di Nica FIORI
“Movesi il vecchierel canuto et biancho …”, canta il Petrarca in uno dei suoi più celebri sonetti del Canzoniere, presentando il viaggio a Roma del vecchio pellegrino come l’atto estremo della vita, un faticoso cammino verso la liberazione finale, sostenuto dal desiderio di vedere, mentre è ancora in vita, la “sembianza” del Salvatore, ovvero la Veronica, il velo recante impresso il Santo Volto, misteriosamente scomparso dalla basilica di San Pietro nel XVII secolo.
Anche noi, se pensiamo a Roma nel Medioevo, la immaginiamo soprattutto come meta dei numerosi “romei” che si recavano a visitare la città per pregare davanti alle reliquie dei santi e di Cristo. Ma la città, in quanto sede del pontefice, era al tempo stesso al centro di complessi intrecci politici e diplomatici, e quindi polo di attrazione di re e principi, almeno fino al momento in cui il papato non si trasferì ad Avignone (1308).
Riscoprire l’aspetto della città eterna tra il VI e il XIV secolo e il suo ruolo cardine nell’Europa cristiana è l’obiettivo della mostra “Roma Medievale. Il volto perduto della città”, ospitata al Museo di Roma a Palazzo Braschi fino al 5 febbraio 2023. Promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Sapienza Università di Roma, è a cura di Anna Maria D’Achille e Marina Righetti, su progetto scientifico della stessa Righetti (Organizzazione Zetema Progetto Cultura – Catalogo De Luca Editori D’Arte).
Giustamente si parla di “volto perduto”, perché dal punto di vista urbanistico e architettonico ben poco è rimasto di quella Roma dell’età di mezzo, schiacciata tra le vestigia e il peso dell’età classica e gli splendori di quelle rinascimentale e barocca. Le demolizioni operate in epoca moderna hanno spazzato via ciò che appariva superato, malsano o vetusto, per far posto a nuove architetture; eppure quei secoli, definiti “bui” in contrapposizione al Rinascimento, sono stati in realtà fondamentali per la nostra civiltà, “un momento essenziale del nostro passato”, come ha ben espresso Jacques Le Goff. Forte è il rimpianto per aver perduto l’incanto di quel periodo, la cui grandezza artistica a volte riaffiora sotto strati di intonaco, come è successo per esempio per gli affreschi del cosiddetto Salone gotico del complesso monastico dei Santi Quattro Coronati al Celio, la cui scoperta ha rivoluzionato la conoscenza della pittura romana medievale.
Molte delle ricerche portate avanti per circa 40 anni dalla cattedra di Storia dell’arte medievale della Sapienza confluiscono ora in questa esposizione, con l’avallo scientifico della prestigiosa università romana, fondata nel 1303 da papa Bonifacio VIII, con lo scopo di diffondere a un pubblico più vasto i risultati delle ricerche e degli studi che prima erano concentrati nella Curia pontificia. Non a caso lo Studium Urbis era posto fuori dalle mura del Vaticano, proprio per segnalare il rapporto tra la città e gli studiosi che vi giungevano da ogni parte del mondo.
La mostra copre un arco di tempo che va dal tempo di papa Gregorio Magno al primo Giubileo del 1300 indetto da Bonifacio VIII, e si sviluppa in 9 principali nuclei tematici con l’esposizione di oltre 160 opere tra mosaici, affreschi, preziosi manoscritti e oggetti mobili provenienti da 60 prestatori tra musei, enti religiosi e istituzioni pubbliche e private. Allo scopo di esortare i visitatori a riscoprire le ricchezze della città, viene proposto alla fine del percorso un itinerario nei luoghi medievali di Roma. Ne sono elencati 30 e si tratta non solo di chiese e complessi architettonici religiosi che conservano meravigliosi mosaici, affreschi, cibori, ma anche la centralissima Torre delle Milizie in largo Magnanapoli, il periferico Ponte Nomentano e il Castello Caetani a Capo di Bove, ovvero il castelletto sorto inglobando il Mausoleo di Cecilia Metella sull’antica via Appia.
La prima sezione, intitolata “In viaggio verso Roma”, è dedicata ai pellegrini, che arrivavano a Roma (al pari di Santiago di Compostela e di Gerusalemme) da ogni parte d’Europa. Dall’XI secolo l’abbigliamento del pellegrino si configurò come una vera e propria uniforme, che prevedeva un mantello, un cappello a tesa larga, un lungo bastone, cui talvolta era fissata una zucca o altro per contenere l’acqua; la bisaccia e un piccolo sacchetto di pelle dove si conservavano cibo, denaro e il messale. Il “romeo” grazie a questo abbigliamento era riconoscibile e accolto nei centri assistenziali (hospitalia), dove poteva rifocillarsi ed eventualmente curarsi. Tra gli oggetti esposti ci colpiscono alcune monetine straniere lasciate sulle tombe dei santi, un Libro del pellegrino e l’Altare portatile di San Gregorio Nazianzeno, in realtà un pastiche di elementi di varia epoca e provenienza.
