di Anna Maria PANZERA
Marina Giorgini
Růžena Zátková. Un’artista dimenticata
Tra le mostre da non perdere per nulla al mondo, in quest’anno che va a finire, c’è senza dubbio Natalia Goncharova. Una donna e le avanguardie, tra Gauguin, Matisse e Picasso, a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 12 gennaio 2020.
Pochi sanno, però, che dietro la magnifica esposizione, voluta dalla lungimirante ed elegante direzione del Palazzo e curata magistralmente da Ludovica Sebregondi (Fondazione Palazzo Strozzi), da Matthew Gale e Natalia Sidlina (Tate Modern), si nasconde un’autentica chicca, una novità assoluta negli studi storico-artistici, un verace successo di ricerca coronato da colpi d’occhio e di fortuna: insomma il desiderio di ogni storico dell’arte, divenuto realtà. Infatti, campeggiano nelle sale, piccoli ma preziosi, il dipinto di un Cristo ieratico, che sembra provenire dalle antichità russe e invece appartiene al pennello modernissimo dell’artista, e un acquerello/gouache raffigurante un Cristo seduto con quattro evangelisti, anch’esso autografo. Sul retro del primo, una dedica di Gončarova all’amica Růžena Zátková, boema trasferita a Roma insieme al marito diplomatico, e pittrice anch’essa, insieme alle precise indicazioni sulla cornice che valorizza ancora il dipinto; una dedica analoga sul retro della seconda opera.
Le due bellissime esecuzioni sono state scoperte di recente e portate in mostra da una giovane ricercatrice italiana, Marina Giorgini, il cui merito, tuttavia, non si ferma qui. Giorgini è autrice del libro indicato nel titolo di quest’articolo; esso non solo dà conto del ritrovamento dei due dipinti della Gončarova (che di per sé basterebbe a renderle onore e a muovere l’interesse del mondo scientifico), ma soprattutto della raccolta, unica e completamente inedita, di una serie di dipinti su carta e cartone di Růžena Zátková.
Chi non ne avesse ancora sentito parlare non ha più scuse: Růžena Zátková è stata una protagonista del Futurismo, un’artista originalissima, una sperimentatrice appassionata e sincera. Il suo nome, come quello di molte artiste, è caduto in un lungo e soffocante silenzio, fino a quando Giorgini ha ripescato ben 13 tavole dipinte fronte-retro, sottraendole letteralmente alla polvere, all’incuria e alla dimenticanza, sia degli eredi, sia degli studiosi; probabilmente legate da una cerniera, quasi a formare un libro d’artista, le tavole presentano colori brillanti, un’ortografia che si fa immagine e organizzazione spaziale, una cura del dettaglio decorativo che apre spazi di libertà espressiva. Tutte presentate nel volume per la prima volta in assoluto, sono opere per le quali attendiamo una mostra, che le possa riunire a quelle già conosciute e conservate presso collezioni private, e possa restituire visivamente al pubblico il profilo e l’immagine di questa personalità affascinante, cui la vita concesse davvero poco tempo.
Già dalla quarta di copertina, infatti, sappiamo che l’esistenza di Zátková, felice come poteva essere quella di una donna dell’aristocrazia mitteleuropea, tra agi, compromessi e decoro del suo ceto, fu tormentata da una malattia mortale e forse dal destino cui erano potenzialmente votate tutte quelle donne privilegiate, che potevano occuparsi d’arte: mantenere la loro attività nei ranghi di una buona educazione. Růžena combatte, come può e come sa, l’una e l’altra condizione: fa tesoro delle amicizie procurategli anche dal marito ambasciatore (per citarne alcune, lo scultore Ivan Meštrović, il compositore Igor’ Stravinskij, Djagilev, Giacomo Balla ma soprattutto Michail Larionov e Natal’ja Gončarova), per superare l’iniziale formazione accademica e dare vita – lei di nascita ceca – a un’arte rinvigorita dalla tradizione orientale e popolare russa e dal futurismo italiano. Sposa in seconde nozze Arturo Cappa, fratello della più nota Benedetta, moglie del roboante Marinetti (di cui realizza i famosi ritratti, ancora oggi facenti parte dell’iconografia riconosciuta e riconoscibile del fondatore del Futurismo italiano); entra nel movimento a pieno titolo, partecipa alle esposizioni, propone “macchine polimateriche e polifunzionali”; vanterà a Roma, in vita, ben due personali.
