua produzione artistica romana ed averne analizzato gli aspetti più immediatamente evidenti come i modelli iconografici e le ascendenze artistiche, entriamo ora più in profondità nella analisi critica della sua opera cercando di comprendere quali sono le caratteristiche peculiari della sua modalità di rappresentazione, che in termini pratici si traducono in un personale e quantomai innovativo utilizzo degli elementi formali che costituiscono un dipinto.
Col fine di ottenere una maggiore chiarezza abbiamo per questo motivo preferito trattare lo studio di questi argomenti in una sezione ad hoc piuttosto che spezzarlo durante l’analisi di ciascuna opera, in modo che l’unitarietà di questa sezione possa essere più incisiva e fissare con maggiore intensità le linee guida della sua arte nella memoria del lettore, ed ovviamente dopo che gli è stata data la possibilità di avere un ampio panorama della sua opera e quindi ha potuto farsene una idea dettagliata.
Metteremo dunque in evidenza in primo luogo quali sono stati i mezzi e le tecniche che ha utilizzato il Merisi per creare la sua arte rivoluzionaria, cercando poi di comprendere l’effetto che, attraverso un accorto uso di questi strumenti, si proponeva di ottenere sul pubblico.
Dal punto di vista cronologico possiamo osservare in primo luogo una linea di demarcazione che divide le opere realizzate prima dell’entrata al servizio del Cardinal del Monte nel 1597 dalle successive, le prime si contraddistinguono per i raffinati temi allegorici e gli originali temi iconografici, questi dipinti costituiscono un tessuto connettivo unico con i temi musicali o poetici, o morali. Successivamente, durante il servizio presso il cardinale, il suo interesse per le simbologie iniziò a scemare, ed i suoi sforzi si concentrano allora sempre di più sulla ricerca nel campo della innovazione pittorica. Questo nuovo orientamento si deve con tutta probabilità alle relazioni che sono venute a crearsi con gli importanti membri del suo circolo, le sue ricerche in questo ambito arrivarono a completa maturazione con l’esecuzione della Contarelli, in cui la sua arte espresse per la prima volta tutto il suo potenziale, e continuò su questa strada anche nei dipinti successivi, è dunque possibile individuare nella sua arte un preciso percorso evolutivo.
Come abbiamo già evidenziato quando abbiamo parlato della Medusa, della Canestra di frutta, della Santa Caterina, questi dipinti mettono in luce alcune di queste linee di ricerca che riguardano ad esempio i canoni con cui rappresentare una scena, con quale grado di realismo e crudezza rappresentativa, la maniera di costruire lo spazio, l’utilizzo della luce: tutti elementi fondamentali ai fini della rappresentazione pittorica.
In questa sezione dunque seguiremo da vicino i nuovi indirizzi che il Caravaggio ha deciso per la sua pittura, sviluppando più approfonditamente questi argomenti e la maniera con cui utilizza gli strumenti compositivi nel suo personale modo di comporre il dipinto; lo faremo soprattutto ricercando le sorgenti teoriche che possono averlo aiutato a raggiungere i suoi risultati. Abbiamo compiuto quest’ultima ricerca prendendo come riferimento di partenza le caratteristiche che la critica storica ha in passato rilevato come specifiche della sua maniera e successivamente abbiamo poi cercato di capire se la sua maniera di utilizzare gli elementi tecnici avesse dei legami con le indicazioni contenute nelle fonti teoriche che aveva a disposizione. Mettere in evidenza ed analizzare specificamente quali sono i capisaldi della sua maniera di fare arte arte, gli strumenti di cui si è si è avvalso per costruirla e il modo in cui li ha utilizzati è un punto fondamentale perché provvede a fornire i criteri più consoni per meglio comprenderla; insomma, serve a definirne il cuore, e realizzare questo passaggio ci permette di raggiungere quella massa critica che è necessaria per fare luce anche sugli obiettivi che Caravaggio aveva in mente con la sua pittura e quali effetti voleva ottenere sullo spettatore.
Attraverso quest’ottica saremo in grado di valutare con una migliore prospettiva e con maggiore ampiezza tutta la forza e la portata della innovazione della sua arte. Nella nostra ottica è poi fondamentale la conoscenza delle chiavi culturali che permettono la lettura di un’opera, esse costituiscono non solo il fondamento dal quale il dipinto ha potuto ha potuto trarre la sua origine, ma ci guidano anche nella comprensione degli scopi per i quali è stato creato e dunque in ultima analisi costituiscono il fondamento e la ragione stessa della sua esistenza.
Occorre quindi fare una ulteriore riflessione che riguarda noi ammiratori dei suoi dipinti che viviamo piu di 400 anni dopo il momento storico di cui stiamo parlando; questa distanza temporale inevitabilmente costituisce un ostacolo al nostro corretto giudizio sulle sue opere ed alla corretta comprensione del loro significato con tutte le diverse implicazioni. Quando ci poniamo di fronte ad un suo dipinto per afferrarne il senso, infatti, inevitabilmente cerchiamo di capirlo attraverso il filtro del nostro modo di pensare, facendo così l’errore di proiettare sull’opera i nostri valori e le nostre idee contemporanee, e dato che siamo immersi in una realtà totalmente diversa, il nostro modo di pensare e dunque di vedere ha forzatamente una forma e dei principi guida che sono radicalmente differenti da quelli del suo creatore e degli appartenenti alla sua epoca. Coerentemente con questa constatazione, che è un dato di fatto, allora il nostro sforzo deve essere teso ad immergerci il più possibile della cultura e delle linee di pensiero con le quali il Caravaggio è entrato in contatto e si è dovuto confrontare, insomma dobbiamo cercare di ricostruire il modo di pensare di quel periodo e non solo nel campo pittorico.
Questo è il motivo per cui è fondamentale conoscere le sorgenti culturali della sua epoca, perché se si è sprovvisti questa conoscenza è impossibile arrivare alla corretta comprensione del significato e dello scopo dei suoi dipinti, ed è proprio questa comprensione infine che ci permette anche di poterli gustare appieno. Possedere queste conoscenze dunque ci fornisce la giusta ottica e il giusto metro di misura per capire i suoi quadri, dato che l’arte non è mai scollegata dal pensiero della sua epoca, ma al contrario è proprio questo il terreno che le ha permesso di germinare, di svilupparsi; le opere private dell’accompagnamento di questo pensiero rimangono così avulse dal loro contesto e pur se dotate della loro estetica bellezza non rimangono per noi che un lacerto.
Per questo motivo cercheremo l’aiuto delle opinioni dei suoi contemporanei, che ci permettono di comprendere il punto di vista di vista dei pittori di quel periodo, facendo riferimento alle loro considerazioni sulla sua pittura, così da comprendere tutta la portata rivoluzionaria delle sue innovazioni, in modo da posizionare la sua arte anche dal punto di vista tecnico in una più esatta relazione di grandezza rispetto agli altri attori del suo tempo.
In ultima analisi tenteremo di aprire questa strada nella maniera obiettiva che ci è dato di fare, partendo da quelle che sono state individuate come le caratteristiche personali della sua pittura, utilizzando come guida quelle che sono state individuate dai più importanti specialisti del pittore, e le compareremo con le fonti teoriche fonti teoriche dell’epoca che riguardano la pittura, nel tentativo di trovarne un riscontro.
Insomma proveremo per quanto ci sarà possibile, di ricostruire un quadro fedele dei fondamenti della sua pittura, con l’aiuto dell’ esperienza dei più profondi conoscitori del Merisi, andremo alla ricerca dei fatti, per poterne, alla luce delle nostre attuali conoscenze, restituire una rappresentazione realistica, come del resto, siamo certi, avrebbe fatto anche il Merisi che è rimasto sempre fedele alla verità oggettiva dei fatti.