“Le grandi basiliche” è il tema della seconda sezione, dedicata ai luoghi più iconici della Roma medievale, anche se oggi profondamente mutati: San Giovanni in Laterano, cattedrale di Roma e sede dei pontefici durante il Medioevo; San Pietro in Vaticano, sorta sulla tomba di Pietro e divenuta nel tempo la più importante chiesa dell’Europa cristiana; San Paolo fuori le mura, memoria dell’Apostolo delle Genti, e Santa Maria Maggiore, prima basilica dedicata alla Vergine, dove sono custodite le reliquie della mangiatoia di Gesù.
Sono queste le quattro maggiori basiliche di Roma, cosiddette “papali” per il privilegio di avere una porta santa e l’altare papale. Durante il Medioevo la basilica lateranense, S. Maria Maggiore e S. Pietro costituivano i vertici di una sorta di triangolo virtuale della liturgia romana, che prevedeva lo svolgimento di processioni da una basilica all’altra, come quella del 15 agosto, quando il papa e il suo corteo portavano l’icona del Salvatore custodita nella cappella del Sancta Sanctorum nel patriarchio lateranense fino alla chiesa dell’Esquilino, dove era custodita l’icona della Salus Populi romani. Oppure quelle che conducevano il nuovo pontefice dal Laterano al Vaticano, e viceversa, in occasione della sua consacrazione e del suo insediamento. La basilica di S. Paolo non rientrava in questo strettissimo raggruppamento, anche se per le sue imponenti forme architettoniche poteva essere considerata di livello pari a quello di S. Pietro, che rimase tuttavia la basilica di gran lunga più importante, scelta anche per le incoronazioni imperiali, come quella di Carlo Magno nel giorno di Natale dell’anno 800.
Nella sala dedicata alla basilica di S. Pietro in Vaticano, ci rendiamo conto che dalla demolizione del vecchio edificio costantiniano, avvenuta a partire dal 1506 per volere di Giulio II, si sono salvati solo alcuni frammenti della decorazione interna ed esterna, relativi all’oratorio di Giovanni VII (705-707), al mosaico absidale di Innocenzo III (1198-1216), a quello della facciata di Gregorio IX (1227-1241), tra cui la Testa virile (San Luca evangelista) dalla capigliatura screziata d’oro che è stata scelta come immagine guida della mostra, e agli affreschi duecenteschi del portico, raffiguranti San Pietro e San Paolo.
L’ aspetto medievale può essere comunque ipoteticamente ricostruito grazie ai dati, emersi negli scavi degli anni Quaranta del secolo scorso, e ad alcune fonti, come la pianta di Tiberio Alfarano (1525-1596) o le preziose descrizioni di Giacomo Grimaldi e gli acquerelli di Domenico Tasselli da Lugo, eseguiti quando papa Paolo V (1605-1621) fece abbattere l’ultima parte della basilica.
Anche delle altre basiliche vengono evidenziati gli aspetti medievali attraverso frammenti di dipinti, mosaici, oli e acquerelli con vedute, plastici e calchi, tra cui quello del San Simone della decorazione musiva absidale di San Giovanni in Laterano e quelli delle statue del Presepe di Arnolfo di Cambio conservato a Santa Maria Maggiore.
Tra i reperti più preziosi ricordiamo la Bibbia miniata di Carlo il Calvo conservata nella Biblioteca di S. Paolo fuori le mura e un clipeo con pittura murale duecentesca di pontefice (forse Anacleto), sopravvissuto all’incendio della stessa basilica di San Paolo e attribuito a Pietro Cavallini o a un maestro più anziano.
Un’ampia sezione è dedicata al rapporto privilegiato intessuto nel corso dei secoli tra la città e il papato. Una relazione complessa che ha unito, e quasi identificato, l’Urbe e i suoi pontefici durante tutto il Medioevo.
Il visitatore potrà così conoscere i papi più rappresentativi dell’epoca, come Gregorio Magno, Leone III, Innocenzo III e Bonifacio VIII, protagonisti di momenti chiave della storia medievale.
Altri personaggi importanti, oltre ai papi, sono l’Abate Desiderio dell’abbazia benedettina di Montecassino e l’imperatore Federico II, del quale sono esposti degli augustali in oro e un probabile ritratto scultoreo in marmo, rinvenuto a Lanuvio.
