di Vittoria MARKOVA
E’ con grande piacere che ospitiamo in questo numero l’ importante contributo in cui la Prof.ssa Vittoria Markova esprime il suo punto di vista su come sia stato condizionato – in modo assolutamente distorto – parte del mondo della cultura e dell’arte occidentale dallo scoppio del conflitto tra Russia ed Ucraina. La professoressa Markova è troppo nota agli studiosi italiani e internazionali perchè si possa tracciare in questa sede un sia pur breve profilo della sua attività di studio, di ricerca, di pubblicazioni, di organizzazione di mostre e convegni in Russia e nel mondo, oltre che, per quanto riguarda piàù da vicino il nostro paese, di curatrice capo della collezione di pittura italiana del museo Pushkin. Vogliamo però brevemente sottolineare il suo grande attaccamento alla cultura e all’arte del nostro paese, come si evince -oltre che dallo scritto che pubblichiamo- per aver organizzato iniziative (tra cui l’esposizione in Russia di molti tra i pittori italiani più importanti, da Raffaello a Tiepolo, da Tiziano a Canaletto) di capitale rilievo per lo sviluppo delle relazioni bilaterali tra i due paesi in campo culturale, iniziative per le quali ha ricevuto poco più di un anno fa la nomina a Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia. Come sempre, About Art è aperta ai contributo di chiunque desideri intervenire sui temi sollevati qui con grande chiarezza e partecipazione emotiva.
Noi tutti oggi ci troviamo in una situazione che fino a poco tempo fa era inimmaginabile.
La crisi che ha coinvolto praticamente tutto il mondo differisce per molti versi da qualsiasi altra crisi che l’umanità abbia mai vissuto. La differenza principale consiste nel forte coinvolgimento del mondo della cultura, che è addirittura diventato un campo di feroce confronto. È la prima volta che ci troviamo in questa situazione.
La cultura russa è divenuta oggetto di scontro, con voci che chiedono la messa al bando di Dostoevskij, Tolstoj, Čechov e altri scrittori, nonché di compositori, tra cui Čajkovskij, le cui composizioni sono state eseguite in tutto il mondo. Questo atteggiamento ha toccato anche la sfera delle arti figurative. Le opere degli artisti russi vengono tolte dai musei e dalle vendite all’asta, vengono chiuse le mostre, e – cosa ancora più assurda – ne vengono cambiate le denominazioni affinché scompaia la parola “russo”. Certo, succede non dovunque, non in tutti i paesi, però accade, e questo non può che suscitare una seria apprensione per le sorti della cultura nel suo complesso. Tuttavia, chi avanza tali richieste dimentica che la cultura russa, sviluppatasi a stretto contatto con quella europea, costituisce ormai da molto tempo una parte integrante del patrimonio culturale mondiale.
La mia personale esperienza di incontro con molteplici figure della cultura italiana ne è la conferma. Quando ero ancora una giovane collaboratrice del Museo statale di Belle Arti e avevo appena iniziato a curarne la collezione di dipinti italiani, ho avuto la possibilità di lavorare come interprete per il noto regista Valerio Zurlini, che si trovava in visita a Mosca in qualità di membro della giuria del Festival Internazionale del Cinema di Mosca. Ricordo che parlavamo molto nei momenti liberi dalle proiezioni e dagli incontri del festival, toccando i più svariati argomenti, dall’arte italiana a quella russa, fino ai legami culturali che hanno avvicinato i nostri Paesi in passato e che continuano a unirci oggi.
Ricordo di essere rimasta colpita dal fatto che Zurlini avesse portato con sé a Mosca un volumetto di Guerra e pace di Tolstoj. Per sua stessa ammissione, il regista teneva questo libro sempre con sé e rileggeva dei brani ogni giorno. Conservo inoltre un vivido ricordo dei miei incontri con Federico Zeri, grande conoscitore della cultura russa: venerava Čajkovskij, Eisenstein e, naturalmente, i classici della letteratura russa. Fu grazie a Zeri che appresi da giovane l’importanza del confronto tra fenomeni diversi che racchiudono codici culturali diversi.
Questo tipo di confronto permette infatti di ampliare la nostra comprensione delle singole culture e ci aiuta a trovare risposte anche alle domande più difficili. Ed è prezioso per me anche il ricordo dell’amico Miklós Boskovits, ungherese di origine ma rimasto poi in Italia e diventato un esperto di pittura italiana del XIII-XV secolo conosciuto in tutto il mondo.
Insieme alla studiosa tedesca Irene Hueck e all’americana Eve Borsook avevano costituito una fondazione per aiutare coloro che vivevano in Unione Sovietica e nei paesi dell’Est e che avevano difficoltà a venire in Italia per compiere le proprie ricerche scientifiche. Sono loro infinitamente grata per l’aiuto che mi hanno dato. E dunque, in quei tempi lontani Miklós una volta mi chiese di procurargli delle registrazioni di opere di Modest Musorgskij, che riteneva uno dei più grandi compositori mai esistiti.
