Profeti, rivelazioni e ritratti negli affreschi di Lattanzio Gambara alla cattedrale di Parma

di Maria Cristina CHIUSA

Prefazione ( Fig. 1)

Lattanzio Gambara Cattedrale di Parma navata sx (veduta d’insieme)

A Parma, nella cattedrale: il fitto racconto di Lattanzio Gambara nella nave centrale, scandito in una  serrata teoria di architetture attigue, raffigura una realtà agreste, dai tratti semplici, i cui protagonisti parlano la lingua quotidiana e dimessa della vita di tutti i giorni. La stipata galleria dipinta suggerisce un quesito: Lattanzio Gambara fu un pittore della cosiddetta Apocalisse? Nel linguaggio corrente il termine è divenuto sinonimo di catastrofe, disgrazia di immani  proporzioni, ma indica  in realtà una “rivelazione”. L’Apocalisse di Giovanni Evangelista cui vorrei fare sinteticamente riferimento, (l’argomento è complesso e rinvia ad una ricca argomentazione), non propone come tema centrale l’annuncio della fine del mondo e la descrizione anticipata di disastri e di cataclismi che lo accompagneranno. Il titolo del primo libro del testo giovanneo, “Rivelazione di Gesù Cristo”, riferisce  all’intera storia umana la rivelazione. L’Apocalisse, rivelatrice di Gesù Cristo, è dunque essa stessa portatrice di buona novella: non intende essere una predizione di disastri, ma la lettura della storia umana alla luce della morte e risurrezione di Cristo; la manifestazione definitiva di Dio quale criterio e  chiave interpretativa della storia.

La verbosa narrazione compone un’opera monumentale, di grande impatto, come era nei probabili intenti dei Fabbricieri: un’impresa prestigiosa e spettacolare, se rapportata all’estensione delle superfici da affrescare, la parete della controfacciata e le tredici della navata centrale; e, in misura non minore, al grande rilievo che la solenne decorazione assumeva nel tempio.[1]

Ma di che discorrono i profeti-veggenti delle arcate? Il carattere simbolico del linguaggio apocalittico si esprime  tramite l’ampio ricorso ad allusioni e riferimenti al patrimonio di immagini tradizionali,  i testi biblici, in particolare profetici, capaci di predire ciò che avverrà in futuro, sia l’ultimo periodo della storia del mondo, sia il futuro ulteriore, ovvero l’epoca della salvezza.

Le coordinate storico-cultuali della fine degli anni sessanta del Cinquecento circoscrivono il delicato contesto successivo all’ultimo atto delle sedute tridentine, foriero di una renovatio dottrinale ad ampio raggio che avrebbe investito le arti in genere e le relative iconografie; è il caso  della nuova officina cinquecentesca cui i Fabbricieri avevano dato avvio.

In data 14 luglio 1567 si sancisce un sodalizio di diritto, ma non di fatto ( Fig. 2): ‘…Bernardo de Gatis et Lactantio de Gambara pictores’ ricevono un pagamento dai Fabbricieri, per l’anno in corso  due Canonici, Franc. s Arrianus e Prosper de Gualandiis, e due cives Cosmas de Bono e Josep. (s) de Belliardis relativo alle pitture che  stanno realizzando  in ‘utraque facie muri navis magnae’ del Duomo di Parma. Ma il nome dia Bernardino Gatti, il Sojaro (1495-1575), dopo il 1567[2] scompare dalla documentazione relativa ai pagamenti. Né appare traccia di un’eventuale partecipazione di quest’ultimo all’imponente impresa nella navata: a due mesi soltanto dal saldo del primo pagamento, in occasione del secondo, il 9 settembre 1567,  l’artista non compare più.[3]

L’iconografia e il significato ( Figg. 3-4-5)

La complessa iconografia degli affreschi pattuita dai committenti con il Gambara merita qualche riflessione. Una trentina di anni fa,  in una pubblicazione[4] seguita alla campagna  di restauro del ciclo in esame a cura di B. Zanardi e C. Barbieri, (1988-1992), G. Romano[5] s’interrogava sull’identità del consulente del Gambara per la decorazione; e sull’intento dei Fabbricieri nell’affidargli un’iconografia ispirata  al confronto tipologico fra Antico e Nuovo Testamento presente nelle Bibliae pauperum medievali. Una spia in merito veniva offerta nel corso dei restauri  dall’identificazione da parte di Zanardi[6] di alcuni frammenti decorativi nei costoloni della volta, nelle zone del testo cinquecentesco interessate a lacune di profondità, pertinenti per la  tecnica d’esecuzione e lo stile al periodo romanico. Si trattava, con buona probabilità, della decorazione  originaria della Cattedrale nel secolo XII, della quale non è stata rinvenuta altra traccia nella navata, fatta eccezione per la presenza di alcuni motivi romanici a ‘finto mattone’, forse coevi a quelli testé riemersi, ai bordi delle finestre laterali delle pareti dei matronei. L’indizio è interessante, dato che i frammenti antichi superstiti lasciano ipotizzare che l’intero assunto romanico fosse impostato sul raffronto Bibbia-Vangelo. La riaffrescatura cinquecentesca potrebbe dunque interpretare un’esigenza di continuità con il programma antico.  La scelta, suggestiva, andrebbe verificata ed estesa ad altri esempi padani,  i cui principi di rinnovamento e tradizione non risultavano comuni; non si deve dimenticare che la Bibbia era ritenuta dai padri tridentini un testo a rischio fra le mani dei semplici devoti.

Ad ogni modo l’autorevisione in atto nella chiesa romana nel corso del settimo decennio del ’500 avrebbe portato, inevitabilmente, alla costruzione di una compagine di convenzioni, ossia alla ‘gabbia in cui l’arte sacra si dibatte ai nostri giorni’[7].

L’impianto iconografico dei nostri affreschi è riservato in prevalenza  alle storie veterotestamentarie: Gambara asserisce  la concordanza fra Antico e Nuovo Testamento annunciando la profezia dei Patriarchi tramite i versetti biblici; la realizzazione della ‘preveggenza’ negli episodi del Nuovo Testamento  sembra dichiarare una continuità con le scelte adottate già in seno al grande cantiere romanico. Seguendo le labili tracce emerse,[8] incontriamo infatti alcuni riscontri nelle iconografie del vicino Battistero. I temi apocalittici lì sviluppati, come osservava G. Fiaccadori,[9] risalgono a loro volta a un progetto unitario, che punta sulla piena coesione dei modelli del cantiere antelamico con la pittura bizantina e s’ispira allo spiritualismo  millenaristico del  gioachimismo francescano: le “concordanze” di sculture e dipinti interni con la decorazione esterna del Battistero sembrano infatti ricondurre agli stilemi e al significato  dei  temi gioachimiti

Le linee guida della decorazione cinquecentesca prevista dai Fabbricieri per la navata centrale si rivelano fedeli a quel programma e Gambara sembra guardare  alla letteratura apocalittica, già annunziata nel Battistero; egli  propone alcuni episodi piuttosto insoliti nella  rappresentazione della vita di Gesù, come i Miracoli di Cristo Pietro salvato dalle acque, ed elimina  alcune scene tradizionali  del  ciclo della Passione, solitamente culminanti  in quella simbolicamente più intensa della Crocifissione: qui assente.

L’artista bresciano, ignorando l’iconografica tradizionale, opta per un  programma per il quale i Fabbricieri si erano probabilmente avvalsi  dei suggerimenti di colti eruditi, filosofi, intellettuali. Occorrerà individuarne le personalità, da ricercare sia in ambito locale fra le mura del vicino cenobio benedettino di San Giovanni Evangelista, sia in area geografica bresciana.

