Quando la bellezza è destino. Elisabetta e Vittorio Sgarbi espongono la collezione specchio di una vita.

di Marta ROSSETTI

“La collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati. Tesori d’arte per Ferrara.

Ferrara, Castello Estense fino al 3 giugno

Cara Rina, i trofei delle tue mille battaglie affollano le pareti e le stanze della nostra casa”: così Giuseppe Sgarbi (1921-2018), il “Nino” padre di Vittorio ed Elisabetta, porge il suo saluto rispettoso e affettuoso alla moglie Caterina Cavallini, cui è dedicata la mostra sulla collezione di famiglia allestita nel Castello Estense di Ferrara (fino al 3 giugno 2018) a cura di Pietro Di Natale, mostra realizzata e prodotta dalla Fondazione Elisabetta Sgarbi, in collaborazione con la Fondazione Cavallini Sgarbi, il Comune e il Castello Estense di Ferrara.

Giuseppe ‘Nino’ e Caterina ‘Rina’ Sgarbi

Caterina Cavallini (1926-2015) – per tutti “la Rina”-, assieme al figlio Vittorio, è infatti la protagonista dell’origine e della crescita della collezione d’arte Cavallini Sgarbi, raccolta nella casa di Ro Ferrarese, per un arco di tempo di circa quarant’anni. Rina condivide con Vittorio la passione per l’arte e torna in età adulta alla partecipazione alle aste, non più quelle di appalti edilizi, frequentate in gioventù dalla Cavallini figlia di costruttore per conto del padre, ma di opere d’arte. Con il tempo, la casa di Ro Ferrarese (cui è annessa la farmacia di famiglia) diviene casa-museo sotto l’egida, per dirla con parole di Umberto Eco (2009), della “vertigine” dell’accumulo della collezione, che è passione e missione insieme.

Questi quarant’anni di collezionismo vorace, rappresentati in queste oltre cento opere in mostra”, scrive Elisabetta Sgarbi nel catalogo dell’esposizione (edizione La Nave di Teseo), “sono l’anima della nostra casa di Ro, anima che varca le mura fisiche della casa, per tornare alla sua vera casa che è il mondo”. Elisabetta, che attraverso la sua Fondazione realizza e produce la mostra, risponde coscientemente e romanticamente in età adulta al desiderio paterno “Figlia, ti vorrei casalinga e scrittrice” iscritto sulla maiolica Ritratto della figlia di Andrea Parini (opera esposta in mostra), occupandosi come una “casalinga” della casa di Ro Ferrarese e raccontando come una “scrittrice” la storia della sua famiglia – Cavallini Sgarbi – simbiotica alla collezione.

La storia di una collezione è infatti qui storia di una famiglia, dei suoi sentimenti corali e dei suoi scontri, come scrive Vittorio Sgarbi, alludendo alle ricerche operate tra collezioni private, botteghe ed aste assieme alla “madre, complice delle più difficili imprese, con una euforia incosciente, tra la considerazione della bellezza e della rarità delle progredenti epifanie e la soddisfazione piena e convinta per la mia montante felicità”:

“E se per caso un’opera cercata o cacciata si perdeva, essa allora diventava meno importante, demeritava, doveva essere minimizzata per diminuire il mio dolore di averla perduta, fino a farsi irrimediabilmente brutta. La caccia è stata intensa e continua, senza stagioni, nel buono e nel cattivo tempo, seguendo lo schema da lei condiviso: quando ci sono i soldi non c’è il quadro; quando c’è il quadro non ci sono i soldi. Ma non si può stare fermi, non si può perdere l’occasione: quando passerà un altro Liberale da Verona, quando un altro Boccaccino, quando un altro Jacopo da Valenza? Poi magari ripassano. (…) Ma alcuni non tornarono mai. Rina lo aveva capito; (…) Mia madre era pronta a osare qualunque sfida, e perfino a sfidare suo figlio, se, in collezione, un mirabile Sassoferrato proveniente dal Museo di Cleveland, è presente perché mia madre lo scelse, rifiutandosi di battere, e fingendo di aver sbagliato il numero del lotto, una Deposizione di Giuseppe Bazzani che non le piaceva”.

La collezione Cavallini Sgarbi è caratterizzata da pezzi provenienti in misura maggiore da alcune aree italiane, ovvero Ferrara, Venezia, la Sardegna, Faenza e la Romagna.

Di grande raffinatezza la Cornice di specchio da parete (inizi del XV secolo) della bottega degli Embriachi, così come la Cassetta intarsiata a pianta rettangolare con raffigurazioni di sonagli (fine del XIV secolo) di un seguace della “bottega a figure inchiodate”, la Cassetta intarsiata a pianta rettangolare (terzo quarto del XV secolo) e il Cofanetto intarsiato a pianta rettangolare (secondo quarto del XV secolo) degli intarsiatori della “seconda bottega delle storie di Susanna” e della “prima bottega delle storie di Susanna”, tutti oggetti creati ed utilizzati come doni nuziali.

