di Alberto CRISPO
UN GIACOMO CERUTI INATTESO
L’inedito dipinto di collezione privata che qui si presenta[1] (fig. 1), raffigura della frutta, dei pomodori e una sporta nei pressi di un elemento architettonico con un bassorilievo figurato.
Al centro notiamo dei tralci di uva bianca e nera appoggiati al rilievo antico, sul quale sono collocati un melone, due pere e un ramo di pesche; in basso troviamo altri tre meloni, di cui uno spaccato, delle pesche e due pomodori, oltre a una sporta di paglia intrecciata che nasconde in parte la scena scolpita in rilievo sulla base architettonica.
Per quanto la visione d’insieme potesse fare pensare a tutt’altro, gli elementi dell’articolata composizione trovano ineludibili riscontri in alcune nature morte di Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, a partire dai meloni, che rivediamo, del tutto simili, in dipinto un tempo in collezione parmense e poi comparso presso Colnaghi a Londra[2] (fig. 2),
ma anche in una coppia di Merende al chiuso già presso la Galleria Silvano Lodi[3] (figg. 3-4)
e in un altro pendant di Merende all’aperto passato in asta da Sotheby’s[4] (figg. 5-6), in cui compaiono meloni spaccati pressoché sovrapponibili al nostro.
Lo stesso tipo di melone antico, dalla superficie corrugata, lo si nota poi in una tela del Kunsthistorisches Museum di Vienna[5] (fig. 7),
dove compaiono anche alcune pesche, dalla buccia gialla e rossa, che sembrano letteralmente ricopiate da quelle nel dipinto qui attribuito e che avevamo già incontrato nella tela Colnaghi (fig. 2) e in uno degli esemplari Sotheby’s (fig. 5).
Un melone e delle pesche del tutto simili si ripresentano infine in una tela conservata nel Castello Reale di Niepołomice in Polonia (fig. 8), da poco riconosciuta al Pitocchetto[6].
Del resto anche le due pere al di sopra del bassorilievo trovano evidenti riscontri in quelle delineate nella natura morta di Brera con zucca, noci e pere, mentre la sporta di paglia intrecciata è un altro elemento spesso inserito dal Ceruti nelle sue tele, a partire da una già in collezione bergamasca e da un pendant anch’esso di raccolta privata, tutti pubblicati da Mina Gregori[7], per finire con gli esemplari un tempo presso la Galleria Brisigotti e la collezione Poletti[8]. Va segnalato infine un dettaglio non meno significativo: la plancia rocciosa che delimita in basso la composizione, con una terminazione obliqua e uno spigolo sbrecciato, è davvero molto somigliante a quella che possiamo osservare in due dipinti eseguiti dal Pitocchetto per il maresciallo Schulenburg, il primo oggi al museo di Kassel[9] e il secondo già presso la Galleria Silvano Lodi[10] (fig. 9).
Chiarita la questione attributiva, non può sfuggire la singolarità di questa natura morta nel contesto della produzione di Giacomo Ceruti, che certo spiega il mancato riconoscimento del suo artefice, almeno fino a oggi. La tela si distacca infatti dalla gran parte dei dipinti di ferma eseguiti dal pittore, che, per come lo abbiamo conosciuto finora, mette in scena interni di cucina, angoli di dispensa e resti di merende, privilegiando un repertorio di cibi e oggetti poveri e sovente ripetuti. In questo caso invece il trionfo di frutta e il bassorilievo antico richiamano piuttosto la grande natura morta romana d’età barocca, ponendo questa prova del Ceruti su una lunghezza d’onda del tutto anomala rispetto alle altre. I confronti più immediati sono con i modelli di Abraham Brueghel (Anversa 1631-Napoli 1697) – si pensi, per esempio, alla coppia di tele passate da Dorotheum a Vienna il 23 ottobre 2018, lotto 71 (figg. 10-11) – ma si vedano anche le nature morte dei Castelli o di Franz Werner von Tamm (Amburgo 1658-Vienna 1724).
La tela ritrovata si rivela, insomma, un vero e proprio unicum nella produzione del nostro artista e questo ci induce a credere che venisse eseguita dopo avere visionato opere dei summenzionati specialisti romani presso qualche nobile collezionista dell’Italia settentrionale, che magari chiese al Ceruti di misurarsi con quei maestri sul loro stesso terreno.
Ma dove poté vederle il Pitocchetto? Sappiamo che nel 1723 un dipinto del Brueghel si trovava a Milano presso la collezione del conte Pietro Francesco Riva Andreotti[11] e che due sue nature morte di fiori e frutta erano registrate nella raccolta veneziana di Davide Antonio Fossati, seppur quasi alle soglie del XIX secolo (1796)[12].
Le poche tracce dei maestri romani finora rinvenute nei luoghi in cui visse e lavorò il Pitocchetto testimoniano un interesse abbastanza limitato, quasi di nicchia, da parte dei collezionisti settentrionali, ma, proprio per questo, è ancora più stupefacente la scelta del pittore di coniugare quelle fastose messe in scena, destinate ad abbellire i palazzi dell’aristocrazia romana, con la stesura più magra e attenta ai dati del reale propria della sua produzione di genere e, più in generale, della pittura lombarda, permettendoci di cogliere un versante del tutto inaspettato della sua produzione, troppo affrettatamente confinata entro i termini della ritrattistica e della realistica rappresentazione del mondo degli umili.
Alberto CRISPO Parma 24 Aprile 2022
NOTE