di Claudio LISTANTI
Il festival OperaInCanto 2022 ha presentato in prima esecuzione assoluta l’opera Sogno (ma forse no) basata su un libretto di Sandro Cappelletto e Matteo D’Amico con il quale hanno adattato per il teatro d’opera l’omonima commedia di Luigi Pirandello, musicata dallo stesso Matteo D’Amico.
L’evento musicale è perfettamente in linea con lo spirito che, dal 1988, anima il festival OperaInCanto che grazie all’Associazione In Canto che lo organizza ha sempre saputo porre in essere programmi orientati verso la produzione musicale settecentesca, primo ottocentesca e contemporanea, commissionando appositamente a diversi compositori opere da rappresentare in prima esecuzione assoluta. A questa intensa attività si è aggiunta, nel 2003, quella didattica con l’istituzione di OperaScuola che ha consentito di porre all’attenzione di giovani e studenti la loro variegata produzione musicale.
Anche l’edizione di quest’anno è stata strutturata con questi presupposti e la scelta di musicare un testo pirandelliano è stato elemento di grande interesse per il pubblico e per tutti gli addetti ai lavori richiamando presso il Teatro Sergio Secci di Terni un folto numero di spettatori che ha assistito con attenzione allo spettacolo.
Per entrare nello specifico l’elemento di grande interesse per questa serata che l’8 ottobre scorso ha concluso il festival OperaInCanto 2022, consisteva proprio nell’inusualità dell’ispirazione letteraria a Luigi Pirandello, un autore poco frequentato nel teatro d’opera. Infatti, lavorando a memoria, ci viene in mente solo La favola del figlio cambiato di Gian Francesco Malipiero, del 1934, su testo dello stesso Pirandello e ripresa da una sua novella dei primi del ‘900.
Qui a Terni, invece, è stata scelta Sogno (ma forse no) una commedia che Pirandello scrisse a cavallo tra il 1928 e il 1929 la cui prima assoluta avvenne solo nel 1931 a Lisbona con una traduzione in lingua portoghese. In Italia fu trasmessa dall’EIAR nel gennaio del 1936 mentre la prima in teatro risale al 10 dicembre 1937 a Genova presso il Giardino d’Italia e grazie alla Filodrammatica del Gruppo Universitario di Genova.
In scena ci sono tre personaggi: La giovane signora, L’uomo in frac e Un cameriere (parte muta). L’azione è contenuta nel breve spazio di un sogno, con il personaggio femminile che si trova nello stato d’animo di vedere affievolirsi l’amore. Siamo all’interno di un sogno-incubo dove molto importante è la cornice che contiene l’azione che valorizza l’atmosfera del momento, inquietante e, soprattutto, ambigua. Nel sogno appare anche l’amante che comprende lo stato di difficoltà affettiva da parte della donna. La strangola lasciando sul suo collo un segno indelebile che ricorda la preziosa collana di perle che la donna aveva ammirato nella vetrina di un gioielliere generando in lei il desiderio di possederla.
Il sogno è interrotto dal risveglio. Entra il cameriere che porta alla signora un pacchetto. È la collana del sogno che un suo antico amante le invia. Subito dopo entra l’uomo che sta per essere da lei lasciato e nella breve conversazione che ne segue ritornano i temi del ‘sogno’ che si stanno sovrapponendo alla ‘realtà’. Qui c’è un momento di sospensione che lascia sorpreso lo spettatore: quale è il sogno? Quale la realtà? Forse sono due facce della stesa cosa?
Come si può ben comprendere è l’ambiguità il filo condutture di tutta l’opera, elemento che contraddistingue la produzione pirandelliana. Inoltre nel caso del ‘Sogno’, come molti studiosi rilevano, il testo somiglia più ad una sceneggiatura cinematografica che ad una vera e propria commedia teatrale nella quale, oltre ad essere descritto nello specifico l’ambiente, ne mette in risalto sensazioni e stati d’animo.
Dopo la descrizione di queste particolarità dobbiamo innanzi tutto mettere in evidenza la coraggiosa scelta di Sandro Cappelletto e Matteo D’Amico nell’intraprendere, per certi versi, l’audace operazione di adattare il testo pirandelliano per il teatro per musica. Il loro adattamento si è sviluppato nel pieno rispetto dell’originale di Pirandello anche sono stati necessari dei tagli per renderlo idoneo alla versione musicale ma, comunque, sono state utilizzate prevalentemente le stesse parole.
La parte musicale, quindi è estremamente importante per una operazione come questa, non solo perché si tratta di teatro in musica ma, soprattutto, per rendere quel senso di ambiguità che aleggia per tutto lo svolgimento dell’azione che rende il compito del compositore estremamente arduo e difficile.
