Sentimento e ragione nella grande pittura di Ubaldo Gandolfi. Nella rinnovata pinacoteca di Cento (FE) 4 Opere segnano il percorso di un protagonista della pittura del ‘700

di Donatella BIAGI MAINO

Mostra a cura di Donatella Biagi Maino e Lorenzo Lorenzini

Cento, Civica Pinacoteca il Guercino

Ai molti cultori dell’arte dei fratelli Gandolfi si consiglia una visita alla Pinacoteca Civica il Guercino di Cento, da poco più di un anno riaperta dopo il lungo periodo di restyling succeduto al terremoto del 2012, non solo per rivedere le opere bellissime delle collezioni permanenti ma anche per visitare una piccola, raffinata e importante esposizione. Piccola – consta di sole quattro opere -, raffinata – sono opere magnifiche, prove del talento di un grande – e importante per più motivi.

La mostra vuole infatti concentrare l’attenzione su un settore meno turisticizzato delle collezioni centesi, che hanno come fiore all’occhiello le opere del Guercino ma che custodiscono molti dipinti dal Medio Evo all’Ottocento di sicuro valore: l’intenzione è di stimolare il pubblico ad uscire dai percorsi consueti dei grandi musei, il cui affollamento eccessivo mette a rischio l’incolumità delle raccolte e non concede visite appaganti, puntando i riflettori su pinacoteche meno celebri e meno importanti ma comunque di grande fascino, che custodiscono dipinti che, svelati nel loro significato storico ed estetico, si impongono per qualità e valore.

Lo scorso 30 novembre è stata dunque inaugurata l’esposizione di cui si tratta dedicata a due dipinti magnifici del museo, due pale d’altare di un pittore, il bolognese Ubaldo Gandolfi (San Matteo della Decima, 1728 – Ravenna, 1781) il cui percorso intellettuale fu di non poco momento per il divenire dell’arte del secondo Settecento, in un’epoca che vedeva sempre più in crisi il rapporto del pubblico con il sacro.

Sentimento e ragione nella grande pittura di Ubaldo Gandolfi è il titolo della mostra, accompagnata dal catalogo edito da Allemandi e curato da chi scrive, che vede al centro due opere stupende, l’Annunciazione del 1777, proveniente dalla chiesa dell’Ospedale di Santa Maria Assunta di Cento, e il San Gregorio da Thiene riceve da Maria il Bambino Gesù, tra le più intense raffigurazioni dell’estasi resa dall’artista in termini di tale naturalezza da restituire all’immagine quasi un accento di quotidiano.

Di quest’opera, acquisita dalla Fondazione della Cassa di Risparmio nel 2001 e da allora in prestito alla Pinacoteca, non si conosce l’originaria collocazione; si sa che fu acquistata dagli eredi dell’artista da Giuseppe Guizzardi, pittore e restauratore che fu allievo del fratello del nostro Ubaldo, Gaetano, unitamente ad altri dipinti, molti dei quali acquisiti da Mario Dagnini, professore presso l’Accademia di Belle Arti dove insegnava anche il Guizzardi testé citato, per poi trascorrere alle pubbliche collezioni.

Ubaldo Gandolfi San Gregorio da Thiene riceve da Maria il Bambino Gesù,
Ubaldo Gandolfi, disegno preparatorio

Grazie alla possibilità di esporre lui accanto il disegno preparatorio che fu sottoposto all’ancora sconosciuto committente e che reca la data di esecuzione, il 1775, è stato possibile, in sinergia con quanto per l’altra pala di cui tra poco, ripercorrere l’espandersi del pensiero del Gandolfi, che da una idea ancora legata ad immagini tradizionali si esplicita, in questa bellissima sanguigna  quindi nel finito, in termini di assoluta novità per la suggestiva impostazione del rapporto tra il santo e il bambino.

L’esistenza, infatti, di un disegno a penna acquerellato (Los Angeles, J. P. Getty Museum), pubblicato nel catalogo, mostra come l’artista fosse solito provare in brillanti schizzi a penna la raffigurazione, per poi procedere con sicurezza alla piena definizione del soggetto attraverso la tecnica a sanguigna, rinterzata dall’uso dello sfumino. Nel raffronto tra i due fogli si comprende infatti il progresso della riflessione sul tema dell’artista, che decide una diversa postura per il piccolo e per Maria, non più sollecita verso l’azione principale come nel foglio americano ma quietamente partecipe a quello che più che un miracolo è esposto come un momento di sublime quanto serena vita familiare.

