di Nica FIORI
Per i romani più ricchi gli horti costituivano dei luoghi deputati all’otium, ovvero al benessere fisico e spirituale che si contrapponeva all’attività politica (negotium). Erano dei giardini abilmente disposti su più livelli raccordati da scalinate, animati da fontane e ninfei variamente articolati nei loro giochi d’acqua e decorati con sculture di marmo. Queste aree verdi, che si sviluppavano intorno a edifici abitativi, avevano le stesse caratteristiche delle ville suburbane, ma con il vantaggio di trovarsi in città.
Un’idea della magnificenza di uno di questi luoghi di delizie, definito come “giardino degli dei” e “paradiso degli imperatori”, possiamo farcela nel “Museo Ninfeo”, che apre le sue porte ai visitatori dopo lunghi anni di indagini archeologiche in un’area dell’Esquilino, e più esattamente in piazza Vittorio Emanuele II, sotto il palazzo dell’ENPAM (Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e odontoiatri). È proprio durante la costruzione del palazzo, al di sopra di un altro ottocentesco che era rimasto per anni semidistrutto, che sono state ritrovate murature e una quantità impressionante di reperti relativi agli Horti Lamiani, già individuati in parte dal celebre archeologo Rodolfo Lanciani nell’Ottocento prima della costruzione del nuovo quartiere umbertino nel rione Esquilino, nell’ambito delle trasformazioni urbanistiche legate al nuovo ruolo di Roma capitale. Risale all’epoca il rinvenimento nell’area di un gruppo di statue di divinità, attualmente collocate nella Centrale Montemartini.
Realizzato congiuntamente dalla Soprintendenza Speciale di Roma, diretta da Daniela Porro, e da ENPAM, il nuovo museo sarà visitabile il 30 e il 31 ottobre 2021 (open day gratuito su prenotazione) e poi dal 6 novembre tutti i sabati e le domeniche. Come ha dichiarato il Ministro della Cultura Dario Franceschini:
“Il Museo Ninfeo è il risultato di un ottimo esempio di archeologia preventiva, che coniuga l’esigenza di realizzare opere, infrastrutture e sviluppo urbano con quella di tutelare e preservare il patrimonio archeologico. Questo nuovo luogo di bellezza, inoltre, onora simbolicamente tutti i medici vittime della pandemia”.
In effetti, poiché la realizzazione del museo è coincisa in questi ultimi due anni con la pandemia virale da covid, l’ENPAM ha voluto ricordare con una stele elettronica, collocata lungo le scale che conducono all’area archeologica, i nomi di tutti i medici morti in questo periodo lottando contro il Covid-19.
Lungo le stesse scale una lussureggiante composizione di piante dà già l’idea che si sta scendendo in un sotterraneo che un tempo non era tale, ma anzi era un luogo felice, illuminato dal sole, ricco di verde e rinfrescato da fontane. Del resto l’acqua abbondava nella zona grazie agli acquedotti che giungevano a Roma dalla zona dei Colli Albani e che all’altezza di Porta Maggiore si diramavano in più direzioni. A due passi da qui, nei giardini di piazza Vittorio, si conserva ancora il castello dell’Acqua Giulia, più noto come i Trofei di Mario, perché vi si trovavano i celebri rilievi che ora sono collocati sul Campidoglio.
Dalle fonti storiche sappiamo che gli Orti Lamiani sono sorti sul colle Esquilino in età augustea, accanto ai celebri Orti di Mecenate, dopo la bonifica dell’area che era utilizzata in precedenza come cimitero.
Devono il loro nome al ricchissimo Lucio Elio Lamia, esponente di una famiglia di cavalieri elevata da Augusto al rango senatorio. Alla sua morte, avvenuta nel 33 dopo Cristo, sotto Tiberio, la proprietà diventa imperiale; viene poi trasformata da Caligola in una sontuosa residenza privata, e qui il suo corpo fu trasportato dalle sue sorelle, dopo il suo assassinio da parte della guardia pretoriana (41 d.C.), per evitare che fosse smembrato. La villa fu amata anche dai successivi imperatori Flavi, dagli Antonini, fino ai Severi, cui si debbono le ultime trasformazioni dei lussuosissimi ambienti.
Ed è proprio una grande aula edificata da Severo Alessandro che dà il nome al Museo Ninfeo, perché è ancora visibile la struttura a esedra di un’ampia fontana. L’aula, priva di copertura, aveva le pareti lastricate di marmi pregiati ed era pavimentata a grandi lastre di marmo bianco (che vediamo in trasparenza da un pavimento in vetro). Non doveva essere dissimile da una piazza forense, con gruppi scultorei, erme e vasi di fiori: un luogo evocativo dei grandi spazi pubblici dove il princeps poteva dedicarsi all’otium, come pure ricevere ospiti importanti e ambascerie.
Sono invece dell’epoca giulio-claudia una monumentale scala ricurva in marmo, affreschi, decorazioni e molti materiali di uso quotidiano. Si è conservato anche un impianto idrico con il nome di Claudio, il quarto imperatore romano, che succedette al giovane nipote Caligola, ucciso in una congiura di palazzo.