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Colpiscono, per il Quattrocento, l’espressionismo del ritmo doloroso e del legno della croce nel Cristo in pietà e angeli (circa 1480) del folignate Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, l’imperturbabilità resa mediante un ductus quasi metallico della squarcionesca Madonna del latte tra Sant’Agnese e Santa Caterina d’Alessandria (1490) (fig. 1) del cremonese Antonio Cicognara, l’eleganza degli angeli levitanti con il panneggio all’antica da “Gradiva” che avanza, nonché la rarità iconografica, dell’Adorazione dell’Eucarestia (circa 1495-1500) del pisano Alesso di Benozzo Gozzoli (facente parte, forse, di un insieme di maggiori dimensioni), la riduzione geometrica delle forme e la raffinatezza dei dettagli nella Sacra Famiglia con San Giovanni Battista (circa 1490-1500) dell’emiliano Antonio Leonelli da Crevalcore.

Per il secolo successivo, il Cinquecento, sorprendono la dolcezza del San Paolo e del San Giovanni Battista (circa 1505) del ferrarese Giovanni Battista Benvenuti detto l’Ortolano (riferibili ad una pala più ampia), la marcata caratterizzazione dei volti e dello scorcio paesistico nell’affascinante Madonna con il Bambino e Santa Caterina di Alessandria (circa 1515) (fig. 2) di Johannes Hispanus, uno dei capolavori della collezione a giudizio di chi scrive, gli intensi bagliori luministici precaravaggeschi dei soldati (più germanici che romani) della Resurrezione di Cristo (circa 1517) del cremonese Altobello Melone, l’atmosfera misteriosa, quasi esoterica, nella Salomè (circa 1518) del lombardo Francesco Prata, la vivacità e la forza espressive nel Ritratto di giovane (circa 1547) di Lorenzo Lotto, la particolarità iconografica de La Metafisica e i Cinque Sensi (circa 1593) di Gaspare Venturini (già in Ferrara, Palazzo dei Diamanti).

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Nonché, per passare al Seicento, meravigliano la stessa particolarità iconografica de Il congedo da Tombut (circa 1614) del ferrarese Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino (parte di un ciclo pittorico volto a celebrare le origini della famiglia ferrarese Nigrisoli), il pathos accentuato dall’intensità luministica frutto dell’accostamento dei colori primari e di un complementare nel Piramo e Tisbe (circa 1620) del ferrarese Camillo Ricci, le fattezze lascive e sinistre, al limite tra il tipo della cortigiana e quello della maga, della Giuditta con la testa di Oloferne del nordico Pseudo Caroselli, il dramma carnale nella Cleopatra (circa 1620) di Artemisia Gentileschi e quello più edulcorato della versione (1625-1630) (fig. 3)

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dipinta da Giusto Fiammingo, il virtuosismo manieristico formale e stilistico della stupenda Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli (circa 1622) (fig. 4) del lombardo Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone,

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altro capolavoro della collezione a giudizio di chi scrive, l’intenso bagliore di luce e le lacrime cadenti nel San Francesco in meditazione (circa 1630) del veneziano Pietro della Vecchia, il sapore tra l’onirico e il favolistico del Mosè salvato dalle acque (1644-1646) del lucchese “girovago” Pietro Ricchi, lo sguardo diretto della nobile protagonista nell’Allegoria della pittura (circa 1640) del pesarese Simone Cantarini, la maestria nell’invenzione e l’erotismo dell’Allegoria del Tempo (circa 1650) (fig. 5) del romagnolo Guido Cagnacci, la perfezione purista nella Santa Caterina da Siena con Gesù Bambino (circa 1650) (fig. 6) di Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato (già Cleveland, The Cleveland Museum of Art), la freschezza plastica e l’intensità sentimentale dell’algardiana Immacolata con il Bambino (1685) del bolognese Giuseppe Maria Mazza.

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Colpiscono ancora, per il Settecento, l’eleganza dei raffinati sovraporta con Il riposo di Diana e Minerva con la Pittura, la Scultura e l’Architettura (1725-1730) (figg. 7-8) del bavarese Ignaz Stern detto Ignazio Stella e la turbata bellezza muliebre dell’Allegoria della Fortezza (1767) del bolognese Petronio Tadolini.

Per l’Ottocento e per la prima metà del secolo successivo sorprendono, nuovamente, la visionarietà e il vigore patetico nel Cristo crocefisso (1881) di Gaetano Previati, l’aura scenografica in Lagrime (1894) e in Veduta del Foro di Pompei (1886) del ferrarese Giuseppe Mentessi, il simbolismo della sublime visione della Targa funeraria per André Gladès (1906-1908) (fig. 9) del piemontese Leonardo Bistolfi, l’elegante gusto Déco dell’arazzo con il Paesaggio boschivo (1920-1930) del bolognese Francesco Dal Pozzo, l’imperturbabile raffinatezza del Busto di Caterina Savelli (circa 1922) (fig. 10) eseguito nello stile del quattrocentesco Mino da Fiesole dal cremonese Alceo Dossena (opera la cui storia si intreccia con il Monumento funebre di Caterina Savelli, Boston, Museum of Fine Arts), il calore di materia, colore e forma in Maternità (Salvamento) (1953) del ferrarese Ulderico Fabbri.

