- di Massimo MARTINI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
Si fa presto a dire buche………..!
Prevalenza della lacuna
Volare alto, guadando in basso
di Massimo Martini
(Per gli articoli prcedenti vedi link in calce)
Atto terzo: Un Insieme, una Sagoma, un Gioco
Un segno piovuto dal cielo trasforma la Lacuna in Insieme matematico
Pensavo di avere esaurito, seppur frettolosamente, il quadro relativo alle buche divenute, in arte e grazie all’asfalto, lacune. Sia nella versione eccomi qua sono una lacuna. Sia nella versione eccomi qua sono una lacuna restaurata. Dando per scontato che, della lacuna, rimane comunque una traccia. Almeno come ferita, (ferita d’amore, dice la canzone che ho già citato di Ernesto Murolo). Naturalmente ero in errore. Perché. Percorrendo un marciapiede lungo una via dedicata a un eroe del Risorgimento, sempre nella città senza uno straccio di grattacielo, incontro qualcosa che mi ricorda Incontri ravvicinati del terzo di tipo, il bel film di Steven Spielberg. 14 lacune 14, da tempo abbandonate, appaiono ora circondate, definite, assolutizzate da un largo segno color giallo, chiuso e circolare. Presumibilmente espresso da una bomboletta spray. Di questi segni gialli circolari in realtà se ne chiudono per bene solo 10. Gli altri 4 si infrangono su ostacoli imprevisti come il ciglio in travertino del marciapiede o il coperchio in ghisa di un tombino del gas. Bene. Sotto i miei occhi increduli e vicino alle mie scarpe misura 45, si materializzano non uno, ma addirittura dieci insiemi. Insiemi matematici. E neanche per un istante mi passa per la mente che il gesto sia opera di un qualche graffitaro concettuale. Occupati come sono, gli artisti della street art, a disegnare opere dichiaratamente contenutiste, prigioniere di una figuratività elementare, stucchevole. Mi posso sbagliare, ovvio. Che loro fanno bene a esprimersi sempre, comunque e ovunque, (tranne che sui finestrini dei treni dei pendolari…) Fig 1.
L’Insieme matematico apre di necessità a significati di tipo letterario
Il pensiero che ruota intorno al concetto di Insieme è al tempo stesso leggero e pesante, in superficie e in profondità. Richiama l’idea di collezione. Collezione di oggetti in grado di suscitare il desiderio di possesso. Poi subire un preciso destino. Magari solo identità raccattate per strada. Per altro il concetto di Insieme è un concetto primitivo. Perché nozione non derivabile da concetti più elementari. Ed è anche un concetto intuitivo. Perché generalizzazione della nozione di Insieme finito. E qui mi fermo, perché anch’io comincio ad andare in confusione. L’importante, per adesso, è fissare almeno tre caratteristiche. 1- Si può creare un Insieme definendo prima un contorno e ponendovi poi alcuni elementi al suo interno. 2- Si può creare un Insieme quando, in presenza di molti elementi, se ne isolino solo alcuni dentro un singolo contorno. 3- Come che sia, all’interno di un Insieme l’ordine non conta, non esiste una gerarchia fra i segni (e questo mi garba assai). Siamo alle soglie della cosiddetta Intelligenza Artificiale. Siamo nel delirio di onnipotenza che conduce a selezionare strutture (magari prima non percepibili) della cosiddetta realtà. Da mesi studio sulla foto i caratteri di quell’Insieme che contiene una lacuna, (la figura n.1 appunto, uno dei dieci episodi sul nostro marciapiede). Ma sento distintamente che qualcosa mi sfugge di mano… La