di Nica FIORI
“Nell’alba fosca la grande Vergine di Nicomedia è venuta, è venuta Barbara senza palma ed ha toccato l’acciaio con la sua bella e pura mano ed ha colto una foglia di questo lauro e messa la foglia sulla sua bocca per velar la voce e ha detto: Al segno!”.
Con queste parole Gabriele D’Annunzio, il poeta-soldato, ricordò Barbara di Nicomedia il 4 dicembre 1920 a Fiume, nel giorno della commemorazione della santa, rivolgendosi ai “Cannonieri della Reggenza”, che la veneravano come protettrice, allo stesso modo della Marina militare, degli artiglieri, dei genieri, dei vigili del fuoco, dei minatori, dei pirotecnici.
Questa santa, in effetti, a dispetto del suo dolcissimo aspetto virginale, è la potente signora di cose terribili, come il fuoco, i fulmini e le saette. Il deposito delle munizioni nelle navi da guerra e nelle caserme è tuttora chiamato “santabarbara” e alcuni artisti l’hanno raffigurata con un cannone ai suoi piedi. Ricordiamo in particolare il dipinto di Giovan Battista Moroni La Vergine col Bambino in gloria e i santi Barbara e Lorenzo (olio su tela 1575-1578), commissionato dalla Congregazione dei Bombardieri di Bergamo per la chiesa del Carmine e attualmente nella Pinacoteca di Brera a Milano.
Il suo culto, proveniente forse dall’Egitto, venne portato a Roma intorno al VI secolo. Leggende greche di età incerta collocano una santa Barbara vergine e martire in vari luoghi orientali, più comunemente a Nicomedia di Bitinia (una delle quattro capitali dell’impero sotto la Tetrarchia). Leggende latine posteriori la collocano anche in Italia e in particolare in Sabina, dove, secondo una tradizione, sarebbe stata uccisa a Scandriglia (Rieti), località dove si era trasferita al seguito del padre. Da lì il suo corpo sarebbe stato traslato nel X secolo a Rieti, città di cui è patrona.
Rivendicano il possesso delle sue reliquie diverse altre città, tra le quali il Cairo, Istanbul, Torcello (Venezia) e Piacenza, mentre la testa è venerata a Novgorod (in Russia) e in Pomerania. Si racconta anche che un tempo la testa si trovasse a Roma tra le reliquie del Sancta Sanctorum del Laterano, mentre nella chiesa romana ai Giubbonari (nel largo dei Librari) fossero conservati parte del suo corpo e il velo che ricopriva la sua tomba. Altre reliquie si veneravano in altre chiese romane, come nell’oratorio di Santa Barbara, nei pressi di San Gregorio al Celio.
Giovanni Diacono, che intorno all’875 scrisse una vita di san Gregorio Magno (papa dal 590 al 604), narra che il santo pontefice cantava le lodi del Signore proprio in questo luogo.
Sempre al Celio si può ammirare una cappella di Santa Barbara all’interno del complesso dei Santi Quattro Coronati; il Liber pontificalis afferma che san Leone IV (papa dal 847 all’855) aveva una particolare devozione verso la santa e ricorda i donativi da lui fatti a questa cappella.
Pur trattandosi di una fanciulla la cui vita è tutt’altro che certa, Barbara ha goduto di grandissima popolarità e di una straordinaria fortuna artistica, letteraria e perfino televisiva (si ricorda un film RAI del 2012 con Vanessa Hessler e Massimo Wertmüller). Protettrice di un numero consistente di paesi e di città, la santa è patrona di torri e fortezze e difende dai fulmini, dagli incendi, dalla morte improvvisa. Appartiene al gruppo dei 14 santi Ausiliatori e insieme a Margherita, Caterina d’Alessandria e Dorotea è una delle “Quatuor Virgines Capitales”.
La Legenda Aurea, che ebbe tanto successo in età medievale, racconta che Barbara era nata in una provincia romana da un ricco pagano di nome Dioscoro. Allevata nel paganesimo, si convertì però alla fede cristiana e divenne in breve tempo ferventissima osservante, così da consacrare al Signore la sua verginità.
Il padre era desideroso di dare in sposa la figlia, che era ritenuta molto bella, a un pagano ricco e potente, ma Barbara si mostrò contraria a quell’unione, perché in cuor suo si era consacrata a Gesù Cristo. Il padre la fece rinchiudere allora in una torre, convinto che in questo modo la fanciulla avrebbe ceduto alla sua volontà. Allontanatosi dalla città, Dioscoro trovò che al suo ritorno la torre aveva tre finestre, invece delle due che lui aveva ordinato agli architetti; questo perché Barbara aveva chiesto loro di aggiungere una terza finestra a simboleggiare la Trinità.
A questo punto il padre si rese conto che la giovane era diventata cristiana e allora, preso da un furore folle, si avventò su di lei, che però riuscì a fuggire. La fuga non durò a lungo, perché un pastore svelò il suo nascondiglio e venne per questo pietrificato per volere divino con tutte le sue pecore. Dioscoro trascinò la figlia davanti a Marciano, prefetto romano della città e persecutore dei cristiani.
