Salvare l’arte è un’arte! 109 opere recuperate dai carabinieri in mostra al Quirinale (fino al 14 luglio)

di Nica FIORI

L’arte di salvare l’arte, in mostra al Quirinale

È opinione comune che l’Italia sia il paese dell’arte per eccellenza, ma i nostri beni culturali sono purtroppo soggetti a eventi catastrofici naturali, ai furti, all’incuria e alla barbarie umana e, se non adeguatamente salvaguardati, possono essere perduti per sempre. Più volte, per fortuna, oggetti d’arte che si ritenevano scomparsi o distrutti sono stati recuperati, restaurati e restituiti alla comunità, come viene evidenziato nella mostra “L’arte di salvare l’arte. Frammenti di storia d’Italia”, che la “Casa degli Italiani”, ovvero il Palazzo del Quirinale, ospita in occasione dei 50 anni di attività del corpo speciale dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (TPC).

Questo reparto, istituito nel 1969, un anno prima della Convenzione Unesco di Parigi, dipende funzionalmente dal Ministro per i Beni e le attività culturali e si occupa della sicurezza e della tutela del patrimonio nazionale, attraverso la prevenzione e la repressione delle molteplici attività criminali in questo specifico settore.

La mostra, a cura di Francesco Buranelli, vuole ricordare mezzo secolo di grandi risultati (quasi due milioni di pezzi recuperati), e lo fa attraverso una selezione di 109 opere (tra sculture, pitture, ceramiche, gioielli, manoscritti, arredi liturgici e mobilio) che vanno dall’Italia preromana agli inizi del Novecento.

Guercino, Visione di San Gregorio Taumaturgo

Alcuni dei reperti esposti li avevamo già visti in precedenti mostre, altri sono una novità assoluta come la grande tela con La Visione di San Gregorio taumaturgo (1630), del Guercino, rubata a Modena e recentemente recuperata dal TPC in Marocco, purtroppo notevolmente rovinata (si è perso circa un metro quadrato di colore, perché i ladri l’avevano arrotolata e nascosta sotto terra). Il dipinto raffigura la Madonna in trono e inferiormente alla sua sinistra San Giovanni evangelista con il vangelo da lui scritto in mano. Entrambi indicano a San Gregorio, che è sulla destra, di seguire il Verbo di Dio: il tutto reso con un felice dialogo di gesti.

 

Bartolomeo Cavaceppi, Diana cacciatrice

Anche la statua in marmo di Bartolomeo Cavaceppi, raffigurante Diana cacciatrice (fine XVIII secolo), asportata dalla Fontana di Diana a Villa Borghese, costituisce uno degli ultimi recuperi, avvenuto a Barcellona nel 2019. La statua ci colpisce perché, pur essendo settecentesca, se non fosse per un ricciolo di capelli sulla spalla, potrebbe essere scambiata per un’opera antica, essendo stata già in precedenza privata della testa, di un braccio e della testa del suo cane da atti vandalici. Osservando queste opere ci rendiamo conto della fragilità del nostro patrimonio culturale, dislocato tra innumerevoli chiese, dimore storiche, musei e nel sottosuolo, preda di ladri senza scrupoli che giungono perfino a tagliare alcuni oggetti per renderli più trasportabili e vendibili.

Ognuna delle opere che ammiriamo in mostra ha una storia da raccontare, e non solo artistica:

Trapezoforo con grifoni che sbranano una cerva

alcune sono state trafugate e portate all’estero illegalmente, a volte nascoste nei caveau di qualche banca svizzera, altre volte sono state sul punto di essere vendute dopo uno scavo clandestino, ma sono state recuperate e restituite al loro luogo di appartenenza grazie alla competenza e alla professionalità di chi appunto esercita “l’arte di salvare l’arte”. Nella prima sala introduttiva ammiriamo gli oggetti più disparati e cronologicamente lontani per avere un’idea della varietà delle opere recuperate, dal trapezophoros (sostegno di mensa) in marmo di Afrodisia (IV secolo a.C.) con due grifoni che sbranano una cerva, scavato clandestinamente ad Ascoli Satriano (Foggia) e recuperato negli USA, al cratere di Assteas (ceramografo di Paestum) raffigurante il Ratto di Europa, asportato da un tombarolo a Sant’Agata de’ Goti (Benevento) e recuperato anch’esso negli Usa, agli ottocenteschi Ori Castellani, trafugati dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (v. articolo al link https://www.aboutartonline.com/operazione-villa-giulia-recuperata-di-carabinieri-lultima-preziosa-collana-castellani-rubata-sei-anni-fa/), ai dipinti di Vincent Van Gogh (Il giardiniere)

Van Gogh, Il giardiniere

e di Paul Cézanne (Le Cabanon de Jourdan), rubati dalla Galleria Nazionale d’Arte moderna, al tesoro di Morgantina costituito da raffinatissimi argenti da banchetto della Sicilia ellenistica, alla Triade Capitolina di Guidonia, alla lettera di Cristoforo Colombo sottratta dalla Biblioteca Riccardiana di Firenze e recuperata negli USA, alla scrivania settecentesca dell’ebanista Piffetti, rubata a Torino nel secondo dopoguerra, e al Guercino, da poco rimpatriato e restaurato, che verrà restituito alla Chiesa di San Vincenzo a Modena.

