San Clemente e la sua basilica romana. Storia, architettura e arte di uno dei complessi più straordinari di Roma.

di Nica FIORI

Il 23 novembre ricorre la memoria di san Clemente, ovvero papa Clemente I, noto anche come Clemente Romano per distinguerlo dallo scrittore cristiano Clemente Alessandrino.

Il suo pontificato si colloca, pur con qualche incertezza, dopo quelli di Pietro, Lino, Anacleto negli anni 88-97. Secondo quanto affermato nella Legenda aurea da Iacopo da Varazze:

Il nome Clemente deriva da cleos, che vuol dire gloria e mens, che vuol dire mente, come dire mente gloriosa”.
1 Clemens Romanus, XI secolo, Cattedrale di Santa Sofia, Kiev

Forse potrebbe essere questo il motivo per cui questo nome è stato scelto da molti pontefici, oltre ovviamente al fatto che richiama la clemenza e la misericordia.

Della vita di san Clemente non si conosce nulla di certo, ma la ricca letteratura antica mostra eloquentemente quanta importanza abbia avuto il suo apostolato nella Chiesa primitiva. Il Liber pontificalis lo fa nascere a Roma da Faustino (un membro della famiglia dei Flavi) sul Celio ed è su quel colle che è sorta la sua chiesa. Iacopo da Varazze riferisce una storia leggendaria sulla sua giovinezza, nella quale si parla del suo ricongiungimento con i familiari che credeva naufragati molti anni prima, in seguito all’incontro con san Pietro e alla conversione al cristianesimo di tutta la famiglia, in un crescendo di situazioni magiche e miracolistiche che vedono la contrapposizione di Pietro all’antagonista Simon Mago. 

Origene identificava papa Clemente con il collaboratore di san Paolo, da lui lodato nella Lettera ai Filippesi, e così facevano Eusebio di Cesarea, Epifanio e Girolamo. Secondo un’antica tradizione Clemente venne inviato da san Pietro a Cagliari, in Sardegna, per evangelizzare l’isola. Poco probabile appare l’identificazione di papa Clemente col console del 95 Tito Flavio Clemente, che venne giustiziato sotto l’imperatore Domiziano, suo parente, per impietas (ateismo), ma in realtà perché cristiano, mentre la moglie Domitilla venne esiliata. Venuta meno questa ipotesi, si pensa attualmente che il nostro Clemente non fosse un membro della famiglia dei Flavi, ma che potesse essere un liberto di origine ebraica, o figlio di un liberto, della famiglia imperiale.

Sotto il pontificato di Clemente I, nel 96, alcuni fedeli della Chiesa di Corinto si ribellarono ai loro presbiteri, destituendoli e nominandone altri al loro posto. Il papa intervenne con una sua lettera, nella quale esortava i membri della Chiesa corinzia alla concordia, biasimando i personalismi e le ambizioni dei singoli. Questa Lettera ai Corinzi, anche se non abbiamo la certezza della sua attribuzione a Clemente, assume grande importanza perché, oltre a fornire preziose informazioni sulla vita delle prime comunità cristiane, dimostra che già a quei tempi la Chiesa di Roma godeva di una particolare autorità rispetto alle altre, considerato che quella di Corinto, che pure era una tra le prime chiese a essere state fondate, si rivolgeva a Roma per dirimere una questione interna.

Non tutti gli studiosi ritengono, tuttavia, che sia stata la Chiesa di Corinto a rivolgersi al vescovo di Roma; non essendoci notizie certe in merito, è stata anche avanzata l’ipotesi che il vescovo di Roma sia stato interpellato da alcuni cristiani romani presenti a Corinto e spettatori di quanto accadeva lì.

San Clemente sembrerebbe il pontefice più forte del primo cristianesimo (ovviamente dopo san Pietro), in grado di fare numerosi proseliti e di suscitare diffidenza ai vertici del potere imperiale. I testi antichi affermano che Clemente fu papa fino al principato congiunto di Nerva e Traiano, nel 97, quando sarebbe stato condannato all’esilio e ai lavori forzati in Crimea. Al suo posto come papa sarebbe subentrato Evaristo.

Secondo quanto raccontano gli Atti apocrifi del suo martirio, ricchi di narrazioni ampiamente leggendarie, Clemente a Roma aveva convertito Teodora, moglie di Sisinnio (un non identificato prefetto) e, dopo alcuni presunti “miracoli”, si sarebbero convertiti lo stesso Sisinnio e altre 423 persone di un certo rango. Ragion per cui Traiano lo esiliò in Crimea dove, secondo la leggenda, avrebbe dissetato 2000 persone, convertito moltissimi al cristianesimo ed eretto 25 chiese. Allora Traiano, che non era affatto tenero con i cristiani, avrebbe ordinato che Clemente fosse gettato in mare con un’ancora di ferro al collo. Strumento che sarebbe diventato poi un attributo iconografico del santo.

