Sgarbi riapre il dibattito sulla “Natività” di Caravaggio trafugata dalla Mafia, al centro il tema iconografico

redazione

Vittorio Sgarbi è tornato nuovamente a parlare della Natività di Palermo del Caravaggio. E lo fa a un anno dalle dichiarazioni di settembre-ottobre 2018, in cui affermava che il quadro non era stato rubato dalla mafia e che presto sarebbe tornato: https://youtu.be/ExTGTiLWOUU ( con ipotesi che è stata rilanciata ora anche sulle pagine de Il Giornale: http://www.ilgiornale.it/news/nativit-caravaggio-non-perduta-sempre-1782039.html).

In quella duplice occasione del 2018, il noto critico manifestava la sua adesione all’ipotesi che il quadro sia stato dipinto a Roma, nel 1600 – ipotesi che ha incontrato le convinte adesioni e importanti aperture dei più autorevoli studiosi caravaggisti: Maurizio Calvesi, Keith Christiansen, Sybille Ebert-Schifferer, Richard Spear, Claudio Strinati, Rossella Vodret e Alessandro Zuccari.

Oggi, invece, Sgarbi si concentra su aspetti iconografici, e risponde alle nuove osservazioni del teologo don Mario Torcivia, che About Art online ha pubblicato per prima in un recente numero: https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-la-nativita-trafugata-dalla-mafia-il-punto-e-le-novita-dal-seminario-di-palermo/.

I nuovi interventi, di Vittorio Sgarbi e di don Mario Torcivia, nelle interviste realizzate da Antonella Filippi (che ringraziamo per aver messo a disposizione i materiali), sono state pubblicate nel Giornale di Sicilia di mercoledì 6 novembre 2019 (p. 13).

Si riporta a seguire l’intero servizio.

Servizio di Antonella Filippi sul Giornale di Sicilia

Il giallo nel giallo della Natività. Torcivia: nel quadro c’è il Diavolo

Il docente di teologia analizza la figura del pastore contenuta nella tela del Caravaggio: «Non è né san Giacomo né san Rocco. La si ritrova anche nel capolavoro del russo Rublëv. Non per caso»

Ripensate a La Natività con i santi Lorenzo e Francesco, quella che fino a 50 anni fa “abitava” nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. C’è un uomo col bastone e il cappello in testa, più intento a parlare con Giuseppe che ad “assistere” una Madonna provata dalla nascita del bambinello.

Caravaggio Natività 1600 particolare

«È troppo semplicistico pensare che quel personaggio possa essere san Giacomo o San Rocco: non è Giacomo perché non ha il bastone da pellegrino e non ha la conchiglia, non è Rocco perché non si vede la gamba e non si vede il cane. E non è neppure Leone, il frate che solitamente accompagna san Francesco». Per don Mario Torcivia, ordinario di Teologia spirituale presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania, quell’uomo è un pastore. E non solo: «Nella tradizione cristiana il pastore personifica il diavolo, la tentazione, ed è chiamato Tirso, cioè bastone, l’attributo iconografico di Dioniso e dei suoi seguaci, le baccanti e i satiri, ripreso da Merisi e presente in tanta pittura italiana trecentesca».

La riflessione è stata esposta durante il convegno organizzato per la settimana «Caravaggio50» che ha «celebrato» i 50 anni trascorsi dal furto. Ma Torcivia sulla strada dell’identificazione chiama in ballo un’altra Natività, quella di Andrej Rublëv, il più grande pittore di icone, venerato come santo dalla Chiesa ortodossa. «Non sono un esperto di Caravaggio ma conosco la teologia: nell’icona realizzata certamente prima del 1430, anno di morte dell’artista russo, la persona con cui dialoga Giuseppe è un pastore e Giuseppe non parla semplicemente con lui ma subisce una tentazione. Nell’icona di Rublëv, una scrittura teologica visiva, al centro c’è Maria col bambino, cuore dell’immagine; in basso, sulla sinistra, Giuseppe parla con il pastore mentre a destra, due levatrici, assenti in Caravaggio, fanno il bagno al bambino. Anche nell’iconografia ortodossa sono rappresentate le due tentazioni alla fede in Gesù Cristo vero Cristo e vero uomo: la presenza delle levatrici afferma che il bambino è concreto, mentre il pastore rappresenta la tentazione subita da Giuseppe: Com’è possibile che una vergine partorisca un figlio e com’è possibile che tu, vecchio, possa aver generato? A questa tentazione, risponde la tradizione cristiana che raffigura il bastone che fiorisce, il bastone gigliato di Giuseppe. Da marginale Giuseppe diventa centrale quando, indicando il bambino, è come se rispondesse a Tirso: Il bimbo è il vero Dio.

