Ricordo di Sandro Benedetti, ovvero dell’Architettura tra fede, materialità concreta e decisiva dell’arte e spiritualità della persona.

di Vitaliano TIBERIA

Il titolo di questo ricordo sintetizza il pensiero fondato su materia e spirito, che ha contraddistinto il pensiero di Sandro Benedetti.

Con la sua scomparsa -avvenuta lo scorso 22 giugno- se ne va un’idea di architettura unitiva di qualità ontologica e progetto, com’egli mi disse nel 1999, mentre preparavamo, insieme agli scultori Ernesto Lamagna ed Ennio Tesei, una mostra tertio millennio adveniente, che sarebbe stata presentata nel marzo aprile del 1999 nel Centre Saint-Louis de France.

Benedetti, in quell’occasione, ricordò, riprendendo il pensiero di Cesare Brandi sul concetto di flagranza e di astanza di un’opera d’arte e di spazialità interna ed esterna in un’architettura, la componente fisica e l’espressività di un’architettura, consustanziale al concetto di arte che la persona riesce a formare, così che il fare architettonico coincide con la tecnica e le idealità. Insomma, oltrepassando i ricorrenti materialismi ideologici, Benedetti sostenne, nella pubblicazione illustrativa di quella mostra, che

«Le passioni, le emozioni, le vicende della vita concreta della persona, la sua cultura come visione e giudizio sul mondo, la sua esperienza religiosa, le sue conoscenze scientifiche, tecniche professionali, tutto il mondo che la persona vive, il suo ribollire dà corpo all’operazione formativa. […]. Tanto che, come è stato giustamente sostenuto, ogni trasformazione del modo di formare, ogni trasformazione stilistica esprime e veicola un modificarsi o un variare del mondo spirituale dell’artista».

 In sostanza, il pensiero di Benedetti, si disponeva filosoficamente sull’asse paradigmatico del pensiero che da Friedrich Schelling giunge a Luigi Pareyson, per cui l’estetica unisce filosofia ed esperienza nel sublime concetto di formatività, esalta l’arte e quindi l’architettura come lavoro, esercizio, fare e non contemplare, e precisava in senso spiritualistico:

«Agendo, reagendo e portando a maturazione formativa il mondo della concretezza materiale pertinente al campo artistico che essa affronta, la spiritualità dell’operatore la traduce in modo di formare. Tanto che, come è stato giustamente sostenuto, ogni trasformazione del modo di formare, ogni trasformazione stilistica esprime e veicola un modificarsi o un variare del mondo spirituale dell’artista».

Trattando quindi dell’architettura religiosa, Benedetti ricordava:

«In modo particolare il ruolo dell’evento germinale viene in evidenza quando l’architettura affronta la dimensione religiosa del vivere; ma l’osservazione vale anche per l’architettura tutta»,

perché, aggiungeva, il tema religioso è “cartina di tornasole” che pone in evidenza la presenza della spiritualità nella sintesi architettonica dalla forte rilevanza metafisica; aspetti che, sottolineava, erano stati sottovalutati dall’

«enfasi funzionalistica nel suo consolidarsi in funzionalismo radicale»  del Moderno, «Il quale tende a ridurre a “cose”, a movimenti tra le cose l’approccio alla complessa costellazione del carattere costitutivo del singolo tema architettonico […]».

E ricordava in proposito Adolf Behne, che definiva un compagno di strada dei maestri del funzionalismo, il quale, già nel 1923, contestava la riduzione a mero funzionalismo dell’architettura

«che, da opera in piena valenza artistica, veniva ridotta a strumento. A danno della dimensione della espressività del “mondo” religioso spirituale culturale, in una parola umano, che essa deve contenere».

In questa prospettiva, Benedetti, accanto al carattere funzionale dell’architettura del Razionalismo e del Funzionalismo, ricordava la centralità del

«carattere ontologico del tema: quello a cui afferisce la conoscenza dell’essere, dell’essere umano coinvolto nello specifico tema architettonico».

Solo così (e si riaffaccia il pensiero di Pareyson)

«il processo formativo […] diviene veicolo espressivo dell’umano e forma nel senso pieno».

Esemplificando il suo pensiero spiritualistico, Benedetti teorizzava quindi la sostanza ideale della sua architettura religiosa, in cui il pregare diviene apertura, colloquio finale dell’uomo con il suo Creatore, l’abitare, «che è un vivere ritrovandosi» non può limitarsi ad essere funzionale soltanto alle funzioni abitative. Esplicitando quindi il concetto di ecclesìa, Benedetti assimilava suggestivamente il luogo ecclesiale ad un passo del vangelo di Matteo (18, 20): «Perché ove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

Ribadiva così il carattere teandrico della presenza del Cristo nello stare insieme ecclesiastico, che riconosceva elemento sostanziale della caratterizzazione architettonica cristiana fondata sul gioco dei simboli. Testimone di una fede profonda, Sandro esaltava il ruolo della preghiera comunitaria che avviene in una chiesa destinata ad accoglierla, favorita dalle riflessioni dei liturgisti e degli architetti presenti nel Movimento Liturgico fra gli anni Venti e Sessanta del secolo scorso, per cui fu riconsiderata la struttura tipologica dello spazio ecclesiale, che, da longitudinale, si è ridefinito, precisava Benedetti

«in un sistema di rapporti avvolgenti, centrati sull’altare, vero e proprio fuoco dello spazio architettonico, luogo della presenza di Cristo nel Mistero dell’Eucarestia, prima principale componente del tema architettonico cattolico».

Al centro del pensiero di Sandro Benedetti dunque era la preghiera come colloquio vivente tra laici e presbiteri, così che il carattere teandrico della presenza del Cristo nell’Eucarestia si declinava accanto al nuovo carattere colloquiale voluto dal Concilio Vaticano II.

Nella ricordata mostra del 1999, Benedetti presentò i grafici e le foto del seminario metropolitano di Potenza; delle chiese romane di Sant’Alberto Magno e dei Santi Gioacchino ed Anna, nonché il plastico dei nuovi ingressi e del centro dei servizi generali dei Musei vaticani.

Sandro Bendetti era nato a Marino il 2 settembre 1933; studioso, scrittore, autore di testi fondamentali di storia dell’architettura, docente universitario, fu nominato Accademico Pontificio Ordinario dei Virtuosi al Pantheon nel 1983, quando furono cooptati gli architetti Lucio Passarelli e Marcello Salvatori, il pittore Tito e gli scultori Angelo Canevari ed Ennio Tesei.

Arrivederci caro Sandro, che, da grande architetto quale sei stato, non posso non immaginarti al servizio anche della Casa del Padre!

Vitaliano TIBERIA  Roma 30 Giugno 2024