di Nica FIORI
“Gente particolarmente aspra e abituata a grandi cacce nei boschi, gli Equicoli dalle dure terre: coltivano la terra armati ed amano accumulare sempre nuove prede e vivere di rapina”.
Come riferisce Virgilio nell’Eneide (VII, 746-749), gli Equicoli (Aequiculi) avevano la fama di essere sempre in armi. Con questo termine venivano definite nella tarda età repubblicana le popolazioni stanziate lungo la Valle del Salto, dove, dopo lunghe guerre avvenute nel V e IV secolo a.C., erano stati relegati dai Romani i superstiti degli Equi, un popolo che un tempo abitava un territorio molto più vasto, che comprendeva anche gran parte della Valle dell’Aniene.
È proprio dall’ager Aequiculanus che prende il nome il Cicolano, ovvero quel territorio laziale, confinante con l’Abruzzo, che dà il nome al Museo Archeologico Cicolano (MAC), situato a Corvaro di Borgorose (Rieti), che è stato riaperto al pubblico, dopo un lungo periodo di chiusura, il 22 luglio 2022.
Posto al di sotto del borgo medievale di Corvaro, dominato dalla Rocca, il museo è tutt’altro che piccolo, con 10 sale al pianterreno e una parte superiore utilizzata per approfondimenti e mostre: la sua visita potrebbe essere l’occasione per scoprire una terra ancora non invasa dal turismo di massa. Se la zona è particolarmente apprezzabile dal punto di vista naturalistico per i suoi specchi d’acqua (dal lago di Duchessa a quelli del Salto e del Turano), incastonati tra montagne e boschi verdeggianti, lo è altrettanto dal punto di vista archeologico. I materiali conservati nel museo sono, in effetti, di una straordinaria ricchezza, grazie agli scavi di santuari e necropoli, compiuti soprattutto a partire dagli anni ‘80 del Novecento, e in particolare del cosiddetto “Tumulo di Corvaro”, che ha restituito un numero impressionante di tombe a inumazione con i rispettivi corredi, mettendo in luce uno spaccato di vita dell’antico popolo guerriero, antenato degli attuali abitanti di questo estremo lembo del Lazio.
“È con grande piacere che riapriamo le porte del Museo, che già da alcuni anni riveste un ruolo importante nel panorama culturale del territorio. Questo nostro Museo infatti dovrà consolidarsi sempre più come Luogo della Cultura per sostenere lo sviluppo del territorio, non solo sul piano economico ma anche su quello sociale, investendo sulla crescita delle persone che abitano i luoghi che raccontiamo, e rivestire un ruolo di cerniera tra cittadini ed istituzioni”,
ha dichiarato la direttrice del museo Francesca Lezzi, in occasione della riapertura.
Il funzionario archeologo Francesca Licordari, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti, ha da parte sua evidenziato che il museo, la cui gestione è affidata alla Comunità montana Salto Cicolano,
“rappresenta un perfetto dialogo tra la Soprintendenza e le istituzioni locali, una sinergia che permette di valorizzare un territorio poco conosciuto, ma incredibilmente affascinante. I materiali archeologici rinvenuti sono di eccezionale interesse, alcuni di essi rappresentano un unicum nell’archeologia, e trovano qui una degna sede espositiva a due passi dai contesti di provenienza”.
Dopo un’introduzione geografica e naturalistica al territorio, nella prima sala facciamo la conoscenza con gli Equicoli, che avevano nella guerra la principale fonte di sostentamento, insieme all’agricoltura e alla pastorizia. Un cippo esposto al centro è relativo a un loro re, Ferter Resius, il quale avrebbe fatto conoscere ai Romani, al tempo del re Numa Pompilio o di Anco Marzio, lo ius fetiale, cioè il diritto relativo alla gestione dei trattati con i popoli confinanti e alle dichiarazioni di guerra, che veniva esercitato dai sacerdoti feziali. Lo storico Tito Livio riferisce che, per aprire le ostilità, i feziali scagliavano nel territorio nemico una lancia con l’asta di corniolo rosso, un legno il cui colore era visto come un simbolo di sangue.
