Soggetti e tecniche di una pittura imprevedibile: l’epopea di Margherita Vanarelli, un’artista romana sconosciuta

di Monica CARDARELLI

 Storica dell’Arte. Gallerista

Margherita Vanarelli, un’artista romana sconosciuta

1. M. Vanarelli, Donna con bambino nel seggiolone, 1963, tecnica mista, cm 27,5 x 21,5, firmato e datato

Ricostruire il percorso artistico di Margherita Vanarelli è stato un lavoro non privo di sorprese. La sua straordinaria opera, Donna con bambino nel seggiolone (fig. 1), è all’inizio di questa storia. Si tratta di un’opera datata 1963, lo stesso anno in cui la prima donna della storia, la russa Valentina Tereškova, fu lanciata nello spazio, a circumnavigare la terra a bordo della Vostok 6, la navicella che le fu assegnata.

Anche la donna di Margerita Vanarelli è “incapsulata” dentro un microcosmo, racchiuso però in una cornice di legno. Davanti a lei sta un’altra figura, che a prima vista sembrerebbe essere un bambino seduto in un seggiolone, ma una più attenta osservazione ci fa dubitare dell’esattezza della nostra prima percezione. È proprio un bambino quello seduto nel seggiolone? Ne ha tutto l’aspetto, indossa anche il bavaglino, ma quello che deve avere appena bevuto non è affatto latte, bensì del vino rosso, ancora in parte contenuto nel “quartino” e nel bicchiere che tiene tra le mani, gli occhi stralunati e il naso carminio ne sono la spia.

La donna gli sta dietro, in piedi con le mani conserte, in una posa plastica da modella e uno sorriso letteralmente stampato sul viso, essendo ritagliato dalla pubblicità di una rivista. Anche in questo caso la nostra prima percezione è delusa dalla facile e ragionevole constatazione che una madre non può ridere alla vista del proprio bambino ubriaco. Chi sono dunque i personaggi di questa bizzarra  coppia? E quale è il rapporto che li unisce dentro il loro solitario cosmo?

L’immagine genera un cortocircuito, il nostro buon senso ci fa rifiutare l’idea che un neonato possa sbronzarsi. Dobbiamo quindi ammettere che quello che Margherita Vanarelli ha rappresentato non è un bambino, ma un adulto e che la figura femminile non è una mamma, ma una moglie. Non è qui necessario scomodare gli studi della psicoanalisi e descrivere le caratteristiche della neotenia psichica o sindrome di Peter-Pan, l’immagine dell’uomo-bambino nella composizione della Vanarelli è di più che facile lettura.

Un altro sorprendente connotato dell’opera è la particolare tecnica utilizzata. Non può essere definitacollage, perché non si tratta di semplice giustapposizione di ritagli di immagini o fogli colorati, né tanto meno di dècollage, frutto dello sperimentalismo del Nouveau Realism di quegli anni, che prevedeva la manipolazione, con colla e acqua, dei grandi cartelloni pubblicitari staccati dalla loro originaria collocazione.

Quella di Margherita Vanarelli è un’opera tridimensionale, in cui all’utilizzo dei ritagli di giornale e carta colorata si aggiunge l’intervento della mano dell’artista, che delinea le figure con penna, matita, pennarello e utilizza materiali, in genere carta pressata, per riempire e formare le teste dei suoi personaggi.

L’immediato e primo richiamo è all’opera di Richard Hamilton (Londra 1922 – 2011), il «Papà Pop», che nel 1957 con i ritagli di alcune note riviste di quegli anni (“Ladie’s Home” e “Tomorrow’s Man”) aveva realizzato la sua prima House, intitolata Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing? Un interno con oggetti e personaggi, attraverso cui denunciava la massificazione del consumo e dei nuovi miti e modelli della società, della televisione e del benessere. Tuttavia i protagonisti della scena di Margherita Vanarelli non sono come per le opere di Hamilton, star del calibro di Irvin Zabo Koszewski, noto body builder e Jo Baer, famosa pin-up di riviste erotiche, e a fargli da sfondo non è un interno domestico con accessori di ultima generazione. Quella della Vanarelli è all’unisono la doppia coppia più antica del mondo: madre-figlio e donna-uomo, messi sotto vetro come unici protagonisti della scena e della nostra riflessione.

