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Continua la grande inchiesta di About Art sull’importanza delle indagini scientifiche sulle opere caravaggesche. Oggi è il turno di un operatore particolare, specialista in tecniche diagnostiche. Davide Bussolari (Modena 1964) laureato in lingue è diventato tecnico diagnostico quasi per caso; oggi insegna all’Accademia di Belle Arti e tiene laboratori di pratica diagnostica in varie università e soprattutto dirige a Modena uno dei laboratori più avanzati nel campo della dignostica scientifica applicata allo studio delle opere d’arte; ha realizzato indagini di grande importanza, dalla Mummia di Tutankamon, a dipinti antichi moderrni e contemporanei, di Tiziano, Modigliani, Pollock, ecc ; recentemente ha preso in esame numerose opere che sono state esposte nella mostra sulla Natura Morta tenutasi alla Galleria Borghese; soprattutto ha analizzato svariate riproduzioni di quadri di Caravaggio, alcune di qualità tale da richiamare l’autografia del maestro lombardo, e in questo senso notevole rilievo assumono le sue risultanze diagnostiche; di qui l’importanza di questa sua testimonianza per About Art.
Intervista a Davide Bussolari
–Tu hai lavorato molto su copie da celebri autografi di Caravaggio ma anche su opere che aspirano all’autografia; l’ultimo tuo lavoro mi pare sia stato sui Bari, di cui in effetti si conoscono svariate versioni; nel complesso che idea ti sei fatta?
R: Intanto posso dire che non conosco nessuna versione dei Bari, tra quelle che ho avuto modo di analizzare, che fosse certamente di mano del Maestro milanese, ma in generale su questo argomento delle repliche o delle copie posso senz’altro affermare che tra le sempre più numerose versioni o copie ce ne sono alcune che appaiono condotte pittoricamente in un modo così deciso e sicuro da poter essere per molti aspetti assimilabili a quelle di Caravaggio.
–Potrebbero però essere opera di ottimi copisti ?
R: Certamente, per questo va fatta una precisazione a mio avviso: in effetti l’idea che noi abbiamo di Caravaggio e che ci è stata tramandata, cioè di un uomo strano, senza veri amici se non pochissimi, ha fatto nascere certe considerazioni, ormai consolidate, che secondo me in larga parte sono da rivedere, cioè ad esempio che non entrasse mai in contatto con altri artisti e che quindi avesse una sua tecnica per nulla simile a quella di altri pittori dell’epoca; a mio parere di artisti bravi e anche molto bravi, allora ce ne erano veramente molti e non si può escludere che –oltre quelli della sua cerchia- alcuni avessero potuto vederlo all’opera e rendersi conto del suo modus operandi, e viceversa. Quello che voglio dire cioè è che occorrerebbe abbandonare certi luoghi comuni quando entrano in gioco i rapporti professionali, tanto più che la tecnica di Caravaggio è sicuramente innovativa ma abbastanza semplice, basata com’è, soprattutto nelle opere tarde, sulla sintesi e sulla scioltezza. E’ il frutto senza dubbio di una visionarietà chiaramente tutta soggettiva ma, talvolta, non proprio di assoluta maestria, tant’è vero che in molti hanno affermato nel corso dei secoli che ci fosse allora chi dipingesse ‘meglio’ di lui, da un punto di vista meramente formale e tecnico, e quindi può essere benissimo capitato che alcuni artisti molto bravi possano avere realizzato copie di suoi lavori che oggi appaiono più o meno credibilmente autografe.
–Credi insomma che il lavoro di un artista potesse risentire di una certa casualità …?
R: Penso che un artista potesse cambiare spesso modus operandi, magari in dipendenza del luogo ove si trovava ad operare, del tipo di committente, dei materiali di cui poteva disporre, ecc; Caravaggio del resto era così emotivo e talmente attivo nel cercare traguardi sempre più avanzati che in effetti, come si sa, cambia progressivamente, da un tipo di pittura ‘lombarda’ a una basata sugli scuri e così via, come ad esempio avviene con Tiziano, che conosco bene per aver lavorato su numerosi suoi dipinti, e al quale il Merisi come si sa deve molto, il lombardo del resto era molto veloce a cavalletto ed era talmente bravo da saper improvvisare; per questo credo sia sbagliato cercare di incanalarlo dentro schemi precisi, ed anzi mi pare che il grande interesse che tutti –addetti ai lavori e non- mostrano per la sua arte stia proprio nel fatto che non sia incanalabile.