lacuna è interrotta da due crepe come di un fiume che entra e poi esce da un lago. All’interno della lacuna vagano numerosi elementi (briciole di asfalto, sassi e altro) che mostrano una loro propria vita figurativa. Il curiosare matematico mi porta verso una improbabile lente di ingrandimento. E più mi addentro. E più mi sento in confusione…. Cosicché, temendo uno svenimento della mente, mi rifugio nel protettivo linguaggio semantico della parola scritta (sempre asservita al segno grafico in questi miei articoli). Cominciando a intravedere, invece che storie di forme, affinità letterarie, simpatie, similitudini, metafore. Piano piano, come posso… E la lacuna si apparenta a un vuoto, a una mancanza, a un’entità che se ne è andata. E trovo in questa inclinazione un lasciapassare per dire: Qui, ora, dentro un Insieme giallastro, galleggia nulla più che una dolente lacuna. Nessuna lacuna è dolente! Se non nella parola dello scrittore! Facile passaggio, lo so. Ma, credetemi, nell’ennesimo autobus che brucia per autocombustione lungo una via cittadina, io non vedo una (pur sacrosanta) denuncia. Bensì proprio la sublimazione del concetto di vuoto, di mancanza, di stanchezza finale. La rinuncia di sé medesimo, da parte del Bonzo, seduto accovacciato, avvolto da fiamme implacabili e definitive. In un rito, cui non vorresti assistere. In una catena di sensazioni che non vogliono essere teorema. Un dire sommesso, questo sì. (fig 2)
Le lacune sono lontane e l’asfalto diviene testimone oculare
Ora io so di avere a disposizione nuove dimensioni da sperimentare, nuovi Insiemi da decifrare. Poi magari aprire un varco nella foto stampata (come nella figura n. 2), alla ricerca di un significato nascosto, chissà. Il marciapiede, luogo per un’osservazione lenta della vita della città, cede il passo all’asfalto tutto (con esattezza detto: conglomerato bituminoso artificiale). E la prima riflessione è la più ovvia. Viviamo dentro l’infinita gamma di mescole dette tout court asfalto. Anzi viviamo, comodamente, grazie all’asfalto. Le città sono meno rumorose senza gli zoccoli dei cavalli che battono sui lastricati di pietra. Le scarpe non vengono impantanate nella melma, ma possono diversificarsi ogni giorno di più, fino al modello specifico da jogging. Una coperta morbida, elastica e duttile, conforma le nostre città, tutto il vivibile quotidiano. E la nuda terra, colta o incolta che sia, ci appare come un oceano divenuto solido, altrettanto pieno di insidie e da tenere a debita bada. A me piace l’asfalto. Mi piace molto. Moltissimo. Ridisegna continui Cretti di Alberto Burri. Racconta sue storie, ha i suoi artisti. Eredi degli antichi madonnari. Vi corrono nastri bianchi, a volte tratteggiati, che vanno in luoghi lontani. Più lontani dell’Alaska, anche più in là. Un grigio di infiniti grigi è la sintesi, la promessa quasi, di una modernità adattabile. E nelle infinite sfumature della memoria collettiva di questo vivere globale, affiora netta una sagoma disegnata sull’asfalto, con semplice gesso bianco. Di un uomo deceduto a causa di qualcosa che è andato storto, nella sua vita. Il corpo non c’è più, ma è ancora lì, nell’umana pietà. E quel segno, quel contorno, quella sagoma è (anche) un Insieme. Un segno amico, trovato lì per caso, che ci accompagna speranzoso, forte della sua fragilità. (fig 3)
L’asfalto: da tela strappata, a tela dipinta, a vera verissima Installazione.
