di Nica FIORI
Un numero impressionante di artisti, tra i più rappresentativi degli ultimi decenni (anche se non sempre noti al grande pubblico), sono esaminati nel loro approccio con l’arte sacra nel ponderoso libro (560 pagine), a cura di Mariano Apa, “Registri di arte. Le necessità del sacro. Un album di immagini”, pubblicato da Gangemi editore (Roma 2022).
La presentazione del volume, che si è svolta il 19 novembre 2022 all’interno della chiesa di Sant’Ignazio, è stata l’occasione per un incontro su alcune tematiche dell’arte, al quale hanno partecipato esperti del settore e artisti.
Le opere del gesuita Andrea Pozzo (Trento 1642 – Vienna 1709), presenti nella chiesa, sono state il punto di partenza per un interessante excursus architettonico-pittorico sulla bellezza dello spazio sacro. Architetto, pittore e teorico dell’arte, fratel Pozzo può essere considerato il fondatore di una dottrina sistematica della prospettiva. Nel rappresentare al centro della volta la Gloria di sant’Ignazio, l’artista ha raddoppiato illusionisticamente lo spazio della chiesa, dando vita a uno spazio virtuale che trova la sua perfetta fusione con quello reale, purché l’osservatore si ponga in un determinato punto della navata, dal quale si dipartono tutte le linee di fuga del sistema prospettico. Allo stesso Pozzo si deve anche l’idea di ricoprire il vano della cupola (mai costruita) con una finta cupola dipinta su tela (1685).
Il rettore di Sant’Ignazio, padre Vincenzo D’Adamo, ha auspicato che la fila di visitatori che si soffermano davanti allo specchio, collocato nella navata centrale per poter ammirare la volta affrescata da Pozzo, non sia soltanto una forma di narcisismo nel volersi fotografare riflessi nella volta, ma che sia ispirata dal desiderio di ammirare tanta bellezza e che la bellezza possa aiutare a prendere coscienza del mistero cristiano.
Al di sopra delle architetture dipinte in prospettiva nella volta, si apre lo spazio celeste, dominio della Luce. Secondo quanto scrive lo stesso Pozzo, nel mezzo della volta è raffigurato Cristo che comunica al cuore di sant’Ignazio un raggio di luce, che poi viene da esso trasmesso alle quattro Parti del mondo, che
“investite di cotanto lume stanno in atto di rigettare i deformissimi Mostri o d’idolatria, o di eresia, o di altri vizi“.
Sebastiano Giordano, dell’Accademia dei Lincei, ha illustrato il grandioso affresco, soffermandosi su alcuni motivi iconografici, come quello dei bracieri colmi di fuoco, dipinti nelle estremità della volta, che con il riverbero luminoso vogliono significare i due mezzi più efficaci per la conversione delle anime: l’Amore divino e il Timore di Dio. Del resto il fuoco è sì fonte di illuminazione, ma allo stesso tempo è un’arma distruttiva che annienta il male. Il fuoco, attributo di sant’Ignazio (il suo nome deriva dal latino ignis=fuoco), era un tema ricorrente nelle prediche dei Gesuiti e lo si ritrova raffigurato anche nella sacrestia della chiesa.
Un altro aspetto che è stato evidenziato è quello dell’unico “punto di vista”, imposto dall’artista gesuita per farci capire che dobbiamo liberarci dalla condizione di apparenza e di falsità che potrebbe trarci in inganno, perché solo una è la verità, e questa verità coincide con la visione di Dio.
Mario Pisani, della Seconda Università di Napoli, ha illustrato nel suo intervento sull’architettura contemporanea alcune chiese realizzate da architetti famosi, tra cui la cappella di Santa Maria degli Angeli sul monte Tamaro (1990-96), presso Lugano (nel Canton Ticino), progettata da Mario Botta, con la collaborazione di padre Giovanni Pozzi e con l’intervento artistico di Enzo Cucchi. Guardando la foto dell’esterno, si vede un ponte che conduce alla sommità di una torre sullo sfondo di un paesaggio montagnoso, qualcosa che ricorda certi avamposti militari sul tipo della letteraria Fortezza Bastiani di Dino Buzzati. Il percorso aereo che bisogna fare per entrare in comunicazione con il cielo (e quindi con gli Angeli) è allo stesso tempo un itinerario dentro sé stessi per volare sul mondo intero. Anche nella chiesa parrocchiale di Mogno (nel Canton Ticino), intitolata a San Giovanni Battista, Mario Botta riesce a trasformare la tragedia (la precedente chiesa secentesca è stata distrutta da una valanga nel 1986) in qualcosa di vivo, dove si sente la vibrazione del sacro.