Il libro di Marina Giorgini ricostruisce in modo dettagliatissimo le vicende dell’artista, il suo percorso creativo, le sue dichiarazioni di poetica; offre al lettore, in maniera precisa e mai pedante, una messe davvero sorprendente di documenti, epistolari, fonti pubblicistiche. Il pregio del suo lavoro non è solo quello di riportare alla luce un nome dimenticato, ma di aprire una vera e propria finestra temporale sugli anni italiani – e romani soprattutto – che vanno dal 1912 (che coincide anche con la prima prova all’estero dei Futuristi, quando espongono a Parigi presso Berheim-Jeune), al primo dopoguerra. La ricostruzione della fitta rete di relazioni della protagonista, oltre all’infaticabile produzione, le dà la struttura su cui poggiare una solida identità artistica e suggerisce ripensamenti di un periodo sul quale c’è ancora molto da indagare, diviso com’è tra un persistente provincialismo (deprecato a più riprese da Severini, che da tempo ha già raggiunto la Francia), e istanze progressiste velate dal fragore demagogico e reclamistico di alcuni leader avanguardisti; tra l’inaugurazione a Roma del celebre monumento a Vittorio Emanuele e la prima tournée dei balletti russi di Djagilev, uno scoppiettante fuoco d’artificio che lascia il pubblico del Teatro Costanzi (futuro Teatro dell’Opera) freddo e perplesso.
Ancora, grazie alle pagine di Giorgini, entriamo tra le mura della Galleria Futurista Permanente; nell’atmosfera delle sedute spiritiche, che cercavano di offrire un ponte all’invisibile dell’immaginazione, oltre il positivismo dei tempi, in anticipo sulle pratiche automatistiche del Surrealismo; comprendiamo meglio per quali elementi il Futurismo italiano debba essere chiamato avanguardia e come si compongono i suoi elementi nichilistici e misogini con una consistente e significativa presenza femminile.
Scopriamo Růžena Zátková e assistiamo anche ad un’opera di riscrittura storiografica, tanto più necessaria oggi che la manualistica tradizionale pensa ancora di poter fare a meno dei nomi delle artiste.
Personalmente, del volume di Giorgini ho amato moltissimo la storia e la presentazione dei cartoni inediti. Ritengo che tali dipinti di Zátková, finalmente pubblicati, riempiano un vuoto nel racconto della storia della nostra pittura, quello occupato dalla scrittura che si fa segno grafico; se non andiamo a recuperare manifestazioni analoghe ma ben più antiche, d’origine medievale, su cui varrà la pena di compiere una ricerca a parte, essa certamente nasce già in ambito futurista, con il paroliberismo, è riedita dall’artista boema con piglio originalissimo e prepotentemente risorge con le neoavanguardie. Come afferma Vitaldo Conte in Scrittura-Pittura in Italia (https://heliopolisedizioni.com/rivista-heliopolis-articoli-saggi-autori-diversi/384-scrittura-pittura-conte-norma-scarto-stile-giovannini.html ):
«Le “parole in libertà”, pur rappresentando il primo passo di uscita dall’ortodossia lineare della scrittura, costituiscono il trampolino di lancio verso le successive “tavole parolibere”. Da queste si può far partire l’inizio della scrittura visuale italiana»;
aggiungerei, che tutto questo accade se non dimentichiamo l’apporto di Zátková, la quale, anche grazie all’uso dell’alfabeto ceco, dunque di una grafia a noi sconosciuta, veramente c’introduce sulla strada di una scrittura-pittura svincolata dal significato, o fusa ad esso in un’immagine astratto-geometrica.
In epoca contemporanea, rassegne come l’XI Quadriennale di Roma, con la sezione “Arte come Scrittura” (1986), la mostra Pittura Scrittura Pittura curata da Filiberto Menna nel 1987-88, o Passages curata da Luciano Caramel nel 1988, mostrano una linea di ricerca vitale e produttiva che in alcuni nomi trova risonanze notevoli con il lavoro di Zátková (si pensi alla poetica e all’opera di Accame Per una regolarità della scrittura, 1974), per non parlare di riferimenti puntuali riscontrabili nella produzione di Simona Weller (già presentata in questa rivista e autrice del famoso Il complesso di Michelangelo, 1976, dove la boema è compresa nell’elenco degli storici nomi femminili dell’arte italiana), o delle elaborazioni dell’alfabeto di Mirella Bentivoglio.
Di tali espressioni l’opera di Růžena Zátková diventa un precedente irrinunciabile, pertanto il volume di Marina Giorgini è un contributo davvero importante. Con un regalo aggiuntivo: trasmette la bellezza della ricerca e la voglia di continuare a farla.
Anna Maria PANZERA Roma 23 dicembre 2019
Marina Giorgini
Růžena Zátková. Un’artista dimenticata
P.I.E‐Peter Lang S.A., Éditions Scientifiques Internationales, Bruxelles New edition, July 30, 2019. 294 pp. 31 b/n ill., 45 c. ill. Lingua: Italiano. ISBN: 978‐2‐8076‐1184‐9