–Eppure tu che sei un esperto di diagnostica un qualche elemento di continuità dovresti averlo estrapolato.
R: Gli elementi di continuità esistono, ma vanno riferiti a ogni fase dell’evoluzione della tecnica artistica: vale a dire che il Caravaggio che arriva a Roma dalla Lombardia è diverso dal Caravaggio che scappa a Malta. Il vero problema è che spesso questi elementi di continuità non sono esclusivamente suoi, quindi, in alcuni casi, si riscontrano anche nei pittori caravaggeschi e nelle copie. E’ questo che mette in difficoltà noi che facciamo diagnostica, nel caso ci venga richiesto di specificare se un’opera sia indiscutibilmente attribuibile al pittore. Per certi aspetti il personaggio rimane inafferrabile ed anzi vedo che chiunque abbia provato a canonizzarne le componenti operative in modo rigido, costringendolo dentro una serie di movimenti ripetitivi o di abitudini compositive, non ha raggiunto alcun risultato e anzi, se qualche risultato in questo senso c’è stato, a mio parere rischia di essere fuorviante perché può essere valido per una certa situazione ma non per altre; insomma invece di fare chiarezza si rischia di aumentare la confusione.
–Anche con la diagnostica, che sta prendendo sempre più piede ?
R: Si anche; soprattutto si rischia di fare confusione quando si vuole spacciare per verità assoluta una verità che invece non può che essere parziale, adeguata cioè ad una precisa circostanza.
–Capita in effetti molto spesso di assistere a situazioni in cui studiosi anche molto preparati ed esperti dell’opera di Caravaggio siano in contrasto tra loro di fronte a certi dipinti nonostante che siano state effettuate le opportune indagini diagnostiche; è il caso, tanto per fare qualche esempio del san Francesco in adorazione della croce o del Ragazzo morso dal ramarro dove, nonostante i pentimenti rilevati nelle opere che di solito sono sinonimi di autenticità non ci sono pareri unanimi su quale possa essere originale e quale copia.
R: No attenzione, per me, dal mio punto di vista di tecnico, il pentimento resta un punto fermo che contraddistingue un originale da una replica o da una copia, semmai la discriminante consiste nel grado di certezza che si ha quando siamo di fronte ad un pentimento, vale a dire se si è di fronte ad un autentico pentimento o ad una semplice correzione; lo ha spiegato molto bene Bruno Arciprete nell’intervento su About Art e c’è poco da aggiungere. E’ molto diverso il valore di un pentimento, quindi una modifica sostanziale della raffigurazione, da quello di una correzione, per esempio un leggero spostamento di un profilo, che potrebbe benissimo essere fatto nel contesto della creazione di una copia. Bisogna poi distinguere il vero dal verosimile, cioè pentimenti visibili in modo incontrovertibile, da quelli che sono opinabili, magari consistenti in differenze tonali nella radiografia dovute a disomogeneità di spessore nella preparazione. D’altra parte se calcoliamo che intorno a Caravaggio girano interessi enormi dal punto di vista economico si può anche credere che qualcuno possa essere invogliato a vedere il verosimile come vero.
–E dunque come comportarsi per non essere messi su una strada scorretta?
R: Secondo me si dovrebbe arrivare a definire una sorta di scheda tecnica in cui redigere una trentina di punti significativi rilevabili dalle indagini diagnostiche e dall’analisi stilistica, tipo pentimenti, incisioni, tipo di preparazione, presenza e aspetto del disegno preparatorio, modalità della costruzione pittorica, aspetti chimici dei materiali e poi considerare quanti di questi punti sono riscontrabili nell’opera che si sta esaminando, tenendo sempre in riferimento la fase artistica dell’autore. Dopo aver riscontrato la presenza di una certa serie di parametri si potrà esprimere un giudizio; un lavoro che dovrebbe vedere insieme studiosi di storia dell’arte, tecnici diagnostici, chimici e restauratori.