Lattanzio Gambara, (Brescia, 1530 circa – Brescia, 18 marzo 1574), un artista ‘olivetano’

Lattanzio Gambara fu un pittore con un ritratto: più d’uno a dire il vero, a detta dei  resoconti biografici a lui dedicati nel Sei e nell’Ottocento[10], sino ad oggi, a voler considerare la biografia romanzata di M. Scovoli,[11] una pièce teatrale per alcuni aspetti. Ben fondata sui documenti anche se priva di pretese scientifiche, offre uno spaccato attendibile della vita dell’artista, del suo tempo e del suo mondo, dove la semplicità dei costumi, uno specchiato realismo e l’infaticabile impegno nella pittura, coltivata sin da giovanissimo ed incoraggiata dal padre, si accompagnano all’umiltà, che spesso rasenta l’inconsapevolezza dei meriti, e  ad un’operosità senza eguali prima in Brescia e poi in area cremonese, a Parma, sino a Trento: un ‘indefesso labore’[12] concordemente accolto dalla storiografia.

L’apprendistato nella bottega di Giulio Campi a Cremona,  dove ebbe l’occasione di assimilare i caratteri più aggiornati ivi pervenuti da Mantova, Venezia e Parma, aveva favorito  la sua formazione. Le principali fonti d’ispirazione dovettero essere Giulio Romano, il Pordenone e Parmigianino. Una volta rientrato a  Brescia nel 1547, lavorò sotto la guida del Romanino, che avrebbe influenzato  gran parte della sua produzione pittorica e grafica. Da una polizza d’estimo si apprende che l’artista nel 1568 aveva trentotto anni, cronologia che ne fissa  la data di nascita al 1530.

All’inizio dell’Ottocento Nicoli Cristiani[13] segnalava nelle pagine spese per le glorie artistiche bresciane gli affreschi giovanili del Gambara sulle pareti  esterne delle cosiddette case del Gambero (1549-1557), affidate secondo il biografo a Romanino, il suocero[14], dove Lattanzio dipinse con maestria ben quarantotto episodi intitolati a soggetti sacri, profani e mitologici.[15] Egli ricorda: “….In quarantotto scompartimenti, ventiquattro maggiori, e ventiquattro minori dipinse Lattanzio con franchezza e maestria.. una congerie di soggetti sacri, profani, mitologici e capricciosi … “

Il Nicoli–Cristiani, ancora, a meglio elogiare Gambara,[16] riporta il giudizio lusinghiero espresso dal  Vasari ne Le vite, così : ” Il Vasari tom. VIII pag. 365 quantunque abbia personalmente conosciuto Lattanzio Gambara e non Gambaro, come egli dice, e sia stato in sua casa, ove ammirò il ritratto di sua moglie e quella del suocero, che giudicò essere una bellissima testa di vecchio, cade in gravissimo errore affermando ch’egli fu genero di Alessandro Bonvicino detto il Moretto. Allo stesso Vasari sempre parco nelle lodi anco de’ più insigni pittori della Veneta scuola e della Lombarda, forse come osserva Monsignor Bottari per ispirito di patria rivalità, o per mancanza di esatte notizie, piacquero tanto questi due ritratti, che non potè a meno di non riconoscere Lattanzio pel miglior pittore che fosse in Brescia, agiugnendo, che se simili ad essi fossero l’altre sue opere, egli potrebbe andare al pari de’ maggiori dell’arte.>>

I non pochi cicli pittorici svolti nella città lombarda su varie facciate anche  di strutture, come queste, artigianali e commerciali, sembrano restituire i contorni di una Brixia rinascimentale “dipinta”, a decoro degli abitanti e diletto per i forestieri.

Già a date precoci, nelle pitture qui rese da Gambara, ragionevolmente databili al 1556,[17] si profilano alcuni tratti caratteristici del ductus dell’artista, per quanto consentito leggere nelle prove frammentarie superstiti, alcune ancora presenti in loco e altre alla Tosio Martinengo in Brescia. Un  vivido realismo anima i  protagonisti, i quali, in pose atletiche,  indulgono in quel “gigantismo” che Giulio Romano, Samacchini e Tibaldi avevano direttamente mutuato dai testi michelangioleschi. (Figg. 6-7)

Si rivelano per noi di  interesse le storie  con  Giuditta decapita Oloferne ( ancora in loco, ma illeggibile) e La  regina di Saba visita Salomone, diversamente interpretata come La continenza di Scipione, (Fig. 8), staccata e conservata alla Pinacoteca Martinengo,[18] le cui iconografie derivano dall’antico Testamento; rispettivamente dal libro di Giuditta, (12 e 13) e da quello dei Re (1 Re, 1-10). Significativo è poi il carattere tipologico dei passi i quali sono anticipatori di quelli neo-testamentari: l’episodio della regina di Saba è prefigurazione (tipo veterotestamentario) dell’Adorazione dei Magi. In altri termini, già in quest’impresa giovanile l’artista svolge iconografie che, ispirate alla Bibbia, hanno un sapore profetico: una scelta costante nell’arco della sua carriera che lo vedrà spesso presente nei conventi olivetano-benedettini. Si trattava semplicemente  di una richiesta dei committenti  o di una propensione personale?

Numerose decorazioni di Gambara in area bresciano-lombarda, precedenti l’impresa parmense alla cattedrale parmense, sono intitolate a iconografie ispirate a tematiche ‘visionarie’ ed apocalittiche. Offriremo come esempio l’abitazione del pittore, nel cui atrio sono raffigurate nove scene bibliche, tre maggiori, raffiguranti Giale che trafigge Sisara, Il salvamento di Mosé dalle acque e La  strage degli innocenti, e sei minori, accompagnate da quattro piccoli medaglioni ovali con figure di personaggi biblici, databili attorno al 1560 e da considerare fra le opere più riuscite dell’artista.

Ne seguono molte altre, fra le  quali sarà bastevole ricordare il ciclo di affreschi nella volta e nelle pareti della Sala minore di Palazzo Maggi ora Gatti a Corzano (Brescia): qui incontriamo una complessa iconografia che vede al centro Gesù che sale al cielo. All’intorno  sulla cornice in rilievo si legge una scritta biblica frammentaria a caratteri minuscoli integrabile con un passo degli Atti degli Apostoli,[19]cui se ne aggiungono altre tratte da Genesi, dai Salmi, da Abacuc, [20] a  commento della decorazione  con figure di Profeti, (Figg. 9-10). L’impianto, il cui committente fu con buona probabilità il vescovo Paolo Maggi intorno al 1560,[21] è completato da sei lunette raffiguranti alcuni fatti dell’Antico Testamento.[22]

Il tema in esame viene nuovamente ripreso nei quattro affreschi dell’Apocalisse, già in palazzo Broletto a Brescia, oggi perduti, una richiesta iconografica insolita da parte di un’autorità politica. L’intonazione venata di inquietudine presente negli affreschi, pur subordinata al clima culturale, sembra dichiarare un percorso indipendente. La raffigurazione, che rievoca i versetti dell’Apocalisse, è popolata da un groviglio di corpi dai volti atterriti, (Fig. 11), precipizi, concitazione e molto altro, e sembra rammentare il Crollo dell’Olimpo svolto da Giulio Romano a Palazzo Te, (Fig. 12) e l’Apocalisse di Durer. Ciò che la rende originale sono le finalità: intonate da Gambara ad un sentire di forte sapore benedettino, che egli riprenderà nell’impresa parmense e nel monastero di Rodengo nel bresciano. L’ispirazione benedettino-cassinese ( ordine da cui dipendono molti importanti monsteri padani come quello di San Giovanni Evangelista di Parma) si fonda sul millenarismo indicato da Agostino nel De civitate Dei: la Gerusalemme terrena e quella celeste convivono all’inizio e alla fine dei tempi. Per i Benedettini questo significato è già espresso dai profeti, in particolare Isaia (” primus et novissimus… alfa et omega” recita il profeta nel fregio che scorre nella prima campata di destra dell’abbazia benedettina parmense )