L’itinerario del museo prosegue, quindi, secondo un criterio cronologico, a partire dall’Età del Bronzo Medio (XVII-XIV secolo a.C.), cui risalgono le prime testimonianze della presenza dell’uomo nel Cicolano. Un’intera sala è dedicata allo scavo nella Grotta di Val de’ Varri, della quale sono esposte spettacolari fotografie. Lo scavo del 1997 ha messo in luce numeroso materiale ceramico (circa 1000 frammenti, alcuni anche decorati), che va ad aggiungersi a quello rinvenuto nelle precedenti indagini e conservato a Roma nel Museo delle Civiltà, sezione preistorica ed etnografica “Luigi Pigorini”.
Tra i manufatti esposti a Corvaro si segnalano ciotole, tazze, scodelle, piatti, vasi di dimensioni medio-piccole e grandi vasi per la conservazione dei cibi (doli). Vi sono anche oggetti di uso quotidiano, tra cui un’accetta levigata in pietra verde ed elementi in selce, in metallo e in osso.
Diversi sono i resti animali, soprattutto specie domestiche, con prevalenza di suini, seguiti dagli ovini e bovini. Alcuni ossi sono bruciati, dimostrando che la carne degli animali era soggetta a cottura con esposizione diretta alla brace o alla fiamma viva.
Si arriva quindi alle testimonianze più rilevanti della cultura degli Equicoli, ovvero alle tombe a tumulo. Il tumulo di Corvaro, oggi quasi completamente scavato, era conosciuto un tempo come il “Montariolo”. Con un diametro di 50 metri (altezza un po’ inferiore ai 4 metri), è un monumento sepolcrale collettivo, un unicum nel suo genere, per l’ideologia in esso racchiusa (si sviluppa intorno alla tomba di una donna, forse una sacerdotessa), per la concezione della sua realizzazione e i particolari costruttivi.
Due plastici esposti al centro della sala principale del museo (dei quali uno con la dislocazione aggiornata delle tombe, indicate con diversi colori a seconda della fase cronologica) ci danno l’idea della complessità dello scavo che ha riportato alla luce 368 tombe (databili dal IX-VIII secolo a.C. per la prima fase, al VII-V a.C. per la seconda fase e al IV-II a.C. per la terza fase), mentre le vetrine laterali contengono i corredi funerari delle tombe più significative. In quelli maschili ovviamente prevalgono le armi (solo da offesa come lance, giavellotti, spade; mancano gli elmi e gli scudi), ma si trovano anche oggetti di uso personale e per la cura del corpo, come gli strigili. Il corredo più affascinante è quello della tomba centrale femminile, che comprende alcuni oggetti strepitosi, come le placche di bronzo ornamentali di un cinturone con riquadri traforati e con pallottole esterne a forma di papera, e collane in elettro a maglia e con pendaglietti.
Altre tombe femminili contengono dei raffinati balsamari e specchi in argento e bronzo, uno dei quali presenta un’incisione con i Dioscuri.
Dal tumulo di Corvaro provengono anche frammenti di sculture funerarie in calcare locale del VII-VI secolo a.C., raffiguranti animali fantastici (sfinge o leone), che ricordano alcuni esempi similari etruschi, posti a guardia dei sepolcri.
In una sala adiacente sono collocati i materiali provenienti da altre necropoli, come quella di Cartore (Borgorose), il cui tumulo misura 30 m di diametro, e quella di Pietra Ritta a Torano (Borgorose).
L’itinerario espositivo prosegue raccontando la religiosità di questa popolazione, sottolineando l’importante ruolo che avevano i luoghi di culto, che erano anche centri di mercato e punti di circolazione di uomini, cose e idee. Si spiega in questo modo il loro perdurare anche in età romana, quando sul territorio si istituiscono realtà amministrative diverse per la gestione del territorio e delle necessità degli abitanti. In quest’epoca fioriscono una serie di insediamenti a carattere produttivo, delle vere e proprie aziende agricole, che garantiscono la miglior resa possibile delle terre coltivabili.
Un settore è dedicato proprio alla romanizzazione della Valle del Salto, che ebbe luogo all’inizio del III sec. a.C., quando Manio Curio Dentato occupò la vicina Sabina, anche se erano già state fondate le colonie di Carsioli e di Alba Fucens. Gli abitanti furono iscritti nella tribù Claudia e ottennero la civitas sine suffragio (cittadinanza senza diritto di voto).
