Splendori di ceramica: a Palermo un’opera di Pietro Melandri il grande plasticatore italiano del ‘900.

di Rosario DAIDONE

Un’opera di Pietro Melandri a Palermo

A Palermo, nella strada che dal teatro Massimo arriva al Politeama, sotto i portici all’incrocio Recalmici detto dei “quattro canti di campagna”, in un ex negozio storico d’abbigliamento (Barbisio) si trova una sorprendente opera realizzata nel 1957 da Pietro Melandri (Faenza, 1885 – 1976), il ceramista italiano più importante del XX secolo.

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L’opera, eseguita per rivestire un pilastro di cemento, inopportuno intruso del locale, va ben al di là di una funzione sussidiaria per assumere quella di un “totem” identitario. Alta 4 metri e 30, l’opera è costituita da una serie di pannelli di diversa dimensione tra loro connessi senza soluzione di continuità dal pavimento al soffitto che ha trasformato la geometria del pilastro in un articolato monumento.

Liberata dagli ingombri che ne nascondevano una parte e in seguito ai piccoli interventi di restauro voluti dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, l’opera rivela ai passanti, attraverso le ampie vetrine del nuovo negozio di cosmetici, la sua luminosa scenografica presenza.  (Fig. N° 1)

L’intervento in Sicilia del famoso ceramista faentino, di cui è nota la collaborazione con gli architetti più rinomati del periodo e con lo stesso Giò Ponti, suo mecenate ed estimatore, ha un incisivo precedente nella fornitura di una serie di 15 grandi pannelli chiamati a restituire dignità ed eleganza a un noto caffè di Messina, intervento artistico del 1953 che non appare citato, come pure quest’opera palermitana, tra le creazioni elencate nelle numerose pubblicazioni in cui si smarrisce piacevolmente il lettore della biografia di Pietro Melandri, nato a Faenza il 26 luglio del 1885 (Fig. N° 2 autoritratto) (1)

FIG. N° 2 Pietro Melandri, Autoritratto, Museo civico delle Cappuccine, Bagnacavallo, Ravenna

Le numerose attività intraprese dall’artista nell’ambito della ceramica, arricchita e rinnovata dalle sue stesse ricerche e sperimentazioni alchemiche, condussero, come è noto, alle numerose mostre organizzate anche fuori dall’Italia, al successo e ai riconoscimenti internazionali ricevuti. Progetti e ordinazioni così numerosi e impegnativi da non concedergli, sacerdote interamente votato al culto dell’arte figulina, neanche il tempo di pensare a formarsi una famiglia sino ad età avanzata.

 All’apice della carriera negli anni Cinquanta del secolo scorso, Melandri non disdegnava di impegnarsi nel rivestimento del semplice pilastro palermitano negli stessi anni in cui era chiamato alla realizzazione di opere di più ampia mole come i pannelli per l’hotel Bauer di Venezia, le opere da collocare nella sala della Cassa di Risparmio di Reggio Calabria e alla vigilia degli interventi nell’albergo Roma di Bologna (1959).

Fig 3A Figura custodita nel Mic di faenza
Fig 3B

La disponibilità ai numerosi lavori spesso legati all’architettura in qualunque posto del mondo fossero richiesti rientrava infatti nel carattere generoso dell’artista, nella tenace scontrosa volontà di operare non mancando, senza superbia, di misurarsi anche nelle opere di piccole dimensioni ricche di fascino e sperimentale originalità passate dalla sua bottega faentina alle collezioni museali e alle raccolte private. (FIG. N° 3 A)

Pur consapevole del proprio valore, sembra gli piacesse arrivare dovunque fossero richiesti i suoi interventi nei quali s‘incarnava il suo genio creativo come se l’incidenza del suo lavoro fosse strettamente necessaria e insostituibile. L’opera palermitana, frutto di una consapevole commissione seppur non ancora documentata, si articola in sei sezioni formate da pannelli di diversa misura incastrati nel pilastro con varie figurazioni legate tra loro dal filo di un poetico racconto allegorico. Nella parte vicina al pavimento un motivo di mare solcato da antiche vele all’approdo porta la firma dell’autore (Fig. N° 3 B) ed è sovrastato dalle figure del repertorio popolare caro ai siciliani: due brillanti paladini a bassorilievo pronti alla sfida teatrale dell’“Opera dei pupi” (FIG N° 4).