Quale fonte ispiratrice aveva influenzato Gambara? E, ancora, per quale tramite il pittore sarebbe pervenuto al duomo di Parma? Si trattava probabilmente di un benedettino: se nella città emiliana il monastero cassinese di san Giovanni Evangelista è assai prossimo alla cattedrale, a Brescia l’artista aveva lavorato con successo per quello dello stesso ordine in sant’Eufemia. Dell’impresa resta  soltanto un frammento della Cisterna del cenobio raffigurante un Serpente di bronzo, ma è legittimo ipotizzare che ne siano stati staccati altri. L’abate  Antonio Pietro da Gussago, cui, a detta delle fonti Lattanzio Gambara era legato[23], ci conduce nell’omonima località della campagna bresciana. Sia pure in termini generali, è possibile verificare che la pieve di Gussago per alcuni secoli, a partire  dal quadro medievale, era stata retta da un monaco benedettino deputato dall’abate di Leno (Bs).[24]

La notizia, priva di ulteriori dettagli, segnala il legame dell’artista con il mondo benedettino, confermato dalle commissioni sia bresciane, Sant’Eufemia e come vedremo Rodengo, sia parmensi.

Nel duomo di Parma sono le storie dipinte a indicare l’incipit seguendo l’ordine cronologico degli episodi  dedicati alla vita di Cristo: e dunque, a seguire, nella campata a sinistra, dall’ingresso, l’Annunciazione, l’Adorazione dei pastori, sino al Battesimo; per proseguire nella parete di destra, questa volta dal presbiterio.

fig 13
fig 14

Alle sommità delle arcate  nei timpani curvilinei campeggiano le figure di Patriarchi e  Profeti, (Fig. 13), i quali tengono fra le mani brevi con sentenze ispirate alle Sacre Scritture, a chiarimento didattico delle storie veterotestamentarie presenti nei riquadri centrali; qui le cromie dorate dei monocromi ottenute  con le terrette gialle, nel conferire più smalto, acquisiscono maggiore solennità al racconto biblico. (Fig. 14). Profeti e Patriarchi sono accompagnati da una serie di effigi, di realistica resa, veri e propri “ritratti parlanti”; le effigi, presenti in tutti gli archi a due, tre, quattro, nell’identificare il pittore, o la famiglia di lui, attestano altresì  la presenza, in abiti talora dimessi, talora professionali, dei Fabbricieri, laici e canonici.

Nelle campate, al di sopra dei matronei sono rappresentate le grandi scene neo-testamentarie,   secondo l’indicazione offerta da Sant’Agostino nel De civitate Dei, che prevedeva la concordanza fra le Scritture: l’interpretazione della Bibbia in chiave cristologica e tipologica, per la quale i fatti biblici si attestano come prefigurazioni, “tipi”, di quelli evangelici.

A suggello delle campate stanno le volte a lunetta, ove a lato della finestra centrale sono affrescate due figure allegoriche a monocromo, sottolineate da un ricco fregio che scorre al di sotto, con  festoni di frutti, di raro naturalismo, mascheroni e putti acrobaticamente risolti nelle pose più disinibite. Un probabile  richiamo alla decorazione della volta del duomo, che l’inventiva di Girolamo Bedoli aveva tradotto in un ricco ombrello infittito di verzure, monocromi, ghirlande con immagini di profeti.

Nei nostri affreschi i testi di sapore apocalittico descritti negli arconi sono  finalizzati alla declinazione degli episodi della vita di Gesù sopra i matronei, a compimento delle previsioni veterotestamentarie. Nelle storie è annunziata la sofferenza di Cristo grazie al simbolismo evocato dalla presenza ripetuta del bastone che finisce con il fiorire rigoglioso, e poi dall’addensarsi di profeti, re, patriarchi, apostoli, i quali  inducono a cogliere nell’assunto arcane previsioni apocalittiche. Si noti come fra il resoconto biblico, ben definito entro i riquadri, e la restante decorazione, si frappone una cesura che lo dichiara fuori dal tempo, nel Regno divino, forse direttamente collegato con la Gerusalemme Celeste della cupola affrescata dal Correggio.

Nella decorazione i richiami alla città della pace, Gerusalemme, e all’opera finale di Dio sono palesi e sembrano ispirarsi, come già ricordato, all’Apocalisse di Isaia (24-27) il quale nel trionfo di Dio, ossia della vita eterna sulla morte, annuncia non pochi spunti di speranza.

Nel ciclo di affreschi Gambara sembra svolgere sbrigativamente il resoconto del Nuovo Testamento passando dalla scena con Cristo inchiodato alla Croce, alla Resurrezione, e quindi all’Ascensione della controfacciata, che inizia e conclude il percorso redentivo in linea diretta con l’Assunzione della Vergine della cupola.

Le giornate di lavoro del pittore e le storie

I documenti e le storie dipinte ci guidano a conoscere il metodo di lavoro  del pittore che  aveva iniziato dai soprarchi e dalle scene con la vita di Cristo; apprendiamo inoltre che un primo acquisto di legnami è databile soltanto a partire da gennaio del 1570, seguito a settembre da una più consistente fornitura di assi e stanghe, per la messa in opera dei ponteggi è lecito supporre. Ulteriori pagamenti ci informano che il ponteggio aveva ricoperto la totalità della navata dal 1570 sino al settembre del 1572, quando era già in corso l’affresco della controfacciata. Tanto ci viene confermato dal fatto che a quella medesima data il bresciano Antonio Porcilago fornisce 1800 fogli d’oro, cui ne verranno  aggiunti altri 1700 a dicembre, pro deaurandis capitellis columnarum nauis magnae.[25] E dunque l’artista per svolgere la decorazione utilizzò un ponteggio “nuovo”, realizzato con tutta probabilità con materiale già in uso e riadattato.

L’intero itinerario pittorico sembra tradurre una sacra rappresentazione: nella prima campata incontriamo  l’Annunciazione, con l’episodio della Visitazione (Fig. 15)

fig 15

ECCE VIRGO CONCIPIET (Is 7, 14)

DESCENDET SICUT PLUVIA IN VELLUS (Sal 72, 6) Monocromo: Gedeone e la prova del vello (Giudici 6, 36-40)

Il simbolismo profetico e allusivo si trasferisce dagli archi all’Annunciazione, caratterizzata dall’eccentricità dell’orchestrazione spaziale, risolta entro un’architettura assai complessa; i rimandi a Giulio Romano, e la concitazione delle figure, intonate ad un dinamico realismo, passano in secondo piano. La scena si addipana attorno alla figura della Vergine, genuflessa ai piedi di un leggìo aulico: sulla destra si profila oltre il portico, che funge da cesura, l’episodio della Visitazione di Maria ad Elisabetta, in un’originale sintesi compositiva. Da un balcone sovraelevato dinnanzi alla Vergine un atletico Arcangelo Gabriele fa la sua apparizione, accompagnato da un nimbo di creature angeliche e di figure allegoriche, decisamente inconsuete nell’iconografia tradizionale. Ed è proprio l’avvento concitato di Gabriele, immerso nelle nubi fra l’emozione corale, a fare di questa rappresentazione un unicum. Se abbassiamo  lo sguardo all’arco sottostante, incontriamo i profeti che, seduti  su nubi spumeggianti, svolgono la duplice funzione di custodi e interpreti della rappresentazione veterotestamentaria, comune a tutte le campate.

fig 16

Ma i profeti non sono soli; qui, come nell’intera serie di archi, sono accompagnati da gentiluomini barbati, che per decoro e autorevolezza, sottolineati dalla barba canuta, sembrano dichiarare il loro rango di Fabbricieri: l’artista si rivela un abile ritrattista, sollecitato, com’era, dalla ricca campionatura resa da G. Moroni, Moretto, Savoldo. (Fig. 16). Questi ritratti parlanti, fra i quali la critica ha ritenuto di identificare l’autoritratto del pittore e l’effigie dei familiari, parlano per davvero, affermando la  centralità  della profezia biblica.

