di Nica FIORI
Secondo i Greci, i Tirreni, ovvero gli Etruschi, avevano inizialmente la fama di essere dei temibili pirati.
Come narra un mito riportato per la prima volta nell’Inno Omerico a Dioniso (Hym. Hom. VII), i pirati tirreni tentarono di rapire il dio del vino, ma vennero da lui mutati per punizione in delfini. Da quando nel 2019 l’hydria etrusca a figure nere (attribuita al Pittore del Vaticano 238), raffigurante sul dorso sei uomini parzialmente trasformati in delfini, è stata assegnata al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, in seguito alla sua restituzione all’Italia dal Toledo Museum of Art (Ohio, USA), essa è diventata una delle ceramiche più ammirate del museo ed è proprio uno di quegli uomini metamorfizzati ad essere stato scelto come immagine guida della mostra “Spina etrusca a Villa Giulia. Un grande porto nel Mediterraneo”, che si è inaugurata nel museo romano il 10 novembre 2023 alla presenza del Direttore Generale Musei Massimo Osanna con una serata straordinaria, che ha visto anche la performance di danzatrici in abiti etruschi.
Si tratta di una mostra indubbiamente importante, che conclude le celebrazioni per il centenario della scoperta della città di Spina, avvenuta il 3 aprile 1922, dopo una prima tappa espositiva nel Museo del Delta Antico di Comacchio e una seconda nel Museo Archeologico Nazionale di Ferrara. Sono esposti ben 700 oggetti, provenienti da diversi musei e istituti culturali italiani ed esteri, in dialogo con le collezioni del museo ospitante.
Come ha ricordato Valentino Nizzo, Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e coordinatore del progetto espositivo romano, nel 1922 venne alla luce la tomba di Tutankhamon in Egitto, che suscitò enorme interesse ed emozione, ma anche il rinvenimento qualche mese prima della necropoli di Valle Trebba nelle Valli di Comacchio fu importantissimo, perché diede veridicità alla presenza della città di Spina, il porto etrusco nell’Adriatico che fonti greche localizzavano nel delta di un favoloso fiume (l’Eridano, corrispondente al Po), legato al mito di Fetonte.
Da allora furono individuate circa 4000 tombe pressoché intatte, non abbaglianti come quella del faraone egizio, ma importantissime per la ricostruzione di tre secoli di storia del Mediterraneo preromano, quel “mare color del vino”, secondo un’espressione omerica, che sembra alludere al vino, e quindi al dio Dioniso, come un prodotto di civiltà.
Spina doveva essere per gli Etruschi molto di più di un semplice sbocco sul mare. Quando la città antica venne scoperta, si è parlato di un approdo, di un emporio dove arrivavano le ceramiche attiche che andavano nell’importante città di Bologna (Felsina), e qualcuno addirittura diceva che la città fosse il porto di Bologna. Invece era una città autonoma e forte sul piano culturale, oltre che civile e politico, con una sua organizzazione e con proprie magistrature. Era sicuramente anche una città cosmopolita, dove arrivavano meravigliosi vasi dipinti da grandi pittori: gli Etruschi di Spina non acquistavano queste ceramiche solo perché erano belle, ma capivano perfettamente il senso di quelle immagini, raffiguranti miti greci, ed erano in grado anche di dialogare con i ceramisti e suggerire immagini funzionali alla propria ideologia e cultura. Era una città dai forti connotati internazionali di ambito mediterraneo. Solo due erano le città etrusche che avevano un loro edificio a Delfi, la città del celebre oracolo di Apollo, ed erano Spina e Cerveteri: un gemellaggio che nella mostra romana è particolarmente evidenziato, anche perché Villa Giulia accoglie i reperti più spettacolari di Pyrgi, il porto di Cerveteri (Caere).
In particolare la mostra propone un approfondimento di una delle opere più importanti del Museo, l’altorilievo del frontone del lato posteriore del tempio A di Pyrgi (terracotta policroma, 470-460 a.C.), ricomposto da molteplici frammenti, attraverso un sistema di videoproiezioni emozionali e immersive che raccontano la sua storia.