La sagoma della persona caduta nella battaglia della vita dorme, si riposa. L’asfalto è il suo letto. Non diverso dal giaciglio di un migrante, lui pure lì vicino da qualche parte e per caso. Anche i nuovi vescovi sono tenuti a giacere proni e ben schiacciati a terra, prima dell’ordinazione, sul nudo pavimento della chiesa. Rimane trasandato il luogo dove una vita si ferma. Il traffico deviato di un poco appena. Nel frattempo il mondo gira. Si mescolano le carte. Chi respinge. Chi accoglie. Comunque quella Sagoma (che è un Insieme) (che è un Enigma) può sbiadirsi ma non sparisce. La ferita d’amore indelebile. Gli artisti, divenuti di necessità Sciamani, entrano nelle architetture, attraversano i deserti, replicano i gesti teatrali dei Santi nei quadri. Cambiano il senso dei segni, prima che i segni stessi se ne rendano conto. Si danno da fare. Come tanti, indaffarati, inappagati. Un cappellano fantasioso, Don Antonio, in un paese vicino all’epicentro del terremoto dell’Irpinia del 1980, non sa più a che santo votarsi. Conduce più chiese che greggi di praticanti. Si ingegna. Sistema un citofono sul fronte della Chiesa Madre. Non si sa mai! Ha bisogno di una statua di S. Vito il Protettore della città e se la inventa. (Andando più volte a S. Gregorio Armeno a Napoli). Adattando il sotto (credo) di un S. Sebastiano al sopra (credo) di un S. Antonio. Istruisce i pochi candidati alla Prima Comunione dando loro appuntamento di volta in volta in una delle chiese deserte del paese. Poi, a sera. All’ora del rosario. Poche le pie donne. Attiva un microfono collegato con due megafoni sistemati sul campanile della Chiesa Madre. (Campanile ridotto a mummia dal cosiddetto intonaco di salvaguardia della Sovrintendenza). E nell’aria ormai tarda si espande una voce (di pia donna!) che recita le litanie. E lo sporco intellettuale che è in me legge questa musica come quella di un novello muezzin irpino! Che dal minareto è tenuto a salmodiare in quella maniera gracchiante ma fortemente identitaria dell’amplificatore meccanico. Non ci sono le palme ma è un rapimento meticcio, quello che prende l’ospite (che ha viaggiato magari poco, ma almeno in Tunisia è stato). Ed è un’Installazione prodigiosa quella allestita nella parrocchia di S. Callisto nella cosiddetta Caput Mundi. Per accogliere i senza tetto d’inverno. Bene. Benissimo. Nel transetto, alla fine della navata assembleare, là dove si aprono le braccia del Signore, quei letti (tutti accuratamente preparati, spesso con due cuscini, nella maniacalità dell’artista che è in noi, nella fantasia del trovarobato delle provvide monache) sono pronti a dare forma alle sagome stremate dei vivi. (fig 4)
L’astrazione è fredda ma duratura. Il realismo è avvincente ma caduco
Il gioco dell’Insieme matematico in grado di prefigurare, selezionare strutture (magari prima non percepibili) della cosiddetta realtà (che è il nocciolo concettuale di questo articolo)… questo gioco mano a mano che vado scrivendo, temo stia divenendo sempre meno efficace. Anche con il supporto di un qualche senso letterario. Il raffinato dilemma di cosa sia possibile riconoscere o meno, all’interno di uno dei 10 Insiemi lungo quel marciapiede, cede il passo all’irrompere di un autobus in fiamme. E’ come se avessi rinunciato a usare il microscopio per inforcare solo e soltanto i soliti occhiali da vista. Un’illusione, lo devo ammettere, quando pensavo di poter giocare a dadi con i segni e solo con essi. Riaffiora la necessità di un sano realismo? Non so. Certo del realismo non mi fido. Perché troppo caduco. E poi lo maneggio con un certo imbarazzo. Con il passare degli anni si raffredda il cuore, mentre si infiamma il cervello. Si pensa forse di poter arrivare con l’immaginazione, là dove per conoscere servirebbero di più le forze di un andare istintivo…. Anche il Gioco della Campana conduce a un asfalto che a sua volta conduce a un Insieme. Nella figura n.5 siamo in India e sia benedetta la memoria informatica. Bambine giocano nel Sabarmati Ashram (una delle residenze, oggi museo) del Mahatma Gandhi. Ma lo vedete, tutto sfuma, si smaterializza (forse in attesa di una prepotente figura n. 6). L’asfalto non è asfalto bensì terra pressata, quasi fossimo, lo si intuisce appena, sulle rive di un fiume. Il gesso bianco protagonista dell’asfalto, cede il passo al gesto ampio di un bastone, della punta di qualche canna. Gli Insiemi sono vuoti. Si aggregano a caso. Non ci sono numeri su cui saltellare. Le bimbe hanno braccialetti alle caviglie. Ormai tutto mi appare irrisolto. In attesa di qualcos’altro. (fig 5)