  1. Adorazione dei pastori, ( Fig. 17) con l’episodio dell’Arrivo dei Magi (ORIETUR STELLA EX JACOB (Num 24, 17) FILIUS DATUS EST NOBIS (Is 9, 6)

Monocromo: Benedizione di Giacobbe (Genesi 49, 22)

Anche nella seguente Adorazione dei Pastori, nel consueto vivace  cromatismo, un affastellarsi concitato di presenze, si badi al realistico e minuto grafismo delle fisionomie dei pastori, la scena si articola su piani differenti: all’interno della capanna, delimitata da una singolare architettura, si svolge il racconto evangelico, mentre sulla sinistra si assiste all’arrivo del corteo dei Magi, in un episodio defilato. L’artista esalta  la definizione anatomica delle figure, facendo propria la lezione romana, di Raffaello soprattutto: se infatti il pastore dalla nerboruta muscolatura, plasticamente proteso sulla destra, è evidente omaggio a Giulio Romano,[26] il gruppo di pastori genuflessi sulla sinistra si dichiara erede delle prove consegnate da Raffaello a Roma, e, ancor prima, a Perugia: si pensi alla Sala di Costantino, o alla tavola con la Deposizione di Cristo conservata alla Borghese, svolta su commissione di Atalanta Baglioni. (Fig. 18)

Osserviamo nel registro inferiore nella stipata  galleria di ritratti il vecchio barbato, sulla sinistra, dall’aria severa e vagamente corrucciata, il cui prototipo si  ripete nelle effigi seguenti; il  foglio conservato all’Ambrosiana, raffigurante un Vecchio con la barba, ( Fig 19),[27] e  già attribuito all’artista da U. Ruggeri,[28] può costituire una prima idea grafica per questo come per altri ritratti pressoché identici nella decorazione dal Gambara. ( Fig. 20)

Nel disegno, che si aggiunge all’ampia antologia di brani correttamente riferiti all’artista dalla storiografia per l’impresa parmense,[29] il vivido realismo dell’effigiato dall’aria corrusca, potenziata dall’infittirsi del tratteggio che incide con deliberazione sul volto, sull’aureola, sulla barba, richiama da vicino le creature che popolano l’universo del Romanino.

  1. Circoncisione IN SIGNUM FEDERIS (Gen 9, 13) IN SEMINE TUO BENEDICENTUR GENTES (Gen 22, 18; 26, 4) Monocromo: Circoncisione del primogenito (Levitico 12, 3, Fig. 21)
  1. Strage degli innocenti, con l’episodio della Fuga in Egitto (Fig. 22)

EX EGIPTO VOCAVI FILIUM MEUM (Os 11, 1; Mt 2, 15) RACHEL PLORANS FILIOS SUOS (Mt 2, 18; Ger 31, 15)

Monocromo: Mosè salvato dalle acque (Esodo 2, 5-6)

A seguire, nelle storie dedicate alla Circoncisione e alla Strage degli innocenti si attesta incalzante una narrazione ispirata alla lezione romana e alle incisioni raffaellesche: Gambara, non dimentico di Giulio Romano, di Romanino, dei Campi, degli esempi veneti, flette il proprio registro stilistico in direzione del percorso ultimo di Raffaello: si badi all’infittirsi delle scene di intenso affollamento. ( Fig. 23). A partire dalle campate in esame, la concitazione narrativa diviene convulsa: ne la Circoncisione il gusto scenografico e la caratterizzazione delle  tipologie umane si fanno teatro: i  personaggi, singolari, fra gesti solenni,  sembrano voler comunicare con gli spettatori.

Il gran sacerdote pubblicato da Gambara nella scena della Circoncisione si rivela  stretto parente del protagonista del disegno dell’Ambrosiana e del relativo  ritratto dipinto descritto prima.

Nella Strage degli innocenti, che nella consueta sintesi reca  sullo sfondo l’episodio con la Fuga in Egitto, l’artista perviene ad una concitazione  fatta di  toni e  movenze marcatamente sopra le righe: una folla urlante si assiepa, ormai vittima del panico: alle madri in preda alla disperazione, ai piccoli in balia della strage, si succedono sgherri che giganteggiano sinistri, spade sguainate, e scene di  morte, mentre il dramma annunciato si compie.

fig 24
  1. Disputa di Gesù al Tempio, (Fig. 24) DOCTOR AD SALVANDUM (Is 63, 1)

DEUS STETIT IN SINAGOGA (Gv 18, 20)

Monocromo: Giudizio di Salomone

(I Re 3, 16-2)

Con le parole profetiche di Isaia e del Libro dei Re entriamo  nella quinta campata ove l’artista illustra  nel monocromo il Giudizio di Salomone e la relativa traduzione neotestamentaria della Disputa di Gesù al Tempio; ancora a Giulio Romano sembrano  alludere qui le tipologie fisionomiche di espressionistica  resa, svolte in una compiaciuta orchestrazione scenografica.

fig 25

Non mancano allusioni ai testi veneti:  il pensiero corre, come già indicato, [30] alla tela ad omonimo tema pubblicata da Paolo Veronese e oggi al Prado, ( fig. 25) e a tante testimonianze grafiche venete, alle quali l’artista sembra ispirarsi. Ma l’attrattiva maggiore per il nostro pittore è il prototipo di Michelangelo che, sempre presente nell’intera decorazione della Cattedrale, sembra qui assumere  una netta prevalenza.

 

 

  1. Battesimo di Cristo (Fig. 26) EFFUNDAM SUPER VOS AQUAS MUNDAS
fig 26

(Ez 36, 25) ERIT FONS PATENS PRO PECCATO (Zac 13, 1)

Monocromo: Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (Esodo 17, 1-7)

La sesta campata con Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (Esodo e  profeta Ezechiele) e il relativo aggiornamento tipologico nel Battesimo di Cristo s’impone per una scansione spaziale inedita, ove in una partizione simmetrica la figura del Battista, con il suo giganteggiare, costituisce il fulcro dell’assunto: a destra il Santo Battesimo viene benedetto dall’apparizione dello Spirito Santo e dalla Colomba, immersi entrambi entro una cortina di nubi, mentre sulla sinistra, una folla prosaica, dalla fisionomia rude e minutamente realistica, appare quasi schiacciata dalle rocce. Ci troviamo nuovamente  dinnanzi ad un’ispirazione  romana di marca michelangiolesca.

L’ultima parete a sinistra che precede il presbiterio non rientra, come noto, nelle competenze dell’artista bresciano: infatti trovava qui collocazione nella cappella del Popolo, dal 1558, il nuovo organo Antegnati, le cui decorazioni lignee erano state disegnate da Girolamo Bedoli; poi rimosso e addossato alla parete nord della navata, accanto al presbiterio.