Barbara fu torturata con verghe che si tramutarono in penne di pavone, venne trascinata nuda per la città ma la sua nudità venne miracolosamente sottratta alla vista, venne chiusa in carcere e dopo ulteriori torture, avendo rifiutato di abiurare la fede cristiana, venne decapitata per mano del padre.
Immediatamente dopo questo gesto di inaudita violenza, Dioscoro venne colpito da un fulmine caduto dal cielo e di lui non rimase altro che la cenere. Proprio in ricordo di questo fatto, dopo la scoperta della polvere da sparo, che ha in sé la potenza del fulmine, la santa divenne patrona degli artiglieri.
Secondo una tradizione la morte viene datata al 4 dicembre del 304, quindi sotto l’imperatore Massimiano (286-305). Lo stesso giorno sarebbe stata martirizzata anche santa Giuliana. Altre tradizioni indicano date diverse, sotto Massimino Trace (235-238) oppure sotto Massimino Daia (308-313) e varia anche il luogo del martirio. Se si dà credito al fatto che l’imperatore fosse Massimiano, poiché questi era tetrarca d’Occidente, è più plausibile che i martirii di Barbara e Giuliana siano avvenuti in una località situata nella parte occidentale dell’Impero. Massimino Daia, invece, regnava nella parte orientale e in questo caso è più probabile che il luogo fosse Nicomedia.
In ogni modo il culto si diffuse sia in Oriente che in Occidente ed è tuttora vivo in molte regioni italiane, in particolare in Veneto, in Toscana, in Umbria, nel Lazio e in Sicilia.
Alla sua storia leggendaria si è ispirata l’iconografia che la rappresenta con una torre in mano, come per esempio nel dipinto di Cosimo Rosselli nella Galleria dell’Accademia di Firenze,
o in quello di Bartolomeo Vivarini alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, oppure con la torre alle spalle e una pisside in mano, come ritratta da Lucas Cranach il Vecchio nel dipinto della Gemäldegalerie di Dresda. L’attributo della pisside nasce dal patronato contro la morte cattiva e improvvisa con allusione a quella del padre e dalla preghiera che recita:
“Signore, per intercessione di santa Barbara, concedici di ricevere il sacramento prima di morire”,
come ricorda Alfredo Cattabiani nel suo libro “Santi d’Italia” (1993); per questo motivo le confraternite della Buona Morte l’hanno sempre avuta come patrona.
Il motivo della torre, che richiama quella d’avorio nella quale era stata rinchiusa Danae nel mito greco, vuole alludere alla porta del Cielo, cioè la via per elevarsi, e nel cristianesimo diventa anche simbolo di vigilanza e scala verso il divino.
Altri elementi fanno pure pensare ad alcune figure mitiche, come la misteriosa Bona Dea, che a Roma veniva festeggiata dalle donne il 4 dicembre e che sarebbe stata divinizzata dopo essere stata fustigata e uccisa dal padre Fauno. Non avendo dati certi sulla vita di Barbara si potrebbe ipotizzare che alcuni leggendari episodi della sua vita possano essere stati ispirati da precedenti leggende di ambito pagano.
L’affresco più antico che la ritrae (VIII secolo) si trova a Roma nella basilica di Santa Maria Antiqua nel Foro Romano. La figura intera è dipinta nella navata centrale su un pilastro del lato destro ed è contrassegnata dal nome. Ha nella mano destra una croce e nella sinistra, coperta da un mantello, un pavone (ormai poco leggibile). La penna di questo uccello è uno degli attributi della santa che compare più volte, soprattutto nelle opere degli artisti tedeschi e fiamminghi, perché la santa era invocata per evitare la morte e l’uccello all’epoca era considerato simbolo di immortalità.
Nell’Appartamento Borgia in Vaticano, Barbara figura nella sala detta dei Santi, dove il Pinturicchio ha riprodotto ad affresco (1492-1494) in una grande lunetta gli episodi più salienti della sua vita. Lo stesso papa Alessandro VI si compiacque della giovane bellezza della santa, raffigurata con le chiome al vento nell’atto di fuggire. Al centro è dipinta la torre con le tre finestre che lei fece aprire e sullo sfondo il paesaggio montagnoso dove lei cercò rifugio (si vede anche il pastore che indicò al padre il nascondiglio), mentre a destra il padre con la spada sta cercando irato la figlia.