Andrei Bublev, Natività

Caravaggio, dunque, è perfettamente inserito in quella tradizione iconografica cristiana, che poi abbiamo perso, e che è rimasta nelle icone orientali. Mi colpisce che Merisi perpetui nella sua Natività con i santi Lorenzo e Francesco quello che di fatto la tradizione ha sempre visto in quell’icona: con l’evento della Natività Giuseppe non c’entra, lui e il pastore sono a parte, come dimostra il fatto che nessuno dei due guarda il bambino».

Ma la scena Giuseppe-pastore non è la sola a sollevare interrogativi. Una possibile nuova lettura riguarda anche san Francesco alla destra del pastore.

«Non sono convinto che la figura orante sul fondo sia san Francesco, ma è un’affermazione che faccio in punta di piedi perché non ho approfondito l’argomento e non ho certezze. Secondo me, il quadro non è stato dipinto a Palermo, perché in questo caso il frate avrebbe indossato il saio dei Conventuali: una famiglia francescana non fa dipingere qualcosa per sé senza far raffigurare Francesco secondo i propri abiti, nel colore e nella forma. E quello di Caravaggio non è una tonaca dei Conventuali bensì degli Osservanti o dei Riformati o degli Alcantarini, non certo dei Cappuccini. Ma è pur vero che in una scena di natività san Francesco può trovare una sua collocazione».

Sgarbi: «Quello non è Satana che tenta san Giuseppe»

Il critico d’arte: il pastore è solo un ignorante invitato a comprendere l’identità divina di Gesù

Non vedo alcuna possibilità di introdurre nella «Natività» caravaggesca elementi di tentazione. E perché poi? Sarebbe l’unica iconografia cervellotica in cui uno sconosciuto è un tentatore. Al contrario, è un’esegesi divina: si invita un pastore ignorante a cercare di comprendere il mistero della fede e dell’identità divina di Gesù». Vittorio Sgarbi non è d’accordo con l’interpretazione che propone il pastore/demonio tentatore.

Perché no?

«Mi sembra un’interpretazione priva di ogni fondamento. San Giuseppe è la parte più originale del dipinto per ché si mostra di spalle, in una maniera fotografica alla Cartier-Bresson, fautore dell’istante decisivo. E, indicando orgogliosamente il bambino, sembra dire: Guarda, cosa abbiamo fatto. Il suo dialogo con un vecchio pastore con la barba e il cappellaccio tutto può essere meno che un’allegoria del demonio o della tentazione».

Ma allora chi è l’uomo col cappellaccio e cosa ha a che fare con la scena della natività?

«È un uomo semplice, un pellegrino che arriva a cui, ripeto, san Giuseppe mostra il bambino. È una persona che potrebbe non sapere di cosa sia successo e viene richiamato da san Giuseppe alla maestà divina. Quindi è esattamente l’opposto, è un dialogo rovesciato: è ostentazione alta e spirituale di un neonato, mentre il vecchio con aria meditativa appoggia la testa al bastone e guarda. Accanto a lui potrebbe esserci, nonostante la tunica complessa, san Francesco che prega, concentrato: inserire il demonio tra lui e san Giuseppe è un’idea priva di supporto, di cui non s’avverte neppure la necessità. La presenza di due santi, san Lorenzo e san Francesco indica una accentuazione di spiritualità, l’elemento negativo non serve».

C’è una particolarità che la sorprende in questo sventurato dipinto?

«L’unica cosa che stupisce, ed è davvero sorprendente, è la nuca di Giuseppe con i capelli corti e bianchi, unica traccia per intendere che san Giuseppe è più vecchio della Vergine. È però evidente che lui sta lì, accoccolato, e il gesto della mano è un invito a guardare e a capire».

Neppure la possibilità che in quel quadro ci possano essere san Rocco o san Giacomo e non un semplice pastore la entusiasma?

«È evidente che essendo un’adorazione, almeno un pastore era necessario. San Lorenzo e san Francesco, legati all’oratorio, hanno preso il posto dei due pastori, dunque almeno un pastore era d’obbligo. Un bambino appena nato non suscita stupore o meraviglia – ne nascono sempre – è proprio l’esegesi di Giuseppe che fa intendere al pastore di essere davanti a qualcosa di straordinario che meritava la chiamata dell’angelo che indica il rapporto tra il bambino e il cielo. Siamo di fronte a una scena di natività, cercare un ulteriore significato sarebbe deviante. Tentare chi, poi? Nessuno ha mai tentato San Giuseppe».

È pur vero che generare alla sua età…

«Ma che gli vuoi dire? Quello è un mistero divino».