di Claudio LISTANTI
In questa seconda parte dell’articolo vogliamo porre in evidenza la personalità artistica di Caruso, un personaggio che ha l’indiscusso merito di aver contribuito in maniera assoluta a definire la figura del tenore ‘moderno’ riuscendo a divenire, in un certo senso, icona interculturale. Una personalità artistica che ha unito le sue innegabili doti vocali e la sua enorme popolarità alla vita mondana, ai rapporti con le stelle della lirica dei suoi tempi con le quali ha frequentemente posto in essere duraturi sodalizi artistici. Un artista che ha saputo disporre dei mezzi di comunicazione che il progresso dei primi del ‘900 metteva a disposizione dell’umanità, come la nascita del cinema e la diffusione sempre più capillare del disco. Tutti elementi che hanno contribuito a farne, non solo un mito vivente, ma anche un mito universale che, anche a distanza di cento anni dalla morte, il mondo lo ricorda, con popolarità immutata, artista di spessore.
Iniziamo dalla base della sua luminosa carriera: la particolarità della sua voce. Per spiegarlo con incisività partiamo da quanto già messo in risalto nel nostro primo articolo (Cfr. https://www.aboutartonline.com/a-100-anni-dalla-scomparsa-resiste-il-mito-di-enrico-caruso-un-gigante-dellopera-di-tutti-i-tempi-parte-i/ . Più esattamente dalla delusione del suo insuccesso, il 30 dicembre del 1901, al San Carlo di Napoli che lo costrinse ad abbandonare (artisticamente) la sua città natale.
Saverio Procida, critico de “Il Pungolo”, scrisse che Caruso aveva cantato L’Elisir d’amore con la voce di baritono. Questo significava che la sua voce aveva un notevole ‘spessore’ sonoro che prendeva la distanza dai gusti dell’epoca quando il pubblico era abituato, soprattutto per questa parte, ad una voce di carattere più leggero. Questa caratteristica della voce di Caruso era già stata messa in luce da uno dei suoi primi maestri che lo definì un bel ‘contraltino’. Il pubblico, e la critica, del 1901 molto probabilmente ancora non erano pronti ad apprezzare questo cambio di stile. Un fatto che si verifica spesso, non solo nella Musica ma anche, e frequentemente, nel mondo dell’Arte, quando si entra a contatto con le ‘novità’ e con le ‘innovazioni’ con l’incapacità del pubblico, ma anche dalla critica, di non comprendere le novità proposte.
Un altro elemento della sua voce, che in un certo conferma tutto ciò, è dato dal fatto che Caruso aveva qualche difficoltà nella tessitura acuta. Significativo è l’episodio che lo vede preoccupato quando affrontò Bohème di fronte a Puccini riguardo al famoso ‘Do’ che chiude la celebre ‘Che gelida manina’. Puccini, da genio della musica e del teatro, non si scompose e autorizzò ad abbassare dal do al si naturale, ben consocio che non è l’acuto la cosa determinante ma l’interpretazione del personaggio e dei suoi sentimenti, cosa che Caruso sapeva fare assai bene.
Proprio quest’ultimo elemento, infatti, è una delle grandezze in assoluto dell’arte vocale di Caruso. Le testimonianze ce lo descrivono molto scrupoloso nella realizzazione delle parti interpretate, sempre alla ricerca dell’immedesimazione non solo del personaggio ma, anche, dell’ambiente e della cornice che contengono l’azione, risultando un artista straordinariamente completo che ha saputo abbinare qualità vocale e recitazione.
Anche in questo caso vogliamo citare un altro episodio relativo sempre alla sua interpretazione di Rodolfo del La Bohème, opera a lui molto cara. Nel primo atto, nella soffitta parigina c’è molto freddo. Siamo in un momento che vede Rodolfo dialogare con l’amico Marcello; il pittore dice di avere ‘un freddo cane’ e Rodolfo risponde declamando la seguente frase ‘… Ed io, Marcel, non ti nascondo che non credo al sudore della fronte’. Uno scambio di opinioni che sembra quasi un riempitivo ma per Caruso non lo è. Testimonianze dell’epoca raccontano che il tenore in quel tratto dell’opera fa capire al pubblico tutto il disagio della vita in soffitta nel dicembre parigino comunicando con efficacia quel senso di gelo del momento.