La tecnica pittorica
L’elemento che più caratterizza la sua pittura del primo periodo romano è l’aspetto dell’Invenzione delle immagini, una ricerca che che si declina concretamente nella grande originalità dei temi da lui dipinti, creati allo scopo di rivelare raffinati significati poetici o morali, per questo motivo nessun altro pittore è mai stato così innovativo ed esuberante nella creazione dei soggetti come accade nel caso del Ragazzo morso dal Ramarro, del Mondafrutto, del Ragazzo con la cesta di frutta, dei Bari, della Buona ventura, del Ragazzo con la caraffa di rose, essi costituiscono una sequenza ininterrotta di temi autentici e singolarissimi, che avranno davvero un notevole seguito fra i pittori a lui successivi.
Un altro elemento che caratterizza il suo primo periodo è la dolcezza dei sentimenti, la si coglie nei modi e negli atteggiamenti dei suoi protagonisti che sono tutti dotati tutti di una elegante sensibilità, in questi esempi emerge un aspetto del suo animo molto differente da quello a cui siamo normalmente abituati, pochi altri esempi nel ‘600 possono stare al pari del garbo e della dolcezza dell’Angelo nel Riposo – Pamphilij o del tenero abbraccio della Madonna al bambino sempre nello stesso quadro o dell’empatia che suscita la contemporanea Maddalena.
Dal punto di vista pittorico i suoi quadri in questo periodo si distinguono per la brillantezza dei colori, per la precisione nella definizione dei dettagli e la stesura del pigmento che è molto accurata, come rileva anche il Bellori:
”Per questo veggonsi l’opere sue prime dolci, schiette e senza quell’ombre ch’egli usò poi; e come di tutti li pittori veneziani eccellenti nel colorito fu Giorgione il più puro e ‘l più semplice nel rappresentare con poche tinte le forme naturali, nel modo stesso portossi Michele, quando prima si fissò intento a riguardare la natura”.
A partire dalla permanenenza nella casa del Cardinal del Monte gli indirizzi e le tipologie delle ricerche del Caravaggio mutarono direzione con una improvvisa accelerazione, probabilmente a causa della influenza del suo patrono e delle persone appartenenti alla sua cerchia culturale, così i temi letterari, morali ed allegorici, che erano stati il cardine delle sue prime opere divennero meno frequenti. La sua continua ed incessante ricerca di qualcosa di nuovo, perchè questo è il filo che lega ogni dipinto del Caravaggio, lo spinge allora in maniera sempre più decisa a spostare il carattere delle sue innovazioni verso la tecnica pittorica che diventa sempre più autonoma e personale, mentre la rappresentazione diventa sempre più aggressiva e cruda, e l’illuminazione forzata.
A partire dal 1600 i colori cominciano a diventare più tenebrosi e diminuisce la loro varietà, e questo lo differenzia da fantasiosi colori in voga fra i manieristi, l’ oscurità che incomincia a dominare i suoi dipinti. La stesura pittorica diventa molto più veloce e compendiaria. Il colore dei materiali che vengono utilizzati per preparare il fondo della tela cambia, dal colore grigio dei suoi esordi, tipico del manierismo, si passa al color mattone e al bruno che viene lasciato sempre più spesso a vista in luogo dei mezzi toni, il contrasto si rafforza sempre di più, la luce e l’ombra combattono una lotta senza quartiere all’interno dei suoi dipinti.
In questo periodo la sua capacità di impostare l’immagine sulla tela fin dagli inizi del lavoro raggiunge livelli decisivi, e mostra tutta la sua velocità nell’arrivare immediatamente al dunque, nello scomporre direttamente nella sua mente, senza mediazioni, il contrastato rapporto tra la luce e l’ombra, tra il colore e la nera oscurità, distinguendo così senza mezzi termini immediatamente, ciò che si deve vedere da ciò che deve rimanere nascosto, in ultima analisi ciò che è da ciò che non è.
La tecnica Caravaggesca è stata oggetto di studio con metodi scientifici da lungo tempo, fin dalla prima campagna radiografica condotta da Cesare Brandi agli inizi degli anni ‘50, questo ha permesso col tempo un progressivo perfezionamento delle conoscenze in questo campo che ha condotto al fatto che i capisaldi della sua maniera sono stati oggi chiariti e fissati in modo piuttosto preciso ed ora fanno parte del patrimonio condiviso della critica. A causa della precoce apertura degli storici dell’arte per questo tipo di ricerche, nelle mostre del Caravaggio le schede critiche delle opere che ne illustrano gli aspetti relativi a vicende storiche, critiche, od iconogrefia ed iconologia, vengono solitamente accompagnate da una specifica scheda che illustra gli studi scientifici condotti su di esse. Si tratta di un percorso che si è svolto attraverso varie significative tappe: Caravaggio ed il suo tempo, (1985); Caravaggio, come nascono i capolavori (1991) che fu una mostra accompagnata da un importante raccolta di studi prevalentemente a carattere tecnico (Come dipingeva il Caravaggio); per arrivare infine alla recente ed esaustiva esposizione che ripercorre tutta la carriera del pittore, Dentro Caravaggio ( 2018), dove le schede delle opere vengono affiancate dagli studi tecnici con paritetico rilievo.
Roberta Lapucci ha condotto questo genere di studi nelle prime mostre citate, ed ha realizzato un primo elenco ragionato dei capisaldi della tecnica caravaggesca, mettendo a fuoco diversi aspetti: la preparazione, il disegno preliminare, le incisioni, gli abbozzi e gli strati pittorici (1). Marco Cardinali ha redatto poi un esaustivo elenco degli elementi peculiari della tecnica caravaggesca riassumendo la globalità degli studi scientifici (2) condotti sulle opere di Caravaggio, nel contesto di una pubblicazione che finalmente sistematizza un campione di analisi numericamente rilevante, e traccia un esauriente panorama della sua fase romana. L’elenco da lui creato prevede:
-L’assenza del disegno;
-Le Incisioni, fatte sulla tela con il manico del pennello per fissare alcuni punti chiave dell’organizzazione del dipinto;
-Tracciati sommari a pennello fatti con lo stesso scopo delle incisioni, complementari od alternativi all’utilizzo delle stesse;
–Gli abbozzi preliminari della composizione fatti con il bianco di piombo;
-L’Impostazione chiaroscurale: nell’esecuzione dell’abbozzo a chiaroscuro il Merisi segue una maniera di stendere il pigmento che rende la prima impostazione chiaroscurale perfettamente riconoscibile in radiografia, anche questa è una caratteristica personale della sua tecnica pittorica, le radiografie rivelano una precisa distribuzione delle luci e delle ombre già dalla fase iniziale dell’esecuzione, indizio di una immediatezza che non prevede la mediazione del disegno
-I Pentimenti che si rilevano in corso d’opera;
-La Preparazione ‘en reserve’ e cioè la preparazione che viene lasciata in vista tra due campiture di colore (profili a risparmio ) o lasciata a vista nel come mezzo tono;
-Gli Allargamenti o riduzioni delle figure durante la realizzazione di un dipinto.
Anche nell’ultima mostra (Dentro Caravaggio) Rossella Vodret e Beatrice de Ruggeri (3) sono intervenute sull’argomento descrivendo la sequenza con cui il pittore utilizzava questi strumenti, precisando così ulteriormente la struttura della sua tecnica pittorica. Il Merisi nel suo primo periodo realizza i quadri seguendo una prassi tradizionale, cioè realizza un disegno a pennello sopra una preparazione chiara, grigia, e poi aggiunge luci ed ombre:
“Caravaggio, quindi, inizia a dipingere seguendo la tecnica tradizionale del suo tempo: disegna sulla preparazione chiara e procede aggiungendo, per velature successive, le varie stesure di colore e le ombre “.
