di Massimo MARTINI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
Si fa presto a dire buche………..!
PREVALENZA DELLA LACUNA
Volare alto, guadando in basso
(La prima parte dell’articolo è stata pubblicata il 27.07.19 su About Art on Line cfr https://www.aboutartonline.com/il-tormentone-delle-buche-nella-citta-senza-un-grattacielo-ma-non-sono-buche-semmai-lacune-spessori-mancanti-riflessioni-di-uno-sporco-intelletuale/)
ATTO SECONDO – DAL RATTOPPO ALLA CONQUISTA DEL PRIMO PIANO
La lacuna riempita ma non spianata
Scusandomi con i lettori per il ritardo, (la prima parte di questo articolo risale alla fine di luglio, vedi link sopra), entriamo subito nell’intrigo delle lacune restaurate. Che sono praticamente infinite, specie nella nostra smarrita Italia, vista l’estrema difficoltà ovunque, di accompagnare il cosiddetto nuovo al cosiddetto vecchio. Ragion per cui la vera suspense si anniderebbe nell’esame delle massime castronerie possibili. Fatto intrigante per me, che vedo in ciò la possibilità di osservare la tenuta dei segni dentro stress test figurativi random e in corpore vili. Ma come è giusto che sia, un equilibrio nell’esposizione va trovato, specie se si vuole dare un quadro appena sensato a una realtà spesso insensata. L’immagine n.1 (mi piace tantissimo) consente di entrare nel vero fotografico, purché provvisti di una sana benevolenza per la vita così com’è. Innanzi tutto ci ricorda che siamo di fronte alla complessità del costruire, per quanto in condizioni abbandoniche. C’è un poco di tutto in questa lacuna riempita di cose. Sassi grigi derivati dall’asfalto sbriciolato. Spezzoni rossi di mattoni forati. Altro di informe. Qualcuno premuroso li ha collezionati lì per evitare qualche peggio. Ma come spesso capita in un’immagine che sembra qualsiasi, c’è qualcosa di irrisolto. E’ la lunga ferita nell’asfalto che rapisce lo sguardo. Una ferita che nasce da una grande smagliatura attorno alla lacuna. Che corre, corre, corre verso dove vuole il lettore. (fig 1)
La lacuna restaurata con quello che capita
Potremmo chiamarlo l’enigma delle quattro mattonelle nere e delle cinque mattonelle bianche (in un tappetino grigio scuro – dato un pavimento grigio chiaro). Già crepate alcune mattonelle nuove. Ok per le vecchie. Chissà dove. Tira l’aria di uno scantinato, magari di ospedale. Avranno sfasciato un pezzo di pavimento per cercare qualche perdita nell’impianto di riscaldamento. Di corsa, che i malati sono fragili. E mi sovviene quando, nell’articolo precedente, mi sono soffermato su due lacune a zig zag (nevrotiche, vi assicuro) lungo un passo carraio che si collega a un viale alberato non breve. Ora, è una notizia di poco fa, le due lacune si sono fuse in un unico episodio. Che si sta espandendo. Producendo molti detriti, sia piccoli che piccolissimi. Dalle collettività locali emergono sacrificali le figure degli Amministratori di condominio. Ed emergono, terrificanti, anche i luoghi dove si svolgono le riunioni condominiali. Mi voglio applicare per mostrarvene qualcuno, prossimamente. L’architetto ha la possibilità di capire, sentire sulla sua pelle direi, l’architettura oggi, solo dentro l’esperienza mistica di una manutenzione ordinaria. La solitudine è totale e sfugge, sfugge per ogni dove, il senso della materia lavorata. Io non so dirvi delle mie due personali esperienze di progetto e di direzione lavori in edifici scolastici. A scuola aperta, alunni che vanno e vengono, squadre di subappaltati al lavoro in incognito. Credo di sapere, sì. Ma non so dirvi. (fig 2)
La lacuna restaurata in attesa della soluzione a regola d’arte
L’Hotel Biron, situato nel raffinato Faubourg St-Germain a Parigi, è uno splendido edificio rococò costruito agli inizi del ’700 da Jean Aubert e affacciato su un altrettanto splendido giardino della dimensione di oltre tre ettari. Qui vive gli ultimi anni della sua vita il grande August Rodin e qui, dal 1919, viene allestito il Museo dedicato alle opere dell’artista. Durante una visita di qualche anno fa, Patrizia Nicolosi fotografa, cattura questa immagine (e molte altre dello stesso soggetto). Da cui si deduce che. In fretta e furia gli operai della manutenzione del museo hanno dovuto porre riparo a una vera e propria epidemia di lacune. E siccome si presume che tali lavori