Nei suoi personaggi metteva anche molta umanità, cosa che contribuiva ad estasiare e coinvolgere il pubblico che restava sempre incantato dalle sue interpretazioni. Famoso è il caso di una delle sue tante interpretazioni di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, altra opera nella quale diede il meglio di sé stesso. Si trovava a cantare l’opera in un momento di grande delusione della sua vita, quando scoprì il tradimento di Ada Giachetti, la sua prima moglie. Nei Pagliacci si parla del tradimento di Nedda verso suo marito Canio; era una analogia con la vita privata del tenore e la celebre ‘Vesti la giubba’ di quella sera fu memorabile in quanto Caruso trasfuse nella sua interpretazione tutto il dolore del suo stato di uomo ferito offrendo un momento tanto accorato quanto coinvolgente.
Sul palcoscenico Caruso non era egocentrico. Era sempre alla ricerca dell’integrazione con i suoi colleghi con i quali riusciva ed entrare in sintonia per ottenere una costante immedesimazione con lo spirito dei personaggi interpretati, rivolta ad una efficace e coinvolgente realizzazione scenica. Molti sono gli aneddoti e le testimonianze che dimostrano queste caratteristiche delle qualità artistiche del tenore. Tra tutte ricordiamo il caso risalente al 1906 durante una rappresentazione di Fedora di Umberto Giordano quando al termine del secondo atto divampa l’amore tra Fedora e Loris. In quel punto la didascalia del libretto dice ‘ … i due amanti s’incontrano in un abbraccio appassionato, mentre cala lentamente il sipario’. Caruso aveva al fianco la bella e brava Lina Cavalieri, soprano allora in auge; il loro immedesimarsi con il momento scenico fu travolgente al punto che tra i due scattò un bacio vero e appassionato che entusiasmò il pubblico presente che fece guadagnare alla Cavalieri il soprannome di ‘The kissing primadonna’.
Anche la via del cinema, allora agli albori, tentò la personalità artistica di Caruso con risultati però, che a sua detta, non furono quelli sperati. Due sono le pellicole che interpretò entrambe nel 1918: My Cousin (Mio Cugino) e The Splendid Romance entrambi diretti da Edward José e prodotti dalla Famous Players-Lasky Corporation. Il secondo dei due ad oggi non è più reperibile mentre il primo, pubblicato in tempi recenti su dvd, è ambientato nel mondo degli immigrati italiani a New York e vede il tenore recitare la doppia parte dei due cugini. Lo si può vedere utilizzando questo link https://www.youtube.com/watch?v=BtDG_3o_1-E. È una testimonianza molto importante perché si può avere un’idea più precisa del suo modo di recitare ed interpretare.
La testimonianza dei suoi dischi.
Caruso, con lungimiranza, aveva ben compreso che l’incisione su disco era ormai la via del futuro anche perché la tecnica di incisione faceva ogni anno notevoli passi avanti per una progressiva e sempre più evidente chiarezza del suono. Ascoltando le sue registrazioni si possono comprendere con più immediatezza le caratteristiche della sua arte vocale soprattutto perché le incisioni discografiche coprirono un periodo cospicuo della sua vita, che va dal 1902 al 1920. Molti pensano che la carriera discografica del nostro tenore si sia svolta unicamente negli Stati Uniti ma, al contrario, iniziò nel biennio 1902-1903 proprio in Italia, a Milano, grazie alla Gramophone Company di Londra. L’attività si sviluppò poi negli Stati Uniti a partire del 1904 per la Victor giungendo fino al 1920. Nel complesso sono testimonianze assolute dell’evoluzione vocale di Caruso.