Successivamente, nel 1600, e cioè durante la esecuzione delle tele Contarelli la sua tecnica subisce un cambio di rotta definitivo:
“Sulla preparazione bruna il disegno il disegno tradizionale si trasforma in un disegno dinamico,, frutto di una combinazione di una serie di elementi ( disegno a pennello, incisioni di vario tipo sulla preparazione non ancora asciutta od in corso d’opera, abbozzi scuri e chiari), diventando una componente dinamica del processo compositivo.”ed ancora: “…sulla preparazione scura, su cui il sottile disegno tradizionale non era più visibile, imposta rapidamente la composizione con alcune incisioni e disegno a pennello e con qualche pennellata di abbozzo, tecniche che assumeranno sempre piu importanza in seguito, poi aggiunge soltanto i chiari e i mezzi toni, cioè dipinge solo le parti in luce o in penombra. Nelle parti in ombra delle figure e sul fondo dei dipinti non c è pittura ma solo preparazione scura, a volte velata. Di fatto non esegue le figure nella loro interezza , ma esegue solo le parti raggiunte dalla luce “ .
In sintesi, nell’esecuzione del dipinto il Caravaggio usa una personale sequenza tecnica: inizia fissando sulla tela alcuni elementi fondamentali della composizione per mezzo di incisioni fatte sulla preparazione con la punta del manico del pennello, oppure con rapide pennellate a biacca o in nero, chiarita l’organizzazione generale passa poi alla fase successiva e cioè ad una prima sommaria stesura dell’abbozzo in bianco e nero della scena; terminata anche questa seconda fase passa a quella finale e cioè alla stesura del colore ( 4).
Il Merisi dunque fin dalla fase iniziale di progettazione dell’opera è in grado di scomporre nella sua mente la scena in aree chiare e scure già ben distinte, questo gli permette di eseguire una prima stesura in bianco e nero ad abbozzo su cui successivamente stende il colore finale; questa tecnica consente sia di ridurre notevolmente i tempi di realizzazione del dipinto che di dotare le forme di una maggiore tridimensionalità: si tratta di una evoluzione estremizzata e molto compendiaria della tecnica classica. Anche la preparazione, cioè lo strato di materia che serve a rendere liscia la superficie della tela e a permettere un corretto assorbimento del colore da parte del supporto, inizia a giocare nei suoi dipinti un ruolo importante, perché essendo di colore scuro viene lasciata a vista nelle zone d’ombra in luogo del pigmento di pari colore, oppure talvolta la utilizza risparmiandola tra due zone di colore in modo da simulare l’apparenza di una linea scura che delimita i differenti perimetri di due colori.
La tecnica caravaggesca ovviamente non rimase costante ed i suoi strumenti assumono diverso rilievo a seconda delle differenti fasi evolutive che il pittore ha attraversato nel corso della sua vita pittorica (5), e gli studi scientifici permettono di valutare adeguatamente questa evoluzione.
Gli studiosi di cui abbiamo elencato i pareri sono -ad eccezione della Vodret- in massima parte dei tecnici, che hanno analizzato attraverso metodi scientifici (Radiografie, Riflettografie, Stratigrafie,ecc.), i dipinti di Caravaggio, arrivando così in primo luogo a comprendere e poi a descrivere quale fosse la tecnica utilizzata dal pittore per dipingere, insomma quale è la struttura segreta dei suoi dipinti, e questi studi sono stati determinanti in molti casi per convalidare o meno l’autenticità di un opera.
La sensibilità per questo tipo di ricerche degli storici dell’arte che si occupano del Caravaggio, proprio in virtù dell’ impostazione avviata da Cesare Brandi nel 1951, rappresenta un unicum, una pattuglia molto avanzata e quasi solitaria rispetto agli studiosi canonici: Lionello Venturi, Mia Cinotti, Mina Gregori, Keith Christiansen, Maurizio Marini, Catherine Puglisi, e Rossella Vodret hanno incoraggiato e fattivamente supportato questi approfondimenti. Purtroppo l’utilizzo di queste metodologie non è generalmente molto diffuso fra gli storici dell’arte che nella stragrande maggioranza si affidano alla loro “intuizione” e tralasciano invece questo aspetto che ha un valore fondamentale per la conoscenza di un artista, basti pensare che su diverse scuole pittoriche anche molto importanti questi studi non sono stati in concreto condotti, né è stata ricostruita la tecnica esecutiva dei loro capiscuola, nonostante questo sia un punto evidentemente fondamentale; questo atteggiamento conduce al risultato odierno dove pochissimi sono i pittori indagati a fondo da questo punto di vista, e l’opera del Caravaggio che è stata studiata pressochè totalmente, è l’unica per il quale esiste un atlante degli studi scientifici a cui fare riferimento, che permette non soltanto di studiare le caratteristiche specifiche della sua tecnica ma anche di capire l’evoluzione temporale degli strumenti da lui utilizzati; si tratta dunque di uno strumento davvero molto prezioso di cui è auspicabile la più ampia diffusione data la sua particolare rilevanza.
A questo punto chiarite le particolari peculiarità tecniche del metodo di Caravaggio è opportuno cercare le ascendenze di queste caratteristiche che abbiamo appena sintetizzato. Gli strumenti pittorici usati dal Merisi e la modalità con cui vengono utilizzati trovano un singolare parallelismo ed un’ottima consonanza con la prassi esecutiva del Tintoretto, che proprio come il Caravaggio utilizza gli stessi strumenti durante la esecuzione dei suoi dipinti, si evidenzia così la similitudine del suo metodo con quello del Merisi (6). Anche il tecnico specializzato nelle indagini scientifiche sui dipinti, Davide Bussolari, è arrivato indipendentemente da me alla stessa mia conclusione. Infatti le analisi scientifiche compiute sui quadri del veneziano hanno mostrato che anche lui utilizzava le incisioni con scopi simili a quelle di Caravaggio (7), così come avviene per gli abbozzi a biacca della scena che si notano in radiografia nelle prime stesure delle sue opere (8), che sono accompagnati dagli abbozzi a colore nero, come si vede nella pittura del Tintoretto nel modello per la pala votiva del Doge Alvise Moncenigo del Metropolitan (Fig.1) sia nelle figure in ombra che in piena luce, o nella Sacra famiglia di Yale ( Fig.2), si notano anche degli abbozzi fatti col colore quando questo era già stato deciso, come faceva anche il Merisi (9). Inoltre, come faceva sempre il lombardo gli abbozzi a biacca ed in nero sono intenzionalmente lasciati trasparire dal Robusti sotto la stesura finale del colore (10).
Altre evidenti parallelismi tecnici si aggiungono a questi appena messi in evidenza, infatti il Tintoretto come anche il Caravaggio utilizza la tecnica della stesura del pigmento wet on wet (11), e la preparazione come mezzotono (12); entrambi abbozzano le figure nude e poi le ricoprono coni vestiti ed infine entrambi utilizzano sia preparazioni di colore grigio che marrone (13). Insomma il confronto degli strumenti pittorici usati dai due artisti ci restituisce una immagine sostanzialmente speculare. Per approfondire ulteriormente lo studio si può aggiungere che le analisi scientifiche condotte sui dipinti di Tiziano, non paiono indicare che il cadorino utilizzasse una prassi come quella del Robusti, dato che nei suoi primi dipinti ha utilizzato una tecnica rinascimentale classica, poi in età più matura arrivò a crearne una sua molto particolare fatta di sovrapposizioni multiple di colore, come mostra bene Palma il Giovane, e come si vede applicata nella Coronazione di spine (14).
