di Francesca SARACENO
La nostra epoca è satura di immagini. Ne vediamo a centinaia, a migliaia tutti i giorni, ovunque, e soprattutto sui piccoli schermi dei nostri smartphone o tablet.
Ci siamo assuefatti alle immagini, e forse per questo non apprezziamo più la bellezza quando la incontriamo. Andiamo di fretta, scorriamo quel fiume di foto in sequenza senza prestare attenzione, senza interesse. E se questa “debacle” è palese tra gli adulti, più ancora lo è tra i giovani, nati e cresciuti nell’era digitale, dove l’immagine non attrae per l’emozione da essa indotta ma per convenzione sociale. Si guarda una cosa perché la guardano gli altri; ci si interessa a qualcosa perché è il trend topic del momento. Ci siamo disabituati all’esercizio della meraviglia, della scoperta, e per questo quasi non proviamo più emozione né curiosità davanti a un’opera d’arte.
A meno che l’arte non diventi… trend topic.
E questo l’input che ha spinto certi musei, soprattutto dopo il difficile periodo della pandemia, a puntare sulla comunicazione social, per rilanciare percorsi e visite museali: associare l’immagine di opere celeberrime e iconiche a volti e personaggi popolari nel web, là dove si concentrano consensi e interazioni da parte delle più svariate categorie sociali e, trasversalmente, persone di tutte le età. Ma è ai giovani, soprattutto, che si rivolge questa nuova forma di marketing digitale in ambito museale, allo scopo di recuperare una fascia di pubblico sempre meno consapevole o interessata al patrimonio artistico nazionale e alla cultura in generale; una sezione cospicua di potenziali fruitori di bellezza che alla bellezza non sono stati educati, e per questo vi si accostano solo se la percepiscono come un’attività moderna, popolare, e di tendenza.
Al di là delle riflessioni morali e dei risvolti sociali che si impongono riguardo un’attività educativa – ancorché emozionale – che dovrebbe essere, anzitutto, fondamento imprescindibile del sistema scolastico nazionale, intollerabilmente colpevole dell’impoverimento culturale che dilaga nel nostro paese, queste nuove forme di comunicazione sembrano dare, in effetti, frutti piuttosto evidenti, se non altro in termini “numerici” di visite ai musei, con percentuali di incremento davvero ragguardevoli. E quindi, fermo restando l’auspicio di una prossima ricalibratura delle priorità curriculari nei programmi scolastici, non possiamo e non dobbiamo storcere il naso di fronte all’utilizzo di nuove forme di comunicazione e di nuovi strumenti digitali a scopo “didattico”, soprattutto se, attraverso essi, si può riuscire – nel tempo – a rieducare i ragazzi al senso della meraviglia.
Un programma ambizioso, fortemente attrattivo e quanto mai opportuno, che ha spinto Gloria Gatti e Maurizio Seracini a creare qualcosa di assolutamente nuovo nell’ambito della comunicazione digitale e che credo possa avere un impatto notevole proprio su quella fascia di pubblico “acerba” che guarda le opere d’arte distrattamente e quasi solo per spirito di emulazione.
Mi è capitato di dire in altre occasioni, che spesso un quadro è “quello che sembra”, ma il processo creativo che ha prodotto quel miracolo di luce e colore, a volte rivela segreti nascosti, che ci inducono a diversificare il nostro punto di vista e ci mostrano tutto il valore e la potenza della creatività.
L’installazione video che gli autori hanno dedicato alla Dama con il liocorno di Raffaello è solo il primo step di un progetto che prevede una serie di dodici rielaborazioni digitali per altrettante opere celeberrime, accomunate tutte – nella loro storia creativa – da over painting ed elementi nascosti sotto lo strato di pittura visibile. Un viaggio affascinante nella creazione, nella mente geniale degli artisti, alla scoperta delle varie fasi di esecuzione dell’opera d’arte, che ci mostra come spesso l’idea iniziale venisse stravolta, modificata, adattata, fino a ottenere il risultato ritenuto migliore; oppure fino a cambiare radicalmente il soggetto originario.
