di Nica FIORI
(in calce le liturgie nella basilica, in occasione dell’anniversario della sua morte)
Santa Francesca Romana e le opere d’arte che la raffigurano
La basilica di Santa Francesca Romana, che si erge col suo campanile inconfondibile tra il tempio di Venere e Roma e il Foro Romano, è meta di turisti affascinati dalla sua invidiabile posizione ed è stata una delle sedi predilette per i matrimoni, prima dei lavori della metropolitana C che la rendono attualmente meno accessibile. La chiesa si chiamava un tempo Santa Maria Nova (tra l’altro conserva una delle più antiche immagini della Madonna, che vi fu trasportata da Santa Maria Antiqua), ma cambiò poi il proprio nome perché Francesca Romana la frequentò da bambina, poi da oblata, ed è stata qui sepolta. Dietro i suoi resti, nella cosiddetta confessione, è collocato un gruppo marmoreo, opera di Giosuè Meli (1866) che la raffigura con accanto il suo angelo. Il 9 marzo ricorre la sua festa, e in questa occasione ci pare doveroso ricordare questa santa dalla vita straordinaria, ma poco nota al di fuori di Roma, anche se dipinti come La visione di Santa Francesca Romana di Nicolas Poussin (1657, Louvre, Parigi) o L’elemosina di Santa Francesca Romana del Baciccio (1670/80, Paul Getty Museum, Los Angeles) hanno una fama internazionale.
Francesca, nata nel 1384 dalla nobile famiglia de Bussis de’ Leoni, era profondamente portata per la vita religiosa, ma accettò, su indicazione del suo consigliere spirituale, di sposare giovanissima il patrizio Lorenzo Ponziani, cui era stata promessa dal padre, ed ebbe tre figli. Per tutta la vita dedicò le sue energie e i suoi beni materiali a opere di carità, giungendo anche a trasformare la sua casa in ospedale durante l’epidemia di peste del 1411.
Anche se la sua esistenza fu segnata da dure prove (vide il marito catturato ed esiliato da re Ladislao di Angiò e due figli morti prematuramente), ella mantenne sempre salda la fede e l’amore verso gli altri, pensando sia alla salute materiale e fisica dei bisognosi, sia alla loro assistenza spirituale. Dotata di grande carisma, riuscì a coinvolgere altre donne nella sua opera caritatevole, formando così un gruppo di oblate (dal latino oblatus, ovvero offerto, in ricordo di Gesù che offrì se stesso per la salvezza degli uomini), che si offrirono dal 1425 come oblate secolari per il monastero benedettino di Santa Maria Nova, finché nel 1433 Francesca istituì la Casa delle Oblate Benedettine di Monte Oliveto, nel rione Campitelli, presso Tor de’ Specchi, dove si ritirò a vita comune quando rimase vedova nel 1436. Morì il 9 marzo 1440, acclamata e invocata da tutti come “la Santa di Roma”, tanto che Paolo V nel 1608 la canonizzò dichiarandola compatrona della città.
A Francesca Romana sono stati attribuiti in vita moltissimi miracoli, come aver risanato moribondi, fatto parlare una muta e resuscitato un bambino e un uomo annegato nel Tevere; tra l’altro realizzò un unguento portentoso che tuttora viene manipolato nello stesso recipiente da lei usato, custodito come reliquia nel monastero di Tor de’ Specchi. Si dice pure che passasse ore e ore in preghiera cadendo in estasi e che possedesse il dono della dislocazione. Doveva trattarsi quindi di una vera mistica e, in quanto tale, il diavolo inferocito la prese di mira. Nell’antico refettorio del suo monastero, un anonimo pittore nel 1485 ha raffigurato, in affreschi monocromi in terra verde, lo sconcertante rapporto della Santa con Satana. Nella biografia di Francesca, scritta in romanesco dal suo confessore Giovanni Mattiotti, parroco di Santa Maria in Trastevere (la basilica con la cappella dei Ponziani), si racconta infatti che il diavolo le apparve ben quaranta volte, torturandola con sempre maggiore ferocia. Legioni di demoni dall’aspetto animalesco lo accompagnavano e le lasciavano addosso lividi e orrende ferite. Ma accanto alla santa si materializzò a un certo punto il suo angelo custode e Satana fu costretto alla resa.
Vale assolutamente la pena di ammirare questi dipinti che rappresentano la più spettacolare documentazione romana delle torture diaboliche e delle trasformazioni sataniche. La santa appare sempre con velo e aureola e alle sue spalle c’è l’angelo custode su due nuvolette. Ogni riquadro dipinto (sono dieci disposti su due livelli) reca al di sotto un’iscrizione in gotico librario che spiega la scena raffigurata. In alto a sinistra è descritto l’episodio in cui una notte, mentre stava in meditazione, le comparvero tre demoni, uno in forma di leone, uno di drago e uno di serpente. Segue quello in cui, rendendo con un linguaggio attuale ciò che vi è scritto, si legge,
“stando Francesca in orazione, vennero certi demoni con dei nervi di bue e la flagellarono tanto crudelmente che, se non vi fosse stato il suo angelo, l’avrebbero lasciata morta”.
