Risolto il “mistero” del Velasquez dei Capitolini: è il ritratto di Juan de Córdoba. Francesca Curti spiega la vicenda al “Messaggero”

di Laura Larcan*

Se la storia finisse nelle mani di uno scaltro scrittore amante del genere thriller, lo definirebbe come «il mistero di Velázquez risolto».

La trama è ad effetto.
Un quadro straordinario ed enigmatico, la mano di un possibile genio dell’arte, l’identità segreta del soggetto ritratto. E via con retroscena di amicizie, amori, amanti, spie per conto della corona spagnola nella Roma barocca dei papi, testamenti, documenti spariti e ritrovati. Il materiale letterario è pura suggestione.

Diego Velasquez, Ritratto di Juan de Còrdoba, Roma, Musei Capitolini

E la verità è nelle pieghe di carte inedite autentiche riportate alla luce dai faldoni di archivi secolari, tra l’Archivio di Stato di Roma e l’Ambrosiana di Milano.
L’autrice della scoperta è la giovane storica dell’arte e archivista Francesca Curti che sull’illustre Burlington Magazine ha pubblicato la soluzione del giallo che aleggia sul quadro conservato ai Musei Capitolini di Roma genericamente definito – con strascico di querelle da parte degli studiosi – forse Autoritratto di Diego Velázquez. Oppure, semplicemente Ritratto di uomo con baffi (siamo nel 1650). Ora, Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, genio spagnolo, non solo ritrova la sua attribuzione, ma anche l’amico perduto.

«L’effigiato è Juan de Córdoba, un agente della corona spagnola in missione a Roma», racconta la Curti,

da anni sulle tracce di documenti preziosi che ricostruiscono la vita del grande artista spagnolo a Roma. “Cresciuta” tra i faldoni di Sant’Ivo alla Sapienza, sulla lezione di Orietta Verdi, storica responsabile dell’istituzione del Mibac, la Curti ha trovato le prove che svelano il mistero.

IL MISTERO

«Il ritratto capitolino ha sempre avuto una vicenda singolare: non si sapeva quando fosse stato eseguito, né si aveva la certezza dell’autore, né chi fosse il personaggio. Insomma, un mistero – dice Curti – Dell’opera si sapeva solo che era rientrata nella collezione Pio di Savoia confluita poi, come nucleo fondante, ai Musei Capitolini insieme alla collezione Sacchetti».

Ma come è arrivata nel fondo Pio di Savoia?

«Io ho trovato il testamento e inventario di un personaggio, Camillo Dal Corno, un canonico che era un amico carissimo di Juan de Córdoba e vicino all’entourage del cardinale Pio di Savoia. Alla morte, Dal Corno lascia tutta la sua eredità in quadri al cardinale. E in questa collezione spicca proprio il ritratto di Juan de Córdoba di mano di Velázquez, opera che probabilmente gli era stata regalata proprio da Córdoba».

Come ha fatto a identificarlo con l’opera dei Capitolini?

«Quando Pio di Savoia riceve questa collezione ne fa eseguire una stima da Giuseppe Ghezzi e Giovanni Maria Morandi, due pittori importanti dell’epoca».

Ed ecco l’identificazione dell’opera con la valutazione di 20 scudi. Una volta finita tra i tesori d’arte dei Pio di Savoia inizierà la fase di oblio. Negli inventari successivi, nel Settecento, non verrà più identificato come il “Ritratto di Juan de Córdoba di mano
di Velàzquez”, perché se ne è persa la memoria.

«Si trascinerà una dicitura vaga. Ritratto di uno spagnolo con i baffi, oppure Ritratto di uomo con i baffi», evidenzia la storica dell’arte. Tutta la storia invece è chiara. Chi era Juan de Córdoba?
«Dalle lettere si capisce che avesse una vita piena, anche sregolata, ma sicuramente era l’assistente personale di Velázquez».

Quando l’artista arriva a Roma, era il 1649 (aveva 50anni), Juan de Córdoba gli organizza il soggiorno. Gli trova casa a Palazzo Nardini in via di Parione, dietro piazza Navona, gli gestisce l’agenda, gli cura gli incontri nelle varie dimore nobiliari della città, lo introduce negli ambienti, gli gestisce i contratti dei lavori.

«È noto che Velázquez era stato inviato a Roma dal re Filippo IV di Spagna per far eseguire calchi e commissionare copie di sculture antiche e soprattutto reclutare un pittore frescante di talento per la corte del re».

LA CERCHIA DI AMICI

Rimarrà a Roma fino al 1651, acquisendo sempre più fama e firmando fior di capolavori. Lascia, non a caso, il Ritratto di Innocenzo X. Frequenta molto gli ambienti filo-spagnoli, esegue numerosi ritratti. E Juan de Córdoba si rivela un personaggio chiave durante il soggiorno romano:

«Per esempio, Velázquez a Roma ha un figlio naturale, da una donna sconosciuta, forse la donna ritratta nella Venere di Londra. Lo lascerà in custodia ad una balia, ma questa sembra lo trattasse male, e interverrà Juan de Córdoba prendendolo sotto la propria protezione ».

I documenti aiutano a dipanare la trama. Francesca Curti ha ritrovato anche il testamento e l’inventario di Juan de Córdoba che muore nel 1670:

«Fa una serie di lasciti di sue opere a personaggi della cerchia spagnola. Al cardinale Pio di Savoia lascia un quadro di mano di Velázquez in cui è ritratta una donna, mentre a Camillo Dal Corno lascia una copia dei Baccanali di Tiziano».

E non mancano retroscena intimi dalle lettere di Camillo Dal Corno:
«Purtroppo è morto il nostro caro amico comune Juan de Córdoba», scrive il canonico.
«Ci credo che è morto – la risposta – con tutta la vita dissoluta che faceva».

E forse, fu proprio Córdoba a presentare a Velázquez la madre di quel suo figlio romano.

Laura Larcan
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*Ringraziamo l’autrice e l’editore Gaetano Caltagirone per aver gentilmente concesso la riproduzione del testo