É proprio il caso della Dama di Raffaello (fig. 1), opera dalla storia incerta, conservata a Roma in Galleria Borghese, che solo grazie alla ricerca storiografica e agli studi scientifici sul dipinto, ha potuto rivelare la certezza della sua paternità artistica nonché la genesi creativa che, nel tempo, ha condotto dall’idea iniziale del disegno preparatorio del maestro urbinate, conservato al Museo del Louvre (fig. 2), fino all’opera che oggi conosciamo. Attraverso una serie di interventi pittorici posti in essere da altri artisti, e di restauri non proprio “felici”, la Dama “pensata” da Raffaello nel disegno originale ha subito negli anni trasformazioni profonde che ne hanno modificato radicalmente il significato e l’iconografia; alterazioni certamente inimmaginabili alla sola osservazione del quadro così come si presenta ai nostri occhi. Il progetto digitale proposto dagli autori si propone proprio di svelare ciò che il dipinto nasconde alla vista, e che già le prime radiografie eseguite nel 1933, avevano permesso di evidenziare. Grazie a queste metodologie di indagine scientifica è emersa dagli strati pittorici più profondi una figura piuttosto diversa da quella che vediamo oggi; il piccolo liocorno che la Dama tiene in braccio, in precedenza era un cagnolino (fig. 3),
e l’abito della bella fiorentina ritratta da Raffaello presentava un ampio mantello a coprire le spalle (fig. 4).
A questa prima elaborazione del soggetto originario, seguì quella che trasformò il cagnolino in liocorno e scoprì le spalle alla Dama, fino all’intervento più determinante che, sostituendo al liocorno, una ruota e una penna, aveva trasfigurato la donna effigiata in una Santa Caterina d’Alessandria (fig. 5).
L’uso delle nuove tecnologie digitali non è nuovo al mondo dell’arte, come attestano le diverse mostre multimediali allestite negli ultimi anni, ad esempio quelle sulle opere di Van Gogh e Klimt, rispettivamente a Napoli e Caserta, tra il 2017 e il 2018, in cui si proponeva al visitatore un’esperienza “immersiva” a carattere esclusivamente sensoriale, attraverso l’animazione delle immagini digitalizzate dei vari dipinti su maxi schermi, accompagnata da una particolare “colonna sonora”. Un effetto certamente suggestivo e totalizzante, ma sostanzialmente fine a se stesso.
Il progetto dei nostri autori si diversifica da questo genere di installazioni per la sua connaturata valenza formativa e per l’immediatezza dei contenuti da veicolare. La rielaborazione digitale delle immagini radiografiche ottenute dalle indagini diagnostiche sul dipinto, permette di osservare, in pochi secondi, una metamorfosi che ha visto all’opera diverse “mani”, i cui interventi avevano del tutto alterato il soggetto originario di Raffaello, e che il restauro del 1935 ha in parte riportato alla luce.
Affiancare l’installazione video al dipinto “fisico”, consente di guardare oltre il visibile, di avere contezza immediata di una trasformazione sostanziale che si è prodotta nei secoli.
Una sintesi avvincente che coinvolge e arricchisce le conoscenze anche dell’osservatore più inesperto e distratto, come può essere – per l’appunto – un giovane del nostro tempo; che però, attraverso una metodologia di comunicazione a lui congeniale, può essere “recuperato” alla gioia della scoperta, “rieducato” alla meraviglia della genesi creativa e all’esercizio del pensiero critico, senza che l’esperienza visiva risulti faticosa o noiosa.
L’iniziativa degli autori (che hanno scelto di agire autonomamente dalle istituzioni e senza fini di lucro) insieme a questa prima installazione video, è stata presentata agli Stati Generali del Lavoro Cultura a Roma, dal 21 al 24 giugno, proprio quale frutto del loro lavoro e del loro impegno per il rilancio della cultura artistica nel nostro paese, con l’auspicio – che dovrebbe avere carattere collettivo e assoluto – che le nuove tecnologie, troppo spesso veicolo di comportamenti negativi e decadimento valoriale, possano essere invece utilizzate come motore propulsivo per una rinascita, non solo dell’interesse verso il mondo dell’arte, ma della conoscenza di un patrimonio culturale che è il fondamento stesso della nostra identità nazionale, la cui consapevolezza non può che renderci cittadini – ma direi più largamente esseri umani – migliori.
In tutti i sensi.
Francesca SARACENO Catania 3 Luglio 2022