di Giulio de MARTINO
Riapre il “Museo delle Genti del Gran Sasso”. È collocato nel quattrocentesco Palazzo Marchesale di Tossicia (Teramo). Lo inaugura – con interessante infrazione dell’immaginario – la mostra ICONE OLTRE IL POP. Franco Angeli / Tano Festa / Mario Schifano, curata da Silvia Pegoraro[1].
Sono esposte 30 opere, alcune inedite, dei tre popolari artisti romani che – a cinquanta anni di distanza, passate le mostre antologiche e monografiche – ci conducono a rivivere e a rivalutare i linguaggi e le pulsioni dell’arte sperimentale italiana dai primi anni ’60 agli anni ’80.
Roma fu luogo determinante per innescare il rinnovamento delle arti in Italia tra la metà degli anni ’50 e la fine anni ‘60. Essendo la città dove più si addensavano le testimonianze e le opere di due millenni di storia dell’arte, fu la città in cui era più pressante il desiderio di interrompere la tradizione del classicismo, ma anche di trasgredire la replicazione dell’immagine industriale.
Se la Biennale di Venezia del 1964, aveva fatto conoscere in Italia la Pop Art e l’Espressionismo astratto nord-americani, Afro, Burri, Consagra, Toti Scialoja e Giulio Turcato, dal principio degli anni ’50, avevano dato a Roma – velocemente risorta dalle macerie della guerra – il ruolo di laboratorio delle nuove arti italiane (cinema, letteratura, pittura) in dialogo serrato ma discorde con la dirompente arte nord-americana[2].
Franco Angeli, Tano Festa e Mario Schifano, pur nella diversità dei linguaggi e dei talenti, ebbero comuni interessi e formarono una sorta di «movimento». Li univa il bisogno di modificare lo sguardo sull’arte imposto dal «panorama italiano» – quello storico-artistico e quello politico-ideologico – e di esplorare le nuove dimensioni della «visualità» diffuse nella società dal cambiamento delle telecomunicazioni e della pubblicità.
Si è parlato di loro come dei protagonisti della “Scuola di Piazza del Popolo”, una tendenza contraddistinta dalla originalità dei temi, da simili posizionamenti ideologici e dalla varietà delle tecniche e dei materiali[3].
Alla base c’era l’intuizione del forte cambiamento intervenuto nel ruolo delle arti che erano diventate il segmento creativo della pubblicità e della televisione, ma anche il terminale dello «sguardo turistico» sull’Italia. Percepirono la problematicità del ruolo degli artisti che erano stati assorbiti – come autori, copywriter e creativi – dalle aziende dell’intrattenimento e della comunicazione.
Già nel primo Novecento – pur proseguendo la pittura figurativa di matrice ottocentesca – molti artisti, contagiati dalle avanguardie storiche, erano diventati illustratori e pubblicitari. Disturbava, nel loro gusto e nella loro maniera, l’elemento ideologico: il sogno identitario, localista o nazionalista che fosse. Adesso, negli anni ’60 e ’70, sull’onda del neo-capitalismo, pittori e disegnatori erano diventati autori, designer e copywriter.
In quegli stessi anni, però, gli intellettuali critici e i movimenti di contestazione erano scesi in campo per spingere i creativi a svolgere un ruolo differente: elaborare linguaggi alternativi alla fruizione di massa nelle arti visive e nella musica, nella letteratura e nel teatro, nel cinema e nella danza.
Per Angeli, Festa e Schifano – inizialmente influenzati dalla pittura «seriosa» degli anni ’50 – occorreva di rompere il diaframma che separava le «opere d’arte» – monumento e icona del passato medievale e rinascimentale – dalle «immagini seriali» interne al linguaggio della comunicazione commerciale e sociale del presente.
Fu su questo il crinale che si mosse lo sguardo “pop” di Schifano, Angeli e Festa: spostandosi di continuo tra «mass-media» e «classicismo», tra avanguardie storiche e neo-avanguardie. Si trattava di elaborare una sorta di «terzo linguaggio» che trasportasse gli elementi della storia dell’arte nello spazio della comunicazione sociale, operando anche su di essa per condurla all’astrazione estetica vista come un’astrazione critica.
Nelle loro opere gli oggetti, le merci, non erano la riproduzione di uno «stereotipo» visivo legato alla civiltà dei consumi – come accadeva nella Pop Art americana – ma diventavano un «archetipo», una «icona» misteriosa, ovattata e sfumata dalla manualità della pittura e da un mosaico di richiami culturali.
