di Vitaliano TIBERIA
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo importante contributo del prof. Tiberia sulla questione da lui già affrontata in un precedente intervento sulla nostra rivista ( Cfr. https://www.aboutartonline.com/il-sepolcro-di-raffaello-il-pantheon-i-virtuosi-la-verita-in-una-storia-non-priva-di-fantasie/ ), circa le indagini che da parte di alcuni si propongono per cercare di accertare i motivi della morte di Raffaello Sanzio, nonchè sulle origini e la storia dei Virtuosi del Pantheon; come sempre About Art è aperta al contibuto di quanti altri volessero intervenire in proposito.
L’1 dicembre scorso, su You Tube è uscita la presentazione, sotto il titolo della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, del volume L’Enigma di Raffaello, a cura di P. Baldi e della sua collaboratrice A. Militello; presentazione che si è tenuta nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”. Dopo quanto scrissi sull’argomento del sepolcro di Raffaello in questa stessa sede, il giorno di Pasqua 2020 ( Cfr. https://www.aboutartonline.com/il-sepolcro-di-raffaello-il-pantheon-i-virtuosi-la-verita-in-una-storia-non-priva-di-fantasie/ ), faccio ora le seguenti considerazioni, non senza rilevare che, in quest’ultima occasione, stranamente il grande assente fisico è stato proprio il volume che si presentava, ed aggiungo che le notizie sulla storia e sull’identità dell’attuale Accademia dei Virtuosi sono imprecise e fuorvianti: il Sodalizio dei Virtuosi al Pantheon non nacque, secondo quanto riferito dal Baldi, che attualmente lo presiede, come un’accademia, ma fu elevato a tale rango da Pio XI nel 1928.
In realtà, i Virtuosi videro la luce per motivi prettamente religiosi con il titolo di Pia Compagnia o Congregazione di San Giuseppe di Terrasanta, e neppure ebbero il fine di riunire in un unico sodalizio architetti, pittori e scultori, come ha riferito sempre il Baldi, che, fra l’altro, ha dimenticato i musicisti, entrati con Giovanni Maria Nanino fra i Virtuosi una manciata d’anni dopo la loro nascita. La riunione in un’ unica Società di architetti, pittori e scultori avvenne per volere di Paolo III, che riformava gli statuti di origine medievale, e non certamente per iniziativa dei Virtuosi, che non potevano avere una titolarità giuridica così importante; i congregati giuseppini nacquero dunque non come accademici ma come congregati, che, ispirati alle virtù della carità e dell’umiltà, esercitassero le pratiche della religione cattolica e le opere di misericordia, e neppure discussero nelle loro riunioni mensili di estetica né di formazione di giovani artisti, come invece avviene nelle istituzioni accademiche. E neppure esiste, come ha riferito il Baldi, un legame ideale fra i Virtuosi e Raffaello.
Quest’ultimo fu infatti uno dei maggiori protagonisti dell’arte rinascimentale, vivendo in modo egocentrico e producendo bellezza artistica in contiguità con i grandi prìncipi del Rinascimento, vissuti in quella splendida stagione della civiltà italiana. Raffaello fu sì uomo di fede, ma visse la sua vita al pari dei Grandi della storia dell’Umanesimo-Rinascimento, suoi committenti. D’altra parte, gli stessi Virtuosi non hanno avuto Raffaello come ispiratore della propria vita sociale e neppure ideale, tanto è vero che il nome dell’Urbinate appare nei verbali delle loro riunioni solo dal 1833, quando il Reggente del tempo, lo scultore Giuseppe De Fabris, soprattutto per motivi di pietas erga mortuos, promosse la ricognizione della tomba di Raffaello nel Pantheon sconvolta per quasi tre secoli dalle alluvioni del Tevere ricorrenti dal 1543, anno della nascita della Congregazione di San Giuseppe di Terrasanta, ventitre anni dopo la morte dell’Urbinate.
Dunque, il fondatore dei Virtuosi, il cistercense Piombatore delle bolle pontificie, Desiderio d’Adiutorio, nel dar vita alla sua Congregazione giuseppina, non fu animato da entusiasmo umanistico-rinascimentale, ma, si badi bene, da spirito neomedievale, manifestato proprio in armonia con la Riforma cattolica e con il pressoché contemporaneo Concilio di Trento, vale a dire con i riferimenti essenziali della crisi del Rinascimento, da cui scaturì la riforma protestante e si modificò profondamente, fra l’altro, lo stesso corso dell’arte moderna. L’identità accademica, richiamata dal Baldi per i Virtuosi, si materializzò certamente a Roma nel XVI secolo, qualche anno dopo la nascita del Sodalizio del Pantheon, ma con la fondazione dell’Accademia di San Luca. A differenza di quest’ultima, i Virtuosi non dibatterono mai questioni di estetica né formarono artisti, anche se (ma solo dopo il 1833) istituirono dei premi in concorsi per giovani speranze dell’arte. L’impegno maggiore dei Congregati del Pantheon furono i festeggiamenti annuali per San Giuseppe, loro protettore, e la costituzione di doti per fanciulle povere, nonché l’assistenza ai confratelli ammalati.
Altro errore del Baldi è ritenere che lo scheletro di Raffaello, come fu trovato e come venne ricostituito, fu dipinto da Vincenzo Camuccini: questi, in realtà, eseguì dei disegni di quei reperti, che furono quindi riprodotti a stampa da Giambattista Borani.