Le incisioni sono quantitativamente numerose; basti pensare che solo l’integrale dei riversamenti in digitale (anche se poi va verificata l’assoluta integralità) pubblicata dalla Naxos è composta di ben 12 cd. Questa cospicua raccolta e la capillare diffusione di quei dischi ci fa capire l’immensa fama e considerazione delle quali godeva Caruso in tutto il mondo. Le incisioni riguardano non solo il suo repertorio operistico, arie, romanze, duetti e pezzi di insieme con i migliori cantanti dell’epoca, tratte da suo repertorio oltre a brani di opere mai interpretate sul palcoscenico ma anche il repertorio di canzoni popolari, canzoni napoletane e romanze da camera così come inni e canti patriottici. Il tutto ci offre una luminosa panoramica su tutta l’arte vocale del nostro cantante.
Audio 1
Iniziamo proponendo alcune registrazioni di ‘Vesti la giubba’ da Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Una parte, quella di Canio, tra le fondamentali della sua carriera. In questa testimonianza d’audio che proponiamo, ci sono tre interpretazioni della stessa romanza ma di anni diversi. La prima registrata il 30 novembre del 1902 fa parte delle primissime registrazioni effettuate in Italia già citate poco avanti. La seconda l’1 febbraio del 1904 e la terza il 17 marzo del 1907. Dall’ascolto congiunto di queste tre esecuzioni appare innanzitutto con chiarezza il progresso nella tecnica di registrazione nell’arco di poco meno di 5 anni, con evidenti miglioramenti nei fastidiosi fruscii ed un suono sempre più ‘completo’ all’ascolto; nei primi due l’accompagnamento è con il pianoforte mentre nel terzo c’è l’orchestra anche se con elementi limitati ma certamente offre un effetto sonoro del tutto più affascinante.
Per quanto riguarda la voce di Caruso, le tre epoche ci mostrano una chiara evoluzione della sua voce che ne produce una ‘maturazione’ del tutto evidente soprattutto nel ‘colore’ che con il passare degli anni risulta più scuro, quasi bronzeo ma anche più attento e raffinato nelle emissioni. Da una certa irruenza giovanile di quella del 1902 nelle altre due il tenore appare molto più misurato nelle emissioni vocali offrendoci un Canio forse più umano anche se in preda ad una incontrollata ira.
Ruggero Leoncavallo
Pagliacci Recitar mentre preso dal delirio/Vesti la giuba – Finale Atto I
Enrico Caruso Canio
Registrazioni 1902-1904-1907
Testo
Canio
Recitar! Mentre preso dal delirio!/Non so più quel che dico/e quel che faccio!/Eppur è d’uopo sforzati!/Bah! Sei tu forse un uom?/Tu sei Pagliaccio!
Vesti la giubba/E la faccia infarina./La gente paga e rider vuole qua./E se Arlecchin t’invola Colombina,/ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà!/Tramuta in lazzi/lo spasmo ed il pianto;/in una smorfia il singhiozzo/e’l dolor! Ah!/Ridi, Pagliaccio,/sul tuo amore infranto./Ridi del duol che t’avvelena il cor.
https://www.youtube.com/watch?v=RL7wdUPXpiM
Audio 2
Nel nostro articolo abbiamo fatto riferimento ai rapporti professionali tra Caruso, i colleghi del suo tempo e le collaborazioni orientate a raggiungere il massimo dell’espressività e dell’intensità drammatica e teatrale. Emblematico in tal senso è l’incisione del duetto finale del primo atto de La Bohème che chiude quel momento magico tra Mimì e Rodolfo che vede sbocciare il loro amore. La registrazione è del 1907. Accanto a Caruso c’è una delle regine dell’opera di quegli anni, il soprano Nellie Melba una voce che strabiliava gli ascoltatori al punto da meritarsi il soprannome di ‘Usignolo d’Australia’. Caruso aveva raggiunto la prima maturità vocale e ascoltando il brano si evidenzia un estremo affiatamento tra i due cantanti che rende quel momento di grande fascino. Contrariamente a quanto avveniva a quei tempi i due cantanti non concludono l’acuto finale all’unisono e ‘forte’ ma nel pieno rispetto di quanto previsto da Puccini che scrisse per il soprano un do acuto e per il tenore il mi del quarto spazio ma tutto in piano (in partitura ci sono due ‘p’ e per di più con l’indicazione ‘perdendosi’) questo per dare ‘teatralmente’ quel senso di lontananza dato che i due cantanti si esibiscono fuori scena.
