di Claudio LISTANTI
La difficile e critica situazione sanitaria che stiamo vivendo ha costretto le istituzioni che guidano il nostro paese a sospendere tutte le attività svolte in luoghi chiusi causando forti disagi nel mondo dello spettacolo. La chiusura di cinema, teatri e sale da concerto, oltre a creare un enorme e comprensibile disagio per tutti coloro che lavorano in questo settore, ha anche provocato, purtroppo, un inevitabile distacco tra i produttori di spettacolo e gli spettatori, un altro elemento determinante per le rappresentazioni dal vivo creando, di riflesso, una ferita in tutto il mondo della Cultura che ne intacca anche il tessuto sociale.
Per quanto riguarda il mondo della Grande Musica molte istituzioni, con caparbietà, sono intervenute affinché quel filo che lega esecutori e spettatori non fosse completamente rescisso per immaginare in un futuro, il più prossimo possibile, un recupero di questa relazione ed agevolare il pieno ripristino della tradizione di tutte le forme di spettacolo. Per favorire tutto ciò è stato individuato, oltre a quello della diffusione radiofonica, anche il canale Web utilizzando come strumento essenziale lo ‘streaming’. E proprio in queste ultime settimane, nel periodo dell’anno solitamente dedicato all’apertura ed alle inaugurazioni delle stagioni liriche e sinfoniche, è stato deciso di coinvolgere il pubblico e gli appassionati con proposte che sono una sorta di ‘succedaneo’ di quanto in questo momento manca ottenendo anche buoni risultati in termine di gradimento.
Da ricordare, a tal proposito la rappresentazione del verdiano Otello al Comunale di Firenze, alcuni concerti offerti dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il maxi concerto di canto del Teatro alla Scala, l’esecuzione in forma oratoriale della Cavalleria Rusticana di Mascagni al San Carlo di Napoli e, anche, la coraggiosa iniziativa dell’Associazione Nuova Consonanza di trasmettere in streaming tutti i concerti del proprio festival che si tengono quest’anno fino al 20 dicembre.
A fianco di queste istituzioni non poteva mancare il Teatro dell’Opera di Roma che ha prodotto un nuovo allestimento creato proprio per lo streaming, risultato del tutto in linea con le necessità del momento e riuscendo a fornire una rappresentazione pienamente efficace come vogliamo di dimostrare con questo nostro articolo.
L’opera scelta per l’occasione è stata Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, capolavoro assoluto di tutti i tempi che gode di una popolarità a livello mondiale e, inoltre, molto legato alla città di Roma in quanto proprio nella Città Eterna ebbe luogo, il 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina, la prima assoluta, una rappresentazione celebre per il clima tumultuoso nel quale si svolse che fu l’inizio di uno straordinario viaggio che ad oggi è lungo più di due secoli senza dimostrare alcun segno di decadenza.
Mettere in scena il Barbiere rossiniano è oggi impresa assai difficile in quanto è complicato stabilire una lettura che sia un valido compromesso fra tradizione e modernità; una difficoltà accresciuta anche dalle contingenze del momento. Gli organizzatori del Teatro dell’Opera, però, hanno operato una scelta di ottima valenza artistica affidando la realizzazione dello spettacolo ad un artista di straordinaria fama, Mario Martone, che possiamo definire un registra a largo spettro con una comprovata esperienza non solo nel teatro lirico e di prosa di diverse epoche ma anche in quello cinematografico, televisivo e documentaristico. Un bagaglio di esperienze fondamentali per realizzare uno spettacolo come questo che stiamo recensendo
Martone ha costruito abilmente una rappresentazione del tutto godibile riuscendo a fondere in una entità autonoma le caratteristiche della struttura architettonica del teatro con le caratteristiche interpretative e vocali dei componenti della compagnia di canto prestando anche una certa attenzione alle specializzazioni delle maestranze interne del Teatro dell’Opera. Ne è scaturito uno spettacolo ‘armonioso’, televisivamente molto godibile e coinvolgente.
Lo spettacolo non aveva un impianto scenico vero e proprio. Infatti la cornice scenica era costituita dalla stessa sala del Teatro Costanzi, completamente vuota, che conteneva tutta l’azione che si sviluppava tra i palchi e le poltrone della platea, qui soprattutto per i momenti più ‘intimi’, mentre per le scene d’insieme è stato utilizzato il vero palcoscenico ma completamente disadorno. L’orchestra manteneva la collocazione tradizionale nel cosiddetto ‘golfo mistico’. L’unico elemento aggiunto era costituito da una serie di funi tese tra palchi e platea quasi a simboleggiare una gabbia, forse è più proprio definirla una rete, che imprigionava tra le sue trame tutti gli interpreti come una sorta di ‘allegoria’ della situazione di oggi che costringe gli operatori dello spettacolo al blocco totale delle attività.