2 Bernardino Fungai, Martirio di S. Clemente, 1498-51

Dopo questi avvenimenti, ogni anno il mare recedeva di due miglia, fino a rivelare un sacrario miracolosamente costruito dagli angeli, che conteneva le ossa del martire, dove i fedeli potevano annualmente recarsi in pellegrinaggio.

Intorno all’868 san Cirillo, che si trovava in Crimea per evangelizzare i popoli slavi, pur non trovando più la tomba subacquea, rinvenne in un tumulo delle ossa accanto a un’ancora. Immediatamente si credette che queste fossero le reliquie di Clemente. Trasportate a Roma dai santi Cirillo e Metodio, furono deposte da papa Adriano II (867-872) sotto l’altare maggiore della basilica inferiore di San Clemente. Anche Cirillo, morto a Roma nell’869, venne sepolto nella stessa chiesa.

3 Protiro di San Clemente

Va subito chiarito che si parla di basilica “inferiore” perché l’edificio, del quale dà notizia già san Girolamo alla fine del IV secolo, venne interrato, probabilmente a seguito dei danni provocati dai Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084. Sopra di essa, nel XII secolo, all’epoca di Pasquale II (1099-1118), venne innalzata l’attuale basilica, rimodernata poi nel Settecento da Carlo Stefano Fontana.

Alla basilica di San Clemente, situata tra il Colosseo e il Laterano (in piazza di San Clemente), si accede da un protiro medievale che immette in un quadriportico, dal quale si può ammirare la facciata settecentesca con il coevo campanile. Sul lato destro si trova l’ingresso al convento dei domenicani irlandesi.

4 Basilica di San Clemente vista dal quadriportico

Il complesso di San Clemente è uno dei monumenti più straordinari di Roma, perché consente di immergersi in una parte nascosta della città, emersa scavando nei depositi secolari di diverse epoche. Immediatamente al di sotto dell’attuale chiesa, come già accennato, è la basilica primitiva, a sua volta poggiante su ambienti romani risalenti al I secolo, in uno dei quali è stato ricavato un mitreo. Ancora più sotto si trovano i resti di altri edifici bruciati nell’incendio di Nerone del 64. Perdutosi nei secoli il ricordo di ciò che era nascosto nelle viscere della chiesa, fu solo nel 1857 che padre Joseph Mullooly, coadiuvato dall’archeologo Giovanni Battista De Rossi, iniziò una campagna di scavi che progressivamente fecero riaffiorare gli antichi edifici.

Oggi la visita di questi sotterranei è una delle più emozionanti che Roma riserva ai visitatori. Scendere le scale che portano a essi è come aprire le porte alla storia e penetrare nel vissuto di tanti anni fa, denso di memorie pagane e cristiane.

Nella basilica inferiore, il cui aspetto originario risulta in parte alterato per l’aggiunta di muri di sostegno delle strutture sovrastanti, sono state raccolte nel nartece numerose iscrizioni e frammenti rinvenuti durante gli scavi.

5 Oscillum in forma di pelta
6 Figura di Crioforo, IV secolo

Altri materiali marmorei (tra cui un oscillum del I-II secolo, una figura di Crioforo, ovvero portatore di agnello, degli inizi del IV secolo, teste e testine) sono raccolti in alcune teche nella sacrestia adibita a biglietteria.

Sulle pareti della basilica paleocristiana, rimasta in uso per oltre sette secoli, sopravvivono diversi affreschi medievali, dai colori un po’ sbiaditi, tra cui quello di Maria Regina dell’VIII secolo e un’Ascensione del IX secolo, nella quale Cristo è rappresentato come trionfatore sulla morte. Sul muro di rinforzo del nartece è affrescato il Miracolo del Mar Nero, dell’XI secolo.

Vi si racconta come una donna ritrovò il figlioletto che si era smarrito l’anno prima dentro la tomba sottomarina di san Clemente, cui, come detto in precedenza, si poteva accedere una volta l’anno per un miracoloso scostarsi delle acque. Tutt’intorno è raffigurato uno “spaccato” di mare con grandi pesci.

7 Riproduzione del Miracolo del Mar Nero

Tra gli affreschi che si sono conservati nella navata maggiore ricordiamo le Storie di Sant’Alessio. Alessio era un giovane patrizio romano che, dopo essere fuggito di casa e aver mendicato per amore di Dio, torna in patria ed è accolto per carità dal padre Eufemiano, che però non lo riconosce. Al di sotto è una vivace decorazione con fiori e uccelli variopinti.