Nessun destino è troppo piccolo
Abbastanza presto, nella piccola storia dello studio Grau di Roma, comparve la necessità, quasi istintiva, di superare la meccanicità insita nello sviluppo degli organismi centrali. Per far questo, mantenendo (o cercando disperatamente) di mantenere principi di sviluppo in grado di disegnare tutto l’organismo (in omaggio al dio dell’unità del tutto)… negli anni settanta alcuni di noi si ingegnarono a formulare una teoria (fra le altre, fra di noi) che fosse praticabile e convincente. La chiamammo teoria del modulo plastico. E un giorno o l’altro cercherò di spiegarla per bene in qualche articolo. Ovviamente ci sono disegni e progetti compiuti (molti), oltre a realizzazioni (poche, inutile dirlo). In sintesi questa teoria parte da un modulo (sia fisico che storico), che per brevità facciamo coincidere con un trilite strappato alla storia dell’arte (anche del moderno, ovvio). Questo modulo è libero (nella nostra testa e sul foglio bianco) di evolversi nello spazio, mutando a piacimento il suo assetto formale. Anche nei caratteri costruttivi. In parole povere. Quel trilite storico, posto all’inizio come semplice arco di accesso a un giardino monumentale, genera in sequenza prima una parte del corpo di fabbrica principale, poi un’altana, poi una pensilina e via dicendo. Con un tessuto connettivo più neutro possibile. In un processo molto intrigante, totalmente formale, come nel contrappunto di Bach o nella serialità aleatoria di Stockhausen. Evitando modelli totalizzanti precotti. Con questo piccolo, insidioso, pericolo. Che con la stessa facilità con cui potevi costruire un percorso. Con altrettanta facilità potevi smontarne una parte o il tutto. In semplice omaggio al tuo puro furore progettuale! Poi intervennero altri aspetti a mitigare l’esperimento…. Tutto questo per dire che né l’intuizione pura, né il ragionare più ferreo possono evitare di perdersi dentro il continuo dissidio fra i segni e i loro significati… Yanela Sanchez piange come sua madre, Sandra Sanchez, mentre vengono prese in custodia dalla Guardia di frontiera in Texas, America, il 12 giugno 2018. Clandestine dallo Honduras. La foto della scena, scattata dal fotografo John Moore, ottiene nel 2019 il World Press Photo of the Year. E questa immagine, custodita in una cartella del mio personal computer, balla da tempo nel mio immaginario. Sulla linea di confine di un Insieme che si chiama Ossessione si incontrano due bambine, una saltella sui piedi nudi ma ornati di bracciali alle caviglie, l’altra piange incazzata, con le scarpette rosse da ginnastica che le fanno da podio. Nessun destino è troppo piccolo. Siamo tutti esseri di frontiera. Né più di parte, né ancora meticci. E io scrivo per incasinarmi le poche idee, che riesco via via ad organizzare. (fig 6)
Un’immagine enigmatica
L’ultima immagine, che spero appaia enigmatica a chi la osserva un poco attentamente, chiude questo lungo sogno chiamato lacuna. Da un lato vuole riportare l’attenzione verso quei segni (ai nostri piedi) che abbiamo a lungo visitato. Dall’altro ripropone l’antico dilemma tra figuratività astratta del moderno e figuratività naturalistica della natura. (Perdonandomi voi questa sintesi sbrigativa). La meravigliosa noia di una lavagna che si riscrive e si ricancella! La meravigliosa rosa dei segni irripetibili della sezione di un albero! Per quanto mi riguarda, preso dalle cicche sparse qua e là, mi domando se provengano dallo stesso Insieme, la tasca di una giacca che conteneva un pacchetto (vero e proprio Sotto-Insieme), un accendino, tre chiavi, altro di sparso, senza gerarchia fra loro. (fig 7)
Massimo MARTINI Roma 18 ottobre 2019
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