Nella scena seguente il racconto si sviluppa in due parti e quindi la santa è raffigurata due volte. In effetti si legge che, “volendo riscaldare per il marito infermo una tegola, Francesca incontrò un demonio in forma di serpente, ma l’angelo lo fece a pezzi; mentre ritornava in cucina il demonio le ostacolò il passo in forma di leone”. Proseguendo troviamo che “i demoni, una sera, mentre Francesca stava leggendo, le strapparono tutti i suoi libri di devozione e la trascinarono fuori gettandola su un mucchio di cenere”. Quindi troviamo una scena in cui, oltre all’angelo, appare anche San Paolo, pure lui su due nuvolette, a difenderla dal demonio che da serpe si era trasformato in una bestia con sette teste.
Nella fascia inferiore della parete affrescata troviamo, andando da sinistra verso destra, la scena in cui, “mentre Francesca era in orazione, certi maligni spiriti che tenevano nella mano destra molte serpi morte, la colpirono aspramente lasciandola tutta illividita”.
Segue la scena in cui tre demoni le appaiono con le vesti di religiosi che “con finta umiltà la beffeggiavano, ma ne furono scacciati con grande confusione”. Proseguendo vediamo che “il nemico dell’umana natura portò una notte nella stanza di Francesca un cadavere in putrefazione e ve la fece cadere sopra”.
Seguono le ultime due scene che ridotte in larghezza, perché inframmezzate da una porta che si apre nella parete. Nella prima il demonio, prendendo l’aspetto di Sant’Onofrio, la invita nel suo eremitaggio per dissuaderla dal disegno di fondare la sua Congregazione. Nell’altra scena è raffigurato l’episodio in cui le appaiono sette demoni in forma di pecorelle, che si trasformano poi in lupi per divorarla, ma ovviamente interviene il suo angelo a cacciarli via.
Nell’atmosfera rarefatta del convento si trovano molti altri ambienti interessanti. Nella cosiddetta Scala Santa, da cui parte la visita alle stanze storiche, è collocato un bell’affresco di Antoniazzo Romano, raffigurante la Madonna tra Santa Francesca Romana e San Benedetto, mentre l’oratorio, a base quasi quadrata, è decorato con grande freschezza narrativa da un ciclo di venticinque affreschi sulla vita e i miracoli della santa, terminati nel 1463 e attribuiti da alcuni studiosi allo stesso Antoniazzo Romano e alla sua scuola. Pur non essendo famosissimo, Antonio Aquili, meglio noto come Antoniazzo Romano (1435/40 – 1508), è sicuramente il maggior pittore romano del Quattrocento: un artista che, pur ancorato in parte all’arte medievale, seppe guardare alle esperienze di alcuni dei grandi pittori che venivano da altre città (Melozzo da Forlì, Benozzo Gozzoli, Perugino, Piero della Francesca, Ghirlandaio) per formare uno stile originale, destinato anche a fare scuola nella Roma del Rinascimento.
Tra i miracoli descritti, oltre a quelli delle guarigioni, ve ne sono alcuni che ricordano quelli evangelici delle moltiplicazioni di cibo. Vi è per esempio l’episodio in cui, “avendo distribuito ai poveri tutto il vino di una botte, questa fu poi ritrovata traboccante di vino prelibato”
o quello relativo al 1402 quando, in seguito ad una grave carestia, avendo Francesca dato ai poveri tutto il grano che la sua famiglia possedeva, ritrovò poi il granaio colmo miracolosamente. È relativo al periodo della vita in comunità quello in cui si narra di un giorno in cui, non essendovi pane bastante per tutte, Francesca fece a pezzetti il pane rimasto e lo benedisse e allora tutte se ne saziarono e ne avanzò quasi un canestro. Vi è pure quello in cui nel gennaio 1438, essendosi Francesca recata con le sue Oblate a “raccogliere legna in una vigna, e avendo esse una gran sete, Iddio fece miracolosamente nascere in quel giorno su una vite nove grappoli d’uva matura”.
Sono descritti anche gli episodi storici, come la prima Oblazione nella chiesa di Santa Maria Nova il 15 agosto del 1425, e le sue estasi e visioni, come quella del “figlio Evangelista, morto di peste nel 1411, con un angelo che egli lasciò alla madre come compagno visibile per tutta la vita”. L’ultimo episodio è quello della morte di Francesca Romana e raffigura la sua anima come un bambinello, secondo l’iconografia dell’epoca, che viene accolto in cielo da Cristo. La visione dell’Inferno, a destra della porta d’ingresso dello stesso oratorio, sembra un’aggiunta fatta dopo la fine del ciclo.
L’ingresso del Monastero (aperto al pubblico solo il 9 marzo) è in via del Teatro di Marcello. Nella lunga facciata irregolare, risultato di successivi ampliamenti della Casa iniziale, troviamo al n. 40 una porta a sesto semicircolare, sopra la quale è dipinta la Madonna col Bambino e i Santi Benedetto e Francesca Romana, di un anonimo del XVIII secolo. Al n. 32 si apre un altro ingresso, in corrispondenza del quale troviamo sulla facciata un medaglione in marmo, eseguito dallo scultore Andrea Bergondi nel 1756, raffigurante la Santa in piedi, con lo sguardo estatico rivolto al cielo, mentre alla sua destra un angelo inginocchiato sorregge il libro della Regola.
Nica FIORI Roma 2019
Le liturgie nella basilica, in occasione dell’anniversario della sua morte