Tra gli artisti più celebri che hanno raffigurato la santa vi è anche il divino Raffaello, che l’ha inserita in una delle sue tele più eccelse, la Madonna Sistina (1512-1513), attualmente conservata nella Gemäldegalerie di Dresda. Il dipinto prende il nome da san Sisto, raffigurato sulla sinistra (con le fattezze di Giulio II), mentre Barbara appare inginocchiata sulla destra. Il santo pontefice ha poggiato la tiara su una sorta di davanzale dove si trovano due deliziosi angioletti in atteggiamento pensoso, mentre la Madonna con il Bambino appare al di sopra, inquadrata da una tenda verde, con un effetto teatrale. Il Vasari testimonia che Raffaello ebbe la commissione dai monaci di San Sisto di Piacenza. Purtroppo nel 1774 la pala fu venduta al Grande Elettore di Sassonia e rimpiazzata nella chiesa di Piacenza da una copia. Al di là della bellezza sublime della Madonna, la presenza di Barbara risalta per quel senso di soave compostezza che traspira da tutta la sua persona: gli occhi sono abbassati e la bocca è atteggiata a un sorriso angelico.
Una città dove il culto di santa Barbara è molto sentito è Rieti, tanto che il 4 dicembre una sua statua viene portata in solenne processione lungo il fiume Velino. I suoi resti vennero prelevati dai reatini dal luogo della sua sepoltura a Scandriglia (presso la Fonte di santa Barbara), per timore che cadessero in mano a pirati saraceni, e conservati sotto l’altare maggiore della basilica cattedrale. Alcuni secoli dopo si provvide a dedicarle una fastosa cappella nella stessa cattedrale.
A questa cappella è stato dato grande risalto nel convegno del 24 e 25 novembre 2022 relativo alla Cattedrale e al Palazzo papale di Rieti, tra i cui relatori figurano anche la storica dell’arte Elena Onori, che l’ha illustrata nella sua sistemazione settecentesca (quella attuale) e l’archeologa Francesca Licordari, che ha parlato della sua urna di porfido rosso antico, un materiale così pregiato da essere diventato simbolo del potere regale per eccellenza, in quanto richiama nel suo colore la porpora. L’uso di inserire i resti dei santi in vasche di porfido, già utilizzate in epoca tardo antica per le sepolture imperiali, è tipico del Settecento e in effetti la fattura appare settecentesca, ma il materiale è sempre quello antico rinvenuto in edifici romani, perché le cave di porfido dell’Egitto si erano esaurite già dal V secolo.
Nella storia della cappella si ricorda che nell’estate 1652, per iniziativa della locale Congregazione, fu sollecitato l’intervento di Gian Lorenzo Bernini, i cui legami con Rieti erano consolidati dalla presenza presso il monastero delle Clarisse di Santa Lucia di tre sue nipoti, alle quali si sarebbe aggiunta nel 1701 una pronipote.
Bernini fece un bozzetto per il completamento della cappella e dell’altare con la statua della Santa.
La statua, molto simile a quella di Santa Bibiana, conservata a Roma nell’omonima chiesa, venne scolpita in marmo di Carrara da Giovanni Antonio Mari.
Come si legge nella guida della Cattedrale di Ileana Tozzi
“L’armoniosa figura flette morbidamente la gamba destra ed il busto, avvolto nel delicato panneggio delle vesti, ruota il capo culminando nel gesto che reca in alto la fiaccola stretta nella mano destra, mentre la sinistra poggia sul fianco la palma, simbolo del suo martirio”.
La statua, trasportata per via fluviale con un viaggio di tre giorni, giunse a Rieti nel settembre 1657 e venne collocata nella nicchia dell’altare, dove la si può tuttora ammirare. Le pitture ispirate al martirio di santa Barbara destinate alle pareti laterali e gli altri decori secenteschi furono invece dispersi durante i lavori di riallestimento della cappella, intrapresi nel corso del Settecento da Giovanni Antonio Perfetti.
Tra il 1714 e il 1718 Lorenzo Ottoni eseguì le quattro statue raffiguranti San Francesco d’Assisi, San Prosdocimo fondatore della Chiesa reatina, San Nicola di Bari e la domenicana Colomba da Rieti per i nicchioni d’angolo previsti dal progetto del vestibolo, nel cui pavimento fu realizzato in mosaico veneziano lo stemma civico di Rieti, il cui emblema ricorda le figure della mitica fondatrice Rea Silvia e del console romano Manio Curio Dentato, cui si deve l’avvio della bonifica del lacus Velinus nel 271 a.C.
Tra il 1725 e il 1728, lo stesso Ottoni eseguì un raffinato altorilievo ovale con l’Immacolata Concezione. La decorazione pittorica del cupolino fu affidata a Giovanni Odazi, mentre i pennacchi della cupola con le quattro Virtù cardinali e i quadri laterali, raffiguranti il Martirio di santa Barbara e la Morte di santa Barbara furono eseguiti da Antonio Concioli, il cui stile narrativo è ricco di suggestivi dettagli.
Presso il Capitolo della Cattedrale si conservano un codice con la leggenda di santa Barbara e l’Officio in pergamena, miniato e dorato, stampato a Parigi nel 1509. Questo Officio contiene l’Inno di Santa Barbara delle sette ore canoniche, che racconta, come in una via crucis, sette momenti del suo martirio.
Nica FIORI Roma 4 Dicembre 2022