Nella parete di destra, a partire dal presbiterio i Miracoli di Cristo  TUNC APERIENTUR OCULI CECORUM (Is 35,5, Fig. 27)

DABO SIGNA ET PRODIGIA (Es 7, 3) Monocromo: Il bastone di Mosè si trasforma in serpente (Esodo 7, 8-13, Figg. 31-32)

Dalle parole di Isaia  e di Esodo è tratto l’episodio biblico con Mosé e il bastone trasformato in serpente, prefigurazione dei Miracoli di Cristo: nel racconto neo-testamentario l’insistito affollamento dei protagonisti sembra rispondere alla volontà del pittore di  superare i confini degli spazi angusti, riempiendoli. Fra gli astanti stanno la suocera di Pietro, abilmente scorciata, l’infermo, al centro della composizione, in bilico malcerto su quello strumento di cui è percepibile il dondolìo, quei derelitti in primo piano, dalle anatomie atletiche, e ancora gli altri a far calca. Gambara sembra qui assimilare gli influssi di Giulio Romano,  Pordenone e Tintoretto. (Fig. 28).

  1. Pietro salvato dalle acque (Fig. 29) OMNIA SUBIECISTI SUB PEDIBUS EIUS (Eb 2, 8; Sal 8, 8) IN MARI VIA TUA (Sal 76, 20)

Monocromo: L’arca di Noè si salva dal diluvio (Genesi 7)

Nella storia evangelica seguente con Pietro salvato dalle acque, preannunziata dai testi dei Salmi e di Genesi, l’artista, sperimentando una composizione di grande maestria illusionistica e di sapiente impaginazione spaziale,  perviene a soluzioni di elevata tenuta. Dalla figura di Pietro, al centro della scena, si snoda il ritmo dinamico sulla destra che trasforma l’umile imbarcazione,  quasi sospesa a mezz’aria e in procinto di essere spazzata via dal turbine, in un groviglio di figure che vi si avviluppano, di panneggi gonfiati dal vento. Sull’estremo lato sinistro, per contro, appare  in un approdo sicuro il gruppo delle donne e dei bambini, a placare nell’attestazione  statica  l’impeto  della narrazione.

  1. Trasfigurazione ( Fig. 30) ILLUMINANS TU MIRABILITER A MONTIBUS (Sal 75, 5)

SPECIOSUS FORMA PRE FILIIS HOMINUM (Sal 44, 3)

Monocromo: Mosè con le tavole della Legge (Esodo 34, 29)

La Trasfigurazione della campata successiva, prefigurata nel monocromo  da Mosè con le tavole della Legge,  da Esodo e Salmi,  è intonata invece ad un ritmo scaleno, magistralmente risolto grazie alle nubi, il cui spessore atmosferico viene a creare una cesura diagonale che scandisce in due l’assunto. Sul lato destro, verso l’alto, l’epifanìa solenne di Cristo fra Mosè, Elìa e un nugolo di nubi cangianti si palesa in netta antitesi con la caduta movimentata degli apostoli nella sezione a sinistra in basso. È possibile ravvisare nell’assunto gli insistiti riporti da Giulio Romano, non disgiunti da echi pordenoniani, quanto all’articolazione spaziale e al vivace sentimento atmosferico. Si badi inoltre al profeta che, assiso un po’ ricurvo nell’arco, in un atteggiamento pensoso e attonito, rivolto al riguardante, richiama quello del disegno dell’Ambrosiana proposto: l’intensità dello sguardo, rafforzata dalle rughe, il fluire della barba, e l’impegnativo turbante tratteggiati sul foglio costituiscono, con buona probabilità, il prototipo dell’immagine dipinta, già utilizzata con alcune varianti dal pittore.

Nel passare alle successive decorazioni delle quattro campate che precedono la controfacciata assistiamo a un ritorno di fiamma per le anatomie e gli spunti compositivi di Giulio Romano.

  1. Entrata di Cristo in Gerusalemme (Fig. 31) BENEDICTUS QUI VENIT (Sal 117, 26; Mt 21, 9) ECCE REX TUUS (Zac 9, 9; Mt 21, 5; Gv 12, 15)

Monocromo: David con la testa di Golia dinnanzi a Saul (I Samuele 17, 57)

Nell’episodio con l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme, prefigurato dal racconto di  Zaccaria e Samuele, i richiami a Giulio Romano s’infittiscono: altrettanto chiara appare la dipendenza dall’affresco in esame di quello ad omonimo tema svolto da Bernardino Campi con poche varianti  nel Coro del Duomo di Cremona nel 1573. (Fig. 32)

  1. Ultima cena (Fig. 33)

TU ES SACERDOS IN ETERNUM (Sal 109, 4; Eb 5, 6) PANEM ANGELORUM MANDUCAVIT HOMO (Sal 77, 25)

Monocromo: Abramo e Melchisedech, (Genesi 14, 18-20)

Nella campata successiva il monocromo con Abramo e Melchisedech è tradotto nel  testo evangelico dell’Ultima Cena,  svolto entro un invaso architettonico, al solito, desueto; un tempio classico, scandito da imponenti colonne doriche, che rinvia, come siamo ormai avvertiti, alla cultura romana.

  1. Cristo inchiodato alla croce (Fig. 34) LIVORE EIUS SANATI SUMUS (Is 53, 5) ASPICIENT AD ME QUEM TRANSFIXERUNT (Gv 19, 27; Zc 12, 10)

Monocromo: Il serpente di bronzo (Numeri 21, 8)

Il seguente Cristo inchiodato alla Croce della dodicesima  campata, anticipato dal monocromo con Il serpente di bronzo tratto da Numeri, testimone del culmine del dramma di Cristo, trasmette  una concitazione emotiva e compositiva senza precedenti: gli astanti si accalcano, si sovrappongono a meglio definire l’accrescimento dell’orrore che, a tinte corrusche, accompagna lo strazio di Gesù: quasi un suggello del pittore a  significare la propria partecipazione a tale obbrobrio dell’umanità. Come egli già ha dato prova, riempie lo spazio palmo a palmo con l’effetto di una scenografia teatrale. Si è davvero testimoni muti di una Sacra rappresentazione, che richiama Jacopone da Todi. Tanto rispondeva forse alle istanze di acceso spiritualismo che animavano i Fabbricieri. Nemmeno Pordenone, fonte dell’episodio, seppe raggiungere un traguardo tanto cupo nell’analoga scena affrescata per il Duomo di Cremona. ( Fig. 35)

  1. Resurrezione (Fig. 36) ERIT SEPULCHRUM EIUS GLORIOSUM (Is 11, 10) POSUIT EUM PRO SIGNO (Num 21, 9)

Il monocromo, di lettura complessa, allude probabilmente al profeta Giona con il cetaceo, (Giona 2, 11) o alla creazione dell’uomo ed anticipa il racconto del vangelo di Matteo con la Resurrezione di Cristo che conclude l’impresa decorativa della navata centrale, un omaggio forse incondizionato, come è stato detto, ai modi di Giulio Romano. Ma nel rilevare  una più esplicita affiliazione del Gambara alla poetica romana, è qui possibile leggere una  rivisitazione dei  testi di Raffaello e di Michelangelo. Né si deve dimenticare che Mantova a partire dal 1524, e proprio grazie a Giulio Romano, tornò ad essere una meta ambita, e che altri centri padani come Parma e Modena esportavano artisti che, Parmigianino in testa, avrebbero influenzato gli esponenti del manierismo bolognese.

fig 37

Sarà sufficiente ricordare Orazio Samacchini (Fig. 37) che nei primi anni settanta divise la propria attività fra Parma, e proprio per gli affreschi del transetto di sinistra della Cattedrale, e Cremona. La Serenissima costituiva poi in questo scacchiere di scambi e  intrecci un polo d’attrazione.