Questo è un dato di fatto importante per aiutarci a comprendere la modalità della genesi della tecnica pittorica del Caravaggio, infatti il Peterzano era stato un allievo di Tiziano ed è evidentemente interessante capire quali strumenti egli utilizzasse per confrontarli con quelli del Caravaggio. Con lo scopo di approfondire questo aspetto ho cercato di poter consultare degli sudi scientifici sulla tecnica del Peterzano, ma senza successo, se questi portassero alla conclusione che la sua tecnica non è comparabile con quella caravaggesca, allora questo sarebbe un fattore determinante per confermare confermare l’ipotesi del viaggio di studio compiuto dal Merisi a Venezia.
La linea di contorno delle figure e la loro impostazione
Una delle caratteristiche tecniche storicamente ed universalmente riconosciute fra quelle specifiche del Caravaggio è il fatto che le sue figure sono generalmente sprovviste di linee di contorno, in altre parole i colori nei suoi dipinti sono accostati l’uno all’altro senza una linea che ne segni in maniera definita i limiti. Questa particolare metodologia viene suggerita dal Lomazzo nel suoTrattato, dove egli la inquadra fra gli strumenti necessari ed indispensabili per rappresentare correttamente una figura al naturale. Fin dalle prime pagine del suo testo infatti egli pone questo precetto nella tavola riassuntiva dei suoi punti fondamentali, che chiama la Tavola delle cose notabili, dove descrive questo caposaldo tecnico: ”Figure che paiono naturali togliendo le linee a dintorni …”. Questo strumento verrà poi spiegato più dettagliatamente a pag. 337 dove scrive:
”Poi d’avvertire che doppo fatta l’invenzione, e quella stabilita, o fiera, o soave, sopra il tutto non si lasci contorno nelle parti o d’intorno che questi solamente per regola, e per norma della forma e ordine che ha da servarsi nella figura sono stati introdotti. E ciò si può veder chiaramente nel naturale, dove altro non si scorge se non divisione da l’un corpo a l’altro, e lume, e ombra che quello circondano secondo le sue parti”.
Lomazzo, ancora una volta fedele al suo precetto fondamentale che è la ricerca con assoluta intransigenza del realismo, arriva a questa conclusione partendo dall’assunto logico che nella realtà le linee che contornano i corpi non esistono, occorre dunque eliminarle. Sempre riguardo le tecniche che permettono ai pittori di essere il più aderenti possibile al reale Lomazzo suggerisce agli artisti di ritrarre prima una figura nuda e poi successivamente di dipingervi sopra i vestiti, per evitare le distorsioni proporzionali, o le incongruenze degli arti nei movimenti. Si tratta dello stesso passo in cui loda la capacità mnemonica del pittore:
”Per non fare cotali errori nella proportione, sarà utilissima regola haver nella mente, & nella memoria la quantità , & misura delle ossa principali in ciascuna proportione… Per fare una figura vestita che sia proporzionata, convien disegnarla prima ignuda con la sua vera proporzione, che così riuscirà simmetrica ancora quando la si vestirà con la debita proporzione” (pag.285).
Caravaggio terrà presente anche questo suo precetto, come risulta in diversi suoi dipinti, ad esempio nell’angelo nel San Francesco di Hartford, oppure nella Giuditta della tela della Galleria Barberini di Roma, nell’Angelo del Riposo della Galleria Doria, o nel San Girolamo conservato al museo di Monserrat; in tutte queste opere egli dipinse prima la figura nuda e poi successivamente sopra di essa realizzò gli abiti.
Il realismo caravaggesco: “Come uno specchio ritratto al naturale”- L’influenza del Trattato di Lomazzo
L’assoluto realismo caratteristico delle scene dei suoi dipinti è uno degli strumenti fondamentali di cui si è servito il Caravaggio per scardinare e in definitiva ribaltare il concetto, fino ad allora generalmente accettato che la pittura dovesse avere un carattere idealistico e cioè dovesse essere una rappresentazione mentale e fantastica di un accadimento. Partendo da questo presupposto cercheremo quindi di indagare e di scoprire le radici da cui il Pittore può aver tratto l’ispirazione per creare una pittura così rivoluzionaria che nella ricerca del “naturale” aveva la sua chiave di volta.
Nella prima fase della sua carriera romana, quando era ancora forte l’influenza della Lombardia, la sua pittura è precisa nella stesura ed accurata nei dettagli; nella loro esecuzione l’artista si preoccupa sempre di essere il più aderente possibile alla realtà con una precisione quasi fiamminga, non è un caso quindi che il Cavalier d’Arpino scelse proprio lui per dipingere fiori e frutti, del resto anche il suo maestro il Peterzano era molto dotato ed attento nel dipingere le nature morte. A questo riguardo dobbiamo tenere conto che Milano fu uno dei primi centri italiani a studiare la tecnica e la pittura fiammiga, fin dai tempi in cui gli Sforza mandarono appositamente il pittore Zanetto Bugatto ad apprendere le innovazioni della pittura ad olio nella bottega di Rogier Van Der Weyden (15). Seguendo questa tradizione di apertura e di interesse per la pittura nordica anche Lomazzo molto probabilmente andò nelle Fiandre per studiare il modo di dipingere dei Paesi Bassi e nel Trattato egli spende parole di elogio per quel tipo di cultura artistica che conosce bene e che per lui rappresenta un punto di riferimento importante.
La sensibilità del Caravaggio nei confronti del dato reale germina sopra questo tipo di fermenti e lo indirizza decisamente su di un percorso molto diverso e radicalmente nuovo rispetto agli altri artisti suoi contemporanei romani: la sua grande innovazione, la sua forza consiste nella capacità di rappresentare le forme aderendo in maniera straordinaria alla realtà, una dote che agli altri pittori manca, semplicemente perchè la loro idea di cosa sia la pittura è molto diversa da quella del lombardo. I manieristi solitamente per impostare la scena di un quadro sviluppano l’idea iniziale partendo da una invenzione pittorica che era già stata eseguita da altri più importanti pittori. Nel loro lavoro dunque essi fanno costante riferimento ad un patrimonio figurativo studiato e ben assimilato; partendo da questo caposaldo innestano successivamente le loro idee personali, e questo esercizio in definitiva rappresentava per loro il presupposto necessario ed il mestiere del pittore: conoscere i modelli dei maestri del passato e saperli utilizzare adeguatamente. I manieristi creano le loro opere per mezzo di un vocabolario ben codificato e proprio in questo si concentra la loro professionalità e si misura la loro abilità, la citazione esteticamente riconoscibile di opere importanti è dunque un apprezzabile sfoggio di cultura.
Bellori nelle sue note al testo del Baglione sintetizza perfettamente il differente pensiero del Caravaggio :
”è degno di grandissima lode il Caravaggio che solo si mise ad imitar la natura contro l’uso di tutti gli altri che imitavano gli altri artefici.”.
Questo è il motivo per cui gli altri pittori si opponevano e contestavano il metodo del Caravaggio che invece prendeva i suoi modelli dalla realtà. Così si esprime ancora il Bellori riguardo a questo fatto:
”Tanto che li pittori allora erano in Roma presi dalla novità, e particolarmente li giovini concorrevano a lui e celebravano lui solo come unico imitatore della natura, e come miracoli mirando l’opere sue lo seguitavano a gara, spogliando modelli ed alzando lumi; e senza più attendere a studio ed insegnamenti, ciascuno trovava facilmente in piazza e per via il maestro e gli esempi nel copiare il naturale. La qual facilità tirando gli altri, solo i vecchi pittori assuefatti alla pratica rimanevano sbigottiti per questo novello studio di natura; né cessavano di sgridare il Caravaggio e la sua maniera…”.