Fig 4

Adiacente è la bocca urlante del mascherone spegni-fiaccola di memoria secentesca dalla pelle ossidata nella doratura a terzo fuoco Fig. N° 5).

Fig 5

Procedendo, la narrazione si svolge cadenzata verso l’alto in altre pagine di varie dimensioni. L’immagine di una medievale porta di bronzo evoca quella del Duomo di Monreale (Fig. N° 6);

Fig 6

la figura di un San Giorgio, frequente nelle opere dell’artista, potrebbe ricordare la presenza della colonia genovese a Palermo nel Cinquecento. (Fig. N° 7)

Fig 7

La dominante figura femminile vestita con il costume di Piana degli Albanesi accanto alla palma è richiamo diretto al folklore e alla flora siciliani (Fig. N° 8).

Fig 8

La citazione non priva d’ironia di una statua della celebre cinquecentesca fontana della piazza Pretoria, un pesce e una tavola imbandita (Fig. N° 9).

Fig 9

La riproduzione tra enfatici grappoli d’uva del luminoso busto di Eleonora d’Aragona, ispirata all’opera in marmo custodita nel museo di Palazzo Abbatellis, coniuga l’arte del Laurana col canto e la gioia del vino siciliano sotto il disco infuocato del sole sovrapposto a piccoli bassorilievi di sapor classico (FiG. N° 10);

Fig 10

l’omaggio di un canestro di frutta, la ieratica figura di un angelo dalle grandi ali e una “Fuga in Egitto”, come potrebbe essere rappresentata nelle incisioni di Dürer, richiamano la particolare devozione religiosa dei siciliani. (Fig. N° 11)

Fig 11
Fig 12

La visione di alcuni famosi monumenti palermitani e di antichi portali, cupole arabe e guglie normanne, concludono al soffitto il fluire del discorso poetico in cui sono opportunamente incastonati simboli locali e precise citazioni di ordine storico (Fig. N° 12). Una silloge iconografica del patrimonio artistico e culturale dell’identità siciliana che Melandri sembra abbia imparato a conoscere e amare sin dai suoi viaggi giovanili quando aveva preso familiarità col mare, spesso presente anche nelle sue realizzazioni vascolari, quando aveva incontrato templi e monumenti del mondo classico che l’artista sembra aver fatto suo, nello spirito e nell’essenza, come massima espressione della misura e dell’armonia universali. Le dorature a “terzo fuoco” erose e ossidate da un verde di bronzo, i rossi densi e il verde spento di lucidi metalli vestono d’iridescenza tutta l’opera che, ben lontana da una visione trionfalistica o, peggio, turistico-promozionale, trae ispirazione dal passato e si rinnova in una affabulazione unitaria di linguaggio e tono moderni.

L’opera, così nuova nella concezione e nel disegno, sembra tuttavia essersi trovata nel posto ancor prima della costruzione del palazzo, prima della strada affollata d’automobili, come se le case del quartiere fossero nate soltanto dopo e intorno ad essa come restituzione di scavi archeologici, preziosismi bizantini, figure ieratiche, reminiscenze di arte islamica da cui discendono i lustri metallici che Melandri imparò da giovane a trattare nella fabbrica faentina dei fratelli Minardi.

Non è estranea all’opera nella sua collocazione godibile dalla strada, la funzione scenografica con la gente che vi si muove intorno che testimonia l’interesse per l’arte teatrale che Melandri aveva coltivato nel periodo della sua residenza milanese e che rimase sempre, assieme alla pittura da cavalletto, nelle sue intime aspirazioni come attività a latere mai abbandonata nella quale, fin dagli anni Venti del secolo scorso, raggiunse risultati critici di tutto rispetto e successo di pubblico nelle mostre personali a Faenza e nelle gallerie di Milano di cui scrisse con ammirazione anche il pittore Carlo Carrà. (FIG. N° 13)

Fig 13

L’opera palermitana, riconosciuta dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali come facente parte del patrimonio artistico di comune interesse, restituita a una non limitata fruizione, spero sia associata alle più belle che la letteratura e la critica assegna alla genialità di Pietro Melandri scomparso il 25 ottobre del 1976.

Rosario DAIDONE  Palermo 17 Marzo 2024

*Per le notizie sulla vita e le opere di Melandri cfr. E. Gaudenzi, Pietro Melandri, Gruppo editoriale Faenza editrice Spa, 2002.

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