Come si è tentato di argomentare in queste note, occorre rileggere l’attività di Gambara alla Cattedrale di Parma entro un orizzonte culturale del quale  sono state trascurate alcune coordinate: in riferimento soprattutto alle istanze iconografiche, condizionate, come si è detto, dal sentire millenaristico dal quale dipende gran parte delle sue scelte pittoriche.

Il 21 giugno del 1571 l’artista riceve l’ultimo pagamento per le decorazioni eseguite nella navata, e, a seguire, il 13 settembre dello stesso anno, un primo compenso per iniziare ad affrescare la parete della controfacciata,[31] sulla base di un disegno che incontrò il gradimento dei Fabbricieri: si tratta probabilmente del bel foglio dell’Accademia Carrara di Bergamo.

La prevalenza negli affreschi della citazione dei passi biblici tratti da Isaìa e Zaccaria, da Numeri, Deuteronomio, e dai Salmi, il 110 soprattutto, il più complesso dei testi profetici, sembra confermare l’inclinazione dell’artista per la letteratura visionaria, ben sedimentata a Parma nell’universo benedettino-cassinese.

fig 38

Fra gli intervalli che si avvicendarono nel corso dell’impresa parmense al Duomo, l’artista bresciano veniva richiesto per importanti allogazioni: da quella alla Steccata, per la decorazione monocroma del tamburo, questa volta realmente a fianco di Bernardino Gatti, alle richieste della Congregazione benedettina cassinese per San Pietro in Modena, sino a quelle per l’antirefettorio del Monastero Olivetano di Rodengo, ove l’artista avrebbe svolto, sempre nel corso del 1571, le Storie dell’Apocalisse e i Fatti dell’Antico Testamento. (Fig. 38). Il committente fu con buona probabilità l’abate Girolamo Ducco che aveva dato incarico a Gambara  di dipingere l’anti-refettorio e la scala che conduceva alle celle del dormitorio.[32]

E’ indubbio che il meritato successo di Gambara fosse da tributarsi, in particolare, alle storie già pubblicate nella Cattedrale: le scene della navata, infatti, risaltano per una solida impostazione e per un’orchestrazione spaziale di intelligente inventiva. Né fu facile per l’artista affidare la propria fantasia a quegli spazi, prevalentemente orizzontali.

fig 39

La suggestiva e scenografica Ascensione di Cristo, (Figg. 39-40), viene affrescata dall’artista nella parte superiore della controfacciata; su di una terrazza, di sapiente inventiva, sopra un arco trionfale, all’altezza dei matronei gli Apostoli assistono, protesi verso l’alto, all’evento. Due angeli dalle candide vesti, in un volo temerario e repentino planano, ai lati, verso il basso, a compiere il monito divino. Nella sezione inferiore è svolta un’affascinante decorazione architettonica, intervallata da monocromi, e da finte statue con Mosè e Davide, dinnazi alle quali stanno, ai lati della porta, due affreschi monocromi, raffiguranti rispettivamente un Re e Sansone con la mascella d’asino; ai loro piedi due leoni rinviano alla simbologia di quelli esterni, la vittoria di Cristo sulla morte.

fig 40

Figure che ritornano in più di un’occasione quelle di un Re e di Sansone, quasi prototipi che vengono ad acquisire differenti identità: si pensi ai maestosi monocromi che s’impongono solennemente, in qualità di armigeri, nella decorazione resa dall’artista a Palazzo ex Maggi di Cadignano (Brescia), o ai protagonisti statuari, del tutto analoghi, che campeggiano a Palazzo Lalatta in Parma. Accanto al portale l’artista non manca di trasferire l’assunto fortemente simbolico su di un piano verbosamente naturalistico tramite l’inserto dei ritratti parlanti che fanno capolino; l’autoritratto del Gambara e, probabilmente, il ritratto di Bernardino Gatti.

 

Il nostro pittore fu un abile ritrattista:  alcune ‘nuove’ prove grafiche,  riconducibili ai nostri affreschi, sembrano confermarlo.  Nel disegno raffigurante  Mucius Scaevola Burning off his Hand before Porcenna (Fig. 41), conservato al Metropolitan di New York con un’attribuzione at Anonymous, Italian or Spanish, early 16th century,[33] la figura di Muzio Scevola è risolta in una fisionomia nota, ripresa più volte da Lattanzio Gambara nelle storie del duomo.

fig 41

La declinazione dell’eroe latino è speculare all’armigero, un re probabilmente,  a monocromo nella sezione estrema della controfacciata, in basso a sinistra del portone in pendant con Sansone sul lato destro. Il soldato, in abiti romani, riaffiora, quasi un prototipo,  sulla sinistra nell’episodio con la Resurrezione di Cristo, nella settima campata della navata  destra; e nuovamente nella decorazione con sei statue monocrome di grandi dimensioni raffiguranti varie Divinità nella Sala dei Giganti presso palazzo Lalatta, eseguita dall’artista a commemorare la storica Battaglia di Lepanto, (Fig. 42), su commissione, il 7 settembre del 1571, dell’arcidiacono del Capitolo Luigi Antonio Lalatta, membro dal 1572 della Fabbriceria della Cattedrale, in rappresentanza del Consiglio della città.[34]

fig 42

Gli stilemi grafici del foglio sono riconducibili al ricco e vario repertorio dell’artista, popolato da un’umanità di diverso segno che flette dalle arie terribili e disperate, o da un espressionistico gigantismo a una modulazione più contenuta.

Il brano del Metropolitan potrebbe essere preparatorio dell’ omonimo episodio svolto dal giovane Gambara sulla facciata delle case del Gambero  bresciane, benché risulti impossibile oggi un confronto: infatti il racconto di Muzio Scevola rientra fra le testimonianze pittoriche  attualmente indecifrabili. Ne serbavano tuttavia memoria F. Paglia e successivamente F. Sala,[35] i quali ricordavano nel quarto e nel quinto compartimento «Giuditta che consegna alla fantesca la testa di Oloferne  e Muzio Scevola di fronte al re Porsenna.

L’ipotesi, suggestiva, che il disegno newyorkese sia studio preparatorio per l’episodio affrescato è destinata a rimanere tale; appare invece più convincente la possibilità che la prova grafica, scalabile al sesto decennio del Cinquecento, derivata dalla versione dipinta sulla facciata delle case del Gambero, venga successivamente utilizzata, parzialmente e con varianti, per altri dipinti, come gli armigeri della cattedrale di Parma.

fig 43

Un altro disegno, conservato all’ Ambrosiana a Milano, interviene ad arricchire il catalogo grafico del Gambara: si tratta del foglio raffigurante nuovamente Un armigero, nelle vesti di un soldato romano (Fig. 43), riferito ad anonimo artista cinquecentesco.[36] Un guerriero, abbigliato con un costume all’antica, in posizione frontale e il capo coperto dall’elmo, reclinato  a sinistra, brandisce con entrambe le mani una clava. Le fisionomie morfologiche  del soldato sono  assai vicine a quelle dei protagonisti  menzionati dei brani della cattedrale (Fig. 44); si badi al particolare dell’elmo, di fattura analoga a quello degli armigeri parmensi, che avvolge il capo con la visiera in una modanatura che ne ricopre il volto, o dei calzari ornati con un’accurata decorazione, e ancora del bastone, presente pure nelle composizioni qui prese a confronto. Lo sguardo volitivo dell’effigiato, potenziato  dal volto barbato  che spunta dall’elmo, sembra confermare la paternità del testo  al maestro bresciano.

fig 44

Gambara consegna nella navata centrale uno degli esempi più alti della pittura dell’Italia settentrionale: il duomo di Parma sembra rivivere, come volevano i Fabbricieri, una nuova grande età, in continuità con la civiltà romanica, e la successiva lezione correggesca, la quale  con l’Assunzione della Vergine racconta una storia idealmente vicina. Nel chiudere il capitolo di Gambara pittore dell’Apocalisse, se ne riapre un altro: quello di Correggio, artista benedettino. Ma questa è un’altra storia.