Il Baglione rincara ulteriormente la dose:
”Anzi presso alcuni si stima haver esso rovinato la pittura; poiché molti giovani ad esempio di lui si danno ad imitare una testa dal naturale, e non studiando ne’ fondamenti del disegno e della profondità dell’arte, solamente del colorito appagansi, onde non sanno mettere due figure insieme, né tessere historia veruna…”
così come fa anche il Celio che stigmatizza il mancato studio delle opere passate:
”Fu causa esso Michele che li giovani non attendessero a disegnare dalle opere eccelenti, ma si contentassero di quella mezza figura vista dal naturale.”
In sostanza il risultato che i pittori manieristi si prefiggevano di ottenere con la loro arte era un puro prodotto della loro fantasia, una finzione, che deve essere riconoscibile come tale, il dipinto per loro non deve essere nient’altro che l’immagine risultante da una trasposizione codificata della realtà, realizzata secondo modelli ed attraverso un linguaggio e regole ben definiti all’interno delle scuole pittoriche.
A Caravaggio tutto questo non interessa egli compie una rivoluzione radicale, cambiando il concetto stesso di pittura, quello che ne aveva determinato i confini fino ad allora; per lui la pittura non deve assumere l’aspetto di una rappresentazione di fantasia, immaginaria od ideale, al contrario deve essere il più possibile identica alla realtà, lo spettatore si deve trovare davanti ad una scena uguale a quella che potrebbe vedere dal vivo in un vicolo, o in un palazzo, o in una osteria di Roma. Insomma è il mondo della realtà che si oppone a quello della fantasia, per questo motivo egli abbandona i sistemi pittorici tradizionali. Il suo innovativo punto di vista è anche il fulcro della leva da cui parte: l’arte non è più vista come una forma di rappresentazione fantastica derivata dal modello di un maestro, ma deve essere osservazione e derivazione dalla realtà, questo è quello che voleva che la sua tela restituisse, non altro.
In questo modo egli scardina le basi della pittura fino ad allora costituite ed accettate, la sua idea è radicalmente diversa, egli ha una nozione del tutto differente che ridefinisce completamente il concetto ed il perimetro di cosa sia la pittura, e questo obiettivo lo divide radicalmente dagli altri artisti. Caravaggio era sprovvisto del loro filtro visivo e soprattutto mentale. Come abbiamo visto in realtà egli conosce molto bene i modelli dei maestri che l’hanno preceduto ed anche quelli romani classici, ma questi vengono completamente trasformati dal realismo e dalla contemporaneità entro cui li immerge, sono permeati della immediatezza del presente, dalla volontà di restituire un ben preciso momento nel tempo, che si oppone e prevale sull’eterna immutabilità, tutta mentale, delle immagini concepite dalla prassi pittorica idealistica. Sono due mondi che nascono da concetti completamente differenti e che arrivano per questo a risultati completamente diversi. In tutti i pittori suoi contemporanei l’equilibrio compositivo dell’ideale rappresenta una meta agognata, l’atmosfera della perfezione classicista si respira in tutte le loro composizioni e si riflette negli atteggiamenti dei personaggi e nelle relazioni che si instaurano fra di essi, così che le loro azioni, le loro pose sono modellate a questo scopo.
La pittura del Caravaggio invece è un’arte del contingente, del qui e ora, che non aspira a ricostruire e tantomeno a rappresentare nessun ideale astratto: il suo mondo ed anche la sua estetica è fatta di espressività, di energia, di movimento, di empatia emotiva verso i personaggi che vi sono raffigurati, insomma è animata ed intrisa della vita stessa. Dunque, partendo proprio dalla radicale differenza del suo concetto di quale sia il fine della rappresentazione pittorica, la sua arte perviene ad un tale grado di aderenza al reale che lo distanzia dal punto di vista estetico non solo dai suoi contemporanei, ma anche da tutti i pittori che lo hanno preceduto; nella storia dell’arte non si era mai visto prima qualcosa di simile ad eccezione forse della rivoluzione Giottesca.
Caravaggio non vuole che la sua pittura sia percepita dall’osservatore come una traduzione codificata della realtà, egli vuole che essa sia percepita esattamente come se fosse la realtà stessa. Come sia arrivato a questo punto di innovazione è senza dubbio frutto di una riflessione personale e questo è in sintesi un genio, cioè una persona che vede le cose in una maniera del tutto diversa dagli altri ed apre nuove vie. Le radici della sua rivoluzione, la base di partenza da cui ha poi sviluppato le sue riflessioni, i suoi esiti ed anche gli strumenti pittorici e concettuali che gli hanno permesso questa rivoluzione vanno individuate in primo luogo nella sensibilità al vero caratteristica della pittura lombarda, che è stata declinata e specificata dagli insegnamenti teorici del Lomazzo, che così si esprime sulla prassi manierista:
“E finalmente concludo: seguendo il giudicio naturale che niun per gran coloritor che sia, e diligente, ma senza invenzione, che levi di peso le figure dalle carte e opre altrui non si deve chiamar pittor ma imitator anci distruttor dell’arte”.
E proprio in opposizione alla pratica di riprendere i modelli dei maestri, egli fa un sentito richiamo a ritornare a dipingere il vero prendendolo a modello, un concetto programmatico che egli pone come pilastro fondante, come chiave di volta della Pittura, che viene dichiarato fin dalla prima pagina del suo Trattato:
“Pittura è arte la quale con linee proportionate, e con colori simili a la natura delle cose, seguitando il lume prospettivo, imita talmente la natura delle cose corporee che non solo rappresenta nel piano la grossezza, e il rilievo de’ corpi, ma anco il moto, e visibilmente dimostra a gl’occhi nostri molti affetti, e passioni de’ l’animo …la pittura è arte perchè piglia per sua regola esse cose naturali; e imitatrice, e come a dire simia de l’istessa natura (pag. 18).
Più dettagliatamente nel capitolo che tratta della stesura pittorica Giovanni Paolo Lomazzo precisa meglio il concetto di cosa egli intenda per verosimiglianza (pag. 187-88) con un esplicito esempio:
“Perchè fino agli cani vedendo altri cani dipinti dietro gl’abbaiano, quasi chiamandogli e sfidandogli; credendo che siano vivi per la sola apparenza: non altrimenti che facciano vedendo sè stessi in uno specchio;…che tanta è la virtù del colorire, che non vi è cosa alcuna corporale da Dio creata che per essa non si possa rappresentare come se vera fosse”.
Dunque la pittura per questo pittore-teorico purtroppo oramai cieco è imitazione il più possibile perfetta della natura, ed è proprio il suo miglior allievo, il Figino che dimostra concretamente questo concetto nella sua bellissima Natura morta con piatto di pesche, che è tra i primi, od addirittura il primo esempio di natura morta in pittura, precursore della Fiscella Caravaggesca.
A questa prima indicazione Lomazzo farà seguire ulteriori specifiche di dettaglio a carattere pratico che rappresentano le conseguenze di questo concetto di base.
Ad esempio quando raccomanda di osservare gli atti e gli atteggiamenti delle persone ritraendoli direttamente dalla realtà della vita (pag.107):
“Ad imitation del quale stimerei cosa espedientissima che ‘l pittore si dilettasse di vedere far alla pugna, d’osservare gli occhi de’ coltellatori, gli sforzi de’ lotattori, i gesti degli istrioni, i vezzi e le lusinghe delle femine del mondo, per farsi istruito in tutti i particolari. Imperoccchè questi sono gli spiriti, anzi l’anima stessa della pittura. Però non manchi alcuno d’attendere a queste cure, per tenersi svegliato il cervello; che qualunque non v’attende senza dubbio è nella invenzione freddo, e morto, e stenta dieci anni a far una figura che all’ultimo non val niente. Onde vediamo che per non incorrere in così notabil diffetto, tutti i grandi inventori per il più sono stati sottilissimi investigatori degli effetti naturali col dilettarsi come ho detto di vedergli spesso e continumente stare occupati in quella pratica co’l soprapensarvi, e studiarvi”.