Oggi non ci sono più né Zurlini, né Zeri, né Boskovits, il loro ricordo tuttavia è vivo non solo in Italia, ma anche in Russia, dove il cinema italiano è molto apprezzato e i libri di storia dell’arte vengono letti da un pubblico molto ampio. Osservando l’isteria che pervade il mondo, mi chiedo come questi e molti altri personaggi della cultura – musicisti, italiani e non, che con le loro esibizioni hanno fatto conoscere al pubblico la straordinaria bellezza della musica russa, traduttori, che con la loro alta professionalità hanno contribuito a far scoprire i classici della letteratura russa a un vasto pubblico, attori teatrali e storici dell’arte – avrebbero reagito a ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi, se fossero ancora vivi. Ritengo che la risposta sia evidente e derivi dalla loro stessa vita, dalla loro visione del mondo, ed è importante conservarne il ricordo.
Quello che sta accadendo è una difficilissima prova per gli europei, una prova che riguarda le fondamenta stesse della cultura europea, i suoi valori di base e, soprattutto, le idee di umanesimo risalenti all’antichità e al Rinascimento, che un tempo univano l’Europa e ne hanno guidato lo sviluppo in una direzione ben precisa. Oggi, vedendo i diversi modi in cui i vari Paesi affrontano questa prova, sono lieta di non essermi sbagliata nel mio amore per l’Italia, la cui arte ho studiato per tutta la vita.
Proprio dall’Italia si levano voci dissonanti rispetto all’isterica russofobia che ha preso il mondo.
Nel periodo della sua formazione la cultura russa ha assorbito molte cose sia dall’Italia, sia da altri Paesi, ma nel tempo ha acquisito un’identità e una coloritura nazionale uniche. La letteratura, la musica, l’arte d’avanguardia sono solo alcune delle cose che sono entrate a far parte del patrimonio culturale globale: oggi coloro che un tempo le apprezzavano fanno di tutto per disconoscerle, fingono che non siano mai esistite.
La domanda è: come possiamo mettere al bando la cultura russa, che oramai da molto tempo fa parte del patrimonio culturale europeo e ha influenzato scrittori, compositori, musicisti e registi europei, che a loro volta hanno plasmato la coscienza di generazioni di loro connazionali e non solo? Nella cultura europea, che ha alle spalle secoli di storia, i singoli elementi non solo sono intrecciati tra loro, ma possiamo addirittura dire che sono fusi insieme.
Non esistono in Europa culture isolate. La cultura europea è come un albero secolare, magnifico proprio in virtù dei numersi innesti che l’hanno fatto crescere più forte e più bello. Suddividerlo in singole componenti è impossibile, si può solo estirparlo. Sembra proprio che sia questo che qualcuno vorrebbe fare. Sarebbe una vivisezione, operazione non solo difficile, ma anche molto pericolosa! Ed è ancora meno comprensibile come piccoli paesi, i cui classici hanno prodotto esclusivamente in russo, stiano rinunciando alla lingua e alla cultura russe. Sono davvero pronti a rinnegare il proprio patrimonio culturale? a disconoscere scrittori in qualche caso grandi? È qualcosa che davvero mi addolora.
Tutti i fenomeni, specialmente quelli globali, riflettono con straordinaria chiarezza l’essenza del tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda il presente, mi sembra che oggi stiamo vivendo le dirette conseguenze di decenni di noncuranza nei confronti della cultura e dei valori di cui essa è portatrice. I politici sono spesso i responsabili di questa situazione, creatasi a causa dei numerosi tentativi di portare la cultura all’autofinanziamento, fenomeno che a sua volta ne causa la commercializzazione galoppante. Anni fa Salvatore Settis analizzò questa situazione nel suo libro Italia Spa. L’assalto al patrimonio culturale, mettendoci in guardia dei pericoli causati da questa tendenza. Settis è uno studioso che ha sempre rappresentato per me un modello di integrità, professionalità e altissima cultura.
Fattori quali la riduzione dei programmi di istruzione scolastica, la promozione – a scapito di quelli autentici – di valori fittizi, atti soltanto a compiacere il gusto delle masse e la convenienza economica, e molto altro ancora, hanno formato generazioni di persone, politici compresi, per i quali il grande patrimonio dell’arte e della cultura non significa nulla. Soltanto questo può spiegare la facilità con cui anche dalle tribune più alte vengono lanciati appelli a divieti di ogni tipo. Fortunatamente, gli slogan dei politici non sempre rappresentano i sentimenti reali della popolazione di un paese; spesso riflettono invece lo scarso livello di preparazione culturale di questi stessi politici, come, del resto, abbiamo già potuto osservare molte volte in passato.