Giacomo Puccini
La Bohème : O soave fanciulla – Finale Atto I
Enrico Caruso Rodolfo – Nellie Melba Mimì
Registrazione Victor 24 marzo 1907
Testo
Rodolfo – O soave fanciulla, o dolce viso/di mite circonfuso alba lunar/in te, vivo ravviso/il sogno ch’io vorrei sempre sognar!/Fremon già nell’anima/le dolcezze estreme,/nel bacio freme amor!
Mimì – Ah! tu sol comandi, amor!…/(Oh! come dolci scendono/le sue lusinghe al core…/tu sol comandi, amore!…)
Mimì – No, per pietà!/ Rodolfo – Sei mia!/Mimì – V’aspettan gli amici… /Rodolfo – Già mi mandi via?/ Mimì – Vorrei dir… ma non oso…/Mimì – Se venissi con voi?
Rodolfo – Che?… Mimì?/Sarebbe così dolce restar qui./C’è freddo fuori./Mimì – Vi starò vicina!…/Rodolfo – E al ritorno?/Mimì – Curioso!/Rodolfo – Dammi il braccio, mia piccina./Mimì/Obbedisco, signor!/Rodolfo – Che m’ami di’…/Mimì – Io t’amo!/ Rodolfo – Amore !/Mimì – Amor!
https://www.youtube.com/watch?v=GEdMgSRqwhg
Audio 3
Proponiamo ora una registrazione del 1916 nella quale Caruso è impegnato nell’aria di Macduff del Macbeth di Giuseppe Verdi. Caruso non interpretò mai in teatro quest’opera soprattutto perché nei primi anni del ‘900 Macbeth era considerata dai più un’opera ‘minore’ di Verdi. La sua rivalutazione avvenne solo a partire dagli anni ’40 del secolo scorso riacquisendo progressivamente la meritata importanza e ricoprire, anche criticamente, la collocazione tra le più importanti opere del musicista bussetano. In questa registrazione ascoltiamo un Caruso che sta acquisendo una voce bronzea nel colore, molto espressiva ed efficace nel mettere in evidenza quel declamato di straordinario effetto teatrale, e scenico, caratteristico dei grandi personaggio verdiani. Riesce a dare al personaggio i contorni dell’esule scozzese scosso dall’uccisione dei figli e della moglie ad opera del tiranno Macbeth che lo porta ad organizzare la riscossa sua e del suo popolo che in seguito annienteranno il despota oppressore.
Giuseppe Verdi
Macbeth: O figli, o figli miei!/ Ah, la paterna mano – Atto IV
Recitativo e aria di Macduff
Enrico Caruso Macduff
Registrazione Victor 23 febbraio 1916
Testo
Macduff
O figli, o figli miei! Da quel tiranno/tutti uccisi voi foste, e insiem con voi/la madre sventurata!… E fra gli artigli/di quel tigre io lasciai la madre e i figli?
Ah, la paterna mano/non vi fu scudo, o cari,/dai perfidi sicari/che a morte vi ferir!/E me fuggiasco, occulto/voi chiamavate invano/coll’ultimo singulto,/coll’ultimo respir./Trammi al tiranno in faccia,/signore! e s’ei mi sfugge,/possa a colui le braccia/del tuo perdono aprir.