Sulla stessa parete si trovano altri affreschi dell’XI secolo raffiguranti La messa di S. Clemente e San Clemente perseguitato da Sisinnio. In quest’ultimo si legge una curiosa iscrizione: “Falite dereto co lo palo …” (Fate leva da dietro col palo …), seguita da un’altrettanto colorita invettiva: “Fili de le pute, traìte”. Queste parole, che costituiscono uno dei primi esempi del volgare italiano, illustrano come in un fumetto l’episodio della vita di san Clemente, relativo alla conversione della moglie del prefetto Sisinnio. I servi di Sisinnio, accecati prodigiosamente – come del resto lo stesso prefetto – trasportano una colonna al posto del pontefice che credono di aver arrestato. L’ultima frase è, pertanto, un’esortazione a tirare con forza quel “corpo” divenuto eccessivamente pesante.

8 Riproduzione degli affreschi con La messa di San Clemente e Clemente perseguitato da Sisinnio
9 Altare con raffigurazione di Mitra

Il livello che attrae maggiormente i visitatori è probabilmente quello più basso, con costruzioni più antiche. Un grande edificio del I secolo potrebbe essere un magazzino o uno stabilimento industriale, forse una zecca. C’è pure un piccolo vicolo che separa la presunta zecca da un edificio abitativo. Nel III secolo parte di questa casa è stata trasformata in un mitreo. Il vestibolo adorno di stucchi introduce nell’aula mitraica, dove è collocato un altare, ornato sulle quattro facce da rilievi raffiguranti sul davanti la tauroctonia, ovvero l’uccisione del toro primordiale da parte del dio solare Mitra, sul retro un enorme serpente e ai lati i due dadofori associati al dio: Cautes e Cautopates, il primo con la fiaccola alzata a simboleggiare il giorno, l’altro con la fiaccola abbassata per indicare la notte.

La volta del locale allude al cielo stellato, la cui luce è data da Mitra, che, secondo il mito, era nato dalla pietra con un pugnale in mano. Il culto di Mitra, nato in ambiente indo-iranico, si trasforma in religione misterica quando, a partire dal I secolo d.C., comincia a diffondersi nell’impero romano soprattutto tra i soldati, perché Mitra era garante dei giuramenti, e quindi adatto a essere invocato da chi rischiava la vita in guerra. Mitra era allo stesso tempo colui che risolveva il conflitto cosmico, liberando l’umanità dall’angoscia e dal male. Il mitraismo è stato più volte paragonato al cristianesimo per alcuni aspetti rituali, ma, mentre la religione cristiana si rivolgeva a tutti, quella di Mitra era riservata a pochi iniziati.

Ai lati del mitreo si sono conservati i banconi per il banchetto mistico; inoltre, una statuina del dio, raffigurato come petrogenito, è collocata in una nicchia sul fondo. La visione di questa sala ci riporta indietro nel tempo e con un po’ di fantasia possiamo immaginare i fedeli che, alla luce di fioche lampade, rivolgevano lo sguardo verso l’immagine del loro dio, quando il Pater officiava l’antico rito.

10 Mitreo di San Clemente

Il Pater era il grado più alto della scala iniziatica che prevedeva sette gradi, ognuno associato a un pianeta. Nella concezione mitraica, infatti, i pianeti erano divinizzati, come pure i segni dello Zodiaco e lo stesso Tempo, concepito come Necessità inesorabile e raffigurato di norma come un uomo dalla testa leonina, avvolto dalle spire di un serpente.

Questo mitreo, obliterato dalla trasformazione del sito nel titulus Clementis e dalla successiva basilica paleocristiana, sembra confermare la tendenza della Chiesa romana a esorcizzare i luoghi sacri a Mitra (o ad altre divinità) impiantandovi al di sopra i suoi santuari. La stessa cosa in effetti, è successa al mitreo di Santa Prisca e a quello di Santo Stefano Rotondo.

Dopo aver attraversato il labirinto degli ambienti romani, il cui silenzio è rotto soltanto dal rumore di un ruscello sotterraneo che scorre sotto e intorno ai ruderi, si risale nel livello intermedio e poi nell’attuale chiesa, il cui impianto a tre navate, terminanti ciascuna in un’abside, riprende in parte quello della basilica inferiore (in un muro è ben evidente questa stratificazione, perché si vede la parte superiore delle arcate sottostanti), con pilastri divisori alternati a gruppi di colonne.

11 Basilica di San Clemente, interno

Le colonne sono antiche (in parte lisce e in parte scanalate), mentre i loro capitelli ionici, in stucco, risalgono alla sistemazione da parte di Carlo Stefano Fontana, l’architetto che ha rimodernato la chiesa al tempo del papa Clemente XI (1700-1721), le cui armi araldiche (Albani) sono raffigurate nei soffitti a cassettoni dorati. Al centro di quello della navata mediana si ammira l’arioso affresco di Giuseppe Chiari, raffigurante la Gloria di S. Clemente, che presenta come attributo del santo l’ancora del martirio portata da angeli.