Ciò che sta accadendo oggi ha influenzato anche il lavoro dei musei, cioè istituzioni che lavorano a stretto contatto con vari strati della popolazione. Quando è scoppiata la crisi, molte preziose opere della pittura europea occidentale, acquistate a suo tempo da collezionisti russi, si trovavano in mostra all’estero. Hanno cominciato a diffondersi voci a favore del loro sequestro. Fortunatamente, il buon senso ha prevalso e tutte le opere prestate dall’Ermitage e dal Museo statale di Arti figurative di Mosca sono state restituite in tutta sicurezza, compresa la collezione di Ivan Morozov, che si trovava alla Fondazione Vuitton di Parigi ed è ora esposta nelle sale del Museo statale di Arti figurative in una bellissima mostra che ha un numero sorprendentemente alto di visitatori.
Le mostre sono diventate da tempo una componente essenziale delle attività dei musei e delle istituzioni culturali e negli ultimi venti-trent’anni hanno purtroppo assunto sempre più un carattere commerciale. È un fatto che, a ragion veduta, mette inquietudine. Tuttavia oggi la situazione sta cambiando drasticamente ed è fuori discussione che la Russia metta i suoi tesori a disposizione delle grandi mostre europee, come in passato.
La questione è semplicemente inattuale, e resterà tale, a quanto pare, per lungo tempo.
In altre parole, oggi non esiste tra la Russia e i paesi europei uno scambio tra musei in quanto tale, e da molti anni non esiste uno scambio con gli Stati Uniti. E nemmeno in Russia ci saranno più mostre provenienti dall’estero, che riscuotevano sempre un gran successo di pubblico. Naturalmente questo ha danneggiato i nostri piani, ai quali avevamo tanto lavorato per anni. È un vero peccato non aver potuto realizzare un importante progetto elaborato insieme ai colleghi dei Musei Civici di Venezia per mostrare a Palazzo Ducale la parte migliore della collezione di dipinti veneziani del XIV e XVIII secolo conservati al Museo statale di Arti Figurative di Mosca. Insieme al mio collega Alberto Craievich, avevamo già realizzato il progetto della mostra, il catalogo era in dirittura d’arrivo, e l’inaugurazione della mostra era prevista per l’inizio di ottobre di quest’anno.
Per quanto riguarda le mostre d’arte italiana che erano previste per quest’anno e per il prossimo, si trattava di “Pittura barocca napoletana” del Museo di Capodimonte e “Arcimboldo e il suo tempo”, sulla quale si sta lavorando già da diversi anni e di cui è già stato in parte redatto il catalogo.
Questa mostra aveva una concezione differente da quella di molte altre analoghe svoltesi in Europa, America e Giappone. Il suo progetto era del tutto originale e il messaggio centrale era quello di mostrare come le idee e i nuovi orientamenti dell’arte e del collezionismo, nati all’interno del Manierismo, abbiano dato i loro ultimi frutti in Russia, nel modello di collezionismo realizzato sotto Pietro il Grande. Questa mostra doveva far vedere chiaramente ciò di cui si è parlato poc’anzi, vale a dire che la Russia è parte integrante della cultura europea e mondiale. I nostri partner erano i principali musei russi: l’Ermitage, il Cremlino, il Museo Storico e altri, oltre a biblioteche e archivi. Nel corso della sua preparazione, abbiamo scoperto nei depositi di vari musei russi opere uniche e finora sconosciute legate a questo tema. Possiamo solo rammaricarci del fatto che i nostri spettatori probabilmente non vedranno mai più questa mostra e che gli specialisti stranieri probabilmente rimarranno all’oscuro di molte cose; a causa dei divieti e del rifiuto di partecipare espresso dai nostri partner stranieri la mostra non potrà aver luogo.
La mostra “Arcimboldo e il suo tempo” aveva per me un significato particolare: in essa avevamo cercato di far vedere quale sia stato il posto della Russia nel panorama generale della cultura europea, il suo sviluppo e la sua evoluzione. Molte idee e fenomeni importanti della cultura europea, nati in Italia, sono poi germogliati in altri Paesi e hanno trovato il loro compimento in Russia. Ad esempio, la Kunstkamera istituita con un decreto di Pietro il Grande divenne l’ultima collezione europea di questo tipo, così come San Pietroburgo, da lui fondata, fu l’ultima città “ideale” d’Europa.
Come è noto, in Italia questa idea, l’idea cioè di una “città ideale” che fosse insieme condizione e incarnazione del concetto di armonia tra l’uomo e l’ambiente circostante, è stata elaborata a partire dal XV secolo e aveva seri fondamenti filosofici e morali. Dopo aver circolato nel tempo e nello spazio, molte idee fondamentali della cultura europea hanno trovato compimento in Russia. La “città ideale” era un’utopia, ma incarnava un sogno, un modello astratto, e tendere a realizzarlo era di per sé importante per l’umanità. Oggi questo sogno si è infranto in maniera definitiva e irreversibile.