Ma, al di là di queste imprecisioni e tralasciando gli interventi asettici e di circostanza delle rappresentanti di alcune Istituzioni storico-artistiche (Università di Roma, Musei Vaticani, Accademia di Belle Arti di Roma), mi è sembrata preoccupante la tesi, sostenuta con forza dagli intervenuti alla presentazione, in particolare da alcuni anatomopatologi, di riesumare le ossa di Raffaello, oltre che per accertare se l’Urbinate fu avvelenato o se morì di sifilide o di polmonite o di malaria (chi più ne ha più ne metta !), per poterle “trattare” e garantir loro così l’eternità che egli merita, anche se non è stato precisato il tipo di eternità prospettata: quella della fede religiosa o quella che si venera in un pantheon laico? Più in particolare, gli anatomopatologi hanno sottolineato la bontà della loro disciplina, che consentirebbe di ricavare dati anche dal tartaro dei denti per stabilire l’alimentazione e, nel caso di Raffaello, di avere la prova che egli ha respirato proprio l’aria di Urbino (sic!).
Al culmine di questo pervasivo (si fa per dire) “entusiasmo” obitoriale è stata addirittura ricordata, fra alcune riesumazioni citate in modo estemporaneo, la ricognizione del corpo di S. Antonio, a riprova della consuetudine del procedimento riesumativo. Mi limito solo a rilevare la confusione fra il sentimento di fede e il concetto di storia. Un esperto chimico-fisico ha quindi parlato di tecniche microinvasive, che sarebbero usate per penetrare nel sepolcro ottocentesco di Raffaello, paragonandole all’attuale microchirurgia, ma dimenticando che gli interventi microchirurgici su un corpo umano, per esempio per asportare un adenocarcinoma maligno dal colon, sono microinvasivi solo sulla superficie esterna dove lasciano piccole cicatrici, perché internamente comportano la resezione e l’asportazione anche di grandi quantità di intestino per tentare di contenere la replicazione cellulare. Aggiungo quindi che lo scheletro di Raffaello, dopo la ricognizione del 1833, fu deposto, con tanto di sigilli pontifici di Gregorio XVI, in una cassa di pino, sistemata a sua volta in un sarcofago di piombo collocato nell’urna marmorea di età classica visibile ancora oggi dall’esterno.
Si può fare un intervento microinvasivo in queste condizioni, considerando, se non altro, la resistenza del piombo ?
In questo macabro dibattito con punte (absit iniuria verbis) feticistiche, in cui si vogliono trascinare i resti mortali dell’Urbinate (ironia della sorte, nella ricorrenza del suo cinquecentenario dalla morte !), un anatomopatologo presente alla riunione ha però avuto il coraggio di ricordare che il genoma raffaellesco, insultato per secoli dalle inondazioni del Tevere, potrebbe non offrire i dati sperati. Un po’ tutti i relatori, ignorando la testimonianza di Giorgio Vasari, che non parla di veleni descrivendo la morte di Raffaello, hanno quindi sottolineato l’efficacia storica della riesumazione per accertare se ci fu l’avvelenamento da parte del “sospettato” Sebastiano del Piombo o di altri (come se il veleno esibisse il nome dell’avvelenatore), adducendo come motivo che altri soggetti vicini a Raffaello furono contemporaneamente avvelenati. Alla luce di tali sospetti e coltivando il campo delle ipotesi sensazionali, perché non pensare che Raffaello abbia preso volontariamente il veleno, essendo stressato dai numerosi e impegnativi incarichi artistici e dalla eccezionale gloria di cui già godeva pur essendo giovane? Tragica sorte capitata ancor oggi a stars dello spettacolo; ma proseguendo sul campo delle ipotesi pettegole, si può anche pensare all’avvelenamento dell’Urbinate da parte di un’amante delusa. Insomma, fra un’ipotesi e l’altra, si spalanca l’infida porta del gossip, che non fa certamente parte di una seria ricerca storica e tanto meno dell’identità storico-religiosa dei Virtuosi al Pantheon. Che si lasci riposare nella pace della morte il grande Raffaello, che ha illuminato il mondo con le sue opere sublimi, la cui riesumazione sembra dettata per ottenere un passaggio verso uno strano tipo di fama che si costituirebbe, grazie ad un’azione obitoriale. Sull’argomento, lo stesso Vittorio Sgarbi ha ora ricordato, da par suo, la necessità di apprezzare Raffaello e tutti gli artisti per la loro opera e non per i loro resti mortali.
Mi permetto infine di ricordare alle Autorità preposte alla tutela, come pure all’attento Signor Ministro Franceschini, che il sepolcro raffaellesco è costituito di un sarcofago classico donato nel 1833 da Gregorio XVI, con all’interno un contenitore di piombo che racchiude una cassa di legno di pino con lo scheletro di Raffaello; il tutto, dotato di sigilli pontifici, è pertanto tutelato dal Codice dei beni Culturali della Repubblica Italiana, che non autorizza manomissioni su opere d’arte per soddisfare curiosità accessorie, ininfluenti ai fini della conservazione di un’opera d’arte, che, nella fattispecie in argomento, è il sarcofago e non quanto resta del cadavere di Raffaello. A meno che non si pensi di esporre successivamente lo scheletro dell’Urbinate in qualche occasione spettacolare o anche in modo permanente in una sede da individuare.
In conclusione, segnalo positivamente che, già nell’agosto del 2020, la benemerita Accademia Raffaello d’Urbino, il Centro di antropologia molecolare dell’Università romana di Tor Vergata e la Fondazione Vigamus hanno fatto delle indagini meritoriamente non invasive, perché eseguite sul calco del cranio di Raffaello conservato nell’Accademia urbinate; indagini che hanno ricostruito il volto del Sanzio in 3D, con fondate probabilità di somiglianza ed hanno concluso di conseguenza che Raffaello fu senza dubbio sepolto nel Pantheon.
Per la festa dell’Immacolata Concezione 2021.
Vitaliano TIBERIA* Roma 12 dicembre 2021