Ubaldo è stato uno tra i pochi artisti italiani che negli studi grafici anticipava con precisione rara l’opera finale, prevedendo non solo forme e il gioco di luci e ombre, ma anche la velocità della pennellata, in previsione della prova del colore che sarà del bozzetto.

Il bimbo è tenuto tra le braccia del santo che accosta il viso alla sua testina, e la mano della madre è quasi una carezza alle due figure: dovendo effigiare la sacra apparizione nella notte di Natale avvenuta dinanzi al presepio di Santa Maria Maggiore a Roma, così come Gregorio medesimo l’aveva descritta, l’artista raffigura la sublime tenerezza della paternità, la commozione di un padre cui è consegnato il figlio appena nato. È questa una delle più sentite rappresentazioni di affetto e amore tutto terreno che mai sia stata dipinta in un’immagine sacra in tutto il Settecento.

Ubaldo fu il pittore che più di ogni altro nel secolo dei Lumi seppe comprendere e dare visibilità a quanto il pontefice della sua gioventù, Benedetto XIV, al secolo il bolognese Prospero Lambertini, chiedeva agli artisti, di rendere nuovamente credibili gli antichi misteri del cattolicesimo, liberando le immagini da ogni astruseria ed esagerazione per tornare alle radici del verbo cristiano, a quella semplicità del narrato che i maestri del secolo precedente, i Carracci, il Reni e gli Incamminati tutti avevano saputo e voluto predicare.

Il Gandolfi era cresciuto nell’ammirazione di quei precedenti, la cui sapienza narrativa e pittorica aveva nel tempo introiettato, nel lungo esercizio della mente e della mano condotto sulle loro opere; frequentando l’Accademia Clementina delle arti del disegno che altri, Giuseppe Maria Crespi, Donato Creti, Carlo Cignani, Marcantonio Franceschini ecc. avevano voluto a inizio Settecento per l’arte bolognese e che fu tra le prime e più importanti istituzioni del genere in Europa, Ubaldo aveva potuto accostare la cultura di altre scuole, accrescere il suo sapere nel confronto con la pittura di Fragonard, James Barry, per citare i nomi dei visitatori più illustri, avvicinando per tramite del mezzo a stampa esempi d’oltralpe. La forza della sua convinzione di devoto purissimo, il talento eccezionale che lo contraddistinse uniti alla costanza nell’esercizio e alla profonda cultura che coltivò negli anni, studiando e ristudiando gli antichi modelli e compiendo alcuni viaggi di approfondimento, forse a Venezia, di certo a Firenze, Cesena, probabilmente da giovanissimo a Roma per il Giubileo del 1750, gli concessero di prodursi, dal settimo decennio del secolo, in prove magnifiche e nuove, nel sentimento e nella forma, suggestive per tanta pittura a venire.

Non solo per gli altari, ma anche per la devozione privata, per la decorazione di palazzi senatori il Gandolfi realizzò opere mirabili; stupì il pubblico con racconti mitologici, favole profane per la nobiltà e la nuova borghesia, eccentrici per la ricerca del vero, raggiungendo, negli anni ottanta del secolo, il decennio più produttivo della sua carriera che si sarebbe conclusa bruscamente nel 1781 per un infortunio, esiti di assoluta bellezza e qualità superba, che fecero di lui un autore ricercato e celebre.

Del tutto singolare, pur in un secolo in cui simili pitture erano di moda, la sua produzione di studi di carattere, o studi dal naturale o arie di testa come erano chiamati quelle raffigurazioni dei volti di ignoti, quasi ritratti, di modelli presi dalla strada, facchini pollarole birichini, anche con scandalo dei benpensanti, che Ubaldo effigiò con una partecipazione al sentire della più varia umanità che solo il fratello seppe uguagliare. Fondando sulla tradizione locale che nel più prossimo faceva capo ai Carracci, e in virtù della sua accesa sensibilità, dipinse per amici, il conte Casali che ne collezionò innumeri e quanti frequentavano il suo atelier, cittadini e stranieri, commoventi e affascinanti ritratti di sconosciuti ai cui volti impresse l’espressione dei più diversi sentimenti, dalla leggerezza dell’esistere dei molti bambini le cui effigi realizzò con amorevole sincerità alle immagini di fresca giovinezza di fanciulle e adolescenti sino alla rassegnata consapevolezza della vecchiaia.