di

Maria Cristina CHIUSA

Fonti e bibliografia

Libro di Mandati per pagamenti da farsi dal 1° marzo anno 1564 a tutto li 23 XBRE 1578,  dell’Archivio della Fabbriceria del Duomo di Parma,  vol. II°. Segnatura antica A. n. 2, ora F.2;  P.V. Begni Redona, G. Vezzoli, Lattanzio Gambara, pittore. Brescia 1978; A. Bianchi, I Pagamenti, in M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara cit., pp. 129-133; C. Boselli, Il testamento di Lattanzio Gambara, in “Arte Veneta”, XXXII, 1978, pp. 253-254; M.C. Chiusa, Alessandro Araldi e “la maniera antico-moderna” a Parma, Parma, 1996; M. C. Chiusa, L’officina cinquecentesca: Lattanzio Gambara e l’impresa pittorica nella navata centrale, in Basilica Cattedrale di Parma – Novecento anni di arte, storia, fede, vol. secondo, Parma, 2005, pp. 110-128, con bibliografia; M.C.Chiusa, Due nuovi disegni per Lattanzio Gambara, Anno XCVIII – Fascicolo I, Gennaio-Aprile 2014, pp. 25-38; ;  G. Fiaccadori, I Mesi, l’Apocalisse, Gioacchino da Fiore, nota introduttiva in C. Frugoni, I Mesi antelamici del Battistero di Parma, Parma 1992, p. XVI e segg.;  G. Fiaccadori, Antelami, “Imago lateritia Beate Marie”, Parma 1991, pp. XVII-XX e p. XLVIII; M. Fiori, Il ciclo decorativo delle case del Gambero, in Brescia nell’età della Maniera. Grandi cicli pittorici della Pinacoteca Tosio Martinengo, Cinisello Balsamo (Mi), 2007, pp. 152-161, con bibliografia; G. Guarisco, Il Duomo di Parma: Materiali per un’altra storia. Con un saggio di Dezzi Bardeschi, Firenze, 1992, p. 140, pp. 144-145 e p. 155; Per una trattazione complessiva a proposito dei cicli di Profeti e Apostoli si consulti, ad vocem, il Lexikon der christlichen Iconographie, 3 (1971), coll. 461-462, e 1 (1968), coll. 150-173 (J. Myslivec; F. Nicoli Cristiani, Della vita e delle pitture di Lattanzio Gambara Memorie storiche di Federico Nicoli Cristiani aggiuntevi brevi notizie intorno a’ piu celebri ed eccellenti pittori bresciani, Brescia 1807, pp. 28-31; F. Paglia, Il Giardino della Pittura, Brescia, 1660, p. 94; F. Sala, Pitture ed altri oggetti di belle arti di Brescia, Brescia 1834, pp.91, 94; ;   G. Romano, Per un restauro e per la Storia dell’Arte, in M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara cit., p. 11; U. Ruggeri, Disegni veneti dell’Ambrosiana, catalogo della mostra, Vicenza, 1979, p. 34, n. 39, e fig. 39, p. 76, n. 68 e fig. 68. 18; J. Shearman, “Maniera” as an Aesthetic Ideal, in Acts of the Twentieth International Congress of the History of Art, vol. II, Princeton 1963, pp. 200-221;  R. Stradiotti, Francesco Paglia in AA. VV., Brescia pittorica 1700-1760: l’immagine del sacro, Grafo, Brescia 1981; M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara nel Duomo di Parma, Torino 1991; L. Testi, La cattedrale di Parma., ed. a cura di M. Pellegri, 2005, pp. 61 e segg., con documenti; B. Zanardi, Il restauro degli affreschi di Girolamo Mazzola Bedoli e di Lattanzio Gambara nella volta e nelle pareti della navata centrale del Duomo di Parma, in Lattanzio Gambara cit., p. 159; F. Zeri, Pittura e Controriforma, Vicenza,2001, I ed. Torino 1957, pp. 21-22

NOTE

[1] Per una rilettura dell’attività del Gambara a Parma si rinvia a M. C. Chiusa, L’officina cinquecentesca: Lattanzio Gambara e l’impresa pittorica nella navata centrale, in Basilica Cattedrale di Parma – Novecento anni di arte, storia, fede, vol. secondo, Parma, 2005, pp. 110-128, con bibliografia

[2]Si confronti L. Testi, La cattedrale di Parma., ed. a cura di M. Pellegri, 2005, pp. 61 e segg., con documenti; e inoltre A. Bianchi, I Pagamenti, in M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara nel Duomo di Parma, Torino 1991 pp. 129-133.

[3] E’ invece segnalata la pala per il Capitolo con il Crocifisso, San Bernardo degli Uberti e Sant’Agata, eseguita dall’artista forse entro il 1568, allorché si provvide a mettere “a oro l’ornamento dell’ancona della cappella…”, come precisa il Testi1 Testi 5. Viene spontaneo chiedersi se il riferimento al Gatti e al pagamento a lui corrisposto nel documento del 1567 non possa essere in qualche misura collegabile alla pala d’altare: ma è questa soltanto un’ipotesi.

[4] Si veda M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara cit., Torino 1991.

[5]  G. Romano, Per un restauro e per la Storia dell’Arte, in M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara cit., 1991, p. 11.

[6] B. Zanardi, Il restauro degli affreschi di Girolamo Mazzola Bedoli e di Lattanzio Gambara nella volta e nelle pareti della navata centrale del Duomo di Parma, in Lattanzio Gambara cit., 1991, p. 159

[7] F. Zeri, Pittura e Controriforma, Vicenza, 2001, I ed. Torino 1957, pp. 21-22. Si rinvia al saggio di F. Zeri, le cui pagine, sempre fondamentali, offrono un lucido contributo sulla dibattuta relazione fra gli episodi artistici e la Controriforma.

[8] Oltre a quelli segnalati  sono riemersi nella cripta nel corso della campagna di restauri del 2006 non pochi brani di affreschi di ascendenza medievale.

[9]  G. Fiaccadori, I Mesi, l’Apocalisse, Gioacchino da Fiore, nota introduttiva in C. Frugoni, I Mesi antelamici del Battistero di Parma, Parma 1992, p. XVI e segg. Ed ancora per una smentita delle posizioni antiereticali ed ecumenistiche G. Fiaccadori, Antelami, “Imago lateritia Beate Marie”, Parma 1991, pp. XVII-XX e p. XLVIII. Per una trattazione complessiva a proposito dei cicli di Profeti e Apostoli si consulti, ad vocem, il Lexikon der christlichen Iconographie, 3 (1971), coll. 461-462, e 1 (1968), coll. 150-173 (J. Myslivec).

[10] F. Paglia, Il Giardino della Pittura, Brescia, 1660, p. 94. Il  testo ricco offre preziose testimonianze per la ricostruzione degli antichi patrimoni pittorici delle chiese bresciane e del territorio. Si vedano inoltre F. Sala, Pitture ed altri oggetti di belle arti di Brescia, Brescia 1834, pp.91, 94; R. Stradiotti, Francesco Paglia in AA. VV., Brescia pittorica 1700-1760: l’immagine del sacro, Grafo, Brescia 1981; F. Nicoli Cristiani, Della vita e delle pitture di Lattanzio Gambara Memorie storiche di Federico Nicoli Cristiani aggiuntevi brevi notizie intorno a’ piu celebri ed eccellenti pittori bresciani, Brescia 1807, pp. 28-31.

[11] M. Scovoli,  Indefesso labore – vita di Lattanzio Gambara pittore, Brescia 2012.