L’orografia della zona ha influenzato sicuramente la tipologia degli insediamenti, che vedono come punto di aggregazione i santuari posti in posizione sopraelevata, come per esempio quello di S. Angelo di Civitella a Pescorocchiano. Il vicus (piccolo villaggio) rimase la forma caratteristica del territorio e dell’attività produttiva.
In età augustea il territorio fu diviso in due municipi: Cliternia (da identificare forse in Capradosso, frazione di Petrella Salto) e la Res Publica Aequicolanorum, la cui denominazione indica un’area territoriale che ha conservato immutata l’organizzazione preesistente equicola e non si è sviluppata intorno a un centro urbano.
A Cliternia è stato possibile individuare un impianto termale di età romana (II sec. d.C.), articolato in quattro ambienti principali, più due di incerta identificazione. Sono esposti nel museo frammenti di intonaci con tracce di decorazioni e lastre di rivestimento pavimentale.
Della Res Publica Aequicolanorum il vicus principale era Nersae (Nesce, territorio di Pescorocchiano). Il luogo è citato da Virgilio nell’Eneide (VII, 744-49), come patria dell’eroe Ufente, alleato di Turno, posta nel territorio degli Aequiculi.
L’area del foro è identificata nella località di San Silvestro, in prossimità del Casale Di Marco. Qui affiorano strutture in opera quadrata, in opera poligonale, colonne, are, capitelli. La numerosa quantità di epigrafi documenta i culti tradizionali di Giunone, Marte Ultore e Vittoria, come pure quelli orientali di Iside, Serapide e di Mitra. Uno spettacolare scena di tauromachia mitraica è stata rinvenuta nel territorio, ma si trova nel Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano (ovviamente perché all’epoca il Museo Cicolano non esisteva).
A Nersae è stato riportato alla luce un grande edificio rettangolare di m 21,8 x 7, costituito da una serie di ambienti affiancati, di tipo civile, ma non identificato. Sembra essere stato utilizzato dalla tarda età repubblicana alla tarda età imperiale, quando fu distrutto da un incendio, come testimoniano le tracce di bruciato.
Il Museo espone i materiali provenienti dal santuario di Sant’Angelo in Civitella, nel comune di Pescorocchiano, consistenti soprattutto in numerosi ex voto fittili anatomici (legati anche alla sfera della fertilità) e altri figurati, come le statuette di animali (tori, mucche, cavalli), donate in sostituzione dei sacrifici o per richiedere la protezione sulle attività di allevamento. Vi sono poi statue e statuette umane a figura intera, numerose teste di bella fattura e simpatici quadretti a forma di volto umano.
Foto 15, 16, 17 Ex voto
Le indagini archeologiche effettuate dalla Soprintendenza nell’area del santuario, già individuata agli inizi del XIX secolo dall’architetto Giuseppe Simelli, hanno permesso di ricostruire la planimetria del complesso, che era articolato in due terrazze.
Sulla terrazza superiore doveva sorgere il tempio su cui in epoca medievale si è impostata la chiesa di Sant’Angelo, mentre la terrazza inferiore era realizzata con un’imponente sostruzione in opera poligonale (blocchi giustapposti a secco). Sono state individuate tre diverse fasi del complesso. La prima dedica dell’area sacra doveva essere alla dea Angizia, quella dea dei serpenti (legata anche alla sfera della guarigione) che era particolarmente venerata dai Marsi, e i cui riti si sono in parte trasmessi nella festa dei “serpari” di Cocullo (in Abruzzo). Nelle fasi successive l’area fu dedicata ad altri dei, come testimoniano i bronzetti raffiguranti Ercole e Marte, divinità guerriere che evidentemente erano adatte per un popolo bellicoso, senza dimenticare che Ercole era anche legato alla pastorizia, attività che ha da sempre caratterizzato l’economia della zona.
Nica FIORI Roma 24 Luglio 2022
Museo Archeologico Cicolano. Via di San Francesco, Corvaro di Borgorose (Rieti)
Aperto il venerdì, sabato e domenica, ore 9-13 e 14-18