È, questa galleria, tra le più intense e vere rappresentazioni dell’uomo, in accordo con la filosofia del secolo dei Lumi, che permeò di sé tanta cultura della città dello Studio e toccò l’arte di alcuni, dal grandissimo Crespi ai Gandolfi. Ripresi dal vero, stupefacenti per varietà d’espressione e franchezza di resa, i molti volti anche della più negletta umanità costituiscono una galleria di personaggi nelle cui espressioni si colgono la gioia e la fatica del vivere in termini di tale concretezza da restituire l’universalità del sentimento.

Altrettanto moderne e colte e convincenti le pale d’altare, fedeli come si è detto alla regolata devozione imposta dal Lambertini, che volle che si procedesse alla resa del dettato liturgico in termini tali da ricondurre il suo popolo sui sentieri del vero cristianesimo, liberando da false credenze e superstizioni la predicazione anche per immagini: ne sono dimostrazione la tela di cui sopra e la magnifica Annunciazione del 1777 che Ubaldo eseguì per Cento, per la chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria Assunta dell’Ospedale, dimostrandosi tra i più attenti, colti sensibili artisti dell’epoca sua che scelsero di sperimentare antiche/nuove strade.

Ubaldo Gandolfi, Annunciazione (con modello a lato)

Di altro segno rispetto alla pala di San Gaetano, uno dei miei dipinti sacri preferiti tra i molti che sono al catalogo del Gandolfi, l’apparizione del bell’angelo dalle ali spiegate e dalle vesti animate dal volo, splendido nella carnalità eburnea, soprannaturale eppure di vera materia, è affascinante e occupa uno spazio che si immagina immenso, in ragione del fiotto di luce che spiove smagliante e consolatorio dallo squarcio delle nuvole che si aprono al passaggio della candida colomba – ricordo che anche la raffigurazione dello Spirito Santo era stata discussa da Benedetto XIV nella lettera Sollicitudini Nostrae del 1745.

La vergine timorosa è raffigurata in un gesto di profonda umiltà, ma in atto di accettazione del difficile messaggio, difficile da accettate ma ancor più da comprendere; e protagonista dell’immagine è la luce che tutto avvolge e fa rifulgere, restituendo credibilità al verbo cristiano nella concretezza di quanto il fedele poteva accogliere, l’espandersi del lume celeste su un angelo dall’effigie energica e, per consuonare con la cultura del tempo, classicamente impostato, e su una fanciulla vestita di modestia.

In mostra è esposto, ancor meglio accessibile nella nuova disposizione delle opere che è di questi giorni – tolta la grande pala del Rossi che appariva incongrua in tanto splendore, la saletta è oggi interamente dedicata al Gandolfi – il bozzetto per questa pala, squisita prova della fragranza del lessico di questo grande.

Poche le differenze con il finito, ma da sottolineare. Nel modello da sottoporre al camerlengo dell’Associazione, Ubaldo è ovviamente più disinvolto nella stesura rispetto a quando della realizzazione definitiva, e rende ancor più domestica e gentile la scena dove si svolge il miracolo, ponendo sul mobile sulla sinistra un vasetto di fiorellini di campo, descrivendo il libro di preghiere sull’inginocchiatoio esattamente come quello di casa, che usavano le sue figlie, e non splendidamente antico come nella pala; ma l’aspetto più intrigante è la definizione del volto dell’angelo, il volto di un ragazzotto di bottega messo in posa e dipinto dal vivo.

Nel finito il messaggero è assai più aulico, dall’effigie classicamente composta: ancora nel bozzetto Ubaldo si permette una sincerità di scrittura che è indice della sua scoperta libertà mentale e della vocazione precipua alla resa del vero.

Dunque, una mostra da non perdere.

E se se ne parla a due mesi dall’inaugurazione, un’eccentricità, è in ragione dell’apprezzamento dimostrato dal pubblico che già l’ha visitata e delle non poche recensioni che la piccola esposizione si è meritata.

Donatella BIAGI MAINO  2 Febbraio 2025