–Magari tra le componenti materiche metteresti anche il ‘nero carbone’ ? Te lo chiedo perché ho avuto pareri differenti sulla presenza di questo particolare componente proprio nelle opere di Caravaggio; mi piacerebbe sapere cosa hai da dire tu in proposito.
R: Io non sono un chimico, non vorrei entrare in un campo che non mi compete, ma a quanto mi risulta il nero carbone è presente nella tavolozza di moltissimi artisti, Caravaggio compreso; si può credere che non utilizzasse l’indaco –che so?- o molto poco il blu lapislazzuli, ma mi sembrerebbe esagerato rifiutare una attribuzione per la presenza di nero carbone.
–Torniamo alla tua idea del catalogo da stilare per arrivare a definire l’originalità di un dipinto. In sostanza si tratterebbe di un lavoro che dovrebbe riguardare –rimanendo a Caravaggio- non solo le opere ritenute ‘certe’ ma anche quelle attribuite o attribuibili o che comunque se la giocano, ed anche le copie ?
R: Certamente, anche le copie, anzi, posso dire che la mia formazione è stata agevolata proprio dall’aver lavorato anche su dipinti di non eccezionale livello qualitativo perché ho potuto prendere in esame e conoscere quale gamma di situazioni ci si può presentare davanti e maturare una tale esperienza pratica da poter riconoscere la differenza tra un grande maestro e un seguace o un copista; lavorare sulle copie non significa affatto sottodimensionarsi, al contrario può rendere più agevole la comprensione della qualità di ciò che si ha davanti. Questo naturalmente non vuol dire applicarsi in toto ed esclusivamente allo studio e all’analisi di copie, parlo come sempre dal mio osservatorio di tecnico che, in ogni caso, sa che le indagini sulle opere di Caravaggio sono state in gran parte rese pubbliche e possono essere studiate anche da chi non le ha direttamente fatte.
–Dalle ultime anali scientifiche effettuate in occasione della mostra milanese Dentro Caravaggio, curata da Rossella Vodret, è emerso un dato che contrasta con quanto tramandano le fonti antiche e che riguarda i disegni; sembra cioè riscontrato che Caravaggio, oltre che incidere, disegnasse, come appare in determinati profili (ad esempio nel volto della Vergine e del Bambino nel Riposo nella fuga in Egitto) o che delineasse profili e sagome con veloci tratti di pennello (vedi immagini sopra NdA).
R: Torno a quanto dicevo all’inizio; anche per questa materia non bisognerebbe restare attaccati alle tradizioni, perché è possibile che le fonti siano in qualche passo incerte per vari motivi, non ultimo l’avversione al Merisi; per me il punto non è se Caravaggio disegnasse, perché lo credo possibile, ma semmai che significato dare a questa eventualità; per essere chiaro, io ho lavorato molto su opere ritenute copie che però mostravano tratti precisi di disegni.
–Puoi fare qualche esempio? So che tu hai lavorato parecchio sulla Cattura di Cristo in collezione romana, al momento purtroppo non fruibile, che ci puoi dire al riguardo ?.
R: Non solo ci ho lavorato molto, ma sono stato il primo a metterci mano; ricordo ancora quando sono stato chiamato a Roma e mi sono trovato di fronte al proprietario, un noto antiquario romano molto estroverso, a suo modo carismatico, che appena davanti all’opera, tutta scura e accatastata tra tante altre, mi ha subito detto che stavo davanti ad un Caravaggio; siccome questo mi era capitato anche in altre circostanze, nonostante abbia sempre il massimo rispetto delle opinioni dei clienti, mi è venuto istintivamente da ridere sotto i baffi; poi però, quando ho preso a lavorarci e a vedere cosa c’era sotto, allora a quel punto mi sono reso conto che si trattava di una circostanza storica per me all’interno della mia professione; non solo un abbozzo con materiale radiopaco, ma cambiamenti e pentimenti: un dipinto interessantissimo, veramente assimilabile alla mano caravaggesca.
–Questo ci porta a discutere della vexata quaestio se Caravaggio replicasse o no.