Triade capitolina

Si entra poi nel vivo della mostra con tre diversi tentativi di ricontestualizzare i capolavori recuperati dal TPC, riferiti a tre diversi momenti della nostra Storia, a partire dalla “prima Italia”, quindi il primo Rinascimento, per concludere con l’Italia di oggi e infine una sezione dedicata alle opere scomparse che ancora mancano all’appello, tra cui la Natività di Caravaggio rubata nel 1969 a Palermo e il Bambinello dell’Aracoeli rubato a Roma nel 1994.

Tra i reperti della prima Italia, sono esposti importantissimi pezzi provenienti da scavi clandestini presso Cerveteri, l’importante città etrusca famosa per la necropoli, tra cui una statua in nenfro del demone Charun, alcuni frammenti di decorazione architettonica del tempio di Hercle (in località Sant’Antonio), e il celebre cratere attico a figure rosse firmato dal pittore Euphronios (ca. 515 a.C.), restituito dal Metropolitan Museum di New York. Esso raffigura sul lato A il trasporto del corpo di Sarpedonte (il principe licio morto a Troia) nella sua patria ad opera di Thanatos (la Morte) e di Hypnos (il Sonno), alla presenza di Hermes: un episodio mitico indubbiamente reso con grande pathos;

Cratere di Eufronio, col trasporto del corpo di Sarpedonte

sul lato B sono invece dipinti dei giovani in partenza per la guerra, e quindi in atto di armarsi. Sempre di Eufronio sono un altro cratere attico a volute (da Arezzo) con Amazzonomachia di Eracle e una kylix (da Cerveteri), con miti relativi all’Iliade.

Da Taranto proviene un monumentale cratere apulo con volute a mascheroni (ca. 330 a.C.), capolavoro del Pittore di Dario, che raffigura come scena principale la partenza di Anfiarao da Argo per la spedizione dei “Sette contro Tebe” e sul retro un edificio funerario a naiskos (piccolo tempio) con un guerriero al suo interno e intorno un corteo funebre.

Pavimento della nave di Caligola

È invece di epoca romana, ma molto restaurato, un reperto che si riteneva perduto: un pezzo del pavimento in opus sectile di una delle due navi-palazzo di Caligola, che dopo essere state recuperate dal fondo del lago di Nemi, erano conservate nel Museo delle Navi a Nemi. Le navi andarono distrutte in un incendio doloso, provocato dalle truppe tedesche in ritirata il 31 maggio 1944, ma evidentemente il prezioso riquadro con disegni geometrici in porfido e serpentino era arrivato clandestinamente in America ed è stato recuperato di recente.

All’Italia del primo Rinascimento è dedicata una sala che ha come tema l’arte sacra, intitolata con un verso della Divina Commedia: “Sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote”.

Piero della Francesca, Madonna di Senigallia

Sono state esposte in questa sala delle immagini della Madonna, che è patrona dell’Arma dei Carabinieri col suo titolo di Virgo fidelis. Ricordiamo in particolare la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, rubata nel 1975 dalla Galleria Nazionale di Urbino insieme ad altri celebri dipinti e ritrovata in Svizzera, e poi le Madonne di Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Antoniazzo Romano, Perugino, Andrea della Robbia. Come leggiamo in un pannello esplicativo, sono “capolavori di devozione privata che manifestano il comune sentire religioso espresso da differenti colori, espressioni e simboli che sono lo specchio di un’Italia estremamente progredita, culturalmente vivacissima, che contava circa dieci milioni di abitanti divisi in tanti piccoli, rissosi stati ognuno con il suo principe e la sua corte”.

Erano sì “rissosi” quegli stati, ma in grado di generare un periodo artistico ineguagliabile, come era successo forse solo nell’Atene del V secolo a.C.

Appartiene all’ultima sezione la sala dedicata al recupero delle opere d’arte nelle zone terremotate, tra le quali spiccano la grande pala d’altare (3,5 m di altezza) di Giovan Battista Tiepolo, con L’Apparizione della Madonna col Bambino a San Filippo Neri, già sopravvissuta all’alluvione di Firenze e recentemente al sisma del 2016 che ha colpito l’Italia Centrale (l’opera ritornerà ora nella sua sede a Camerino), la tavola di Cola dell’Amatrice raffigurante La sacra famiglia con San Giovannino (1527), salvata ad Amatrice, e il Crocifisso (1490-1520) in legno intagliato e dipinto da Giovanni Antonio di Giordano da Norcia, simbolo di un’umanità sofferente che richiama il ricordo della terribile distruzione dovuta al sisma.

Rilievo funerario palmireno

In questi ultimi anni il TPC ha costituito un’apposita task force, denominata “unite4Heritage” (i cosiddetti Caschi blu della cultura), per interventi in situazioni di crisi pre o post conflittuale (è esposto anche un rilievo funerario da Palmira, in Siria), e per interventi di emergenza in caso di calamità naturali come il recente terremoto, offrendo un sostegno tecnico logistico alle soprintendenze statali.

Nica FIORI  Roma   maggio 2019

L’arte di salvare l’arte. Frammenti di storia d’Italia

Roma, Palazzo del Quirinale (Palazzina Gregoriana) 3 maggio-14 luglio 2019. Ingresso gratuito, ma con prenotazione obbligatoria sul sito web del Quirinale

http://palazzo.quirinale.it/mostre/mostre.html