Nei gesti degli istrioni e nelle lusinghe delle femine del mondo possiamo già intravedere in nuce le scene dei Bari e della Buona Ventura, del Merisi.
L’osservazione diretta e senza filtri della vita così come essa si presenta e la riproduzione delle sue apparenze sulla tela è dunque l’anima della pittura, e questo è esattamente ciò che Caravaggio ha fatto nella maniera più precisa possibile. Bisogna aggiungere che questa pratica consigliata dal Lomazzo di prendere a modello la realtà è del tutto inusuale in un periodo storico in cui già il ritrarre dal vivo da un modello in studio era raro (eccetto il caso dei Carracci e della loro Accademia), dunque immaginiamoci quanto lo fosse ancora di più farlo dalla realtà della vita vera, dalla strada ( 16). Come racconta il Bellori questo invece era proprio quello che faceva il Caravaggio:
”E perchè egli aspirava all’unica lode del colore, sichè paresse vera l’incarnazione, la pelle e il sangue e la superficie naturale, a questo solo volgeva intento l’occhio e l’industria, lasciando da parte gli altri pensieri dell’arte. Onde nel trovare e disporre le figure, quando incontravasi a vederne per la città alcuna che gli fosse piaciuta, egli si fermava a quella invenzione di natura, senza altrimenti esercitare l’ingegno”.
Quindi nella sua prassi pittorica il Merisi si comportava esattamente come raccomandava il Trattato del Lomazzo.
Il Bellori approfondisce ulteriormente questo aspetto del suo particolare ed assolutamente inusuale metodo pittorico citando il fatto che il Caravaggio, interrogato riguardo a questa sua pratica, rispose con le famose parole del pittore greco antico Eupompo :
”Si propose la sola natura per oggetto del suo pennello. Laonde, essendogli mostrate le statue più famose di Fidia e Glicone, acciochè vi accomodasse lo studio, non diede altra risposta se non che distese la mano verso una moltitudine di uomini, accennando che la natura l’aveva a sufficienza proveduto di maestri. E per dare autorità alle sue parole, chiamò una zingana che passava a caso per istrada, e condottala all’albergo la ritrasse in atto di predire l’avventure, come sogliono queste donne di razza egiziana: faceva un giovine, il quale posa la mano col guanto su la spada e porge l’altra scoperta a costei, che la tiene e la riguarda; ed in queste due mezze figure tradusse Michele sì puramente il vero che venne a confermare i suoi detti. Quasi un simil fatto si legge di Eupompo antico pittore; se bene ora non è tempo di considerare insino a quanto sia lodevole tale insegnamento”.
Anche in questo frangente il Caravaggio con il suo comportamento e soprattutto con le sue parole dimostra di conoscere molto bene il Trattato del Lomazzo che appunto nel capitolo che riguarda la pittura naturale contiene esattamente lo stesso esempio di Eupompo ( pag. 457):
”Perchè il naturale a chi intende è il vero esempio, il principio, e fondamento dell’arte e il vero Maestro, si come accenna Eupompo al pittore e statuario di Samo stendendo la mano verso una moltitudine d’huomini, volendogli dire che la natura era vera dimostratrice dell’arte”.
Il Merisi persegue dunque la strada del dipingere seguendo la verità e non la fantasia, riproducendo le apparenze degli accadimenti del contingente e non proponendo forme immaginarie: è con questa forza dirompente che emerge tutta la radicale novità del suo concetto di pittura che si traduce nei fatti in una aderenza al reale mai esperita prima, al contrario dei suoi contemporanei che invece avevano di quest’arte una nozione del tutto diversa, conforme alla pratica accademica, al mestiere, e questo li lasciava del tutto spiazzati e sbalorditi come scrive ancora il Bellori:
“solo i vecchi pittori assuefatti alla pratica rimanevano sbigottiti per questo novello studio di natura” ;
così come stupiti davanti alla forza del realismo delle sue tele rimaniamo anche noi che veniamo molto tempo dopo.
Mano a mano che avanziamo in questa analisi comparata tra il Trattato e la pittura messa in pratica dal Caravaggio diventa sempre più evidente quanto si sia appoggiato alle teorie del Lomazzo, che egli ha portato alle estreme conseguenze, come di consueto del resto per il suo temperamento, andando probabilmente anche oltre le stesse sue intenzioni.
Caravaggio è stato probabilmente il primo pittore a capire ed interpretare con forza ed intransigenza tutta la portata del messaggio di Lomazzo e della Accademia della Val di Blenio, che poi si diffonderà in tutta Europa per mezzo del Trattato, e per comprendere meglio l’importanza di questo testo possiamo tenere conto che in Spagna chi lo tradusse e lo diffuse fu Francisco Pacheco, che è stato il maestro di Velasquez, Ribera, e Ribalta. Lomazzo portava avanti una forma di protesta verso un tipo di arte e di pittura che voleva rappresentare un mondo artificiale e del tutto irreale che non esisteva se non nella fantasiosa mente elitaria dei suoi artefici, mentre all’opposto il Caravaggio ha imbastito il nucleo fondante della sua pittura proprio sul richiamo alla concretezza materiale e tangibile della realtà.
Un ulteriore particolare ci dà un altro indizio di quanto egli conoscesse il Trattato con accuratezza, infatti durante il noto processo del 1603 egli afferma che i valent’huomini sono quei i pittori che sanno fare la figure “naturali”, spiegando che :
”Quella parola valent’huomo appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè che sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali “.
E’ la stessa definzione che Lomazzo dà quando parla specificamente del naturalismo e della attenzione alla luce che aveva Tiziano:
“Il che verissimo e si vede chiaramente ne le opere de’ valent’ huomini di quest’arte ( pag.21)…i quali con tanta sagacità prudenza, e arte imitarono il colore insieme con la luce che le figure paiono piùtosto naturali che artificiali. Onde tra l’altre cose si vedono ne le carnagioni de le sue pitture ( nda di Tiziano), certe macchie, che l’imperito dell’arte non sa imaginarsene la cagione. Ma questi valentissimi huomini lo fecero con grandissima arte: perchè osservarono la luce quando percuote la carne, fa cotali effetti ( pag. 30).
Il Lomazzo quando parla della prospettiva dettaglia maggiormente il discorso della pittura come realismo ( pagg. 249 , 331), e scrive che la pittura deve essere uno specchio perfetto della realtà, e così si esprime:
”Si come gli antichi pittori prospettivi trassero dalla piramide tutte le proportioni naturali, volsero ancora ritrarne la bellezza de’ corpi co’l miglior modo, e ordine che fosse possibile, si come in uno specchio…Con tal arte usarono i famosi pittori di mostrare si come in puro specchio le sacre pitture degli Egittij. Et parimente i greci per mostrare cotal’ arte essere vera, e essemplare, dipingevano gli amori, le imprese, le guerre, e i consigli de’ suoi maggiori come uno specchio ritratto al naturale; dandoci a di vedere che l’occhio giudiciosamente andasse per quella al suo mezzo dimostrando l’opera vera e singulare (pag.315-16).
A pagina 31 spiega quale è il significato della parola naturale sgombrando il campo da sofismi filosofici:
”naturale chiamiamo in questo loco, non secondo lo stretto significato de Filosofi, ma al modo de’ pittori”
e a pagina 430 chiarisce definitivamente cosa vuole dire per lui ritrarre al naturale ribadendo l’assunto dichiarato nel Prologo :
” ritrarre dal naturale cioè di far le imagini de gl’huomini simili à loro, si che da chiunque gli vede siano riconosciuti per quei medesimi”.
E’ in questa maniera pragmatica, semplice, propria dei pittori e del linguaggio comune che egli utilizza questo termine, fare un dipinto dal naturale è in concreto realizzare una immagine che aderisce perfettamente all’aspetto del vero ed è esattamente ciò che farà il Caravaggio.