R: Esattamente, ed è una questione che si è aperta da quando gli studiosi e gli esperti, o quanto meno una buona parte di questi, hanno aperto all’idea – che mi trova d’accordo- che il Merisi in effetti potesse replicare le sue opere per vari motivi, magari commerciali. Ma anche in questo caso bisogna avere gli occhi sgombri dai condizionamenti e occorre porsi il problema delle modalità con cui questo poteva accadere, ed anche dei tempi; facciamo un esempio per essere più chiari ed ammettiamo per pura ipotesi che Caravaggio possa aver replicato la famosa Fiscella (un dipinto unico, a quanto se ne sa) ma possa averla replicata alcuni anni dopo, diciamo durante il periodo siciliano; è ovvio che avrebbe utilizzato materiali differenti ed anche modalità operative differenti. Cosa voglio dire? Che riscontrando differenze tecniche ed operative su due esemplari di una stessa raffigurazione realizzati però in epoche distanti tra loro, diciamo una decina di anni, si finisce per essere indotti a ritenere non autografo un quadro che invece lo è, sbagliando clamorosamente. Ecco allora che ricadremmo in quei canoni certificati dalla tradizione che invece a mio parere occorre avere il coraggio di superare, perché la verità è che gli artisti si muovevano, si dovevano a volte giocoforza adattare alle necessità lavorando con quanto avevano a disposizione; anche qui sono d’accordo con Arciprete quando ha affermato che certamente Caravaggio arrivando a Napoli in fuga da Roma non si portava certo dietro rotoli di tela e barili di colori.
–Dunque mi pare di poter dire che tu sospendi il giudizio sull’utilizzo delle indagini diagnostiche applicate alle opere d’arte?
-No, certamente ritengo che siano utili, specialmente nel mio lavoro di analista e di tecnico sono fondamentali, e sono d’accordo anche con chi dice che siano da utilizzare come una sorta di documento in più che va affiancato agli altri, tuttavia mi sento di mettere in guardia perché credo che costituiscano un dato oggettivo solo quando ci danno un dato oggettivo.
–Ritorniamo però al discorso di prima, di cosa si deve intendere per dato oggettivo, cioè quando un dato è oggettivo?
R: Diciamo che occorre decidere democraticamente; non è un paradosso, significa che se di fronte ad esempio ad un pentimento riscontrato in un’indagine ci sono 9 esperti che lo riconoscono ed uno che non lo vede, allora per la comunità scientifica quel riscontro esiste, quel dato è da considerare oggettivo, lo stesso vale per individuare l’autografia di un’opera.
–Puoi fare qualche esempio in questo senso, fra quelli riguardanti Caravaggio che conosci meglio ?
R: Torno alla Cattura di Cristo, si sa che si disputano l’autografia il quadro che si trova alla National Gallery di Dublino e quello in collezione romana, mentre l’altra versione di Odessa è decisamente una copia; ecco, credo che questo potrebbe essere proprio un caso in cui la comunità scientifica si confronta sulla base dei parametri che dicevo -a cui ovviamente se ne possono aggiungere altri- e alla fine possa arrivare ad una definizione risolutiva; anzi, arrivo a dire che dovrebbe essere proprio il museo irlandese a favorire il confronto; sarebbe sicuramente un caso emblematico che agevolerebbe in ogni senso gli studi storico artistici.
–Mi sembra un po’ utopico che un museo possa rischiare una defaillance simile; del resto c’è il precedente di Cleveland dove è stato messo a confronto il dipinto di Caravaggio che vi si trova, cioè la Crocifissione di sant’Andrea, con l’altra versione ex Back Vega pubblicata da alcuni studiosi come autentica; nonostante che questo dipinto fosse non in perfette condizioni di conservazione, Bruno Arciprete che ne curò il restauro ne ha rilevato precisi tratti caravaggeschi; e tuttavia, di fronte ai riscontri stilistici e tecnici il museo ha declassato il quadro ex Back Vega a copia.
