P d L
C’è chi ha visto un qualche legame tra la tragedia consumatasi a Genova il giorno precedente ferragosto e il crollo del soffitto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami in pieno Foro Romano, un legame che consisterebbe nell’enigma e nella crisi delle competenze, nei reticoli burocratici che avvolgono e molto spesso impediscono quei lavori di prevenzione e di risistemazione che eviterebbero molti drammi. L’anno scorso la caduta di un elemento architettonico nella navata della chiesa di Santa Croce a Firenze provocò la morte di un turista spagnolo ma poi altri significativi crolli, per fortuna senza conseguenze mortali, hanno interessato il nostro patrimonio, come nel caso di San Gimignano con il crollo di otto metri della cinta muraria, o come nel caso della Reggia di Caserta con i cedimenti nella Sala delle Dame, per non parlare di Pompei, vero e proprio sorvegliato speciale, e –ritornando a Roma- delle Mura Aureliane dove lo scorso anno si sbriciolò letteralmente il tetto di un torrione nella zona centrale della città. Ed ogni volta ci si interroga: quanti altri ponti, o solai, o tetti, o colonne, o architravi sono a rischio? Per restare nell’ambito delle chiese romane, ne sono calcolate oltre 300 all’interno delle Mura Aureliane, risalenti a prima della Breccia di Porta Pia. Di esse la titolarità giuridica (ergo: la responsabilità) spetta – a partire da quando, nel 1984, l’allora Primo ministro Craxi e il Cardinale Casaroli, siglarono il ‘nuovo’ concordato che in pratica annullava i Patti Lateranensi del ’29- al Vicariato di Roma, chiamato quindi alla gestione anche economica della preservazione delle chiese, posto però che le opere d’arte al loro interno sono parte del patrimonio artistico dello Stato, ossia delle Soprintendenze, che quindi ne controllano la gestione. Che vuol dire? Che il Vicariato quando si deve intervenire per la manutenzione stanzia i fondi e assegna l’appalto, ma poi le Soprintendenze controllano la realizzazione dei lavori. Ma qui nascono i problemi e il ‘caso’ della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami è emblematico perché li racchiude tutti. La competenza dei lavori di conservazione e manutenzione della chiesa in effetti spetta al Vicariato, in quanto proprietario, se non che la via dove sorge, via del Clivo Argentario, rientra nel Parco Archeologico del Colosseo che unisce insieme oltre all’Anfiteatro Flavio, la Domus Aurea, il Palatino, i Fori. Dunque chi è responsabile ? chi paga o chi controlla? Tra il 2012 e il 2015 la chiesa di San Giuseppe fu soggetta peraltro ad alcuni importanti restauri riguardanti la sostituzione del pavimento, la ripresa dell’intonaco e la sostituzione delle tegole poggianti sulle travi del tetto, proprio lì dove alcuni giorni fa si è verificato il cedimento. Un intervento complesso, costato oltre 700 mila euro, e molto delicato vista la presenza di numerose opere d’arte, tra cui alcuni veri capolavori, e la straordinaria importanza storico-simbolica del complesso, che poggia come è noto sul carcere Mamertino, dove vennero rinchiusi e a quanto si sa strangolati Giugurta e Vercingetorige, oltre ai seguaci di Catilina ma più noto ancora come luogo di detenzione dei Santi Pietro e Paolo. Il fatto che solo dopo tre anni sia accaduto un accidente di questa portata, che solo per un caso non si è tradotto in tragedia, lascia sconcertati e sembra avvalorare l’impressione -che hanno soprattutto proprio i romani in questi ultimi tempi- che la città sia lasciata a se stessa, che addirittura stia andando in malora. Ha scritto Marco Lodoli: ”E’ crollato il soffitto di una chiesa al centro di Roma, speriamo non crollino anche la speranza la voglia di vivere nella città più bella del mondo, una volta, e oggi alla deriva come un vecchio galeone pieno d’acqua e di lacrime”.
P d L Roma 2 settembre 2018