Lomazzo raccomanda al pittore di eseguire i dipinti “al naturale” e cioè con la massima verosimiglianza possibile, esattamente come se il dipinto fosse uno specchio della realtà stessa posta di fronte all’osservatore, per dare al suo occhio l’illusione di osservare una cosa che si trova veramente davanti a lui (l’occhio giudiciosamente andasse per quella al suo mezzo) e ritiene questa modalità di rappresentazione la caratteristica più importante della pittura lombarda, che in effetti era la più realistica di tutte quelli presenti in Italia ( pag.317):
“Et però si posono fare i quadri, & porgli si come ispecchio della natura in qualunque parte si vuole, ò alto, o basso o a mezzo si che l’occhio vero viene ad essere il mezzo della vera historia, o vogliam dire specchio, si come affermano gli antichi, e i moderni, prospettivi massima Lombardi, de’ quali è propria questa parte”.
Lomazzo infine suggerisce anche l’utilizzo degli specchi come strumento tecnico per inquadrare e rappresentare correttamente la realtà come fece anche il Merisi:
”Che se pigliaremo uno specchio grandissimo e con quello faremo esperienza di quanto io dico, ne vedremo chiara esperienza, e sensibilmente la verità che le spetie delle cose si diminuiscono quanto più si scostano dagli occhi nostri…Da questa consideratione dello sfuggire che fanno in uno specchio le figure io ho cavato la regola e l’arte di fare scortare e sfuggire le figure in prospettiva, come ne trattaremo poi doppo questo libro ne la pratica”( pag.249).
Questo concetto viene ulteriormente approfondito in un altro passo, dove egli tenta di spiegare la prospettiva tenendo conto delle sue regole codificate:
”Le quali spetie non sono altra cosa, che certe imagini di quella medesima maniera, che sono quelle che si vedono nello specchio, quando un’ huomo od altra cosa dinanzi sè egli rapresenta. E la cosa visibile o corpo colorato sta propinquo a questa imagine viene al nostro occhio nella medesima quantità e grandezza de l’angolo della piramide. Poi perchè questo angolo come di già ho detto, viene al nostro occhio ottuso, e grande, l’imagine ancor’ella è grande e per conseguenza si vede chiaramente e distintamente (pag. 216).
Nel libro VI°: De la pratica, che tratta appunto della pratica pittorica, introduce all’utilizzo dello specchio in pittura:
”E finalmente la scoltura riceve il lume naturale, ma la pittura non solamente il riceve, ma l’ introduce per le sue parti, egli di più le perdite e gli acquisti; si come in uno specchio”;
cioè spiega che utilizzando questo strumento si può distinguere con maggior chiarezza ed in maniera rafforzata il contrasto della luce e dell’ombra.
Come del resto è affermato anche in un testo che i pitttori lombardi conoscevano molto bene, il Trattato sulla pittura di Leonardo, che nei principi 115 e 402 tratta di questo argomento: 115 Come lo specchio è il maestro de’ pittori:
“Quando tu vuoi vedere se la tua pittura tutta insieme ha conformità con la cosa ritratta di naturale, abbi uno specchio, e favvi dentro specchiare la cosa viva, e paragona la cosa specchiata con la tua pittura, e considera bene se il subietto dell’una e dell’altra similitudine abbiano conformità insieme. Sopratutto lo specchio si deve pigliare per maestro, intendo lo specchio piano imperocché sulla sua superficie le cose hanno similitudine con la pittura in molte parti; cioè, tu vedi la pittura fatta sopra un piano dimostrare cose che paiono rilevate, e lo specchio sopra un piano fa il medesimo; la pittura è una sola superficie, e lo specchio è quel medesimo; la pittura è impalpabile in quanto che quello che pare tondo e spiccato non si può circondare con le mani, e lo specchio fa il simile. Lo specchio e la pittura mostrano la similitudine delle cose circondata da ombre e lume, e l’una e l’altra pare assai di là dalla sua superficie. E se tu conosci che lo specchio per mezzo de’ lineamenti ed ombre e lumi ti fa parere le cose spiccate, ed avendo tu fra i tuoi colori le ombre ed i lumi piú potenti che quelli dello specchio, certo, se tu li saprai ben comporre insieme, la tua pittura parrà ancor essa una cosa naturale vista in un grande specchio”
e 404 Come la vera pittura stia nella superficie dello specchio piano:
“Lo specchio di piana superficie contiene in sé la vera pittura in essa superficie; e la perfetta pittura, fatta nella superficie di qualunque materia piana, è simile alla superficie dello specchio; e voi, pittori, trovate nella superficie degli specchi piani il vostro maestro, il quale v’insegna il chiaro e l’oscuro e lo scorto di qualunque obietto; ed i vostri colori ne hanno uno che è piú chiaro che le parti illuminate del simulacro di tale obietto, e similmente in essi colori se ne trova alcuno che è piú scuro che alcuna oscurità di esso obietto; donde nasce che tu, pittore, farai le tue pitture simili a quelle di tale specchio, quando è veduto da un solo occhio, perché i due occhi circondano l’obietto minore dell’occhio”.
Come scrive appunto il Lomazzo, per mezzo di questo strumento, che rappresenta dunque un attrezzo importante a disposizione del pittore, l’artista può osservare con maggiore chiarezza il contrasto tra luce ed ombra, e riprodurlo nei suoi dipinti, come accade appunto nelle opere del Caravaggio.
Occorre ora ulteriormente specificare che sia per quanto riguarda l’effetto di contrasto delle luci che anche per quello che concerne l’utilizzo degli specchi il Lomazzo e Leonardo basano le loro teorie su una idea più antica formulata da Leon Battista Alberti nel suo De Pictura, che forse anche il Caravaggio conosceva:
”46. Resta a dire del ricevere de’ lumi…Dicono che gli antiqui pittori Polignoto e Timante usavano solo colori quattro, e Aglaofon si maravigliano si dilettasse dipignere in uno solo semplice colore, quasi come fusse poco in quanto estimavano grandissimo numero di colori, se quegli ottimi dipintori avessero eletti quelli pochi, e ad uno copioso artefice credeano convenirsi tutta la moltitudine de’ colori. Certo affermo che alla grazia e lode della pittura la copia e varietà de’ colori molto giova. Ma voglio così estimino i dotti, che tutta la somma industria e arte sta in sapere usare il bianco e ‘l nero, e in ben sapere usare questi due conviensi porre tutto lo studio e diligenza. Però che il lume e l’ombra fanno parere le cose rilevate, così il bianco e ‘l nero fa le cose dipinte parere rilevate, e dà quella lode quale si dava a Nitia pittore ateniese. Dicono che Zeusis, antiquissimo e famosissimo dipintore, fu quasi prencipe degli altri in conoscere la forza de’ lumi e dell’ombre: agli altri poco fu data simile loda. Ma io quasi mai estimerò mezzano dipintore quello quale non bene intenda che forza ogni lume e ombra tenga in ogni superficie. Io, coi dotti e non dotti, loderò quelli visi quali come scolpiti parranno uscire fuori della tavola, e biasimerò quelli visi in quali vegga arte niuna altra che solo forse nel disegno. Vorrei io un buono disegno ad una buona composizione bene essere colorato. Così adunque in prima studino circa i lumi e circa all’ombre, e pongano mente come quella superficie più che l’altra sia chiara in quale feriscano i razzi del lume, e come, dove manca la forza del lume, quel medesimo colore diventa fusco. E notino che sempre contro al lume dall’altra parte corrisponda l’ombra, tale che in corpo niuno sarà parte alcuna luminata, a cui non sia altra parte diversa oscura. Ma quanto ad imitare il chiarore col bianco e l’ombra col nero, ammonisco molto abbino studio a conoscere distinte superficie, quanto ciascuna sia coperta di lume o d’ombra. Questo assai da te comprenderai dalla natura; e quando bene le conoscerai, ivi con molta avarizia, dove bisogni, comincerai a porvi il bianco, e subito contrario ove bisogni il nero, però che con questo bilanciare il bianco col nero molto si scorge quanto le cose si rilievino. E così pure con avarizia a poco a poco seguirai acrescendo più bianco e più nero quanto basti. E saratti a ciò conoscere buono giudice lo specchio, né so come le cose ben dipinte molto abbino nello specchio grazia: cosa maravigliosa come ogni vizio della pittura si manifesti diforme nello specchio. Adunque le cose prese dalla natura si emendino collo specchio.”