Non nego che la situazione in cui si trovano oggi i musei russi non è facile, ma è anche vero che per troppo tempo abbiamo vissuto di progetti espositivi ricevuti dall’estero, ai quali abbiamo lavorato insieme ai nostri colleghi italiani. Che dire, è stata un’esperienza impagabile: queste mostre hanno avuto un grande successo di pubblico, molte di esse sono state i progetti di maggior richiamo dell’anno in cui hanno visto la luce, ed è difficile sopravvalutarne il significato. Ma ora il tempo delle mostre di questo genere è finito e in questa nuova situazione dobbiamo cercare e trovare nuovi modi per utilizzare le opportunità che abbiamo a disposizione. E noi abbiamo queste opportunità, e non sono affatto trascurabili, se ricordiamo quali ricchezze sono conservate nelle collezioni museali della Russia, il cui numero non si misura a centinaia, ma a migliaia.
Queste collezioni sono ben lungi dall’essere esplorate e davvero non sappiamo quali scoperte ci attendono. Ne ho avuto diverse prove nella mia esperienza personale, in particolare quando molti anni fa lavoravo a una mostra dedicata alla pittura italiana dei secoli XIV-XVIII nelle collezioni dei musei sovietici. Ho fatto allora scoperte eccezionali, in maniera del tutto inattesa, a volte in piccoli musei regionali. Alcune delle mie ricerche sono state pubblicate in Italia, ma molte altre cose aspettano ancora di essere riportate alla luce.
Qualche parola sui miei progetti immediati e sulle prospettive per il futuro.
Inizierò con i progetti espositivi, perché sono di primario interesse per il pubblico. Abbiamo elaborato una serie di nuovi progetti per sostituire le mostre che hanno dovuto essere cancellate a causa delle sanzioni, e attualmente il piano espositivo del Museo statale di Arti figurative è già completo fino al 2025. Parlando di progetti dedicati all’arte italiana, vorrei citare l’esposizione delle opere di Luca Giordano, eccezionale pittore napoletano del periodo tardo barocco. È stata concepita come un progetto congiunto con il Museo Ermitage e, se possibile, includerà tutte le opere del maestro conservate nelle collezioni russe, sia dipinti sia disegni. Sarà una mostra di grandi dimensioni, impressionante sia per il numero di opere che per la loro qualità artistica. Basti pensare che, secondo una prima stima, l’elenco delle opere comprende oltre 60 dipinti. In capo a due o tre mesi di lavoro solo in uno dei musei sono riuscita ad attribuire una sua opera giovanile che si credeva fosse di un maestro spagnolo. Non ho dubbi che la mostra dedicata alle opere di Luca Giordano sia destinata al successo, ma saranno gli specialisti a poterla giudicare davvero, e avranno molte sorprese ad attenderli.
All’inizio degli anni Duemila si sono tenute alcune importanti mostre a Napoli, città natale dell’artista, a Madrid, dove realizzò alcune importanti commissioni, e anche a Vienna e a Londra, in concomitanza con il tricentenario della morte dell’artista. In nessuna delle mostre sono state esposte opere provenienti dalle collezioni russe, eppure molte di esse sono estremamente importanti non solo per la loro qualità artistica, ma anche per la loro origine. Giunte in Russia sotto Caterina II, queste opere un tempo facevano parte di rinomate collezioni europee. Lo dico sinceramente, avrei voluto coinvolgere nella preparazione di questa mostra i colleghi italiani specialisti di Luca Giordano, e spero ancora di poterlo fare. La ricerca sull’arte, così come l’arte stessa, non ha confini: lavoriamo tutti per una stessa causa!
I miei progetti personali sono anche legati alle opere conservate nei nostri musei regionali. Attualmente sto preparando la pubblicazione di due libri sull’arte barocca italiana, che includono diverse opere provenienti dai musei russi, per la maggior parte delle quali è stata stabilita una nuova attribuzione.
Siamo eternamente grati ai nostri antenati che, seguendo il loro richiamo interiore, il loro amore per l’Italia e la loro passione per l’arte, hanno raccolto con cura e portato in Russia opere d’arte di inestimabile valore. Ma noi non riusciamo a pensarci isolati dal mondo e il nostro compito oggi è quello di mettere queste opere a disposizione degli specialisti dei diversi Paesi, perché – lo ripeto – la cultura, l’arte e la ricerca sull’arte non hanno confini e sono patrimonio di tutta l’umanità, che altrimenti sprofonderebbe nelle tenebre dell’ignoranza e dell’oscurantismo.
Vittoria MARKOVA
Tradotto da Daniela Rizzi