Il tempio, da collocare nella località di Santa Severa (nel comune di Santa Marinella), era dedicato a Thesan-Leucotea, la bianca dea dell’aurora, della quale il museo etrusco espone una splendida testa. Il bassorilievo, che doveva trovarsi a 10 metri di altezza, raffigura in primo piano il greco Tideo mentre addenta il cranio di Melanippo, il suo avversario tebano col quale si è scontrato presso la porta Crenidiana, e ne divora il cervello. L’antefatto è quello narrato nella celebre tragedia di Eschilo I Sette a Tebe, incentrata sulla lotta per il potere tra Eteocle e Polinice, i due figli maledetti di Edipo. Come giustamente è evidenziato in mostra, l’episodio brutale del cannibalismo da parte di Tideo, che Dante conosceva attraverso la Tebaide di Papinio Stazio, ha in parte ispirato i versi della Divina Commedia relativi al personaggio del Conte Ugolino, che il Sommo Poeta colloca nell’Inferno.
Assolutamente inedito è l’accostamento dell’altorilievo di Pyrgi con il monumentale cratere della tomba 579 di Valle Trebba, anch’esso relativo al mito dei Sette contro Tebe che, all’indomani delle guerre persiane, cominciò ad assumere intorno alla prima metà del V secolo a.C. un potente significato ideologico, quale monito contro l’inciviltà e la barbarie di lotte fratricide.
La città portuale di Spina, che rappresentava per gli Etruschi padani lo sbocco sul mare, doveva avere un legame strettissimo con i Greci di Atene, anche perché si riteneva che i due popoli avessero nei Pelasgi comuni progenitori. Se inizialmente i Tirreni erano ritenuti dei pirati, tanto da far ritenere che per oltre dieci generazioni dopo la guerra di Troia non fu possibile per i Greci arrivare nel Tirreno, come ha ricordato Valentino Nizzo, a partire dall’ VIII secolo qualcosa cambia e vengono fondate le prime colonie. I mitici eroi greci Ulisse ed Eracle diventano civilizzatori dell’Occidente (Ulisse in particolare è anche progenitore dei Latini grazie alla sua unione con Circe) e altri eroi del ritorno dopo la guerra di Troia fondano città nella penisola italica.
Dopo una selezione di reperti introduttivi che incontriamo nel percorso museale al pianterreno, prima e dopo il celeberrimo sarcofago degli Sposi, ritrovato a Cerveteri, la mostra vera e propria si sviluppa al piano nobile, a partire dalla sala O dedicata alla scoperta del 1922, in seguito al rinvenimento fortuito di un sepolcreto con “vasi istoriati” all’inizio dei lavori di bonifica dei bacini lagunari di Comacchio. Sono in mostra le immagini dei primi scavi di Valle Trebba, iniziati da Augusto Negrioli e proseguiti da Salvatore Aurigemma, e la documentazione redatta sul campo dall’assistente Francesco Proni.
L’importanza di Spina fu tale da rendere necessaria l’istituzione della Soprintendenza dell’Emilia-Romagna, che ebbe Aurigemma come primo soprintendente.
Per accogliere i ricchi reperti fu, inoltre, creato a Ferrara, nel Palazzo Costabili detto “di Ludovico il Moro”, il Regio Museo di Spina, poi rinominato Museo Archeologico Nazionale di Ferrara.
“Un paesaggio inquieto. Il Delta del Po: ambiente e mito” è il tema della prima sala-sezione, che evidenzia come le particolari condizioni ambientali del Delta del Po abbiano determinato al tempo stesso la fortuna e il destino degli uomini che hanno scelto di viverci, come appunto gli Etruschi di Spina.
Oltre al mito di Fetonte, l’area del delta padano era legata a quello di Dedalo, straordinario inventore, la cui immagine è riprodotta in un vaso in bucchero (da Cerveteri, 630-620 a.C.), raffigurante anche Medea.
Altri reperti sono alcuni preziosi monili in ambra provenienti da Spina. L’ambra ricorda la trasmutazione in questo materiale delle lacrime delle Eliadi, le sorelle di Fetonte trasformate in pioppi lungo l’Eridano: una metafora con la quale i Greci davano sostanza alla realtà storica della capacità idraulica degli Etruschi nel bonificare un ambiente insidioso.
