di Donatella BIAGI MAINO
Affascinante come un viaggio nel tempo e nello spazio, il libro di Valeria Rubbi, Francesco Cocchi Domenico Ferri. L’eredità di Antonio Basoli “Maestro” di scenografia, Edizioni Minerva, Bologna 2017, ci guida attraverso un lungo percorso di prove e di successi scandito dalle note di Rossini, di Weber, di Bellini, Doninzetti, Verdi, tra Italia, Russia, Austria, Germania e la magnifica Parigi.
La storia, è quella di due dei più dotati allievi di un grande scenografo bolognese, Antonio Basoli, al quale dagli anni ottanta del secolo scorso sono stati dedicati più studi, favoriti anche dalla grafomania dell’artista medesimo, che di se stesso e dei suoi trionfi ha lasciato ampia memoria in manoscritti custoditi, unitamente a molte, moltissime sue opere, all’Accademia di Belle Arti di Bologna, presso la quale l’artista esercitò il suo magistero di docente, un ruolo ricoperto con passione e con orgoglio per gli esiti felici, attestati dal percorso internazionale di alcuni tra i suoi allievi sui quali ci rende edotti il testo in questione.
Valeria Rubbi, agguerrita studiosa bolognese, ci conduce nel mondo sonoro e fulgente della scenografia teatrale ricordando la vicenda del Basoli maestro in Accademia e nel suo stesso atelier di Francesco Cocchi, dotatissimo scenografo che fu attivo in patria e in Germania per lunghi anni, sino al 1842, mixando il carattere del suo stile immaginifico con la cultura d’oltralpe; con acribia di ricercatrice appassionata la storica ripercorre la vicenda culturale del bolognese, mettendo in luce l’evoluzione del suo pensiero artistico dal primo percorso in Accademia – la Regia Accademia di Belle Arti risorta dalle ceneri della magnifica settecentesca Clementina – all’epoca del suo successo ad Amburgo, dove si affermò come ultimo seguace della scuola dei Bibbiena, il cui portato seppe traghettare attraverso le varianti impresse dal gusto neoclassico e quindi dal nuovo lessico romantico.
Attraverso l’esame, accurato, dei tanti suoi disegni, degli album che si conservano tra Roma, Venezia, Bologna, Copenhagen si delinea la trama dei rapporti tra le principali istituzioni teatrali e le accademie d’arte in un luogo e un tempo europei, allorché i diversi Paesi andavano recuperando radici antiche per il futuro, e musica e pittura erano intesi, correttamente, quali strumenti principi per la ricostruzione della memoria collettiva. I topoi della scenografia teatrale vengono trattati dal Cocchi (1787-1865) non solo con maestria ma con agile inventiva, alla formazione di un immaginario che avrà a lungo risonanza entro i palcoscenici dei teatri, e il suo testimone sarà raccolto da un altro bolognese, pure lui cresciuto alla scuola del Basoli, Domenico Ferri (1795-1878), dapprima criticato acidamente dal maestro, poi, dopo l’affermazione del giovane a Parigi dove lavora dal 1829, ricordato con orgoglio tra gli allievi.
Il percorso del Ferri fu segnato dalla conoscenza con il potentissimo Rossini, che lo introdusse al Théàre Italien, per il quale operò a lungo secondo dimmamiche ripercorribili attraverso l’importante carteggio dell’artista conservato alla Bibliothéque National di Parigi, ripercorso puntualmente dalla studiosa. Intriganti le lettere di Paolo Sarti, che a proposito della scelta del Ferri di lasciare Napoli per la Francia dietro suggestione di Gioacchino Rossini nel 1836 gli scrive:
“Ma possibile che tu non voglia persuaderti che quell’avaro manifesto nulla dà, Molto promette, e invece toglie! Che cerca solo il proprio interesse anche a costo di sacrificare altrui. La di lui fama è nota”. E di ricalzo: “La fama se parla di Rossini vantaggiosamente nella musica, parla all’opposto svantaggiosamente del suo carattere, e lo dipinge per un uomo capace di tutto per l’avarizia”.
Un bel tratto di verità sul magnifico musicista, che lo scorso anno Bologna ha celebrato nel centocinquantesimo della scomparsa con un volume significativo Gioachino in Bologna. Mezzo secolo di società e cultura cittadina convissuto con Rossini e la sua musica (a cura di J. Bentini e P. Mioli, Edizioni Pendragon, Bologna). Ma il Ferri si fidava del musicista e scelse Parigi rispetto a Napoli, poi si recò a Londra, per dipingere il soffitto e il sipario del Covent Garden; dal 1851 sarà a Torino, docente in Accademia e ornatista dei palazzi per Vittorio Emanuele II al posto di Pelagio Palagi, altro bolognese.
Il percorso artistico del Ferri è ripercorso dalla Rubbi attraverso l’esame di un esiguo numero di opere rispetto al prolifico Basoli e al Cocchi di cui si è detto, sufficienti comunque per delineare la crescita artistica del pittore e quanto poté il sodalizio con Rossini, la cui Matilde di Shabran, replicata tredici volte tra il 1829 e il 1832, fu allestita al Théàtre Italien entro magnifiche immagini del nostro: “Trois décors ont mérité les suffrages du public: les deux derniers ont été applaudis comme on ferait una belle cavatine”(1829).
Il Ferri divenne un modello per i francesi a discapito degli artisti locali, come sottolineato dalle gazzette se pure non senza qualche frecciatina sciovinista – di Theophile Gautier – per la prestezza esecutiva e la facondia della sua immaginazione, di molto superiore a quella dei colleghi parigini; sperimentale per vocazione, adotta l’uso di vetri colorati per esiti stupefacenti, in linea con le novità del diorama di Daguerre, con grande successo presso il pubblico teatrale. Del tutto speciali le raffigurazioni di siti e paesaggi a lume di luna, con effetti romantici frutto del “genio, il gusto e l’arte dello Scenografo”, come fu scritto nel 1840; il Ferri esercito tale sua capacità anche in dipinti su tela, alcuni dei quali a Bologna, altri al Musée Carnevalet di Parigi, mettendo a frutto il suo talento negli anni medesimi in cui la pittura di paesaggio si affermava grandissima attraverso le prove di Turner, di Constable.
Infine, va detto che le molte illustrazioni concedono di seguire il narrato della Rubbi nel particolare ed entrare nella vita artistica internazionale dell’Ottocento rossiniano e verdiano, attraverso immagini di progetti per scenografie le più diverse, evocazioni di un Egitto fantasioso, di carceri alla Piranesi, paesaggi suggestivi e neogoticismi raffinati, a conferma dell’internazionalità degli artisti dell’Accademia bolognese.
Donatella BIAGI MAINO Bologna settembre 2019