Si possono ammirare in questa sezione mosaici (ricordiamo la Vergine Maria della Natività, staccata dall’oratorio di Giovanni VII a San Pietro e l’Adorazione dei Magi, da Santa Maria in Cosmedin), la piattaforma di ambone da Santa Maria Antiqua nel Foro Romano e numerosi oggetti mobili, tra cui preziosi reliquiari e suppellettili sacre.
Un oggetto mai esposto in precedenza è il rosone in marmo (XIII secolo), da San Nicola de Calcarario (una chiesa demolita nell’area di Largo Argentina).
Altri reperti che ci incuriosiscono sono i bacini di ceramica invetriata (XII secolo) dal campanile dei Santi Giovanni e Paolo al Celio. Il grande salone del Museo è stato scenograficamente dedicato a “un’ideale passeggiata nello spazio sacro di una chiesa medievale”, sulle tracce della liturgia medievale. Tra frammenti di recinti marmorei e di affreschi, ammiriamo anche un pilastrino con statuetta di San Domenico, della cerchia di Arnolfo di Cambio, un tabernacolo in marmo con decoro in paste vitree e la Croce dipinta dal Convento di San Sisto vecchio (tempera su tavola, metà XIII secolo).
Nella riproposizione dello spazio sacro vengono approfonditi alcuni aspetti particolari, come quello della devozione popolare romana, con un focus particolare dedicato alle icone mariane ancora oggi custodite nelle chiese della città: ricordiamo in particolare la Madonna del Latte della chiesa di San Silvestro al Quirinale e la Madonna Odigitria di Filippo Rusuti di Santa Maria del Popolo.
Un “caso emblematico” è quello dedicato alla decorazione ad affresco proveniente dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. I dipinti (Ciclo dei Patriarchi e Tetramorfo, 1144-1148), ora conservati nel museo della stessa chiesa, sono stati scoperti nel 1913 nel sottotetto della basilica, dove dal 1492 erano stati dimenticati, nascosti prima dal soffitto a cassettoni voluto in quella data dal cardinal Mendoza, e poi dalla più estesa sistemazione settecentesca. In origine si snodavano sulla sommità delle due pareti laterali della navata centrale e sull’arco trionfale della basilica a tre navate con transetto, ricostruita in forme romaniche con finto matroneo, portico e caratteristico campanile a bifore.
Frammenti di vita quotidiana rivivono nella sezione dedicata agli “Scavi nella Crypta Balbi”, che hanno riportato alla luce un settore della città legato alla produzione manifatturiera.
L’ottava sezione, intitolata “Un intreccio di culture”, prende in esame le diverse presenze, tra cui quella della comunità ebraica, la più antica al mondo, che con alterne vicende visse continuativamente in città, costituendo, soprattutto nel Duecento, un polo culturale di alto livello, anche per i suoi scambi internazionali, come è testimoniato da alcuni manoscritti.
Il visitatore che percorreva le strade della Roma medievale aveva davanti agli occhi una città completamente diversa rispetto a quella attuale, con strade strette e tortuose e innumerevoli torri.
Pertanto l’ultima sezione, intitolata “Scorci di Roma medievale”, presenta le “Torri dei Barones” e in particolare l’area compresa tra l’Ara Coeli e il Palazzo Senatorio, sul Campidoglio, dove prima della risistemazione michelangiolesca della piazza si andavano a concentrare i poteri cittadini. Allo stesso tempo viene dato spazio al rapporto della città con il Tevere (e con il più periferico Aniene). Prima della costruzione dei grandi muraglioni, eretti a protezione delle inondazioni fluviali che ancora alla fine dell’Ottocento interessavano frequentemente il centro urbano, il Tevere era la via di comunicazione più usata, sia per i trasporti di merci, sia per i passeggeri da un lato all’altro della città. Ovviamente le due rive erano dotate di moli d’attracco, magazzini, mulini che sfruttavano l’energia dell’acqua e abitazioni spesso malsane, che comunque rendevano quelle aree particolarmente pittoresche.
Nica FIORI Roma 23 Ottobre 2022
(Foto di apertura: Fenice dall’abside di San Pietro)
“Roma medievale. Il volto perduto della città”
Museo di Roma-Palazzo Braschi, Piazza San Pantaleo, 10 – Piazza Navona, 2 – Roma
Dal 21 ottobre 2022 al 5 febbraio 2023
Orario: dal martedì alla domenica ore 10,00 – 19,00. La biglietteria chiude alle ore 18.00. Info: tel. 060608 http://www.museodiroma.it