vengano effettuati di lunedì, giorno di chiusura al pubblico, se ne deduce che forse il parchettista in quei giorni fosse malato o piuttosto dovesse accompagnare la moglie per una visita medica programmata da tempo. Fatto sta che la soluzione è insolita, ma a suo modo raffinata, dentro una tipologia che potremmo definire a coperchio. Il legno ben stagionato, le lastre smussate a dovere. Forse, chissà, soprattutto per quanto riguarda la squadra triangolare, trattasi di avanzi di lusso provenienti da qualche consolle allungabile o da qualche trumeau a cassetti. Prigionieri coatti in qualche sotterraneo per fornire, all’abbisogna, ricambi che siano d’epoca. (fig 3)
La lacuna restaurata a regola d’arte, ma segnata dal destino italiano
Nel 1750 Carlo di Borbone re di Napoli (poi divenuto Carlo III re di Spagna), decide di creare il nuovo centro amministrativo del regno in una località distante 15 km dalla città del Vesuvio. Nasce una reggia sontuosa, ricca di giardini e parchi, in aperta gara con le altri grandi capitali europee. Se oggi state viaggiando verso Bari e siete nella carrozza fortunata (che non vede impallata la vostra vista dalla stazione di Caserta), potete godere in pochi minuti di una vista assolutamente unica, sintetica di questa monumentale architettura. Nel 2006 l’istinto fotografico sempre di Patrizia Nicolosi, fruga nelle viscere della reggia e ci regala questa perla di ironia, per altro formalmente ineccepibile. Un tratto di pavimento a marmette necessita di un restauro. Poi, sulla spinta di un abbellire che viene comunque buono in terra del sud, un abile decoratore si ingegna a dipingere una pavimentazione a finto marmo policromo, con variegate scelta di colore e realistiche venature. A disegno antico, ovvio. Senza neppure l’accortezza di trarre partito dalla scansione delle mattonelle esistenti. Bene. Qualcuno cammina sul pavimento e, chissà dopo quanto tempo, la vernice si screpola, affiora il prima e tutto si mescola a macchia. E’ veramente un bel vedere. E non lo dobbiamo a Vanvitelli, bravo bravissimo di suo. Ma a Emilio Vedova e a quanti con lui, ci hanno aperto gli occhi al nostro moderno informe destino. (fig 4)
La lacuna restaurata, omogenea, che va bene così, che dice “ricordami”
Questo è l’ultimo esempio della tipologia che prevede una buona compatibilità con il prima, ora rimesso in sesto. Ci sarebbe da ridire sul tono del grigio ma, onestamente, chi vorrebbe mai incamminarsi verso questo versante di acrimonia? C’è un disprezzo diffuso vero l’asfalto che conduce l’osservatore ad accontentarsi quasi in automatico del tipo di risultato (anzi forse non se ne accorge nemmeno, della differenza da grigio a grigio ). E poi c’è il retro pensiero che suggerisce la massima del buon senso: il tempo aggiusta le cose. La polvere del tempo. Che esiste, esiste davvero, nessuno la spolvera sulle case e si disvela solo in occasione delle demolizioni. Ma c’è qualcosa che mi trattiene, qualcosa di stringente in questa lacuna restaurata che chiede un supplemento di attenzione. E mi sovvengono i versi dolenti di una bella canzone napoletana, ‘A primma ‘nnammurata, di Fonzo e Murolo, cantata (solo e soltanto) da Ernesto Murolo … “Ll’ammore è na ferita / ca ’o tiempo pò sanà / ma te rummane ‘o segno tutt’’a vita /pe’ t’’a fà ricurdà / pe’ t’’a fà ricurdà… “ (fig 5)
La lacuna restaurata, astratta, in primo piano e protagonista (1)
Ora entriamo veramente in terra incognita. Quando la lacuna restaurata o è troppo estesa quindi troppo evidente in sé, o è parte di un tessuto figurativo di pregio (un antico mosaico pavimentale), così da non poter essere in alcun caso riprodotta. A guidarci sono le parole di Cesare Brandi che, nel suo Teoria del restauro, dice: “… la cosa più grave… non è tanto quel che manca, quanto quello che indebitamente si inserisce. La lacuna, infatti, avrà una forma e un colore, irrelativi alla figuratività dell’immagine rappresentata. S’inserisce, cioè, come corpo estraneo… (cosicché) quando nel tessuto della pittura si determina una lacuna, questa “figura” non prevista viene colta come figura a cui la pittura fa da fondo: donde alla mutilazione dell’immagine si aggiunge una svalutazione, una retrocessione a fondo di ciò che invece è nato come figura… e (nel tentativo che si) rifuggisse