Un’opera assolutamente originale sia rispetto al soggetto che alla tecnica. Eppure della sua autrice non si sapeva assolutamente nulla, neppure l’anno e il luogo di nascita! Nessuna traccia. Attraverso il necrologio  a lei dedicato e pubblicato sul quotidiano La Repubblica e una successiva ostinata indagine, ho potuto mettere insieme quanto necessario a tracciarne il profilo

Margherita era nata a Roma il 12 aprile del 1916, ultima dei sei figli avuti da Adriano, e Pia Boccacci. Pur non avendo frequentato alcuna scuola o Accademia d’Arte, Margherita aveva precocemente manifestato una poliedrica inclinazione artistica. La sua piccola e velocissima mano snocciolava grappoli di buffi bambini in grembiule (fig. 2 – 4),

11. M. Vanarelli, Autoritratto, matita su carta, 1960 ca., cm 32,5×21.
12. M. Vanarelli, I Fidanzati, 1966,
tecnica mista, cm. 70×60.

volti femminili,  longilinee ed eleganti modelle (fig.4 – 10)   e numerosi originali autoritratti (fig. 11 – 12).

 

Ma chi le aveva insegnato tutto questo? Margherita aveva frequentato appena le scuole d’obbligo e aveva vissuto buona parte della vita a casa con la madre, senza mai sposarsi. Fu tuttavia proprio in questa casa, nella famiglia, che trovò il suo primo maestro, l’adorato fratello maggiore Augusto (Roma 1913 – 1980) che fu pittore di fama ed ecclettico artista, amico di Severini, Sironi, De Chirico, Trombadori, Guttuso, e molti altri. Aveva frequentato l’Accademia d’Arte a Roma, perfezionandosi a Parigi. Margherita ne ripeteva i disegni, ne spiava i progressi e i mutamenti di stile. Insieme giovanissimi si esercitavano in prove di bravura grafica che consistevano nel disegnare una figura umana senza mai staccare la penna dal foglio.

Più tardi Margherita svilupperà la sua maniera e verso la  fine degli anni Cinquanta  comincerà a comporre i primi piccoli palcoscenici, realizzati con i materiali più disparati: ritagli di vecchi giornali, nappe di tendaggi dismessi, bottoni spaiati o perline scivolate via da un vecchio bracciale. Tutto veniva riciclato e adattato alle sue creazioni.

13. M. Vanarelli, Pic-nic en plein air, 1972, tecnica mista, cm. 67,6×57,4.

Di ogni materiale Margherita riusciva a vederne in prospettiva cosa sarebbe diventato: minuti ed eleganti abiti, collane, borsette, bambole, manici di scopa o bianche nuvole nel cielo. Con questi creava  e metteva in scena personaggi  d’ogni genere, fidanzati in lacrime dopo l’abbandono, coppie di sposi alla finestra, pic-nic en plein-air, file di bambine danzanti,  dove ricorre il senso ironico e in fondo comico delle scene rappresentate.

Verso la metà degli anni Sessanta queste opere si arricchiscono di accurati dettagli che descrivono l’ambiente circostante, immersi spesso in un contesto temporale lontano e idealizzato, che richiama la pittura ottocentesca, qui letteralmente  bamboleggiante (fig. 13 – 15).

14. M. Vanarelli, Il can-can, 1965 ca., tecnica mista, cm. 47×36.
15. M. Vanarelli, Bambina sull’altalena, 1972,
tecnica mista, cm. 59,7×50.

Si tratta di una produzione originale, impossibile da mettere a confronto con quella del fratello e maestro Augusto, con cui non voleva e senza dubbio non poteva competere. Educata e cresciuta secondo gli schemi dell’epoca, che non prevedevano per le figlie femmine i medesimi percorsi formativi riservati ai figli maschi. Margherita si adattò alla condizione che la famiglia e la tradizione le aveva assegnato, affidando alle sue creazioni la sua ironica e divertita visione della vita e del mondo intorno a sé.

Una vecchia fotografia in bianco e nero, che la ritrae accanto ai fratelli, Augusto e Giovanni,  ne rivela la piacevole figura (fig. 16).