Matteo D’Amico è un musicista di notevole esperienza nel campo della musica soprattutto, come ci dice il suo curriculum artistico, nel campo del teatro in musica. Questa sua esperienza gli ha permesso di superare tutte le oggettive difficoltà e offrire una partitura del tutto valida per rappresentare un lavoro come questo. La parte strumentale è stata concepita per un Ensemble di otto strumentisti comprendente, oltre agli archi, flauto e ottavino, clarinetto e clarinetto basso, corno, percussioni e arpa. È una partitura che all’ascolto ci è parsa di notevole difficoltà esecutiva nella quale molto evidenti sono gli incisi di carattere ritmico e il colore, soprattutto dei legni, utilizzati per sottolineare lo svolgimento dell’azione.
Per quanto riguarda la parte vocale, che nell’opera d’oggi è elemento spesso critico per l’intelligibilità dell’azione e degli stati d’animo, è frequentemente realizzata utilizzando registri estremi spesso fastidiosi e completamente inespressivi. Qui Matteo D’Amico ha scelto una via adatta alla comprensibilità del testo, utilizzando una linea vocale difficile ma non particolarmente impervia, ispirata non solo allo Sprechgesang del quale ci pare di aver colto alcune reminiscenze ma, spesso, anche un declamato melodico di stampo contemporaneo, molto usato oggi, nel quale la melodia è presente con una certa frequenza ed intensità; tutti elementi che contribuiscono a rendere comprensibile la rappresentazione. Diversi spunti melodici sono ben presenti nella parte prettamente strumentale. Ci è piaciuta la soluzione iniziale della citazione del ‘Vecchio frac’ di Domenico Modugno, chiaro omaggio al personaggio L’uomo di in frac dell’opera. Una citazione musicale della celebre canzone che negli anni 50 dello scorso secolo riuscì a dare all’ascoltatore quel senso di ambiguità della disperazione di quell’uomo che girava confuso di notte il cui tema, ripreso variato ad introduzione, ci ha portato nel clima di questa ambiguità pirandelliana che forse non è poi così distante dalla precedente.
Per quanto riguarda la realizzazione dello spettacolo la regia è stata affidata a Denis Krief, artista di lunga e provata esperienza nel campo del teatro d’opera. Anche il suo compito, visto il soggetto teatrale, era piuttosto arduo ma è riuscito a creare uno spettacolo senz’altro credibile con una parte scenica semplice ma incisiva e dei movimenti del tutto curati e appropriati. È stata utilizzata anche una parte video curata da Stefano Bonilli che completava la visione d’insieme.
Per quanto riguarda le parti cantate c’era La giovane signora del soprano Elisa Cenni, artista molto esperta in possesso di un repertorio piuttosto ampio che le ha consentito di realizzare con sicurezza e tranquillità la linea vocale nella quale erano anche presenti diversi ‘abbellimenti’ (intesi sempre in senso moderno). Stesso discorso per L’uomo in frac di Roberto Jachini Virgili anch’egli sicuro nella parte a lui destinata che ci è sembrata, però, quantitativamente più corposa ma che il cantante è riuscito a superarne le difficoltà. Nella parte mimica di Un cameriere c’era Graziano Sirci.
Fabio Maestri, che di OperaInCanto è anche direttore artistico, ci ha offerto una direzione in linea con le sue qualità di notevole esperto di Musica Contemporanea, genere molto frequentato nella sua lunga carriera di direttore d’orchestra come abbiamo potuto rilevare ancora una volta ascoltando uno suono pulito attento alla realizzazione di ritmi e colori frutto di una ben evidente cura nella preparazione dell’esecuzione. Un risultato ottenuto grazie anche alla prova dell’Ensemble In Canto formato da strumentisti di primo piano che hanno superato tutte le chiare difficoltà esecutive presenti in partitura e che è doveroso citare nello specifico: Bruno Paolo Lombardi flauto e ottavino, Roberto Petrocchi clarinetto e clarinetto basso, Marco Venturi corno, Luca Giacobbe percussioni, Marzia Castronovo arpa, Vincenzo Bolognese violino, Lorenzo Rundo viola e Michele Chiapperino violoncello.
Come già accennato alla serata ha assistito un pubblico folto ed evidentemente interessato alla proposta che ha salutato al termine con lunghi e calorosi applausi tutti i protagonisti della serata chiamandoli più volte al proscenio. Vista la particolarità dello spettacolo e l’importanza della proposta segnaliamo che sarà riproposto il 22 Marzo 2023 nell’ambito della Stagione Concertistica dell’Università degli Studi di ‘Roma Tor Vergata’. Una occasione per vederlo (o magari) rivederlo.
Claudio LISTANTI Roma 9 Ottobre 2022