Si prosegue con la sezione “L’Etruria, Spina e il Mediterraneo dal mito alla storia”, nella quale è inquadrata la leggenda dell’arrivo dei Pelasgi a Spina e della loro diffusione poi nel resto dell’Etruria fino ad Agylla (nome greco di Caere).
Il rapporto tra Etruschi e Greci e la loro iniziale conflittualità vengono evocati, oltre che dall’hydria con gli uomini-delfini, dalle navi da guerra che solcano il mare all’interno dell’orlo del celebre dinos realizzato da Exekias all’epoca della terribile battaglia navale di Alalìa (540 a.C.), che decise le sorti del Mediterraneo nei decenni seguenti.
Fu un evento come questo, in effetti, a determinare la nascita e la fortuna di Spina tra il 530 e il 520 a.C., grazie anche al progressivo spostamento del baricentro dei rapporti commerciali col mondo greco, e in particolare con quello ateniese, dal Tirreno all’Adriatico.
Il frammento di un tripode di produzione vulcente consacrato al principio del V secolo a.C. sull’acropoli di Atene (in prestito dal Museo dell’Acropoli), raffigurante l’apoteosi di Eracle, testimonia molto bene il contesto culturale coevo e non è improbabile che il suo arrivo in Grecia sia stato mediato proprio da Spina. Questo frammento dialoga in mostra con la celebre Hydria Ricci, da Cerveteri, che illustra un sacrificio a Dioniso
“Vivere in una città porto. Commerci e navigazione” inizia con l’esposizione di un cippo in pietra con l’iscrizione etrusca “mi tular” (“io sono il confine”), che evoca l’atto fondativo della città, e prosegue facendoci idealmente approdare tra le banchine del porto, ricolme di merci di vario tipo. L’antica città etrusca fu uno snodo fondamentale per il commercio della ceramica attica, proveniente da Atene, e fu fulcro dei commerci di materie prime come cereali, grano e sale, proveniente dall’entroterra padano, o prodotto dalla stessa Spina.
Tra i capolavori esposti in questa sezione troviamo la testa di kouros in marmo di Paros del 500 a.C. ca., rinvenuta a Marzabotto, alcuni ceppi di ancore in marmo da Spina e una selezione di materiali dalle necropoli di Adria, coevi all’epoca della fondazione di Spina, oltre al ricchissimo corredo della tomba 4 C di Valle Pega, che mostra la ricchezza e la varietà delle importazioni che continuavano a caratterizzare la vita di Spina ancora alla fine del IV secolo a.C.
“La società attraverso le necropoli. Il linguaggio del potere” è il titolo della quarta sezione dedicata al ruolo primario di Spina nell’Adriatico e al rapporto preferenziale intrattenuto con Atene, grazie alle capacità di una élite egemone, la cui ricchezza traspare con straordinaria efficacia da una selezione dei corredi restituiti dalle sue necropoli, confrontati con una serie di oggetti provenienti dal resto dell’Etruria, come per esempio la pisside in avorio della Pania di Chiusi (610 a.C. ca.).
Nella Sala dei Sette Colli è esposto lo straordinario corredo della tomba 18 C di Valle Pega risalente al 430-420 a.C., nella quale al monumentale cratere a volute attico a figure rosse del Pittore di Boreas era associata la celeberrima coppa attica del Pittore di Pentesilea con le imprese di Teseo, la più grande in assoluto a noi nota, rinvenuta “sopra al cratere”, come risulta dai resoconti di scavo, evidentemente perché il cratere era usato come cinerario.
Nell’adiacente Sala di Venere lo sguardo potrà spaziare dalle tombe dei “fondatori” a quelle della famiglia dei Perkna, uno dei gruppi preminenti della tarda Spina, prossima ormai al tramonto della sua potenza, al principio del III secolo a.C.