12 Giuseppe Chiari, affresco con Gloria di San Clemente

Il pavimento, nel quale qua e là sono state riutilizzate epigrafi frammentarie di marmo, è di tipo cosmatesco, con bellissime rotae (dischi ottenuti affettando antiche colonne) in porfido e serpentino, che si susseguono fino al presbiterio, in parte nascosto alla vista dalla marmorea schola cantorum, i cui pezzi vennero trasferiti dalla basilica sottostante, come attesta il monogramma del donatore papa Giovanni II (533-535) sui plutei laterali.

13 pavimento cosmatesco
14 Monogramma di Giovanni II

I Cosmati hanno completato la sistemazione della schola inserendo alcuni marmi colorati e aggiungendo i due amboni e il candelabro pasquale. In fondo è il ciborio a quattro colonne e, addossata all’abside, la cattedra episcopale.

La chiesa è molto ricca di opere di scultura (tra cui alcuni monumenti funebri) e di pittura: ricordiamo in particolare la quattrocentesca cappella di Santa Caterina d’Alessandria, con gli affreschi di Masolino da Panicale.

 

15 Cappella di Santa Caterina, affreschi di Masolino da Panicale

Ma, indubbiamente, ciò che colpisce maggiormente il visitatore è lo splendido mosaico absidale del XII secolo, ricco di motivi simbolici cristiani. Al centro di una conca dorata, domina la scena la figura di Cristo crocifisso tra la Vergine e san Giovanni. Nei bracci della croce 12 candide colombe alludono agli apostoli. Gli apostoli sono pure ricordati dalla dodici pecore, sistemate ai lati dell’Agnus Dei nella parte inferiore del mosaico.

16 Mosaico absidale
17 Mosaico absidale, particolare

La croce spunta come un albero di vita da un rigoglioso verde cespuglio d’acanto, dal quale si dipartono innumerevoli girali simili a tralci di vite (un motivo di origine classica, presente anche nell’Ara Pacis di Augusto) e quattro mistici rivoli d’acqua, cui si abbeverano i cervi, che nell’iconografia paleocristiana simboleggiano le anime assetate dei fedeli.

Al di sopra della croce si vede la mano dell’Eterno che porge la corona al Figlio da un cielo, che appare suddiviso in settori con un motivo a ventaglio (simile a quello dei mosaici absidali di Santa Maria in Trastevere e di Santa Francesca Romana). Tutto l’insieme è meravigliosamente animato da figurine umane e di animali, sulle quali si irradia una luce carezzevole che screzia di mille riflessi colorati i particolari naturalistici di questo giardino paradisiaco.

Nel mosaico dell’arco trionfale soprastante è raffigurato Cristo pantocratore tra i simboli degli evangelisti; a sinistra i santi Lorenzo e Paolo e al di sotto il profeta Isaia; a destra san Clemente, accanto a san Pietro e al di sotto il profeta Geremia. Clemente ha in mano l’ancora e ai suoi piedi è raffigurata una trireme, pure allusiva al suo martirio. La scena è accompagnata dalle seguenti parole: “Respice promissum, Clemens, a me tibi Christum” (Guarda, Clemente, il Cristo che ti ho promesso).

18 Mosaico dell’abside e dell’arco trionfale
19 Particolare del mosaico dell’arcone con san Pietro e san Clemente

Evidentemente è san Pietro che si rivolge a Clemente, indicandogli in alto la visione del Pantocratore.

Si coglie nell’insieme dei mosaici il messaggio di un ritorno alla Chiesa delle origini. La scritta in latino nella composizione centrale “Ecclesiam Cristi viti similabimus isti (…) quam lex arentem, set Crus facit esse virentem” (Paragoneremo la Chiesa di Cristo a questa vite (…) che la legge inaridisce e la Croce fa rinverdire), sembra far riferimento alla frase di Gesù, riportata nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, …”. Più complessa sembra l’antitesi tra la legge e la Croce.

Se il tema del mosaico absidale si rifà a quello distrutto della primitiva basilica paleocristiana (come si può supporre forse dal riutilizzo di varie tessere dorate di epoche precedenti), allora il termine lex potrebbe riferirsi alla legge del Vecchio Testamento, ma più probabilmente la frase, scritta nel XII secolo, potrebbe alludere alla legge civile, dato il clima dell’epoca ancora acceso dai violenti conflitti della lotta per le investiture.

Nica FIORI  Roma  20 Novembre 2022