[12] M.Scovoli,  Indefesso labore cit., Brescia 2012.

[13] F. Nicoli Cristiani, Della vita e delle pitture di Lattanzio Gambara cit.,  1807, pp. 28-31.

[14] F. Nicoli Cristiani cit., 1807, pp. 28-31: « Era in que’ giorni Girolamo Romanino stato incaricato dai Signori della città di dipingere le facciate delle case di ragione allor del Comune lungo la via denominata il corso del Gambaro o de’ Ramieri, per l’esecuzione della quale opera aveva già preparati alcuni spolveri e disegni. Cedette però al genero insieme cogli accennati ammannimenti questa pubblica commissione…>>

[15] Id., Ibid.

[16] Id., Ibid, nota 21 di p.28.

[17] Circa la datazione degli affreschi la storiografia oscilla fra il sesto e il settimo decennio del Cinquecento. Per un dibattito critico sull’attività di Gambara si vedano F. Frangi, Alla maniera dei cremonesi: appunti sulla stagione giovanile di Lattanzio Gambara, in Brescia nell’età della Maniera: grandi cicli pittorici della Pinacoteca Tosio Martinengo, catalogo della mostra [Brescia 2007-2008] a cura di E. Lucchesi Ragni, R. Stradiotti, Milano 2007, pp. 37–49; e M. Fiori, Il ciclo decorativo delle case del Gambero, in Brescia nell’età della Maniera. Grandi cicli pittorici della Pinacoteca Tosio Martinengo, Cinisello Balsamo (Mi), 2007, pp. 152-161, con bibliografia. Gli episodi tratti dalla vita esemplare di alcuni illustri protagonisti della Bibbia e della storia romana divenivano esempi di condotta morale, << optima naturae et veritatis exempla >>, e davano lustro ai committenti. Si confronti  M. Fiori, Il ciclo decorativo delle case del Gambero cit., p. 158.

[18] Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, inv. n. 1018: l’episodio seguente con Sansone che tenta di liberarsi dai Filistei è andato distrutto o disperso.

[19] Atti degli Apostoli, 4, 12:’NON EST IN ALIO ALIQUO SALUS.

[20] Genesi, 49, 10; Salmi, Volgata, 67, 21; Abacuc, 2, 4.

[21] Paolo Maggi nel XVI secolo risulta proprietario dei beni di Corzano. L’edificio rimase  proprietà  dei Maggi fino alla fine del Seicento.

[22] Negli scomparti della volta della sala, utilizzata come oratorio da Paolo Maggi, sono raffigurate imponenti  figure di profeti, accompagnate nei voltini da grottesche e fatti dell’Antico testamento.

[23] D. Paolo Guerrini,  La Pieve ed i Prevosti di Gussago, in Brixia Sacra, ANNO II. – N. 3., Maggio 1911, pp. 134-163. In queste pagine viene descritta la realtà di una pieve di grande importanza, correlata ad altri centri benedettini; si giustificherebbe così il legame di Gambara con l’abate menzionato. <<Estendevasi la giurisdizione di questa Pieve sulle attuali Chiese figliali di Cellatica, Saiano, Rodengo, Brione, Castegnato, Ronco, Sale e Civine, toccando a mezzodì ed oriente il suburbio di Brescia, a nord i confini della pieve di Iseo a Polaveno ed Ome, a sera q1lelli della pieve di Bornato a Paderno e Camignone…>>

[24] I benedettini di Leno  fecero di Gussago una fiorente colonia monastica, dalla quale scaturì ben presto una parrocchia rurale o pieve, dove i monaci medesimi, oltre che attendere ai lavori agricoli ed alla sorveglianza dei servi della gleba, si occuparono di propagare la pratica spirituale, stabilendo perciò intorno alle loro celle e all’ oratorio che le riuniva  un centro di attività religiosa. L’ origine monastica della pieve di Gussago è esplicitamente affermata dal titolo di preposito, che venne sempre attribuito ed è dato ancora all’abate che la governa. Si vedano LUCHI Monumenta monasteri Leonensis, Roma 1759; e  ZACCARIA Dell’antichissima Badìa di Leno,Venezia 1767; D. Paolo Guerrini,  La Pieve ed i Prevosti di Gussago, cit.,  1911, pp. 134-163.

[25] Archivio Fabbriceria, c. 67r. 5 sg. e 69v. 5, si veda A. Bianchi, I Pagamenti, in M. Tanzi (a cura di), Lattanzio Gambara cit., pp. 129-133.

[26] M.Tanzi, Lattanzio Gambara cit., 1991, p. 51.

[27] Biblioteca Ambrosiana, Nd Cat. No. 1124

[28] Il foglio dell’Ambrosiana venne riferito a Lattanzio Gambara da U. Ruggeri, Disegni veneti dell’Ambrosiana, catalogo della mostra, Vicenza, 1979, p. 34, n. 39, e fig. 39, p. 76, n. 68 e fig. 68. 18.

[29] Si consultino al proposito P.V. Begni Redona, G. Vezzoli, Lattanzio Gambara, pittore. Brescia 1978, pp. 251-252; nel saggio viene offerto un nutrito corpus di disegni; M. Tanzi, Lattanzio Gambara cit., 1991, pp. 49-50; ivi Tanzi ripropone un’ampia scelta grafica riferibile alla decorazione alla cattedrale, con bibliografia.

30] M. Tanzi,  Lattanzio Gambara cit., 1991.

[31] Vengono indicati i nomi dei componenti della Fabbriceria a partire dal 1572 e per tutto il 1573, così: 1572, Canonici Caesar Lellus (arcidiaconus) e Aloisiu La Latta–Cives Camillu Latta e Joannes Melgariis; 1573 (27 gennaio), Canonici Aloisius de La Latta e Justinianus Zand. iis (Zandenariis) – Cives Joannnes Malgariis e Octavianus de Zuntis; 1573 (7 giugno), Canonici Alovisius de La Latta e Iustinianus Zand. Iis (Zandenariis) – Cives Octavianus Zantiis e Itercules de Bartiis.

[32] Prese così corpo la struttura definitiva del monastero, il cui nodo centrale ruotava intorno al refettorio. Per l’attività svolta nel monastero di Rodengo dal nostro artista si rinvia a P. V. Begni Redona, Gli affreschi di Lattanzio Gambara nell’abbazia olivetana di Rodengo, Edizioni “l’Ulivo”, abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Siena), 1996. Si veda inoltre L. Bezzi Martini, “Somario di instrumenti del monasterio di Rodengo”, in Monumenta Brixiae istorica Fontes XV, Brescia, 1993.

[33] Il disegno, Acc. 80.3.35, proviene dalla collezione Cornelius Vanderbilt; 178 x 144 mm, a penna e inchiostro.

[34] Arch. della Fabbriceria, ms F2, c. 62.5s: cfr. A. Bianchi e M. Mazza, Introduzione,  in Basilica Cattedrale di Parma – Novecento anni di arte, storia, fede, vol. iconografico,  Parma, 2005, p. 15

[35] F. Paglia, Il Giardino della Pittura, cit., 1660, p. 94; F. Sala, Pitture ed altri oggetti di belle arti di Brescia cit., 1834, pp.91, 94.

[36] Il disegno, precedentemente segnalato nel catalogo dell’Ambrosiana  come opera di ‘Unknown Artist’, e attribuito a Gambara dalla scrivente, raffigura  Un soldato Romano, (ND Cat. N° 4931, Collocazione BA F 235 inf. N° 1110);  è svolto a penna, inchiostro e gessetto rosso su carta bianca; 230 x 115 mm, pasted to folio 40 of the codex S. Resta.