di Marcello AITIANI
… cambiare l’arte per cambiare l’immaginario per cambiare le cose per …
PARTE II (Le fotografie da figura 8 a 11 sono di Bruno Bruchi)
4. L’arte estetica verso un oltre possibile
Un’arte estetica, complessa, recupera la relazione intima col mondo, fa riferimento a tutti i nostri sensi, alla nostra affettività, alla “natura orchestrale del pensiero”, per riprendere l’espressione del neuroscienziato Antonio Damasio. Infatti, se di complessità si tratta, e non di complicazione (cum-plicare, piegare assieme), non è sufficiente la s–piega–azione riduzionista-razionalista; l’opera (sia musicale, che visiva e, aggiungerei, la vita) non si svolge senza ragione, ma sapendo che essa è strettamente connessa a tutte le altre facoltà psichiche e fisiche ed è in questa stratificazione che sgorga allora, con le parole dello scrittore e poeta Antonio Prete, «un’interrogazione che si aggira in quella regione notturna – d’un notturno intramato di luce – in cui prende forma, cioè suono e respiro e ritmo, la poesia» [1], la forma di ogni arte, che s’avventura a dire l’indicibile.
Così, a chi si appaga della logica nitidezza della mente potrei contrapporre ancora una volta la poetica di Strawinskij compositore tra i più oggettivi, distaccati e razionali, ma che non perdeva mai il contatto con la concretezza carnale del suono; e verrebbe da ricordare il giudizio negativo che dava di un altro compositore, il quale di certo «non avrebbe capito, ahimè, la risposta di Mallarmé a un tale che si congratulava con lui per la chiarezza di un suo discorso: “Allora bisogna che ci aggiunga qualche ombra» [2].
Per affrontare le difficoltà che attraversano il panorama globale, l’Europa, il nostro paese, le nostre città e Siena, se mi è concesso un riferimento biografico personale, penso che sia indispensabile una prospettiva non parcellizzata. I vari aspetti: spiritualità, economia, sanità, cultura, turismo, arti, socialità, etc., vanno affrontati cambiando il metodo di fondo, cioè passando a un approccio prismatico, capace di liberare la mente e l’immaginario, decolonizzarlo – come scrive Serge Latotuche [3], per cambiare gli occhiali con cui guardiamo la realtà e, insieme a questa, riuscire a scorgere un oltre possibile. Una prospettiva più ampia per fuori-uscire dalla tragica, perdurante povertà culturale e umana. Occorre adottare una visione ecologica integrale; quella della “Laudato si’” di Papa Francesco. «Che la leggano tutti, politici, esperti, cittadini. Credenti e non credenti. È un testo “scientifico”», ha osservato in una recente intervista Mauro Ceruti [4].
Se dopo le tante crisi che si sono succedute e dopo quello che sta succedendo continuiamo a non capire, dubito che si troveranno soluzioni valide.
Uno scambio fecondo di esperienze, di punti di vista e abiti mentali plurimi è stato alla base del rinnovamento che, dagli esiti raffinatissimi del Medioevo e successivamente del Rinascimento, si è proiettato nel panorama europeo e oltre. La riattivazione, sulla base di una visione complessa della realtà, esistenziale e non solo astratta, di questi “dialoghi” tra saperi e tra dimensioni spaziali e temporali, tra popoli che nella diversità hanno condiviso una comune storia, come anche tra quelli al momento più distanti, costituirebbe il punto focale, credo, di una strategia che tenti di oltrepassare le attuali fasi depressive.
Nelle arti le varie comunità potrebbero scoprire un loro peculiare carattere, che eviti di omologarsi a tendenze stereotipate, ormai stantie, facendo evolvere, senza chiusure campanilistiche, anacronistiche e nostalgiche, una singolare personalità che consenta loro di inserirsi da protagoniste paritarie e dialogizzanti nel panorama dell’arte contemporanea, svolgendo nel contempo un ruolo formativo utile anche ad altri contesti, sia culturali che economici.
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Proposte
1. Approfondire il tema delle connessioni tra saperi umanistici e scientifici, come anche tra tecnologie avanzate (la robotica, ad esempio) e tecniche analogiche della nostra storia, compresa quella artistica, nell’ottica di una forte attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, anche umano, e dunque nel suo significato naturale, culturale, architettonico, psicologico, spirituale. Nel rispetto delle specificità, si potrebbero così offrire occasioni per portare alla luce interrogativi, talvolta inquietanti, taciuti o solo bisbigliati, e per favorire una cross fertilization di conoscenze, competenze, tradizioni;
2. riportare l’attenzione sulla qualità, sulla componente estetica e sulla bellezza, non intese come optional di lusso o per un turismo “distratto”, ma come elementi fondamentali. Infatti, come ancora osserva James Hillman, «abbiamo dimenticato che la vita è essenzialmente estetica, cosmologicamente estetica» [5].