Ha scritto, nel suo saggio in Catalogo, Silvia Pegoraro curatrice della mostra:
«In effetti esiste una via italiana alla Pop Art, che è complessa e articolata, intensa e affascinante, per quanto sia difficile definirne rigorosamente i limiti e le caratteristiche […] la Pop Art italiana si caratterizza per una grande varietà di stili e ricerche, […] un’attitudine lirica e immaginifica, una maggior elaborazione dell’oggetto rappresentato, e utilizza un linguaggio più raffinato e complesso […] rispetto a quella americana, dove prevale la connotazione kitsch delle icone più emblematiche di una cultura di massa, rese in modo stereotipato e ironico».
MARIO SCHIFANO (Homs, Libia, 1934 – Roma, 1998) fu influenzato, inizialmente, dalla pittura di neoavanguardia del secondo dopoguerra, che si opponeva al realismo a sfondo sociale e ideologico. Espose nel 1960, con Lo Savio, Angeli, Festa ed Uncini, nella mostra “Cinque pittori” alla galleria “La Salita” di Gian Tommaso Liverani, non lontana da Piazza di Spagna a Roma. Dipinse, in stile astratto e informale, grandi tele monocrome: superfici che si trasformeranno poi in pannelli pubblicitari e, infine, in schermi televisivi.
Nei suoi dipinti appariranno i reperti di una civiltà dei consumi e delle immagini seriali, estraniati come se fossero scoperti da un futuro archeologo spaziale. I celeberrimi marchi della Esso e della Coca-Cola sarebbero diventati icone di un mondo presente e remoto al tempo stesso.
Dopo le opere dedicate al Futurismo (“Il Futurismo rivisitato”) e ai pittori degli anni ’30 – esame di coscienza di un Novecento inquieto – il lavoro di Schifano, instancabile sperimentatore della pluralità dei linguaggi visivi, si orienterà verso l’interiorizzazione della fotografia, del videotape, del cinema nella pittura. Inizialmente, si limitò a estrapolare singoli fotogrammi dai programmi televisivi per poi ribaltarli decontestualizzati sulla tela. Successivamente intervenne sulle immagini pittoricamente, sovra-segnandole e colorandole, mutandone così il senso.
Negli anni ’80 e ’90 passò dall’archetipo e dall’icona al «prototipo». Tornò alla pittura pura: cromatica e gestuale, ma con cicli tematici riferiti a occasioni sociali e sportive, insieme illustrativi e «figurali», fino alle ultime opere – di grandi dimensioni – elaborate con le prime tecnologie digitali.
FRANCO ANGELI (Roma, 1935-1988), autodidatta, nel 1955 conobbe Tano Festa e Mario Schifano. Nel 1960, alla Galleria “La Salita”, fu presentato da Cesare Vivaldi. La sua poetica pittorica si orientò verso la manipolazione della figurazione standardizzata. Muovendosi fra pubblicità e propaganda, riportò nello spazio analitico della tela, icone e simboli della storia e della vita collettiva di Roma e dell’Italia: croci, falci e martello e svastiche. Sui suoi dipinti apparvero le lupe capitoline, le aquile americane e romane: gli emblemi di un potere mutevole, insieme oscuro e bisognoso di visibilità.
Queste immagini, pur apparendo in consonanza con le trionfanti tendenze della Pop Art – esplosa alla Biennale di Venezia del 1964 – in realtà se ne distanziavano profondamente in quanto influenzate dalla commistione, tutta italiana, di arte e militanza, di estetica e politica.
La simpatia di Angeli per i movimenti anti-imperialistici si manifestò anche al principio degli anni ‘70, quando si distinse per l’impegno ideologico. Mostrò – con dipinti e disegni – la sua contrarietà alla partecipazione americana alla guerra contro il Vietnam del nord e la sua vicinanza alle idee e alle forme estetiche della «contestazione globale». Nel 1978 partecipò alla Biennale di Venezia.
Negli anni ’80, terminata l’ondata contestatrice, riscoprì la natura «neo-metafisica» della pittura e la sua ricerca visiva si spostò verso la rimeditazione della pittura dei decenni centrali del ‘900, con lo studio di Sironi, Scipione e Mafai.