https://www.youtube.com/watch?v=c094udMFZXs
Audio 4
Il ‘corpus’ delle incisioni di Caruso comprende anche numerosi brani non operistici. Dalle romanze da camera alle canzoni di ispirazione internazionale, con particolare riguardo alla canzone napoletana, fino ai canti patriottici. In questa sede proponiamo l’ascolto de La campana di San Giusto uno dei più famosi brani patriottici italiani in una registrazione del 1919. Scritto da Giovanni Drovetti fu musicato nel 1915 da Colombino Arona ed ebbe straordinaria popolarità durante la prima guerra mondiale. Caruso interpreta la canzone con piglio eroico mitigando l’invitabile retorica contenuta dal brano. Un grande omaggio di uno dei più famosi emigranti all’Italia, la sua patria
La campana di San Giusto
Inno patriottico di Drovetti- Arona
Enrico Caruso tenore
Registrazione Victor del 6 gennaio 1919
Testo
Per le spiagge, le rive di Trieste/Suona e chiama di San Giusto la campana,/l’ora suona l’ora suona non lontana/che più schiava non sarà!
Le ragazze di Trieste/Cantan tutte con ardore:/”O Italia, o Italia del mio cuore/Tu ci vieni a liberar!”
Avrà baci, fiori e rose la marina,/la campana perderà la nota mesta,/su San Giusto sventolar vedremo a festa/il vessillo tricolor!
Le ragazze di Trieste/Cantan tutte con ardore:/”O Italia, o Italia del mio cuore/Tu ci vieni a liberar!”
https://www.youtube.com/watch?v=QFao74s6jAY
Audio 5
Il repertorio di Caruso, come già evidenziato prima, era molto ricco e comprendeva brani provenienti da un vasto arco temporale della Storia della Musica. Ora proponiamo una delle arie più famose di Georg Friedrich Händel proveniente dall’opera Serse: ‘Ombra mai fu’ che il tenore interpreta cantando anche il recitativo che lo precede, cosa che per l’epoca era poco usuale.
Quest’aria, posizionata proprio all’inizio dell’opera, dove Serse all’ombra di un platano intravede per la prima volta Romilda restando colpito dalla dolcezza del suo canto. Fu scritta da Händel per uno dei cantanti più famosi del suo tempo, il castrato Gaetano Majorano detto Caffarelli (o Caffariello) che fu grande virtuoso, dotato di una notevole estensione ed in possesso di una coinvolgente dolcezza dei suoni. Come è noto è impossibile, in tempi moderni, riprodurre quel tipo di canto e Caruso adatta l’aria alle sue caratteristiche. Siamo nel 1920 e basa la sua interpretazione su un affascinante canto, dal timbro quasi baritonale, attento ad addolcire l’emissione dei suoni inserendo, seppur in minima parte, alcuni abbellimenti che ingentiliscono la linea vocale togliendo gli effetti degli inevitabili elementi di stile verista dell’epoca che si trovano soprattutto nel recitativo iniziale al quale Caruso dona una straordinaria dizione.
Georg Friedrich Händel
Serse
Enrico Caruso Serse
Frondi tenere e belle – Ombra mai fu – Atto I
Recitativo e Aria
Registrazione Victor 21 gennaio 1920
Testo
Serse
Frondi tenere e belle/del mio platano amato/per voi risplenda il fato./Tuoni, lampi, e procelle/non v’oltraggino mai la cara pace,/nè giunga a profanarvi austro rapace.
Ombra mai fu/di vegetabile,/cara ed amabile,/soave più.
https://www.youtube.com/watch?v=4nQXd3OyEz0
Audio 6
Concludiamo con la registrazione di un’aria tratta dall’ultima opera interpretata da Caruso in scena. Come evidenziato nella prima parte del nostro articolo in ricordo del grande tenore, concluse la stagione 2020 del Metropolitan con La Juive di Halévy. Fu l’ultima sua interpretazione in quanto la malattia lo costrinse a stare lontano dal palcoscenico fino alla morte. Quasi contemporaneamente a quell’ultima recita registrò, il 14 settembre del 1920, la stupenda aria tratta dal IV atto di quell’opera. Riteniamo indispensabile chiudere questo piccolo excursus attraverso le registrazioni di Enrico Caruso con questa superba interpretazione. L’ascolto ci mette in evidenza una voce completamente matura, drammatica e suadente; con essa il tenore dimostra di essere ormai pronto per un personaggio a cui teneva moltissimo, Otello di Giuseppe Verdi, già provata con due incisioni ma mai portata sul palcoscenico, parte molto temuta da Caruso proprio per la sua estensione e per lo sconfinamento nel registro grave che rende la linea vocale veramente affascinante. La morte purtroppo gli impedì questa nuova, stimolante, avventura. Nella registrazione Caruso evidenzia il pieno controllo della linea di canto non mostrando alcuna difficoltà ma riuscendo ad essere efficacemente commovente in questa sorta di appassionata preghiera sul destino di sua figlia Rachel.
