di Nica FIORI
Tra le nuove scoperte archeologiche in Egitto di straordinaria rilevanza appare quella della tomba di un medico a Saqqara, il sito funerario a sud del Cairo, noto soprattutto per la piramide a gradoni del faraone Djoser.
Una missione congiunta franco-svizzera, che ha iniziato gli scavi in quest’area a partire dal 2022, ha riportato alla luce la tomba, incisa e splendidamente decorata, di Titi Nab Fu, che fu medico reale di Pepi II e figura di spicco durante la VI dinastia dell’Antico Regno, tra il 2284 e il 2184 a.C.
La struttura, una mastaba di mattoni di fango tipica delle sepolture nobili delle prime fasi della civiltà egizia, si distingue per le sue decorazioni con intagli e scene funerarie dai colori splendidamente conservati.
Le pareti della tomba raccontano episodi di vita quotidiana, mostrando come l’arte funeraria fosse anche un mezzo per celebrare il ruolo sociale e culturale del defunto. Nella camera sepolcrale spiccano un soffitto dipinto di rosso e nero a imitazione del granito, incisioni di mobili e offerte funerarie sulle pareti, e soprattutto una finta porta, la cui funzione era quella di permettere all’anima del defunto (ka) di tornare nel mondo dei vivi e di ricevere le offerte. Quello della falsa porta è un motivo architettonico che nelle tombe egizie è collocato di norma nella parete occidentale, ossia nella direzione in cui il dio solare Ra discende per attraversare il mondo sotterraneo nella sua imbarcazione celeste per poi sorgere rinnovato ad est all’alba.
“Nonostante le prove di antichi saccheggi, le pareti della tomba sono rimaste intatte, offrendo un raro scorcio della vita quotidiana e delle pratiche culturali durante l’Antico Regno”,
ha scritto il Ministero del Turismo e delle Antichità egiziano nel suo post sui social media.
Al centro della tomba, un sarcofago di pietra reca il nome di Titi Nab Fu e una serie di titoli che riflettono i molteplici ruoli ricoperti: capo medico del palazzo, capo dentista, sovrintendente alle piante medicinali, sacerdote e “mago” al servizio di Serqet, la dea invocata contro i morsi o le punture degli animali velenosi.
Questa divinità, conosciuta anche come Selkis o Selket, era ampiamente venerata nel Basso Egitto come grande Dea Madre nel Periodo Predinastico (6000 ca. – 3150 ca. a.C.) ed era protettrice dei re. È conosciuta soprattutto per la sua statua d’oro e per il vaso canopo di alabastro della tomba di Tutankhamon. La sua immagine è quella di una bella donna, con le braccia aperte in segno di protezione e uno scorpione sulla testa. Lo scorpione è volutamente senza pungiglione per rappresentare il ruolo di Serqet come protettrice contro le punture velenose.
La scoperta della tomba di Tibi Nab Fu aggiunge un tassello prezioso alla storia di Saqqara, necropoli che custodisce i segreti di alti funzionari e membri della corte faraonica, e dove, tra gli altri, dovrebbe essere stato sepolto anche Imhotep (2700-2630 a.C.), architetto del re Djoser e probabile ideatore della piramide a gradoni, poeta, astronomo e medico, ma la sua mastaba non è stata finora trovata. Imhotep è ritenuto l’autore di uno dei più antichi trattati medici ritrovati, noto come papiro Edwin Smith, in cui sono raccolti e descritti ben 48 casi clinici. Trattandosi di un medico eccezionale, nel tempo è stato divinizzato ed equiparato dai Greci al dio della medicina Asclepio.
La scoperta offre anche l’occasione per addentrarsi nella complessità delle pratiche mediche dell’Antico Egitto, una civiltà particolarmente avanzata nelle tecniche di cura e nel trattamento di numerose malattie.
I medici egiziani erano pionieri in molti campi: sperimentavano con piante medicinali, esploravano il sistema cardiovascolare umano e avevano sviluppato una profonda comprensione della chimica grazie alle pratiche di imbalsamazione. Analisi effettuate sulle mummie hanno evidenziato la presenza di protesi e la notevole abilità chirurgica dei medici, che eseguivano amputazioni e arrivavano perfino a trapanare il cranio, per cercare di asportare un tumore, come raccontato nel famoso romanzo del 1945 Sinuhe l’Egiziano, del finlandese Mika Waltari, noto anche per l’omonimo film.
Ma, per quanto riguarda la medicina interna, l’approccio del medico era tipico di una società di tipo sciamanico, a giudicare dalle invocazioni riportate in alcuni papiri. In effetti, la malattia era vista come la manifestazione di un demone che possedeva la persona e pertanto andava affrontata, oltre che con i farmaci idonei, con incantesimi, il cui scopo primario era quello di scacciare le forze negative di cui era preda il malato. La magia era considerata un elemento fondamentale per influenzare il mondo naturale e soprannaturale e, pertanto, il medico era un sacerdote-mago che doveva porre il paziente sotto la protezione di una divinità.
L’arte medica necessitava di una stretta collaborazione tra il terapeuta e il malato, che doveva contribuire alla sua guarigione con la volontà di scongiurare il male, e doveva di conseguenza pronunciare determinate formule. Ma era essenzialmente il medico mago che esplicava il suo sapere tecnico, la sua capacità a dialogare con il male per espellerlo, la conoscenza dei nomi segreti dei demoni e dei nemici. Suo primo dovere era quello di legare il destino del malato a quello dell’universo. Se egli non fosse guarito, il cielo sarebbe crollato e lo stesso demone, causa della disarmonia, sarebbe stato schiacciato nella catastrofe. Perciò al demone non rimaneva altra via che l’abbandono della vittima. Il che corrispondeva alla guarigione del paziente.
Nella nostra società, medicina e magia si contrappongono nettamente, eppure sappiamo bene che la guarigione non dipende soltanto dalle terapie mediche, ma anche dalla forza di volontà del paziente, dalla fede nei miracoli, non di rado dalle preghiere, che in fondo non sono così dissimili, nella loro capacità persuasiva, dalle formule magiche dell’antico Egitto.
Nica FIORI Roma 26 Gennaio 2025