Un altro architetto che si è cimentato nella realizzazione di chiese (oltre che della moschea di Roma) è Paolo Portoghesi. È stata ricordata, in particolare, la chiesa di Salerno dedicata alla Sacra Famiglia (1971-74), che è il primo edificio di culto realizzato interamente in cemento armato, subito dopo la riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II.
Il suo progetto, strutturalmente composto da sei centri contenuti in sei cerchi concentrici, vuole esprimere i concetti di unità e centralità del divino. È suo anche il progetto della concattedrale di San Benedetto a Lamezia Terme (Catanzaro), pure impostato sul cerchio come simbolo di perfezione.
Queste chiese dovrebbero rappresentare l’eccezione nel grigiore di un’architettura contemporanea che, secondo l’opinione di molti, non regge assolutamente il confronto con quella del passato. È stato ricordato a questo proposito un articolo di Susanna Tamaro, uscito nel Corriere della Sera del 7 febbraio 2021 con il titolo “Per la fede c’è bisogno di chiese belle”, nel quale la nota scrittrice esprime il suo disappunto davanti a edifici sacri che le sembrano abomini architettonici:
“I cubici ecomostri, le astronavi, le vele cementizie, i campanili siderurgici che, come un malefico cancro, ormai popolano il nostro Paese umiliando, con la loro aggressiva bruttezza, non solo i credenti ma chiunque vi passi anche casualmente accanto, ci parlano della cecità spirituale dei progettisti e dell’ancora più grave cecità dei committenti. È la natura, con le sue forme armoniose, a suscitare in noi lo stupore che ci porta alle soglie del sacro, e la natura non contempla mai la rigidità geometrica che ci viene riproposta in questi moderni manufatti. Se geometria c’è, se matematica c’è — e ce n’è molta, in natura — è sempre sotto il segno dell’armonia”.
A parziale discolpa per quell’accusa di bruttezza, si potrebbe obiettare che a volte mancano i fondi per poter costruire adeguatamente e negli spazi giusti certe chiese. Danilo Lisi, dell’Accademia di Belle Arti di Roma, nel suo intervento ha illustrato la chiesa da lui progettata a Manila, nelle Filippine, realizzata quasi senza fondi, col lavoro manuale volontario dei locali e con i “soldini” dei fedeli, guidati dai missionari canossiani. La storia di questa chiesa, sorta vicino alla Mountain Valley (un’enorme discarica nella quale sono cresciute moltissime famiglie), è esemplare di come un’architettura come questa possa dare un nuovo volto alla periferia di una città superaffollata e inquinata.
La facciata, in pietra lavica locale, ha come elemento dominante una grande croce, che si illumina come un faro nella baia della capitale filippina a significare un luogo di incontro e di solidarietà per i più derelitti.
Vorrei ricordare che anche nel passato ci sono stati grandi artisti che hanno fatto cose egregie, senza utilizzare costosi marmi o dorature. Pensiamo a Borromini, che sapeva servirsi delle “colle brodate”, miscele di polvere di marmo e travertino, per ottenere un effetto di lucentezza assai suggestivo con una spesa minima. La costruzione di una chiesa, secondo il suo credo, doveva richiedere materiali poveri, come povera era la stalla in cui Gesù Cristo è venuto alla luce.
Danilo Lisi ha realizzato anche quattro chiese in Italia (Santa Maria Goretti e San Paolo Apostolo a Frosinone, Sacro Cuore a Ceccano e San Carlo a Isola del Liri), dando grande importanza al sagrato e utilizzando come materiali il cemento bianco e la pietra sponga di Colfiorito (un travertino al primo stadio). Fondamentale, secondo questo architetto, è il dialogo con gli altri artisti che si occupano degli arredi, come per esempio è avvenuto con Claudio Traversi, che ha realizzato le vetrate con gli Evangelisti nella chiesa di Ceccano.
Il tema della necessità del dialogo tra architetti, pittori e scultori, che intervengono nella realizzazione di una chiesa, è stato ulteriormente approfondito da mons. Andrea Lonardo, Direttore dell’Ufficio Cultura e Università della Diocesi di Roma, il quale ha evidenziato, tra le altre cose, alcuni principi basilari dell’arte liturgica, come per esempio il fatto che nell’abside, o comunque in corrispondenza dell’altare maggiore, non si può certo mettere al centro un santo qualunque, perché quello spazio spetta a Gesù Cristo.