La Juive
Opéra in cinque atti di Eugène Scribe. Musica di Jacques Fromental Halévy
Aria Rachel, quand du Seigneur – Atto IV
Enrico Caruso Éléazar
Registrazione Victor 14 settembre 1920
Testo
Éléazar
Rachel, quand du Seigneur/La grâce tutélaire/A mes tremblantes mains confia ton berceau,/J’avais à ton bonheur/Voué ma vie entière./Et c’est moi qui te livre au bourreau!/J’avais à ton bonheur/Voué ma vie entière,/Et c’est moi qui te livre au bourreau,/Mais j’entends une voix qui me crie:/Sauvez-moi de la mort qui m’attend!/Je suis jeune et je tiens à la vie,/Ô mon père épargnez votre enfant,/Je suis jeune et je tiens à la vie,/Ô mon père, ô mon père, épargnez votre enfant!/Ah! Rachel, quand du Seigneur/La grâce tutélaire/A mes tremblantes mains confia ton berceau,/J’avais à ton bonheur/Voué ma vie entière./Et c’est moi qui te livre au bourreau,/ Rachel, je te livre au bourreau!/ Rachel, c’est moi, moi,/moi qui te livre au bourreau!/Et d’un mot, et d’un mot arrêtant la sentence,/D’un mot arrêtant la sentence/Je puis te soustraire au trépas!/Ah! j’abjure à jamais ma vengeance,/J’abjure à jamais ma vengeance,/Rachel, non tu ne mourras pas!
(Rachele, quando il Signore/ la grazia protettrice/ le mie mani tremanti affidarono la tua culla/ io avevo alla tua felicità/ voluto tutta la mia vita per te/ E sono io che ti consegno al boia! Avevo la tua felicità nel mio cuore /Ho voluto tutta la mia vita per te /E ti consegno al boia /Ma sento una voce che mi grida: /Salvami dalla morte che mi aspetta /Sono giovane e voglio vivere /O mio padre, risparmia tuo figlio /Sono giovane e voglio vivere /O mio padre, risparmia tuo figlio /O mio padre, risparmia tuo figlio /O mio padre, risparmia tuo figlio! /Oh, Rachele, quando la grazia tutelare del Signore/ la mia mano tremante ha affidato la tua culla/ ho avuto la tua felicità /ho voluto tutta la mia vita per te/ e ti ho consegnato al boia/ Rachele, ti consegno al boia! / Rachele, sono io, io, io, io che ti consegno al boia!/E con una parola, e una parola che ferma la sentenza,/e una parola che ferma la sentenza,/io posso salvarti dalla morte!/ Ah, io rinuncio alla mia vendetta per sempre,/io rinuncio alla mia vendetta per sempre!/ Rachele, no, tu non morirai!)
https://www.youtube.com/watch?v=_jc0_aoeAJM
Si conclude qui il nostro omaggio per i cento anni dalla morte del grande Enrico Caruso, avvenuta il 2 agosto 1921. Vista la grandezza della personalità artistica di Caruso è certamente un omaggio modesto e, per forza di cose, incompleto. Ma ci auguriamo che la sua lettura stimoli i nostri lettori ad approfondire la vita e le interpretazioni di questo nostro grande artista.
Claudio LISTANTI Roma 7 febbraio 2021