Lomazzo però non si limita a questo aspetto e suggerisce anche ulteriori utilizzi a cui possono servire gli specchi, in primo luogo sono adatti a studiare gli effetti delle deformazioni ottiche che essi generano, inoltre possono servire a proiettare la luce sui soggetti per studiare le loro diverse possibili illuminazioni e chiama queste tecniche “specularia”:
“L’ultima spetie della prospettiva, la quale si chiama specularia, considera la riflessione dei raggi e porge aiuto al artificio de li specchi, mostrando tutte le affetioni, e gli inganni di quelli”.
Caravaggio era sicuramente interessato alla manipolazione della luce per mezzo degli specchi, come si può capire dalla speciale illuminazione a fonti multiple che il pittore utilizza per mostrare alcune parti della realtà e nasconderne altre, anche questa è una sua peculiarità. Le indagini scientifiche hanno infatti dimostrato che l’ illuminazione delle sue figure avviene utilizzando diversi punti di luce e non attraverso un’unica sorgente come apparentemente si potrebbe pensare (17).
I contenuti del Trattato riguardo all’utilizzo degli specchi in pittura paiono dunque complessivamente dar ragione a Roberto Longhi che volendo commentare la nota frase del Baglione: “Fece alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti,” così argomentava:
“Guardava intorno a sè, e la realtà gli appariva in pezzi bloccati di un universo dove non era luogo nè a contorni, nè a rilievi, nè a colori come formule astrattive. E perchè la retina, da sola, ha un campo visivo sempre sfocato, svagante, non era meglio stagliarlo come ci appare nel quadro veridico dello specchio che ci dà sempre l’unità del frammento immerso nella sua luce: una specie di realtà acquario”.
Seguendo il suo ragionamento dunque un aspetto rilevante dell’innovazione caravaggesca consiste nell’inquadratura e nella modalità di rappresentazione di un brano tratto dalla realtà che egli riproduce esattamente come se ne osservasse l’immagine fermata all’interno di uno specchio, questo strumento inoltre per sua natura ha la proprietà di esaltare il gioco della luce permettendo così di percepire con grande precisione il suo contrasto con le parti in ombra.
Noi oggi sappiamo che Caravaggio utilizzava gli specchi per dipingere dato che tra le attrezzature che furono sequestrate al pittore ci sono sia uno specchio grande che uno a forma convessa. Ritornando a questo proposito sul suggerimento tecnico dato dal Lomazzo di non disegnare i contorni delle figure, possiamo ulteriormente osservare che la prima conseguenza pratica della mancanza dei contorni è che l’occhio dell’osservatore ha più difficoltà a percepire con esattezza le forme, infatti è proprio la linea nera che ne delimita i confini a guidarlo in questo senso, è necessario dunque per aiutarlo in questo compito rafforzare i contrasti di luce e di colore, in modo da consentire all’occhio di distinguere bene i differenti volumi e piani. Non è un caso che il Lomazzo nel suo trattato citi proprio Tiziano come esempio della pratica di rafforzare il contrasto, e cioè un esponente della pittura veneziana che tradizionalmente tralascia la linea disegnativa. Per ottenere questo obiettivo, come abbiamo appena visto, risulta dunque molto utile l’utilizzo di uno specchio, che aiuta il pittore ad estremizzare il contrasto; in aggunta a questo il Caravaggio utilizza colori molto intensi, saturi, questi accorgimenti divengono elementi fondamentali al fine di una corretta rappresentazione pittorica, se non si utilizzano i contorni, e lo specchio poteva guidarlo su questa strada.
In sintesi, seguendo questa tecnica l’immagine dipinta che è priva di linee viene ricomposta e riconosciuta dall’occhio per mezzo della forte contrapposizione tra i colori oppure dalla differente azione che la luce esercita sulle differenti figure, ed è appunto a questo scopo che gioca un ruolo fondamentale il contrasto, poichè è in grado di potenziare la percezione della tridimensionalità, e quindi permette di individuare con maggior precisione i differenti piani, ed è questo proprio ciò che fa il Merisi nella sua pittura, come vedremo con maggior chiarezza nel prossimo paragrafo.
Da parte del Merisi in definitiva, come appunto indicava il Lomazzo, esiste il bisogno di realizzare una scena col massimo grado di verosimiglianza possibile allo scopo di dare allo spettatore l’illusione di stare veramente assistendo al fatto rappresentato e questa esigenza costituisce la pervicace, radicale, novità della sua idea di cosa sia la pittura. Da ciò discende come conseguenza anche la volontà di utilizzare brani tratti direttamente dalla realtà, una pratica che si incardina nella sua volontà di essere il più aderente possibile al vero, egli tiene dunque sempre fede all’obiettivo primario indicato nel Trattato: la verosimiglianza.
E’ in questa direzione che va intesa anche un’altra delle caratteristiche storicamente riconosciute della sua prassi pittorica, l’utilizzo di sé stesso come modello, che il Baglione assegnava maliziosamente alla manchevolezza della sua tecnica pittorica, ma che invece come vedremo è una tecnica suggerita anch’essa dal Lomazzo. A questo proposito, sempre nello stesso brano ( pag. 11) Longhi smentisce che questo comportamento fosse giustificato dal fatto di dover risparmiare il modello, e non poteva neppure essere attribuito, come il Bellori affermava, al fatto che senza di questo non sapesse dipingere “riuscendogli troppo dispendioso il modello, senza il quale non sapeva dipingere”.
L’utilizzo del modello dal vivo è un fattore importante invece per raggiungere lo scopo che si era prefissato e cioè che i suoi dipinti avessero il massimo grado di verosimiglianza e quindi per essere sicuro di raggiungere questo risultato dipingeva studiando in maniera precisa il vero, un obiettivo da perseguire con assoluta e coerente fedeltà. Riguardo a questo ulteriore dettaglio tecnico utilizzato dal Caravaggio ci viene in aiuto ancora una volta il Lomazzo e il suo disprezzo per le regole scolastiche consolidate , infatti egli suggerisce proprio la tecnica messa in pratica dal Merisi di utilizzare sé stessi come modello per studiare la forma dei panneggi, un accorgimento che era in completo contrasto con la pratica accademica tradizionale che prevedeva invece di utilizzare disegni o modelli in creta:
”Alcuni idioti pittori che sogliono valersi di questi modelli, d’onde ne nasce che non possono condurre una figura in un anno…I valenti pittori non l’hanno usato, ma dappoi ordinati i cartoni sicuri per le vie dette, e che si diranno poi nel discorso naturale, ponendosi un tratto addosso un panno, con quattro tratti di carbone, e rilievi, vestono la figura sicuramente disegnata…”.
Abbiamo in sintesi dunque potuto verificare in questa prima parte dell’analisi quante delle specificità tecniche della pratica pittorica del Caravaggio siano state derivate dalle indicazioni del Trattato Lomazzo ed inoltre come tutte queste metodologie siano tutte precisamente indirizzate ad ottenere il perfetto realismo del dipinto.
Michele FRAZZI Parma 15 Settembre 2024