di Elena GRADINI
Palazzo Cipolla a Roma la prima grande personale dell’artista romano Quayola.
Si chiude oggi la mostra, articolata nei suggestivi spazi delle sale che nel loro silenzio autoreferenziale offrono allo spettatore una visione unica e multipla insieme della nuova frontiera dell’arte, che attraverso il rapporto con gli Antichi approda ad un nuovo codice espressivo.
Muovendosi nelle sale infatti si viene catapultati tra le sculture realizzate con materiali diversi; opere-video e stampe a getto d’inchiostro che restituiscono un dialogo specialissimo con l’opera, ove la lectio del passato viene reinterpretata secondo la proiezione dei nostri tempi. Aderendo a quell’adagio secondo il quale l’arte è sempre contemporanea, in quanto riflesso dei una società e delle sue caratteristiche storico-culturali del suo preciso tempo storico, Quayola utilizza nuovi algoritmi digitali secondo un suo personalissimo stile, reinventando un codice espressivo ed un linguaggio artistico-comunicativo che ha rimodulato la storia dell’arte attraverso la sua visione.
Le opere esposte, realizzate tra il 2007 e il 2021, restituiscono infatti una panoramica del processo creativo dell’artista, immergendo il visitatore in passaggi temporali, anticipazioni future ed echi del passato, che rivive ricostruito secondo una nuova visione attuale in cui la macchina, la robotica, diviene la nuova mano d’artista ed il processo creativo è trasferito dall’uomo dall’intelligenza artificiale.
Si rivelano tutti i grandi capolavori dell’arte secondo una nuova visione, che è essa stessa nuova sintesi delle grandi correnti artistiche come l’arte classica, il barocco, sino alle avanguardie del secolo scorso, rappresentate dal pointillisme, soltanto che, al posto del pennello, la natura ed il paesaggio vengono ricostruiti da pixel in movimento continuo. Ci si trova di fronte ad un nuovo cubismo digitale che attraverso complessi software di computer grafica fa rivivere in chiave moderna i paesaggi impressionisti, le ninfee di Monet, i personaggi biblici dei grandi maestri, sino ad entrare in una foresta virtuale allestita nel corridoio finale, che riproduce un sentiero della foresta nella Vallèe de Joux.
Una lunga sequenza di stampe riporta abeti scansionati con laser ad alta precisione, immergendo lo spettatore in un mondo incantato dove arte computazionale creatività e natura dialogano armoniosamente. Il progetto espositivo si sviluppa in tre aree tematiche: iconografia classica, sculture non finite e tradizione della pittura di paesaggio. Utilizzando sistemi di robotica, Intelligenza Artificiale e software generativi, Quayola trasforma la tecnologia computazionale in una nuova palette cromatica.
Lavori rinascimentali e del barocco vengono trasformati in complesse composizioni digitali attraverso metodi computazionali e le sculture ispirate al non finito michelangiolesco sono scolpite dal braccio meccanico del robot. Posto dinanzi a videoproiezioni, sculture e stampe ad altissima definizione, lo spettatore ha la possibilità di confrontarsi con questi nuovi mezzi espressivi e le loro infinite potenzialità, un po’come avvenne a fine Ottocento con la nascita della fotografia che catturava la realtà e ne fissava i confini.
Opere che sono una sfida dei nostri tempi, che come tutte le innovazioni necessitano di un proprio tempo per venire elaborate e digerite dalla coscienza contemporanea, sempre assopita in quell’infruttuoso confronto a tutti i costi col passato, ancorata al paragone che spesso non permette di aprire l’occhio della coscienza verso il nuovo, l’originale, l’avanguardia appunto. Così è sempre avvenuto anche in passato, come ne danno prova quelle che furono le iniziali ed avverse reazioni dei suoi contemporanei al Caravaggio, alle innovazioni della pittura impressionista e delle varie avanguardie storiche del Novecento.
Parimenti Quayola nel presentare al mondo le sue sculture robotiche ha affidato i grandi artisti del ad un sistema artificiale; al mondo computazionale, abitualmente pensato antitetico rispetto all’originalità della mano d’artista. Nella penombra appare così il Laocoonte e, se è innovativa la scansione multipla della sua tridimensionalità corporea, non è dissimile dall’originale la potenza espressiva con cui viene restituita la drammaticità dell’immagine e del suo significato iconografico.
Vita naturale e vita algoritmica. Una simbiosi che non vuol essere contradditoria quanto piuttosto equivalente, compensatrice delle varie forme di possibilità dell’esistenza. C’è in queste sculture la stessa suggestione della poetica del frammento, del valore dell’antico, anche se ripensato attraverso un codice meccanico.
Così avviene anche osservando il gruppo scultoreo in poliuretano espanso che rievoca il Ratto di Proserpina del Bernini, opera eseguita dal genio barocco nel 1622 e conservata presso la Galleria Borghese di Roma. Quayola mostra come l’arte generativa sia un mezzo per esplorare anche la natura. Le sue serie botaniche come Jardins d’été mettono in luce l’affascinante e paradossale somiglianza tra il mondo naturale e quello digitale in quanto sia nella natura che nel mondo algoritmico esiste un processo generativo che si rinnova. Quayola con la sua arte ben si colloca quindi nella nostra era come possibile chiave di comprensione di un processo creativo che oltre alla pittura tradizionale mostra come un’arte digitale sia non solo possibile ma anche necessaria alla comprensione del nostro tempo.
Elena GRADINI Roma 30 Gennaio 2022
La mostra è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, e realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia ed è curata da Jérôme Neutres e Valentino Catricalà.