All’interno di una chiesa, ogni artista può esprimersi con il proprio stile, come ricorda Mariano Apa, dell’Accademia di Belle Arti di Roma, nell’introduzione al volume da lui curato, citando il Magistero dei Padri del Concilio Vaticano II:
“La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l’arte del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti”.
Ma che cos’è per una persona qualunque l’arte sacra? Non è forse qualcosa che si avvicina alla “bellezza” di Dio? L’arte sacra fa rivivere le emozioni di una storia religiosa che si ripete innumerevoli volte, senza esaurirsi nella ripetizione. Scene e personaggi risultano dai testi sacri, ma l’artista, che non li ha mai visti, li inventa, coniugando tradizione e creatività. Ed ecco che queste immagini appaiono, come se fossero reali, davanti ai nostri occhi e noi riconosciamo Cristo, la Madonna, i Santi, gli Angeli, perché gli artisti hanno reso iconici i loro volti, i loro atteggiamenti, i loro simboli.
Il credente ha bisogno di tutto ciò e indubbiamente anche l’arte contemporanea dovrebbe rispettare questa necessità, esprimendo l’aspirazione a Dio. Sicuramente funziona meglio se l’artista è credente, come mi ha confermato Vincenzo Sanfilippo, scultore, pittore e scenografo che ha partecipato all’evento. Sono sue le scenografie teatrali degli spettacoli della moglie Luisa Sanfilippo, autrice e attrice di interessanti opere anche a tema religioso.
Tra le opere più importanti di Vincenzo Sanfilippo ricordiamo la Porta della Redenzione (Ecce Agnus Dei), realizzata per il Giubileo del 2000 nella chiesa di Albano dedicata a San Giovanni Battista. Si tratta di un’opera grandiosa in bronzo a cera persa (m 3 x 3,80), che raffigura nelle due ante San Giovanni Battista e Cristo Redentore.
Il modellato della superfice è stato lavorato con tocchi e increspature, in modo da ottenere un effetto a sbalzo che rende “pittorico” l’insieme. La figura severa del Redentore, nell’anta sinistra, ha un gesto di accoglienza, rassicurante e protettivo. Il suo volto è umanamente realistico, con uno sguardo capace di trasmettere all’osservatore un senso di perdono incondizionato.
Il volume appare come un mix tra il catalogo e il saggio, nel quale gli specialisti e gli studenti di arte delle accademie o delle università possono trovare infinite notizie e citazioni che spaziano tra le diverse forme artistiche (compresi il cinema e il teatro) nei secoli XX e XXI. Nella quarta di copertina è specificato che:
“… in questo volume si compie un itinerario nella sequenza dei contesti storico culturali rilevando le libertà delle ricerche artistiche e le necessità del magistero attraversando tematiche e problematiche di una testimonianza che ribadisce nello statuto originario dell’immagine la conferma dell’arte che si qualifica come arte liturgica ovvero come arte religiosa e arte sacra”.
Indubbiamente nel libro è evidente un lavoro certosino di ricerca di innumerevoli dati da parte del curatore, docente di Storia dell’Arte moderna e contemporanea, e dei vari autori che hanno collaborato, anche se la lettura non risulta molto agevole per ragioni grafiche (la scrittura troppo spesso è piccolissima e con periodi lunghissimi) ed è faticosa la stessa consultazione dell’indice dei nomi, elencati di seguito, senza andare a capo.
Le immagini, invece, hanno un’ottima resa grafica e stimolano il nostro sguardo ad approfondire la conoscenza degli artisti, tra i quali non posso non ricordare Veronica Piraccini, docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma nonché collaboratrice di About Art. Sua è l’invenzione di una “pittura impercettibile”, basata su pigmenti che vengono svelati solo da una luce particolare, in grado di trarre il visibile dall’invisibile. Tecnica che la pittrice ha usato per la sua Impronta di Gesù, una rivisitazione della Sacra Sindone di Torino su un grande telo di lino bianco, che evidenzia il corpo di Cristo, ottenuto per contatto da una copia della vera Sindone. I pigmenti impercettibili, quando appaiono alla vista, sembrano trasmettere a tinte forti la sofferenza di Gesù Cristo e allo stesso tempo il suo messaggio di misericordia, quanto mai attuale in questo momento di crisi del nostro mondo.
Nica FIORI Roma 27 Novembre 2022