I movimenti scenici concepiti da Martone erano del tutto coerenti con la trama ed il suo svolgimento, del tutto scevri da quella frequente smania della ricerca del nuovo a tutti i costi che, spesso inutilmente e pretestuosamente, inseriscono molti registi anche di ‘grido’ nelle realizzazioni di opere liriche a scapito dell’intelligibilità dell’opera rappresentata. Qui invece era tutto lineare, fedele al testo ed all’intreccio narrato, con trovate di gusto ed eleganti, pienamente allineate allo spirito dell’originale rossiniano.
L’azione era accompagnata anche da interventi di alcune maestranze del teatro come ad esempio le sarte impegnate ad aiutare i personaggi ad indossare il costume oppure gli interventi degli addetti agli effetti speciali come al momento del temporale.
Alcuni cambi di costume tra una scena e l’altra erano eseguiti a vista mentre in altri momenti c’erano anche chiari riferimenti all’oggi come quando vien fatto credere a Don Basilio di essere affetto da ‘febbre scarlattina’ ed affrontato dagli altri cantanti indossando la mascherina, mentre il direttore d’orchestra brandendo un ‘termoscanner’ (oggetto ora molto di moda) misura la febbre al malcapitato Basilio.
Anche la ripresa televisiva, realizzata dallo stesso Martone, è risultata di ottima qualità, riuscendo a coinvolgere il pubblico nell’azione anche grazie all’uso di efficaci primi piani, che nelle riprese operistiche sono sempre problematici, per dare a tutta la trasmissione le caratteristiche del grande spettacolo televisivo. Per lo spettatore c’era la sensazione di assistere ad una ripresa all’interno di un set cinematografico sottolineata da un’azione che, anche grazie alla musica, scorreva veloce, senza pause, incisiva e trascinante.
Inoltre lo spettacolo è stato arricchito da alcuni video. Uno girato ad hoc con Figaro e il direttore d’orchestra in giro in moto per la città, dimostrazione non solo degli impegni vorticosi del celebre factotum ma anche del legame che il Barbiere rossiniano ha con la città. Un altro, inserito alla fine del primo atto, proveniente dagli archivi Luce che conteneva le immagini di molte ‘grandi’ serate al Teatro dell’Opera con popolari attori, cantanti e personaggi dello spettacolo ripresi in platea, immagini che in questo momento hanno destano in noi un senso di nostalgia per quella ‘centralità’ del teatro d’opera rispetto al mondo della cultura che, ci auguriamo, venga ripristinato al più presto possibile.
I costumi erano del tutto tradizionali e fedeli all’epoca dello sviluppo della trama, eleganti e raffinati ma anche accurati nella realizzazione; creati da Anna Biagiotti si inserivano molto bene nello spettacolo parimenti alla parte luci, altro elemento essenziale per questa rappresentazione, curata da Pasquale Mari.
Per comprende meglio l’essenza di questo spettacolo vogliamo citare le parole dello stesso Martone riportate nel programma di sala: “Rosina è il perno intorno al quale gira tutto il barbiere: se il motore dell’azione è il vitalissimo Figaro del titolo è per liberare lei, la bella prigioniera, che l’azione procede e, nel finale, si scioglie”. Queste parole ci fanno comprendere con chiarezza la soluzione registica adottata nel finale, quando gli interpreti recidono tutte le corde che sovrastavano l’azione scenica: un modo per dare quel senso di libertà non solo verso le angherie subite da Rosina ma anche augurio di un nuovo ritorno alla ‘normalità’ degli spettacoli dal vivo.
La compagnia di canto, in toto, si è rivelata del tutto funzionale alla concezione di questo spettacolo. Ogni cantante ha messo in mostra una presenza scenica di rilievo, molto chiaramente frutto dell’estrema cura dedicata da Martone ad ogni dettaglio dello spettacolo, anche il più minimo. Al fianco della recitazione c’era anche una soddisfacente resa vocale anch’essa dovuta ad un’accurata preparazione musicale derivante dall’esperienza in campo operistico di Daniele Gatti. Una cura rivolta non solo alla realizzazione della linea di canto ma anche ai recitativi che si sono rivelati parte integrante della recitazione rendendo lo spettacolo scorrevole, intelligibile, divertente e partecipato.
Nella disanima della compagnia di canto vogliamo iniziare dalla prova del baritono Alessandro Corbelli. E’ un cantante di lungo corso, gloria del teatro lirico nostrano e ancora in attività, che ha messo tutta la sua esperienza di cantante per offrirci un Bartolo di classe, allo stesso tempo simpatico e burbero; se togliamo qualche comprensibile difficoltà nella famosa aria ‘Ah un dottor della mia sorte’, comunque una delle più difficili di tutto il repertorio lirico italiano, ci ha offerto un personaggio del tutto credibile, scenicamente e vocalmente.
Nella parte di Rosina c’era il mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya, già apprezzata qui a Roma per il suo Romeo nei belliniani Capuleti e Montecchi’, la quale ha fornito anche questa volta una prova del tutto convincente agevolata dal timbro brunito della sua voce al quale riesce ad abbinare una facilità a raggiungere il registro acuto per una Rosina senza dubbio giovanile e affascinante.