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La mostra al Castello Estense di Ferrara fa parte di un ciclo di esposizioni curate dal colto e attento Pietro Di Natale cui si riferiscono anche le precedenti Lotto Artemisia Guercino. Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi al Palazzo Campana di Osimo (18 marzo-30 ottobre 2016), Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi e altre stanze. Da Nathan a Morandi al Salone degli Incanti di Trieste (21 aprile-20 agosto 2017), Dal Rinascimento al Neoclassico.

Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi al Castello Visconteo Sforzesco di Novara (20 settembre 2017-14 gennaio 2018), cui si aggiungono, inoltre, Il giardino segreto. Grandes maestros de la pintura italiana en la colección Sgarbi presso il Centro Cultural Casa del Cordón a Burgos (18 ottobre 2013-8 gennaio 2014) e Teoría de la belleza. Pintura italiana en la colección Sgarbi presso il Museo Nacional de San Carlos a Città del Messico (25 luglio-2 novembre 2014), esposizioni nelle quali sono svelate anche opere altre rispetto a quelle presenti nella mostra in corso a Ferrara e che allo stesso modo si distinguono per bellezza, quali l’elegante Santa Caterina d’Alessandria incoronata da un Angelo (circa 1650) del bolognese Flaminio Torri, lo straordinario busto dell’Allegoria dell’Inverno (1660-1670) del fiammingo Giusto Le Court (facente parte di una serie di Stagioni già a Münster, Schloss Nordkirchen), l’erotico La Fedeltà e la Pace (1665-1670) del veneto Pietro Liberi, la notevole pala con San Domenico e Santa Caterina da Siena (1686-1687) del fiorentino Alessandro Rosi (eseguita per la badia di San Michele Arcangelo a Passignano), il raffinatissimo Trionfo di Venere (circa 1725) del bavarese Ignazio Stern (pittore già citato e presente in collezione con diverse opere), le due preziose Allegoria dell’Acqua e Allegoria del Fuoco (circa 1780) del lombardo Filippo Comerio (facenti parte di una serie di Quattro Elementi), le sei incantevoli Illustrazioni a penna e inchiostro per il poema Viaggio filosofico e poetico (1810-1820) del piemontese Felice Giani, lo squisito Venere, Cupido e Marte (1825-1830) del friulano Giuseppe Bernardino Bison, la luminosa e lirica Vendemmia nei pressi del Tempio di Venere a Baia (circa 1830-1835) dell’olandese Anton Sminck van Pitloo.

Il genio del gusto artistico di Vittorio e quello della creatività trasversale di Elisabetta, fratello e sorella Sgarbi, rendono oggi tributo alla collezione di famiglia attraverso la mostra al Castello Estense di Ferrara, mentre il raffinatissimo e vero Angelo (2017) (fig. 11) in terracotta di Giuseppe Bergomi nella cappella di famiglia al cimitero di Stienta (Rovigo) veglia su Nino e Rina (v. supra). Quest’ultima soddisfa, per ogni tempo, il più alto desiderio del figlio Vittorio: “convivere con gli spiriti di artisti che parlano e respirano con me, anime sensibili e corpi viventi, durante e, purtroppo, oltre la mia vita”.

Marta ROSSETTI   Aprile 2018

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fig. 1. Antonio Cicognara, Madonna del latte tra Sant’Agnese e Santa Caterina d’Alessandria, olio su tavola, 168 x 122 cm, 1490, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 2. Johannes Hispanus, Madonna con il Bambino e Santa Caterina di Alessandria, olio su tavola, 55 x 58 cm, circa 1515, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 3. Giusto Fiammingo, Cleopatra, olio su tela, 91,5 x 68,5 cm, 1625-1630, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 4. Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli, olio su tela, 184 x 135 cm, circa 1622, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 5. Guido Cagnacci, Allegoria del Tempo, olio su tela, 108,5 x 84 cm, circa 1650, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 6. Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Caterina da Siena con Gesù Bambino, olio su tela, 74 x 84 cm, circa 1650, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 7. Ignaz Stern detto Ignazio Stella, Il riposo di Diana, olio su tavola, 70 x 86 cm, 1725-1730, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 8. Ignaz Stern detto Ignazio Stella, Minerva con la Pittura, la Scultura e l’Architettura, olio su tavola, 70 x 86 cm, 1725-1730, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 9. Leonardo Bistolfi, Targa funeraria per André Gladès, gesso, 63 x 60 cm, 1906-1908, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 10. Alceo Dossena, Busto di Caterina Savelli, marmo, 45 x 29 x 23 cm, circa 1922, Collezione Cavallini Sgarbi.

fig. 11. Giuseppe Bergomi, Angelo, terracotta, 2017, Stienta, Cimitero, Cappella Cavallini Sgarbi Fenzi.

fig. 12. Caterina Cavallini e Giuseppe Sgarbi (Rina e Nino) ad Ancona.