dalle integrazioni di fantasia, venne allora la prima soluzione empirica della tinta neutra. Si cercava cioè di spengere questa emergenza in prima fila della lacuna provando a ricacciarla indietro con una tinta il più possibile priva di timbro. Il metodo era onesto ma insufficiente…” E via dicendo nei meandri della storia storpiata. Ora qui propongo due tipi di immagini assai diverse tra loro. La prima, la figura n. 6 è, come mio solito povera, poverissima, quasi ascetica. Ma chiara. Per altro, pur nella serie ma chi se ne accorge…, i protagonisti recitano bene la parte in copione. Che è la seguente. Una lacuna restaurata con asfalto di poco conto, prende il sopravvento sulla nitida figuratività di un tappeto di sanpietrini, ben altrimenti titolati dalla storia. (fig 6)
La lacuna restaurata, astratta, in primo piano e protagonista (2)
La seconda immagine che vuole confermare la teoria di Brandi è la n.7, dove un sito storico, le Terme di Caracalla a Roma, dispiega il proprio fascino a partire dalla quota parte di mosaico decorato in grado di galleggiare, comodo e tranquillo, dentro una lacuna molto, molto più estesa. Con l’ausilio in vero di una morbidità naturalistica dei piani orizzontali. Che il tempo ha piano piano adattato a sottofondi divenuti ormai porosi. Plasmabili. Un segno non piccolo del destino scritto in ogni rudere. Quello di divenire progressivamente una delle forme possibili della natura. Che pochi indagano. Che il genio di Alberto Burri ha fissato per l’eternità nella forma e nel concetto del Cretto di Gibellina. E a proposito di incursioni fra le arti, ritornando un poco indietro alle parole di Cesare Brandi sul destino della lacuna… quando inserita dentro un’immagine troppo forte,… quando protagonista suo malgrado nella negazione di un passato irripetibile… ecco, vorrei far notare che nuovi esiti si possono avere semplicemente ribaltando la sequenza del ragionamento. Quando la cancellazione non sia più l’atto finale di una sconfitta onorevole. Bensì l’inizio di un percorso progettuale che conduca altrove. … Una modalità a ben vedere già agli atti della storia dell’arte. Un modo non decostruttivo, ma fondante. Così. Emerge prepotentemente il linguaggio dei décollage di Mimmo Rotella, delle cancellazioni di Emilio Isgrò. Di molti altri. Un cenno breve, ma tutto dovuto. (fig 7)
Il tema della lacuna suggerisce il tema delle pietre d’inciampo
Se la cancellazione (l’assenza!) connessa al ricordo può derivare dall’estendersi del concetto di lacuna, come non incontrare fatalmente le pietre d’inciampo dell’artista Gunter Demnig? Un mare di ragioni reclamano questo cenno. Vista la bella, bellissima coincidenza fra la leggerezza e l’ubiquità di questa opera d’arte e la leggerezza e l’ubiquità della ragione del messaggio. Un sommesso omaggio alle vittime dell’olocausto. Un vento che soffia libero, ovunque. Nel rispetto silenzioso ma nella volontà di restaurare, ad ogni attimo, il ricordo. Gunter Demnig ha ideato questa opera leggera e planetaria nel 1992 e, ad oggi, oltre 70.000 sono le pietre d’inciampo (sampietrini 10×10, coronati da una targa in ottone, posti di fronte al portone di casa…) che brillano sui marciapiedi d’Europa. Un’opera d’arte collettiva e personalissima al tempo stesso. Nell’attimo di silenzio che suggeriscono: Alba Sofia Ravenna Levi, Giorgio Levi, Mario Levi, Eva della Seta, Giovanni Della Seta. (fig 8)
Un uomo a capo chino si ferma, osserva, forse interroga anche l’asfalto
Dopo aver scattato le foto delle pietre d’inciampo davanti all’ingresso del civico 21 di via Flaminia a Roma, mi sono attardato e, di lì a poco, un uomo solo, lungo un marciapiede stranamente deserto a quell’ora, si è fermato a osservare. Gli ho fatto, lui di spalle, un’istantanea dedicata ma, sul momento, non ho riflettuto abbastanza sulla situazione di cui ero testimone. E’ stato più tardi, a studio che, di fronte a quella immagine, sono rimasto a lungo ad osservare. Cercando un significato in più. Che ne so. Un segno del destino. Nulla, che non fosse una mia inutile sovrastruttura mentale. La pubblico perché mette al centro un uomo. Solo con la sua coscienza. E mi sembra già tanto, per oggi. (fig 9)
Massimo MARTINI Roma settembre 2019
(Il terzo e ultimo atto in uno dei prossimi numeri di About Art on Line)