TANO FESTA (Roma, 1938-1988) seguendo un curriculum artistico, si diplomò, nel 1957, all’Istituto d’Arte nella sezione di Fotografia. Nel 1960 espose, per la prima volta, con Franco Angeli e Giuseppe Uncini, alla Galleria “La Salita” di Roma dove, nel 1961, tenne la sua prima personale. La sua produzione pittorica iniziale fu influenzata – come quella di Schifano e Angeli – della rappresentazione geometrica e monocroma dell’arte astratta e informale.
Successivamente Festa si interessò alla rielaborazione degli oggetti estrapolati dalla quotidianità. Mise in discussione le dimensioni del quadro dipinto e si soffermò su persiane, porte, finestre, armadi e specchi: sovra-significavano la superficie della tela, alterata e aperta alla simbolizzazione dallo sguardo eversivo della pittura.
Nel 1963, alla Galleria “La Tartaruga” di Plinio De Martiis e Maria Antonietta Pirandello, partecipò alla mostra “13 pittori a Roma”: Franco Angeli, Umberto Bignardi, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Renato Mambor, Fabio Mauri, Gastone Novelli, Achille Perilli, Mimmo Rotella, Peter Saul, Cesare Tacchi, Cy Twombly.
Seguendo l’istinto a rielaborare il paesaggio urbano e monumentale di Roma, Festa si dedicò all’analisi della tradizione artistica italiana del Rinascimento. La sua citazione iconica era quella di Michelangelo. Dalla metà degli anni ’60, su grandi pannelli, apparvero, seguendo una tecnica fotografica, icone estratte dagli affreschi della Cappella Sistina e dalle Tombe Medicee, realizzate con pittura a smalto su tele emulsionate.
Nel 1966 visitò la mostra di Milano dedicata al cinquantenario del Dadaismo[4]. Qui, osservando artisti come Hans Arp e Man Ray, scoprì la necessità del rapporto fra le avanguardie storiche di primo Novecento e le neo-avanguardie di secondo Novecento. Riconsiderò i suoi dipinti riscoprendo la pittura di oggetti e continuò a lavorare sulla fotografia intesa come un alleato della pittura.
Negli anni ‘80, realizzò la serie dei “Coriandoli”, grandi tele su cui i colorati frammenti di carta venivano gettati casualmente creando cromatismi imprevedibili sulla stesura della materia pittorica. Anche la figurazione fu riesaminata: con riferimenti ad artisti come Münch, Ensor, Matisse, Bacon. Nel 1980 fu invitato alla XL Biennale di Venezia, e nel 1982 alla mostra degli “Artisti italiani contemporanei 1950-1983” ancora a Venezia.
Giulio de MARTINO Roma 3 Novembre 2024
La mostra
“𝑰𝑪𝑶𝑵𝑬 𝑶𝑳𝑻𝑹𝑬 𝑰𝑳 𝑷𝑶𝑷 – 𝑭𝒓𝒂𝒏𝒄𝒐 𝑨𝒏𝒈𝒆𝒍𝒊 / 𝑻𝒂𝒏𝒐 𝑭𝒆𝒔𝒕𝒂 / 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒐 𝑺𝒄𝒉𝒊𝒇𝒂𝒏𝒐”
a cura di 𝗦𝗶𝗹𝘃𝗶𝗮 𝗣𝗲𝗴𝗼𝗿𝗮𝗿𝗼
d𝒂𝒍 𝟏° 𝒏𝒐𝒗𝒆𝒎𝒃𝒓𝒆 2024 𝒂𝒍 𝟔 𝒈𝒆𝒏𝒏𝒂𝒊𝒐 𝟐𝟎𝟐𝟓
“Museo delle Genti del Gran Sasso – 𝑷𝒂𝒍𝒂𝒛𝒛𝒐 𝑴𝒂𝒓𝒄𝒉𝒆𝒔𝒂𝒍𝒆” 𝒅𝒊 𝑻𝒐𝒔𝒔𝒊𝒄𝒊𝒂
dal martedì alla domenica ore 9.30-12.30 e 15.30-18.30 – lunedì chiuso
Pro𝗺𝗼𝘀𝘀𝗮 𝗱𝗮𝗹 𝗚𝗔𝗟 𝗚𝗿𝗮𝗻 𝗦𝗮𝘀𝘀𝗼 𝗟𝗮𝗴𝗮 𝗶𝗻 𝗰𝗼𝗹𝗹𝗮𝗯𝗼𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝗶𝗹 Comune di Tossicia
Catalogo: “ICONE OLTRE IL POP. Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano”, a cura di Silvia Pegoraro, Grafiche Turato, Padova, 2024.
NOTE