Gli scavi, effettuati in due riprese (2006–2009; 2010–2015), hanno restituito oltre un milione di reperti frammentari che sono stati catalogati, studiati e restaurati in un laboratorio da una equipe di 18 specialisti. Di questi reperti ne sono esposti 3000, risalenti a un arco di tempo che va dal I secolo a.C. al V d.C. L’allestimento ricrea attraverso 13 sezioni i diversi aspetti della cultura antica e soprattutto la suggestione di un giardino idilliaco, con scene colorate ispirate al passato e con elementi virtuali, a partire dall’acqua proiettata su una grande colonna, che richiama l’elemento più tipico del ninfeo.
Afferma Mirella Serlorenzi, direttore scientifico del progetto:
“Il Museo Ninfeo è un modello di salvaguardia del patrimonio culturale, fondato sulla ricerca multidisciplinare con enti di ricerca e università. La qualità dei materiali restituiti dagli Horti Lamiani offre una visione unica della Roma classica, dalle architetture monumentali alle sontuose decorazioni, alle vie dei commerci, agli oggetti preziosi e a quelli di uso quotidiano, al cibo, ai giardini e agli animali che vivevano lì. Un museo che racconta, anche attraverso emozionanti ricostruzioni, un teatro privilegiato del mondo antico, con tutte le suggestioni che questo luogo può dare”.
Una sorta di linea del tempo collocata al di sopra di una lunga vetrina evidenzia come ogni epoca ha lasciato qui il suo segno, illustrando con molteplici esempi i manufatti della vita quotidiana, dalle pentole alle lucerne, al vasellame, alle ceramiche di pregio, alle monete, ai monili, agli oggetti in bronzo, ai vetri, tra cui un bellissimo calice in vetro soffiato.
In una vetrina a parte lacerti di mosaici, di conchiglie e pietra pomice sono relativi alla decorazione del ninfeo che utilizzava questi elementi per dare l’idea delle grotte, dove anticamente erano venerate le ninfe.
Una vera rarità è data dal vetro trasparente, che comincia e essere usato per le finestre, al posto delle chiusure precedenti in alabastro. Filone Alessandrino cita proprio il vetro trasparente in un passo in cui racconta che Caligola, mentre riceve un’ambasceria in questa sua residenza:
“Prima si precipitò di corsa nella sala grande, ne fece il giro e ordinò che le finestre tutto intorno venissero restaurate con materiale trasparente come il vetro bianco…” (Legatio ad Gaium).
La vetrina con “I colori del lusso” espone lo splendore dei marmi, bianchi e colorati, provenienti da tutte le province dell’impero, e propone due ricostruzioni di rivestimenti parietali, una di età giulio-claudia e l’altra di età severiana.
Nella sezione Mare nostrum, davanti a una carta geografica che illustra le rotte commerciali nell’antichità, sono collocate diverse anfore che si differenziano nella forma a seconda di ciò che dovevano trasportare al loro interno.
Tra i ritrovamenti esposti vi sono anche due volti in polvere di marmo, raffiguranti due maschere del teatro tragico; ritrovate in uno scarico, dovevano essere collocate sulle pareti dipinte di un edificio non identificato, databile al I secolo d.C.
Sono sopravvissuti anche resti di affreschi, uno dei quali (I secolo d.C.), in origine amplissimo, è stato in parte ricomposto a partire da quasi 90.000 frammenti.
Di epoca decisamente posteriore (VIII secolo) è una scritta in caratteri runici, nella parete di una latrina, dovuta alla frequentazione del luogo da parte di pellegrini che giungevano a Roma dal Nord Europa.
Particolarmente interessanti sono anche i ritrovamenti vegetali: sono state rinvenute le piantumazioni, in terra e in vaso, che ci permettono di avere un’idea di come dovevano essere sistemati gli Orti Lamiani nelle diverse epoche. Ci incuriosisce anche la ricchezza di reperti animali, tra cui alcuni di animali non propriamente domestici, che scorrazzavano nei giardini. Le ossa di leone, di cerbiatto, di struzzo, di orso fanno presumere che questi animali dovessero essere utilizzati nelle attività ludiche degli imperatori. In alcuni cassetti, che i visitatori possono aprire, sono collocati anche numerosi frammenti di fauna marina, tra cui le pregiatissime ostriche, che testimoniano gli usi alimentari dell’aristocrazia romana.
Nica FIORI Roma 24 ottobre 2021
Museo Ninfeo, piazza Vittorio Emanuele II, 78 – Roma
Ingresso gratuito il 30 e 31 ottobre con prenotazione obbligatoria (apertura 10-13 e 15-19).
Dal 6 novembre apertura tutti i sabati e le domeniche (10-13 e 15-18) con ingresso a pagamento: visita con audioguida 10 euro, ridotto 6; visita guidata 13 euro, ridotto 8. Gratuito per medici e odontoiatri.
Prenotazioni: https://www.museoninfeo.it