R: E’ ovvio che il muso dicesse così, ma la domanda è un’altra: su quale base il museo di Cleveland esclude l’autografia dell’altro dipinto? Perché il loro è autentico e l’altro no? Quali dati sono stati riscontrati e discussi? Dunque se un museo, se gli studiosi, se i tecnici, se chi si occupa di diagnostica non risponde a queste domande in modo esaustivo ed obiettivo allora rimarrà sempre il dubbio sull’autenticità di un’opera, ma arrivo a dire che probabilmente per certi versi è quello che si vuole, perché fa comodo avvolgere ancora di più la figura di Caravaggio in una nuvola di mistero, di dubbio, ne rafforza quell’immagine borderline che tanto piace al pubblico e ne attira l’interesse come capita a pochi altri artisti.
–Non a caso la mostra milanese, che comunque si presentava sotto una veste piuttosto originale, incentrata com’era sulla diagnostica, ha avuto circa 450 mila visitatori.
R: Ecco, lo vedi, questo conferma quello che ti dicevo. Del resto, per tornare ai musei, questi fanno il loro lavoro ed è assolutamente logico che chi ha Caravaggio a parete tenda a sfruttarne il richiamo, perché questo consente di richiamare un vasto pubblico e, considerando gli scopi divulgativi dei musei, di promuovere cultura. Inoltre, da operatore nel campo della diagnostica, mi fa molto piacere che questa disciplina costituisca un richiamo per i visitatori, incuriositi dalla possibilità di scoprire in prima persona il modo in cui gli artisti costruivano le opere.
-Prima auspicavi che proprio un museo possa promuovere il confronto tra le opere in discussione per stabilirne l’autenticità, eppure il confronto che è stato fatto a Brera, mettendo a disposizione del pubblico la Giuditta che decapita Oloferne, dipinto riemerso in una collezione privata francese, con opere di Caravaggio (non l’originale che si trova a Roma, che non è stato concesso) e di Finson, ed oggetto di confronto tra gli studiosi accreditati, non ha portato ad una conclusione unanime.
R: D’accordo però il confronto c’è stato, e in questo modo la conoscenza avanza, ed è probabile che a questa prima esperienza ne seguano altre, sempre che i direttori dei musei abbiano la volontà di promuoverle. Una occasione simile, ad esempio, si è presentata in una giornata di studio promossa dalla Direttrice Anna Coliva, alla Galleria Borghese dove, al termine della mostra L’origine della Natura Morta in Italia: Caravaggio e il Maestro di Hartford, diversi studiosi hanno espresso il loro parere. Si trattava di discutere le caratteristiche tecniche e stilistiche presentate dalle opere in mostra e la possibilità di identificare il Maestro di Hartford con Caravaggio appena arrivato a Roma nella bottega del Cavalier d’Arpino, come suggerito da Federico Zeri. In quella occasione avevo curato le analisi diagnostiche su sei dipinti presenti in mostra.
– Alla fine di questo incontro ti chiedo se sei d’accordo con me quando devo riconoscere che resta vivo il motivo per il quale ci siamo visti oggi, vale a dire se sia possibile stabilire con certezza assoluta la paternità di un dipinto anonimo – nel nostro caso di Caravaggio – oppure no.
R: La risposta è semplice: Si, è possibile … ma solo in alcuni casi! Poi, con alcuni autori è più semplice, con altri invece più arduo. E tuttavia dal punto in cui siamo arrivati non si torna indietro; chi immagina che come una volta basti l’occhio dell’esperto per arrivare a sciogliere tutti i dubbi o a chiarire un’incertezza si sbaglia; è vero che non di rado ho personalmente letto e anche visto responsi da indagini diagnostiche senza senso, però ormai la riflettografia infrarossa, la radiografia ecc fanno parte dell’armamentario necessario ad uno studioso per i suoi lavori, per il potenziale enorme che offrono mettendo in luce aspetti invisibili ad occhio nudo, purché lo sappia ben utilizzare o, quanto meno, avendo al fianco chi lo supporta; a questo riguardo sarebbe auspicabile un lavoro comune come capita in medicina fra il chirurgo e il radiologo, questo realizza e interpreta le immagini, l’altro opera, ma nel nostro paese non esiste neppure un materia di questo tipo per gli studenti di storia dell’arte e dunque credo sia urgente che le istituzioni provvedano.
P d L Modena febbraio 2018