16. Margherita con Augusto, Giovanni (Nino) Vanarelli e un loro amico negli anni Cinquanta.

Piccola e graziosa, elegantemente abbigliata alla moda di quegli anni, fine Cinquanta, indossa una delle collane di sua creazione. Le sopracciglia ad arco e i capelli corti e ondulati, proprio come le dive dell’epoca, rivelano un tratto della sua personalità, sempre attento all’estetica, ma sono anche la spia del ruolo e della sua funzione in quel preciso momento.

Nel 1958, nel fervore entusiastico d’inizio della Dolce vita, il fratello Augusto aveva aperto a Roma, al numero 41A di via del Babbuino, una galleria d’arte e design, l‘Anthea, (fig. 17), e Margherita ne fu da subito la coordinatrice, nonché la simpatica mascotte di tutti gli artisti italiani e stranieri che la frequentarono. Tra le prime mostre l’Anthea espone opere di Gianfranco Baruchello, Pietro Cascella, Fabio Mauri, Gino Marotta, che la critica aveva letteralmente esortato a «spararsi» e «buttarsi a fiume».

17. Margherita nella galleria Antea di via del Babuino 41/A (Roma, 1958-59).

Critiche a parte l’esperienza all’ Anthea fu per Margherita una grande occasione per allargare i confini della sua visione dell’arte e il suo repertorio, che rimase comunque sempre figurativo. Passavano sotto i suoi occhi, in occasione delle mostre che vi si inauguravano, dipinti, sculture, disegni e oggetti di design d’ogni tipo. Il 1963 fu l’anno della  mostra dei «Nove Cubisti Francesi», dove furono esposte le opere di: Serge Ferat, Albert Gleizes, Henry Hayde, Auguste Herbin, André Lhote, Louis Marcoussis, Jean Metzinger, Leopold Survage, George Valmier. La memoria di Margherita fagocitava e assorbiva e successivamente rielaborava dando origine ad un suo personale stile.

Con il suo fare allegro e cameratesco intratteneva rapporti con tutti gli artisti che frequentavano la galleria: Capogrossi, Greco, Turcato, Guttuso, Monachesi e molti altri, dei quali per gioco ne schizzava il ritratto, mentre gli stessi seduti di fronte a lei la ritraevano a loro volta.

Tuttavia, nonostante le sollecitazioni del fratello Augusto a partecipare con le sue opere alle mostre collettive della galleria, Margherita si mostrò sempre riluttante, addirittura si ostinava a nasconderle in uno stanzino, per mostrarle solo a chi ne faceva espressa richiesta.

Una sfrenata passione la spingeva però a non smettere mai di disegnare, si industriava a decorare i biglietti di invito delle mostre dell’Anthea con figure femminili abbigliate all’ultima moda, scene di vita famigliare, contadinelle nei prati o con i suoi più frequenti grappoli di minuscoli bambini con grembiule.

18. Ristorante Il Postiglione, 1965. Liena Meltzeff e Mister OK.

Nel 1965 la galleria Anthea chiude i battenti. Augusto, era impegnato in numerosi progetti, esposizioni e concorsi,  la sua natura irrequieta e vulcanica lo indusse verso una nuova avventura. Un anno più tardi infatti apre al numero 81 di Via Margutta, resa da tempo famosissima dal film Vacanze romane (1953), il ristorante Il Postiglione (fig. 18), – oggi Osteria Margutta – volendo con questo nome richiamare l’originario uso del locale che era stato, come per molti altri in quella via, una scuderia.

Margherita è ancora una volta la sicura e forte spalla su cui Augusto può poggiarsi. È lei infatti che intrattiene, coordina e sta alla cassa. Fu questa però un’avventura di breve durata, gli obblighi imposti dalla Siae per la musica, e i gravosi oneri burocratici, in poco tempo spinsero Augusto a cedere l’attività (1968). Margherita che non aveva mai smesso di esercitarsi nella creazione di modelli per abiti femminile,  si riciclò come modista, chiamata a lavorare dalle ormai mitiche Sorelle Fontana, che proprio quell’anno si erano trasferite a Piazza di Spagna.

Morì a 89 anni il 5 marzo del 2005, coerentemente ricordata come artista nel necrologio de La Repubblica.

Monica CARDARELLI   Roma 17 gennaio 2021