I bellissimi manufatti ceramici ritrovati nelle tombe erano gli stessi che venivano utilizzati nelle case, povere architettonicamente, ma lussuose nell’arredo: gli etruschi di Spina banchettavano con questi oggetti e probabilmente si identificavano idealmente in quegli eroi che vi erano raffigurati, le cui vicende probabilmente erano anche narrate da aedi durante i simposi. La presenza del mitico Teseo, per esempio, potrebbe essere vista come l’immedesimazione nel celebre eroe ateniese da parte di un capo della comunità, mentre la lotta degli dei contro i giganti può essere intesa come il momento di ripristinare l’ordine, in senso politico e sociale.
Un ulteriore approfondimento è dato dalla sezione “La cerimonia funebre. I gesti del rito”, attraverso un’accurata selezione di oggetti che evidenziano l’organizzazione dei recinti sepolcrali, le modalità di sepoltura e le azioni rituali, dalle quali si possono ricavare tanti aspetti della vita reale e quindi ricostruire storicamente la vita politica della città.
Dopo esserci immersi idealmente nelle necropoli, l’esposizione ci porta di nuovo alla scoperta degli spazi dei vivi, alla luce delle più recenti indagini condotte dall’Università di Zurigo in sinergia con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e per le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara nell’abitato di Spina.
“Spina, che ora è solo un villaggio …” costituisce l’epilogo della mostra esponendo, in particolare, una terracotta votiva da Veio con l’immagine di Enea e Anchise in fuga da Troia, risalente alla fine del V secolo, che evoca il primo oggetto restituito dalle sabbie di Spina nel 1668, molto prima della sua scoperta novecentesca, ovvero un terminale di candelabro in bronzo dello stesso periodo e con lo stesso motivo iconografico, oggi conservato a Bologna. La fine di Spina è legata in parte alla decadenza e all’abbandono in seguito all’arrivo dei Celti verso la fine del IV secolo a.C., ma soprattutto all’allontanamento dalla costa dovuto ai detriti che nel giro di qualche secolo si erano accumulati nel delta. Basti pensare che nel IV secolo a.C. lo Pseudo Scilace collocava Spina a circa venti stadi dal mare (3,5 km), mentre Strabone in età cesariana, basandosi su fonti precedenti di alcuni decenni, parla di un villaggio a novanta stadi (15 km) dalla foce eridanea.
Come ha evidenziato Massimo Osanna, la mostra mette in luce un aspetto sempre attuale, ovvero
“l’importanza della mobilità nel Mediterraneo, uno spazio fluido che ha visto le culture entrare in contatto, ibridarsi e trasformarsi”.
Spina sorprende per la impressionante varietà degli oggetti e per la qualità altissima che ci fa capire come la mobilità si sia trasformata in ricchezza e abbia dato vita a una capitale culturale del mondo antico: un mondo che comprendeva non solo Etruschi, Greci e Fenici, ma anche altre popolazioni italiche, che indubbiamente hanno avuto anch’esse un ruolo che prima era stato in parte disconosciuto dagli archeologi.
L’esposizione si affida spesso al linguaggio immersivo ottenuto con la ricostruzione digitale di paesaggi e contesti, che indubbiamente aiutano a capire l’importanza di Spina nel mondo antico e le similarità e differenze con i grandi insediamenti etruschi del Tirreno. Il materiale esposto è ricco e abbondante, forse anche troppo. Si ha l’impressione che l’allestimento riempia eccessivamente gli spazi del piano nobile, nascondendo in parte la splendida architettura rinascimentale della dimora di papa Giulio III, e in particolare la vista dall’alto sul giardino e sul Ninfeo di Bartolomeo Ammannati. La sala semicircolare, che ospita abitualmente la Collezione Castellani (attualmente mandata in mostra a Milano), è stata trasformata dalla presenza di strutture espositive, che sembrano grandi garitte, pensate per ospitare al buio filmati e diversi reperti, e oltretutto i pannelli grigi con testi lunghissimi non sono ben leggibili, così come alcune didascalie, in evidente contrasto con quell’accessibilità “visiva” che è sempre stata uno dei cavalli di battaglia del museo di Villa Giulia.
Nica FIORI Roma 12 Novembre 2023
“Spina etrusca a Villa Giulia. Un grande porto nel Mediterraneo”
Dal 10 novembre 2023 al 7 aprile 2024
Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Piazzale di Villa Giulia, 9 – Roma