Al baritono Andrzej Filończyk è stata affidata la parte di Figaro per la quale ha messo a disposizione la sua gradevole ed incisiva voce ben costruita, dai caratteri inequivocabilmente giovanili abbinata ad una efficace espressività regalandoci un personaggio simpatico e, per certi versi accattivante. Il tenore Ruzil Gatin è stato un Conte d’Almaviva nel solco della migliore tradizione grazie ad una voce che riesce ad abbinare leggerezza ed espressività, molto attenta alle numerose fioriture della linea vocale bilanciando passione amorosa e autorevolezza, entrambi elementi peculiari del personaggio.
Il basso Alex Esposito è stato un Don Basilio molto misurato nelle emissioni vocali e nella recitazione restituendo una certa nobiltà al personaggio che nella tradizione è stato spesso oggetto di discutibili interpretazioni. Patrizia Biccirè è stata una piacevole ed efficace Berta.
Per gli altri personaggi, tutti in linea con l’impostazione scenico-musicale dell’esecuzione, c’erano Roberto Lorenzi Fiorello, Paolo Musio Ambrogio, Pietro Faiella Un notaio e Leo Paul Chiarot Un ufficiale. Per quanto riguarda la parte a lui dedicata il Coro del Teatro dell’Opera ha fornito una buona prova anche grazie alla direzione di Roberto Gabbiani.
Come già accennato Daniele Gatti, direttore musicale del Teatro dell’Opera, ha contribuito in maniera determinante alla riuscita dello spettacolo, ben coadiuvato dall’Orchestra del Teatro dell’Opera con la quale sta rafforzando, recita dopo recita, una proficua collaborazione. La sua direzione è stata brillante ed incisiva, grazie anche a ritmi e tempi adottati che hanno valorizzato non solo le singole parti soliste ma anche esaltato tutte le parti d’insieme che nel Barbiere sono in cospicua quantità, tutte importanti per lo sviluppo della rappresentazione, non solo nei concertati di finale d’atto ma anche nei numerosi duetti e terzetti che costellano questa splendida partitura. Un unico appunto può essere fatto circa la decisione di fare alcuni tagli nella parte finale, soprattutto del Rondò, “Cessa di più resistere”, scritto da Rossini per il grande Manuel Garcia che oggi viene frequentemente espunto nelle varie esecuzioni ma la cui presenza completerebbe decisamente la proposta del capolavoro rossiniano. Una mancanza, comunque, che non ha influito minimante nella riuscita dello spettacolo
La direzione d’orchestra, con il contributo anch’esso determinante della parte visiva, ci hanno dato un Barbiere totalmente ripulito dagli strascichi derivanti dagli abusi della tradizione, una operazione questa che ha partire dalla pubblicazione nel 1969 dell’edizione critica curata da Alberto Zedda, è stata progressivamente attuata per darci una lettura ‘moderna’ di questo capolavoro senza trascurare quello spirito ‘rossiniano’ che lo ha reso famoso nel mondo.
Questa edizione de Il Barbiere di Siviglia è stata tramessa da Rai Tre il 5 dicembre scorso con apprezzabili indici di gradimento. Per chi fosse interessato a vederlo, o rivederlo, è attualmente è disponibile sul sito del Teatro dell’Opera e sarà riproposto dalla stessa Rai Tre la notte di Capodanno; potrebbe essere un modo per salutare, senza alcun rimpianto, questo terribile anno.
Concludiamo con una nostra considerazione su questo genere di spettacolo, favorito oggi da motivi contingenti. Certamente è chiaro il nostro plauso per questa realizzazione ed il suo successo non deve essere considerato come la scoperta di un nuovo modo di rappresentare l’opera. Deve solo essere considerato un omaggio alla Grande Musica oggi penalizzata dagli eventi e, soprattutto, un augurio per una pronta ripresa dello spettacolo dal vivo dove gli elementi fondamentali sono gli esecutori, attori, danzatori, musicisti, cantanti, direttori d’orchestra, registi, scenografi, costumisti, macchinisti e, allo stesso livello di importanza, la presenza del pubblico. Si deve respingere con forza ogni tentazione, emersa anche da parole di rappresentanti delle istituzioni, di favorire lo sviluppo di uno spettacolo come questo che ha alla base il web. L’opera lirica, come il teatro di prosa, la danza ed i concerti, hanno bisogno delle rappresentazioni dal vivo che sono l’unico mezzo per rinnovare, sera dopo sera, recita dopo recita, esecuzione dopo esecuzione, la magia e le emozioni che grandi artisti e autori hanno impresso ai loro capolavori. Tutto il resto, seppur giusto riconoscerne gli aspetti divulgativi, è un surrogato, un sottoprodotto privo di approfondimento emozionale.
Claudio LISTANTI Roma 13 dicembre 2020