La bellezza autentica è inseparabile dalla capacità di emanare senso né è possibile un’etica senza bellezza. La bellezza è un vertice o forse, meglio, la linea apofatica di un pensiero antinomico; «osservare non il confine, ma dal confine, come si deve fare con la grazia e con la bellezza, significa – scrive Tagliagambe – vedere in un modo translucido che sa conciliare e mantenere in tensione reciproca trasparenza e opacità. Viene così acquisita l’attitudine a far convergere e a conciliare immaginazione e intelletto, ragione e sentimento, persuasione e passione, riuscendo a farli coesistere, a collegarli e a stimolare l’interazione» [6].
Ma come rilanciare “la città del bello” (e del bene) se il mondo artistico (specie quello globalizzato dell’attuale art pompier) tende a privilegiare posizioni diverse, talvolta promuovendo – magari per logiche di puro mercato – un’estetica dello shock, dell’orrido, della vuota appariscenza scenografica e frivola oppure un an-estetico razionalismo riduzionista?
E come possiamo prenderci cura del creato, e di noi, anche nei piccoli gesti quotidiani, se le cose sono trasparenti al nostro sguardo e noi a noi stessi?
Infatti non ci sorprendiamo più della bellezza dell’uomo. Vedo anzi crescere l’idea che un ambiente, per essere ecologico e “verde”, debba essere bonificato da ogni presenza umana, quasi assimilandola a quella (per riprendere Jean Baudrillard) di uno sporco, piccolo virus che infetta una natura metafisicamente deificata.
Anche Tiezzi condivideva invece l’idea che sia importante intrecciare i segni delle culture e delle civiltà con i ritmi e le forme della natura.
Scriveva nel testo Il fascino policromo della neghentropia, nel catalogo di una mia esposizione,
«cosa è mai la bellezza? È la Terra con le sue infinite, diverse creature; è questo Pianeta, l’unico che abbiamo, con la sua storia coevolutiva di 4.500 milioni di anni; è la natura che ci ha insegnato, dai tempi remoti della fotosintesi e della nostra bisnonna “alga azzurra”, a vivere in armonia con la complessità dei suoi cicli, delle sue strutture, dei suoi ritmi.L’uomo, che fa parte di tutto questo, ha la capacità di aggiungere sogno, poesia, arte alla bellezza della Madre Terra creando opere “belle”; ma se rompe il cordone ombelicale che lo lega alla natura, se rinnega la propria origine, se dimentica il “mondo della vita” che è alla radice di ogni percorso di conoscenza, allora produrrà cose aride e fredde, magari utilissime, magari piene di mirabili costruzioni meccaniche o algoritmiche, ma non “belle”.
L’arte esprime la natura co-evolutiva dell’uomo, le cui origini biologiche appartengono a questo Pianeta da milioni di anni, dell’uomo che è un tutt’uno con le trame della nostra storia naturale. Il telaio che tesse queste trame è il tempo; i colori sono i fili; la tela è la materia» [7].
È necessario aprire almeno un dibattito e favorire una differente impostazione culturale attraverso molteplici iniziative;
3. Promuovere modelli che richiedono di coniugare il globalismo (e non globalizzazione) con le caratteristiche del contesto locale; che pongano in dialogo il panorama internazionale con le specificità del luogo. Un genius loci che, per essere compreso, attualizzato e non museificato, deve essere considerato nella sua vitalità ed evoluzione temporale, nelle connessioni tra passato e futuro: il rapporto tra tradizione e innovazione e il tema della trasmissione (traditio) all’oggi di un patrimonio culturale, accumulato dal passato, quale fonte di identità e di ricchezza, anche creativa e innovativa, è di fondamentale importanza per l’Italia, certo, ma anche per tutte le nazioni, a partire da quelle europee;
4. Approfondire il senso di modelli esistenziali non basati soltanto sul tempo cronologico, ma sul καιρός (kairòs) sul tempo qualitativo e come tale capace di dare senso e valore alla vita, alle attività pratiche, allo studio e alla riflessione spirituale. Organizzazioni dell’esistenza fiorite nella “regola” dei monasteri benedettini, come evidenzia Luigino Bruni, filosofo e storico dell’economia.
Tornare a un pratica artigianale e artistica che crea non oggetti ma cose, che assorbono l’ “anima” di chi le realizza e la rilancia. Indagare l’artigianato come “filosofia”, prima di tutto; un modello, anch’esso, che attiva la relazione ragione-mano-spiritualità-fisicità-psiche, riscoperta dalla scienza, presente nelle antiche botteghe artistiche e artigiane dei Raffaello e degli Stradivari, la cui attualità e urgenza è ripensata dal sociologo Richard Sennett, sia per gli aspetti economici che sociali.
Questi modelli antichi, applicabili anche al mondo delle nuove tecnologie, sembrano rispondere ai bisogni e ai desideri di oggi, e dovremmo studiarli bene, per ravvivare la creatività artistica, per la formazione dei giovani e per una piena valorizzazione del lavoro, oggi troppo spesso inteso come attività strumentale al solo profitto.
Marcello AITIANI Siena 19 aprile 2020
NOTE